Piano
dell'opera:
STORIA D'ITALIA Voi. I 476-1250 STORIA D'ITALIA Voi. II 1250-1600 STORIA D'ITALIA Voi. I l i 1600-17...
198 downloads
1425 Views
4MB Size
Report
This content was uploaded by our users and we assume good faith they have the permission to share this book. If you own the copyright to this book and it is wrongfully on our website, we offer a simple DMCA procedure to remove your content from our site. Start by pressing the button below!
Report copyright / DMCA form
Piano
dell'opera:
STORIA D'ITALIA Voi. I 476-1250 STORIA D'ITALIA Voi. II 1250-1600 STORIA D'ITALIA Voi. I l i 1600-1789 STORIA D'ITALIA Voi. IV 1789-1831 STORIA D'ITALIA Voi. V 1831-1861 STORIA D'ITALIA Voi. VI 1861-1919 STORIA D'ITALIA Voi. VII 1919-1936 STORIA D'ITALIA Voi. VIII 1936-1943 STORIA D'ITALIA Voi. IX 1943-1948 STORIA D'ITALIA Voi. X 1948-1965 STORIA D'ITALIA Voi. XI 1965-1993 STORIA D'ITALIA Voi. XII 1993-1997
MONTANELLI I GERVASO
STORIA D'ITALIA 1 6 0 0 1789 INDRO MONTANELLI j ROBERTO GERVASO
L'ITALIA DEL SEICENTO Dal 1600 al 1700 INDRO MONTANELLI ! ROBERTO GERVASO
L'ITALIA DEL SETTECENTO Dal 1700 al 1789
STORIA D'ITALIA Voi. I l i EDIZIONE PER OGGI pubblicata su licenza di RCS Libri S.p.A., Milano © 2006 RCS Libri S.p.A., Milano Questo volume è formato da: Indro Montanelli - Roberto Gervaso Eltalia del Seicento © 1969 Rizzoli Editore, Milano © 1998 RCS Libri S.p.A., Milano Indro Montanelli - Roberto Gervaso Eltalia del Settecento © 1970 Rizzoli Editore, Milano © 1998 RCS Libri S.p.A., Milano Progetto grafico Studio Wise Coordinamento redazionale: Elvira Modugno Fotocomposizione: Compos 90 S.r.l., Milano
Allegato a OGGI di questa settimana NON VENDIBILE SEPARATAMENTE Direttore responsabile: Pino Belleri RCS Periodici S.p.A. Via Rizzoli 2 -20132 Milano Registrazione Tribunale di Milano n. 145 del 12/7/1948
Tutti i diritti di copyright sono riservati
G
li anni che vanno dal 1600 al 1789 segnano, per l'Italia, un momento di profonda decadenza, politica e commerciale. La scoperta delle Americhe e il commercio per le Indie orientali avevano drasticamente ridotto l'importanza del Mediterraneo e, di conseguenza, dei porti italiani. Gli staterelli in cui è frazionata la penisola, sempre divisi e rissosi tra loro, assistono impotenti alla guerra tra Spagna e Francia, in trepidante attesa di conoscere chi sarebbe stato il loro padrone e di correre in aiuto del vincitore. La Controriforma, in nome della fede e del papa re, imperversa perseguitando, attraverso la lunga mano dell'Inquisizione, pensatori come Galileo, Paolo Sarpi e Tommaso Campanella. Solo l'arte sembra, almeno in parte, sopravvivere a questo declino in caduta libera: Claudio Monteverdi, Giambattista Marino, Gian Lorenzo Bernini fanno sì che il pensiero creativo italiano mantenga ancora una posizione di tutto rispetto in àmbito europeo. Sono gli anni degli avventurieri della spada e della penna: geniali imbroglioni come, nel migliore dei casi, Giacomo Casanova e il sedicente conte di Cagliostro. Se in Francia nasce il «secolo dei lumi» e Voltaire e Rousseau con le loro opere preparano il terreno per quella Rivoluzione del 1789 che avrebbe mutato per sempre il mondo, in Italia, salvo alcune eccezioni, è la stagione dell'arcadia e delle accademie, tese alla ricerca di una vuota perfezione formale, priva di nerbo e di contenuto. Un'Italia stanca, esangue, quasi dormiente e ben esemplificata dal «giovin signore» nel G i o r n o di Giuseppe Parini. Un'Italia, però, che sarebbe stata bruscamente costretta al risveglio dalla ventata di desiderio di libertà e di nuovo che, proveniente dalla Francia, travolse ogni cosa. INDRO MONTANELLI (Fucecchio 1909 - Milano 2001) è stato il più g r a n d e giornalista italiano del Novecento. Laureato in legge e in
scienze politiche, inviato speciale del «Corriere della Sera», fondatore del «Giornale nuovo» nel 1974 e della «Voce» nel 1994, è tornato nel 1995 al «Corriere» come editorialista. Ha scritto migliaia di articoli e oltre c i n q u a n t a libri. Tra i suoi ultimi successi, tutti pubblicati da Rizzoli, ricordiamo: Le stanze (1998), Eltalia del Novecento (con Mario Cervi, 1998), La stecca nel coro (1999), Eltalia del Millennio (con Mario Cervi, 2000), Le nuove stanze (2001). ROBERTO GERVASO è nato a Roma nel 1937. Ha studiato in Italia e negli Stati Uniti. Collabora a quotidiani e periodici, alla radio e alla televisione, e da decenni si dedica alla divulgazione storica. 1 suoi libri sono stati tradotti in numerosi Paesi. Tra le sue opere ric o r d i a m o : La bella Rosina (1991), / destri (1999), Appassionate (2001), Amanti (2002).
Indro Montanelli - Roberto Gervaso
L'ITALIA DEL SEICENTO (1600-1700)
AVVERTENZA
Eccoci alla quinta tappa di questa ricostruzione storica della civiltà italiana, cominciata con L'Italia dei secoli bui, L'Italia dei Comuni, L'Italia dei secoli d ' o r o e L'Italia della Controriforma. Forse il lettore troverà un po' smorto il panorama di questa Italia del Seicento, specie raffrontandolo a quello del volume precedente. Ma la colpa non è nostra. Checché ne dicano certi storici, consapevolmente o inconsapevolmente legati a concezioni autoritarie, l'Italia del Seicento è una povera Italia: povera di eventi, povera di uomini, povera di pensiero, povera di tutto. Il barocco non è che la maschera della sua miseria, lo stile di una minoranza di satrapi che ingrassano sulla fame collettiva di una società pietrificata. Noi abbiamo cercato di ravvivare come meglio abbiamo potuto questo plumbeo quadro, dando il massimo rilievo alle figure che lo animano. Ce ne sono di grandi, come Galileo, Sarpi, Bernini, Monteverdi. Ma non è una galleria comparabile a quella del Cinquecento: le condizioni del Paese non lo consentono. Eppure, questo secolo rappresenta una svolta decisiva non tanto per la nostra storia politica, quanto per la formazione del nostro costume su cui lascia un segno indelebile e purtroppo catastrofico. E soprattutto su questo punto che abbiamo infatti insistito. E per renderlo più chiaro, siamo ricorsi a continui raffronti con gli altri Paesi, di cui pertanto siamo stati costretti a seguire succintamente le vicende. Siamo convinti che chi si limita a studiare soltanto l'Italia, dell'Italia non capirà mai nulla. A qualcuno le nostre tesi potranno sembrare soggettive e arbitrarie. È un'accusa a cui si espone qualsiasi storia che non voglia essere soltanto un elenco di nomi e di date. E vero: noi rievochiamo il 5
passato tenendo sempre di vista il presente: gli chiediamo di spiegarci perché l'Italia è com'è. In questo volume, per la prima volta, abbiamo aggiunto una bibliografia. L'abbiamo fatto non per rintuzzare le critiche di certi specialisti che ci accusano di non essere sufficientemente documentati (come se la citazione delle fonti bastasse a dimostrare ch'esse sono state realmente consultate e criticamente vagliate!), ma per liberare da questo sospetto il lettore, unico nostro destinatario e giudice. Eabbiamo però ridotta all'essenziale perché ci rifiutiamo, e seguiteremo a rifiutarci, di costellarne le pagine di note che, rompendo il ritmo della lettura, la rendono più faticosa. Chi non capisce o disprezza questi piccoli accorgimenti non sa cosa sia la divulgazione. Sappiamo benissimo che ogni dettaglio storico è oggetto di continue scoperte e revisioni. Ma noi non scriviamo questi libri per approfondire l'uno o l'altro particolare. Li scriviamo per offrire a chi non l'ha, o l'ha dimenticata, una visione generale della vita italiana nel corso dei secoli. E quando ci si propone un simile panorama non ci si può attardare in puntigliose diatribe su fatterelli secondari o comunque irrilevanti alla sua comprensione e valutazione. Questo fa parte di un altro tipo di Storia, monografica, che ha la sua utilità, anzi la sua necessità, ma non rientra nei nostri interessi, né, crediamo, in quelli dei nostri lettori. Costoro ci hanno tangibilmente dimostrato di apprezzare il nostro sforzo. E siccome questi libri sono dedicati esclusivamente a loro, è solo il loro giudizio che conta. Noi li ringraziamo della loro fedeltà.
Ottobre '69.
I. M. R. G.
PARTE PRIMA
ITALIA, EUROPA, A M E R I C H E
CAPITOLO PRIMO
LA GALASSIA ITALIANA
A p r i m a vista, l'Italia che il 1° g e n n a i o del 1600 festeggiò l'inizio del n u o v o secolo, offriva un i n c o r a g g i a n t e spettacolo di o r d i n e e di t r a n q u i l l i t à , specie se lo si raffrontava alle i n q u i e t u d i n i e alle g u e r r e , politiche e religiose, c h e travagliavano i l r e s t o d ' E u r o p a . L'assetto c h e u n a q u a r a n t i n a d ' a n n i p r i m a la pace di Cateau-Cambrésis aveva d a t o al nostro Paese e r a rimasto sostanzialmente invariato, e i vari Stati e staterelli in cui la penisola era frazionata avevano smesso di dilaniarsi tra loro, c o m e p e r secoli avevano seguitato a fare. N o n che avessero c o m p r e s o l'inanità di q u e l l ' a s s u r d o fratricidio. Ma il p a d r o n e n o n glielo consentiva. Il p a d r o n e e r a la S p a g n a , d e s t i n a t a a r i m a n e r tale fino al 1715, cioè p e r oltre un secolo e mezzo. Essa si e r a dirett a m e n t e a p p r o p r i a t a q u a t t r o d e i n o s t r i m a g g i o r i Stati: l a Sicilia, la S a r d e g n a , Napoli e il Ducato di Milano, oltre u n a testa di p o n t e in M a r e m m a che si chiamava Stato dei Presidi. Li a m m i n i s t r a v a con u o m i n i suoi, Viceré o G o v e r n a t o r i m a n d a t i d a M a d r i d , che n o n tolleravano n e s s u n c o n t r o l l o da p a r t e di o r g a n i locali, a n c h e se ne lasciavano sussistere q u a l c u n o p e r figura c o m e il Parlamento di Napoli, il Senato di Milano e lo Stamento di S a r d e g n a . Del resto, n o n si capisce p e r c h é gli spagnoli a v r e b b e r o d o v u t o r i s p e t t a r e le a u t o n o m i e italiane, visto c h e le a v e v a n o s o p p r e s s e a n c h e in casa loro. Il g o v e r n o degli Asburgo di S p a g n a , c o m e lo aveva costituito F i l i p p o e i suoi successori si p r e p a r a v a n o a m a n t e n e r l o , n o n e r a m e n o centralistico d i quello sovietico d ' o g g i g i o r n o . I funzionari, quasi tutti castigliani, n o n facevano che eseguire gli o r d i n i del Re, c h e s'impicciava a n c h e 9
d e i m i n i m i p a r t i c o l a r i . E ai s u d d i t i n o n r e s t a v a c h e o b bedire. Q u a n t o agli altri Stati della penisola, Filippo gli aveva lasciato u n sembiante d ' i n d i p e n d e n z a , m a solo u n sembiante, p e r c h é dalle c i n q u e r o c c h e f o r t i c h e a b b i a m o m e n z i o n a t e egli e r a in g r a d o in qualsiasi m o m e n t o di ridurli alla ragion e . Vediamo c o m u n q u e i n u n a r a p i d a retrospettiva c o m ' e r a stata regolata la loro sorte e di quali principali vicende erano stati teatro nella seconda m e t à del C i n q u e c e n t o . L'unico che avesse conservato le sue istituzioni e potesse a n c o r a fare u n a sua politica era la Repubblica di Venezia, rimasta p a d r o n a di quasi tutto il Veneto, di un pezzo di L o m bardia, di g r a n p a r t e dell'Istria e della Dalmazia e di alcune isole greche. Venezia doveva questa situazione di privilegio, un p o ' al suo carattere di città l a g u n a r e difficilmente e s p u gnabile p e r via di t e r r a , un p o ' alla sua a g g u e r r i t a flotta tutt o r a fra l e p i ù p o t e n t i d ' E u r o p a , u n p o ' all'accortezza d e i suoi u o m i n i di Stato. Per costoro n o n e r a facile destreggiarsi fra le d u e p o t e n z e A s b u r g o : quella d'Austria e quella di Spagna. Ma ci riuscirono s e m p r e g i u o c a n d o sulla flotta, n e cessaria ad e n t r a m b e p e r la lotta c o n t r o i t u r c h i . L e p a n t o e r a stata u n a vittoria s o p r a t t u t t o v e n e z i a n a . E quasi t u t t o v e n e z i a n o e r a il c o m m e r c i o c o n l ' O r i e n t e , di cui a n c h e la S p a g n a aveva b i s o g n o . Venezia i n s o m m a s a p e v a r e n d e r s i necessaria, e ne a p p r o f i t t ò p e r a c c e n t u a r e s e m p r e p i ù la p r o p r i a i n d i p e n d e n z a a n c h e nei confronti della Chiesa, cui la S p a g n a consentiva di s p a d r o n e g g i a r e su tutto il resto della penisola. All'altro polo dell'Italia settentrionale, il Piemonte cominciava a far parlare di sé. Esso era stato u n a delle g r a n d i poste nell'interminabile conflitto tra Francia e Spagna, i cui eserciti vi si e r a n o dati il c a m b i o m e t t e n d o l o a sacco. Q u a n d o il duca E m a n u e l e Filiberto di Savoia, che si era messo al servizio degli spagnoli e alla loro testa aveva sgominato i francesi a San Quintino, vi fece r i t o r n o d o p o la pace di Cateau-Cambrésis, trovò le città ridotte a macerie e le c a m p a g n e a b r u 10
ghiera. Fin allora la sua capitale era stata C h a m b é r y p e r c h é i suoi p o s s e d i m e n t i e r a n o p i ù di là dalle Alpi, in t e r r i t o r i o francese, che di qua, in territorio italiano. E m a n u e l e Filiberto la trasferì a Torino, e questo gesto implicava u n a scelta p o litica c h e n e l corso dei secoli si s a r e b b e rivelata di decisiva importanza. Grazie ad essa i Savoia, di origine b o r g o g n o n a e q u i n d i francese, d i v e n t a v a n o u n a dinastia italiana. Italiana fu la lingua che a d o t t a r o n o negli atti della loro amministrazione. E italiano diventò il loro c a m p o di azione politica. N o n e r a n o Re. Il loro titolo era ancora quello di Duca, e i loro p o s s e d i m e n t i n o n i n g l o b a v a n o c h e u n a piccola p a r t e del Piemonte, p e r c h é il resto e r a tuttora diviso fra altri d u e Principati: quello di Saluzzo e quello del Monferrato. Emanuele Filiberto provvide anzitutto a procurarsi u n o sbocco al m a r e , e ci riuscì annettendosi la Contea di T e n d a che gli dava accesso a Nizza e c o m p r a n d o dai genovesi il p o r t o di O n e glia. Q u a n d o m o r ì nel 1580, suo figlio Carlo E m a n u e l e I ne continuò la politica con molta energia, anzi forse con t r o p p a p e r c h é i suoi c i n q u a n t ' a n n i di governo furono t u t t ' u n susseguirsi d'iniziative d i p l o m a t i c h e e militari a u d a c i e spregiudicate, ma - come v e d r e m o - n o n s e m p r e fortunate. Più a sud, G e n o v a aveva conservato anch'essa u n a certa a u t o n o m i a , grazie agli e n o r m i servigi che il suo «protettore» A n d r e a Doria e la sua flotta a v e v a n o r e s o alla S p a g n a . Ma, p i ù c h e p e r fare politica, G e n o v a n e a p p r o f i t t a v a p e r fare affari. Il suo t e r r i t o r i o e r a limitato a u n a smilza fascia costiera c h e si s t e n d e v a fra Massa a s u d e M o n a c o a ovest. La città n o n si era mai c u r a t a di darsi solidi istituti cittadini. Il più p o t e n t e era u n a banca privata, quella di San Giorgio, in m a n o alle g l a n d i dinastie finanziarie dei Doria, Grimaldi, Spinola e C e n t u r i o n e , c h e c o n t a v a n o p i ù dello Stato. Tant'è vero che n o n e r a dallo Stato, ma dalla Banca, che dip e n d e v a il più i m p o r t a n t e p o s s e d i m e n t o genovese: la Corsica. Solo in seguito a u n a s a n g u i n o s a rivolta degl'isolani contro l'esoso sfruttamento dei banchieri, costoro preferirono disfarsene e affidarla allo Stato. 11
I migliori clienti della B a n c a e r a n o i Re spagnoli. Malg r a d o il fiume d ' o r o e d ' a r g e n t o che dalle colonie americane affluiva nelle sue casse, la S p a g n a e r a s e m p r e a corto di q u a t t r i n i : un p o ' p e r c h é le sue pazze g u e r r e glieli m a n g i a v a n o tutti, u n p o ' p e r c h é n o n p r o d u c e v a più nulla d a q u a n do si e r a messa a p e r s e g u i t a r e i moriscos, cioè i m u s s u l m a n i convertiti, gli unici che n o n tenessero a vile il lavoro. L'agric o l t u r a l a n g u i v a p e r c h é i c o n t a d i n i e r a n o rastrellati dalle coscrizioni militari, e industria n o n ce n'era. La S p a g n a d o veva i m p o r t a r e tutto. E a provvedervi e r a n o i genovesi con le loro navi e i loro capitali. I cantieri e la flotta mercantile spagnola e r a n o genovesi, e in m a n o genovese e r a n o tutti gli appalti di lavori pubblici, le m i n i e r e e le a z i e n d e c o m m e r ciali catalane. Di Milano abbiamo già detto. Ridimensionato nei suoi possedimenti, il vecchio Ducato dei Visconti e degli Sforza, che aveva aspirato a diventare la potenza e g e m o n e della penisola, n o n e r a p i ù che u n a colonia spagnola. Era a n c o r a u n a città ricca e culturalmente viva. Ma gli agenti del fisco madrileno e i tribunali dell'Inquisizione ne stavano già massicciamente d r e n a n d o le risorse economiche e l'energie intellettuali. Fra il Po e l ' A p p e n n i n o , vi sopravvivevano alcuni Principati t u t t o r a in m a n o alle vecchie dinastie rinascimentali. Al loro Ducato di Mantova, i Gonzaga avevano aggiunto quello del M o n f e r r a t o , p o m o di discordia coi Savoia. I Farnese e r a n o rimasti signori di P a r m a grazie ad Alessandro, c h ' e r a stato insieme a E m a n u e l e Filiberto u n o dei p i ù g r a n d i condottieri dell'esercito spagnolo. Gli Este e r a n o t u t t o r a signori d i F e r r a r a , R e g g i o e M o d e n a . Ma, a v e n d o s e m p r e p a r teggiato p e r la Francia, o r a che questa aveva p e r s o ogni influenza sulla penisola, e r a n o rimasti senza p r o t e t t o r e . Alla fine del C i n q u e c e n t o , q u a n d o la dinastia e n t r ò in crisi p e r m a n c a n z a d i successori diretti, p a p a C l e m e n t e V i l i n e a p profittò p e r a n n e t t e r e F e r r a r a agli Stati Pontifici, e la Spag n a lo lasciò fare. Gli Este del r a m o cadetto d o v e t t e r o contentarsi di Reggio e M o d e n a . 12
La Toscana aveva trovato in Cosimo d e ' Medici u n o statista d e g n o in tutto dei suo o m o n i m o del Q u a t t r o c e n t o , «pad r e della patria». Egli aveva t e n u t o il suo Ducato giudiziosam e n t e al r i p a r o dalle b e g h e franco-spagnole, b a d a n d o soltanto a dargli u n a b u o n a amministrazione. M e n o Lucca che riuscì a salvare la sua sovranità di repubblica i n d i p e n d e n t e , tutte le altre città toscane d o v e t t e r o sottomettersi al p o t e r e centrale di Firenze, che d ' a l t r o n d e ne fece b u o n uso. Fu allora che c o m i n c i a r o n o le bonifiche in M a r e m m a e si d e t t e avvìo al p o r t o di L i v o r n o in sostituzione di quello di Pisa, o r m a i tagliata dal m a r e dall'insabbiarsi del litorale. P r i m a di m o r i r e , C o s i m o riuscì a farsi p r o m u o v e r e dal Papa da Duca a G r a n d u c a . E fu questo il titolo che lasciò ai suoi eredi. Il p r i m o g e n i t o Francesco fece molto r i m p i a n g e re il p a d r e . Ma il fratello F e r d i n a n d o I che gli successe nel 1587 riprese la politica i n t e r n a di Cosimo, e in quella estera riuscì a sottrarsi alla soffocante influenza spagnola, s e m p r e più a p p o g g i a n d o s i a Enrico IV, il r e s t a u r a t o r e dell'unità nazionale francese, cui d e t t e in moglie la p r o p r i a n i p o t e Maria. Ma n e m m e n o l'accortezza di questi suoi governanti p o t è restituire a Firenze il lustro e lo s p l e n d o r e dei t e m p i di Lorenzo il Magnifico. L'Italia n o n e r a più, c o m e allora, il centro del m o n d o ; e il capitalismo fiorentino, c h e p e r un paio di secoli aveva d o m i n a t o l ' E u r o p a con le sue i n d u s t r i e e le sue b a n c h e , e r a stato scavalcato da quello dei ceti i m p r e n d i toriali calvinisti di F i a n d r a , di Francia, di G e r m a n i a e d'Inghilterra. A sud e ad est del G r a n d u c a t o si stendeva lo Stato Pontificio, che o r a aveva assunto u n a fisionomia diversa da quella che lo aveva caratterizzato nel Rinascimento. L'appoggio quasi incondizionato del cattolicissimo Filippo II aveva consentito ai Papi n o n solo di e s t e n d e r e i loro d o m i n i , che o r a i n g l o b a v a n o , da F e r r a r a a T e r r a c i n a , t u t t o il Lazio, t u t t a l'Umbria, tutte le M a r c h e , tutta la R o m a g n a e p a r t e dell'Emilia c o m p r e s a Bologna; ma a n c h e di smantellarvi le picco13
le t u r b o l e n t e S i g n o r i e c h e vi si e r a n o installate. Resisteva a n c o r a quella dei Della R o v e r e a U r b i n o . Ma t u t t o il resto era stato richiamato sotto il p o t e r e centrale di R o m a . Q u e s t o era d o v u t o al fatto che i Papi, liquidate col Concilio di T r e n t o le p e n d e n z e con la Riforma protestante, potevano o r a t o r n a r e a dedicarsi allo Stato e ai suoi p r o b l e m i . A d a r e avvìo a questo n u o v o corso e r a stato il Ghislieri, salito al Soglio c o m e Pio V nel 1566. A p p a r t e n e v a a quella corr e n t e rigorista che credeva di salvare le a n i m e dal braciere dell'inferno m a n d a n d o i corpi ad arrostire sui roghi dell'Inquisizione. Ma, a p a r t e questa discutibile teoria, era un u o mo e n e r g i c o e volitivo, severo c o n se stesso p r i m a a n c o r a che con gli altri, scrupoloso ed efficiente. N o n volle p a r e n t i i n t o r n o a sé e combatté senza q u a r t i e r e il riottoso clientelismo delle vecchie dinastie r o m a n e che seguitavano a consid e r a r e la Chiesa e i suoi Stati c o m e un loro a p p a n n a g g i o . A lui era succeduto G r e g o r i o X I I I , passato alla storia sop r a t t u t t o p e r la riforma del calendario. Su di essa r i t e n i a m o o p p o r t u n o s p e n d e r e qualche parola, visto che ne Eltalia, della Controriforma n o n abbiamo avuto il destro di farlo. Fin allora si e r a seguito il c a l e n d a r i o di Giulio C e s a r e c h e aveva diviso i q u a d r i e n n i in tre a n n i di 365 giorni e u n o di 366: il che, p e r quei tempi, r a p p r e s e n t a v a un miracolo di precision e . Ma gli a s t r o n o m i e i m a t e m a t i c i d e l C i n q u e c e n t o avev a n o a p p u r a t o c h e , s e c o n d o q u e l calcolo, o g n i 4 0 0 a n n i il cosiddetto a n n o «tropico», cioè l ' a n n o n a t u r a l e , anticipava di tre giorni l'anno giuliano: p e r cui, p e r esempio, nel Cinq u e c e n t o l'equinozio di p r i m a v e r a veniva a c a d e r e in realtà, l'I 1 m a r z o , m e n t r e il c a l e n d a r i o lo fissava al 2 1 . G r e g o r i o , p e r r i m e t t e r e o r d i n e in quella dissestata contabilità, o r d i n ò nel 1582 che undici giorni fossero saltati in o t t o b r e - dal 4 al 15 -, e c h e d ' a l l o r a in p o i gli a n n i c e n t e n a r i , cioè di c h i u s u r a di un secolo, n o n fossero più bisestili, c o m e fin allora e r a n o stati considerati, ma o r d i n a r i , m e n o quelli le cui d u e p r i m e cifre fossero divisibili p e r q u a t t r o (ad esempio, il 1600). Successivi studi stabilirono c h e n e m m e n o q u e s t o 14
c o m p u t o e r a a s s o l u t a m e n t e esatto, p o i c h é esso c o n d u c e a un r i t a r d o di 61 diecimilionesimi di g i o r n o o g n i 100 a n n i . Ma lo scarto è tale che solo tra 4 0 0 0 a n n i occorrerà sopprim e r e un altro bisestile p e r r i p o r t a r e il c o n t o in p a r i t à . (Ci a u g u r i a m o di aver reso intelligibili e riportato con esattezza questi complicati calcoli. Se n o n ci siamo riusciti o siamo cad u t i in q u a l c h e e r r o r e di diecimilionesimo, il l e t t o r e ce lo perdoni.) La riforma gregoriana, i m m e d i a t a m e n t e adottata da tutti i Paesi cattolici, fu d a p p r i m a osteggiata da quelli p r o t e stanti. Ma alla fine a n c h e questi d o v e t t e r o a r r e n d e r s i e accettare il n u o v o m e t r o di misura. I Paesi greco-ortodossi invece r i m a s e r o o s t i n a t a m e n t e fedeli al c a l e n d a r i o g i u l i a n o n o n o s t a n t e la sua riconosciuta i m p r e c i s i o n e , solo p e r c h é a riformarlo era stato il capo dell'odiata Chiesa cattolica: e ciò d i m o s t r a a quali e s t r e m i di faziosità c o n d u c a il litigio religioso. G r e g o r i o fu un g r a n Papa, a n c h e a p r e s c i n d e r e d a l cal e n d a r i o . C o m e il s u o p r e d e c e s s o r e , fu un m o d e l l o di sobrietà e di zelo e n o n e b b e debolezze p e r i p r o p r i p a r e n t i . Rimise o r d i n e nell'amministrazione dello Stato. E il suo fisco, se fu r a p a c e e s p i e t a t o , lo fu i m p a r z i a l m e n t e con gli umili e coi p o t e n t i . Per sfuggire alle s u e esazioni, r a m p o l l i di nobili famiglie come il Piccolomini e il Malatesta si dettero alla macchia e diventati capi di b a n d e brigantesche p r o v o c a r o n o u n a tale a n a r c h i a che G r e g o r i o dovette s c e n d e r e con loro a un c o m p r o m e s s o umiliante. Ma il s u o successore, Sisto V, r i p r e s e la lotta c o n piglio a n c o r p i ù risoluto. Veniva d a u n a p o v e r a famiglia m a r c h i giana, e oltre che nel fisico tracagnotto e atticciato, p o r t a v a le stigmate della sua origine c o n t a d i n a a n c h e nel c a r a t t e r e inflessibile e paziente. Il giorno in cui ascese al Soglio, il suo discorso i n a u g u r a l e fu la l e t t u r a della c o n d a n n a a m o r t e contro q u a t t r o banditi, che v e n n e r o impiccati seduta stante. Per liquidare quelli alla macchia, si rivalse sulle famiglie imprigionandole c o m e ostaggi. Il Duca d ' U r b i n o , in o t t e m p e 15
ranza ai suoi ordini, caricò alcuni muli con cibi avvelenati e li avviò verso le zone infestate dai briganti. Costoro ne fecero m a n bassa, e in capo a p o c h e o r e rimasero stecchiti. I r o m a n i dicevano - ma più con rispetto che con dispetto - che San Pietro t r e m a v a all'idea d i d o v e r u n g i o r n o o s p i t a r e i n Paradiso quel tipo che avrebbe messo sotto processo a n c h e lui p e r aver r i n n e g a t o Gesù il giorno della tortura. E p p u r e ci fu q u a l c u n o c h ' e b b e r a g i o n e di q u e s t ' u o m o che aveva r a g i o n e di tutti: i p a r e n t i . Sisto li ebbe subito datt o r n o e n o n s e p p e r e s i s t e r e alla loro miseria forse p e r c h é egli stesso l'aveva così a l u n g o sofferta. C o n lui rifece capolino la piaga del n e p o t i s m o , che i Papi della C o n t r o r i f o r m a avevano eliminato; ma n o n sulla scala e nelle forme sfacciate che aveva assunto nella Rinascenza. Quello che ricomincia con Sisto e che doveva caratterizzare quasi tutti i Pontificati successivi si chiama infatti «piccolo nepotismo», che tuttavia p e r certi aspetti doveva rivelarsi a n c h e p e g g i o r e , p i ù i p o c r i t a e insidioso di quello g r a n d e . I familiari d e l P a p a n o n d i v e n t a n o p i ù Principi o D u c h i p r e p o s t i al g o v e r n o di q u a l c h e Stato. S i c o n t e n t a n o d e l s o t t o g o v e r n o , m o n o p o lizzandone i posti p i ù lucrosi, grazie alla protezione del Cardinale-nipote, cioè del n i p o t e p r e f e r i t o , che viene n o m i n a t o cardinale a p p u n t o p e r c h é p r o v v e d a alla parentela. E così fu rjroprio quel Sisto che aveva perseguito con tanta energia la bonifica dello Stato a riportarvi quei veleni della c o r r u z i o n e che nei tre secoli successivi dovevano fare di quello pontificio il p e g g i o r e g o v e r n o italiano, i n e t t o e sopraffattore allo stesso t e m p o , inteso soltanto alla difesa dell'analfabetismo e dei privilegi. Alla c h i u s u r a del secolo, sul Soglio sedeva C l e m e n t e V i l i della principesca famiglia toscana A l d o b r a n d i n o L'ugonotto Sully, p r i m o ministro di Enrico IV, lo descrive c o m e «il più libero, fra gli ultimi Pontefici, da pregiudizi di p a r t e e il più rispettoso della carità e della c o m p r e n s i o n e c h e il Vangelo prescrive». Q u a n d o si p e n s a che fu lui a m a n d a r e sul r o g o G i o r d a n o B r u n o , si capirà facilmente che cosa avevano d o 16
v u t o essere, q u a n t o a c o m p r e n s i o n e e carità, i Papi della Controriforma. Da Terracina in giù si stendevano i d u e vicereami di Napoli e di Sicilia, n o n a n c o r a unificati sebbene e n t r a m b i sotto il d i r e t t o g o v e r n o della S p a g n a . C o m e M i l a n o , a n c h ' e s s i n o n avevano p i ù storia e si stavano avviando a u n a r a p i d a d e c a d e n z a grazie all'assetto feudale che Filippo vi aveva ripristinato. Nel N a p o l e t a n o un q u a r t o delle t e r r e era diventato p r o p r i e t à di enti ecclesiastici, che n o n a caso si c h i a m a « m a n o m o r t a » . E m o r t a infatti è s e m p r e stata sul p i a n o produttivo. Il resto era al novanta p e r cento latifondo in m a n o a p r o p r i e t a r i assenteisti e rapaci, che da q u a n d o avevano smesso di fare i «baroni-ladri» p e r trasferirsi in città, e r a n o diventati soltanto dei parassiti. D a q u e s t o m o m e n t o le popolazioni meridionali n o n conoscono più che d u e classi sociali: quella del privilegio e quella della fame. Tutta la loro storia nei secoli successivi sarà u n a protesta c o n t r o q u e sta pietrificazione della società, che si manifesta con sanguinose rivolte p l e b e e s e g u i t e da feroci r e p r e s s i o n i , e c h e in Sicilia trova il suo s t r u m e n t o nella «mafia». Ecco, m o l t o g r o s s o l a n a m e n t e a b b o z z a t o , il p a n o r a m a geo-politico che l'Italia p r e s e n t a allo schiudersi del Seicento. E o r a vediamo in quale cornice e u r o p e a era i n q u a d r a t o .
CAPITOLO SECONDO
L'EUROPA DELLE PATRIE
Filippo II - el Rey prudente, c o m e lo c h i a m a v a n o - m o r ì nel 1598, q u a n d o già la S p a g n a aveva p e r s o il suo slancio di conquista p e r ripiegare su u n a posizione difensiva. S e b b e n e t u t t o r a i m b a t t u t i , i suoi eserciti n o n e r a n o riusciti ad aver ragione né di quelli francesi né della rivolta olandese, m e n t r e la sua flotta aveva p e r s o il d o m i n i o dei m a r i d o p o la disfatta della «invincibile a r m a t a » ad o p e r a d e l l ' I n g h i l t e r r a . Filippo si e r a p r e s o u n a rivalsa fagocitando il Portogallo, e il suo i m p e r o restava t e r r i t o r i a l m e n t e il più vasto del m o n d o grazie alla conquista del c o n t i n e n t e s u d - a m e r i c a n o . E p p u r e , già manifestava segni d'involuzione. I motivi della crisi n o n si p r e s t a n o a essere fraintesi. Spos a n d o l a C h i e s a della C o n t r o r i f o r m a , l a S p a g n a sposa u n c e r t o tipo d i società c h e i l m o n d o m o d e r n o h a o r m a i sorpassato e c o n d a n n a t o . È u n a società pietrificata in rigide gerarchie, che soffoca ogni anelito di libertà, e q u i n d i i m p e d i sce qualsiasi evoluzione e ricambio. Il nobile e il p r e t e , che svettano in cima alla p i r a m i d e , sono a loro m o d o a m m i r e voli a r c h e t i p i u m a n i : l ' u n o p e r il Re, l'altro p e r la Chiesa, s o n o capaci di e r o i s m i i n a u d i t i . Fra l o r o i d u b b i , le a m b i g u i t à e i t r a d i m e n t i n o n a l l i g n a n o . Si p u ò n o n a m a r e , ma bisogna a m m i r a r e questi u o m i n i di ferro disposti a tutto, a uccidere c o m e a m o r i r e , p e r assolvere la loro missione. L'unica cosa a cui n o n sono disposti è a intaccare il p r i n cipio d'autorità su cui tutta la loro i m p a l c a t u r a si regge. E il p r i n c i p i o d ' a u t o r i t à implica la r i d u z i o n e del p o p o l o a u n a massa acéfala t e n u t a solo all'obbedienza e svogliata da qualsiasi iniziativa. «Faltan cabezas», m a n c a n o gli u o m i n i , si la18
meritava Olivares, il g r a n d e ministro di Filippo IV. Egli n o n alludeva tanto agli spaventosi vuoti c h e le c o n t i n u e g u e r r e a v e v a n o scavato nella p o p o l a z i o n e s p a g n o l a , q u a n t o alla scarsezza di ricambi p e r la classe dirigente. N o n ce ne potevano essere p e r c h é il Paese p i ù ricco e p o t e n t e del m o n d o n o n aveva sentito il bisogno di m a n d a r e a scuola i suoi sudditi; anzi, aveva sentito quello d i n o n m a n d a r c e l i . T e n u t i soltanto a c r e d e r e , o b b e d i r e e c o m b a t t e r e , c h e se ne facevano dell'istruzione? La g u e r r a - la g u e r r a del C i n q u e c e n to, fatta solo coi cavalli e con gli archibugi - n o n la esige: le b a s t a n o il c o r a g g i o e la disciplina. Q u a n t o al Vangelo, la Chiesa della Controriforma n o n vuole che il fedele lo legga da sé: questo è un compito che spetta in esclusiva al p r e t e . Di questa m a n c a n z a d ' u o m i n i e d'iniziative, e r a fatale che anche l'economia risentisse. La S p a g n a avrebbe avuto tutto p e r diventare u n a g r a n d e p o t e n z a industriale: u n i m m e n s o m e r c a t o e u r o p e o e a m e r i c a n o p e r l ' a s s o r b i m e n t o d e i suoi p r o d o t t i , sbocchi privilegiati sui d u e g r a n d i m a r i , il M e d i t e r r a n e o e l'Atlantico, le flotte mercantili catalane e genovesi, le collaudate m a e s t r a n z e italiane e fiamminghe, e infine il g r a n d e p r o p e l l e n t e di o g n i s v i l u p p o capitalistico: l'oro messicano e p e r u v i a n o . Ma quest'oro n o n trovava né cervelli né braccia capaci d'impiegarlo a scopi produttivi. Esso serviva soltanto a m a n t e n e r e esercito e burocrazia, e q u a n t o ne avanzava si f e r m a v a nelle c h i u s e caste d e l privilegio, c h e n o n conoscevano altro investimento che la t e r r a . Così, m e n tre l ' E u r o p a del N o r d compiva, sotto la spinta della Riform a , la sua g r a n d e rivoluzione industriale, la S p a g n a restava inchiodata a u n a economia agraria, n a t u r a l e pascolo di u n a società f e u d a l e , immobilistica, r e d d i t i e r a , p a r a s s i t a r i a , e chiusa a ogni esigenza di progresso. M a l g r a d o le m o n t a g n e di lingotti che i suoi conquistadores gli avevano m a n d a t o dall'America, Filippo e r a s e m p r e vissuto in m e z z o ai debiti, e p e r sottrarsi ai c r e d i t o r i aveva dichiarato fallimento, c o m e u n p r i v a t o qualsiasi, b e n t r e volte. L'ultima e r a stata nel 1596, d u e a n n i p r i m a della m o r t e . Q u e l l o ch'egli lasciava 19
all'erede e r a s e m p r e un vasto e p o t e n t e i m p e r o - S p a g n a , Portogallo, Belgio, Italia, America latina -, ma senza dote. L'erede si chiamava a n c h e lui Filippo, ma col p a d r e n o n aveva in c o m u n e che il n o m e e la bigotteria. «Dio, che mi ha dato tanti reami, mi ha n e g a t o un figlio capace di g o v e r n a r li» aveva detto di lui el Rey prudente. N o n si sbagliava. Casto p e r timidezza e bacchettonerìa, m a n s u e t o e svogliato, Filippo I I I a g o v e r n a r e n o n si p r o v ò n e m m e n o . Ne affidò il c o m p i t o al Duca di L e r m a , del tutto d i m e n t i c o del m ò n i t o che suo n o n n o Carlo V aveva rivolto a suo p a d r e e suo pad r e a lui: «Scegli b e n e i t u o i consiglieri, e n o n f i d a r t e n e mai». Filippo fece il contrario: scelse male, e si fidò. Il Duca volle u n a rivincita alla batosta navale che l'Inghilterra aveva inflitto alla S p a g n a , e ci rimise altre d u e flotte. Fu la solita m a n c a n z a di d e n a r o che gl'impedì di fare altri malestri. Fece pace con L o n d r a e accettò u n a t r e g u a di dodici a n n i con l ' O l a n d a p i ù c h e m a i risoluta a d i f e n d e r e la p r o p r i a indip e n d e n z a dai tentativi d i r e s t a u r a z i o n e asburgica. I n c o m p e n s o , d i e d e avvìo a un altro disastro scacciando dalla S p a g n a i moriscos, cioè gli a r a b i convertiti al cristianesimo, solo p e r c h é l'Arcivescovo di Valenza, sua città natale, a n d a va d i c e n d o che Dio aveva inflitto tante disgrazie alla S p a g n a p e r castigarla dell'ospitalità che a c c o r d a v a a quella g e n t e . Ma quella g e n t e e r a l'unica m i n o r a n z a , assieme a quella ebraica, che, esclusa dal servizio militare p e r le origini razziali e religiose, aveva conservato la b u o n a a b i t u d i n e di lav o r a r e . Gli e b r e i e r a n o già stati scacciati. Col b a n d o ai moriscos, che a s s o m m a v a n o a un mezzo milione, il Paese p e r s e gli ultimi suoi artigiani e mercanti. C r e d e t t e di essersi p u r i ficato il s a n g u e e di aver fatto un b u o n affare con l'incamer a m e n t o dei loro beni. Invece, un b u o n affare l'aveva fatto soltanto L e r m a c h e della cospicua refurtiva t r a t t e n n e 250.000 ducati p e r sé, 100.000 p e r la figlia, e 150.000 p e r il genero. Filippo I I I m o r ì p r o p r i o all'indomani di questa rovinosa operazione, lasciando il t r o n o a un altro Filippo, il IV, che al 20
p a d r e somigliava solo nella prodigalità e nell'allergia al lavoro. Era bello, b i o n d o , appassionato di arte, a m a v a la vita e le d o n n e , tanto che ebbe t r e n t a d u e figli, di cui ventiquatt r o illegittimi. T u t t o p r e s o d a q u e s t a attività d e m o g r a f i c a , a n c h e lui p r e f e r ì d e l e g a r e il p o t e r e a un Valido, cioè a un P r i m o Ministro, ma nello sceglierlo ebbe la m a n o più felice del suo p r e d e c e s s o r e . I l conte Olivares e r a u n u o m o o r g o glioso e i m p e r i o s o , ma i n t e g r o , e s o p r a t t u t t o a n i m a t o da u n a p r o f o n d a dedizione allo Stato. Lavorava dall'alba a notte i n o l t r a t a , la sua d i e t a e r a s p a r t a n a , la sua e n e r g i a indomabile. Rimise o r d i n e nella dissestata amministrazione, eliminò molti abusi, costrinse a n c h e il Re a qualche economia. Ma nella sua azione diplomatica, ebbe la sfortuna d'inc a p p a r e in un avversario che aveva t u t t e le sue qualità p i ù qualche altra: il Richelieu. Il g r a n d e C a r d i n a l e stava r i c o s t r u e n d o , c o m e v e d r e m o , la Francia, e p e r restituirle il suo r a n g o in E u r o p a vi m i n a v a la supremazia spagnola. Era un giuoco coperto, ma senza esclusione di colpi. Olivares doveva t e n e r e eserciti con le armi al p i e d e n o n solo sui Pirenei, ma a n c h e in Portogallo, in Belgio, a Milano, in Valtellina, a Napoli, d o v e agenti e d e n a r o francesi e r a n o c o n t i n u a m e n t e al lavoro p e r c r e a r e impacci e t e n d e r e insidie. Richelieu, n o n o s t a n t e la sua p o r p o ra, finanziava i p r o t e s t a n t i di G e r m a n i a p e r i m p e g n a r e le forze degli Asburgo tedeschi, e Olivares passava un lauto stip è n d i o al Duca di R o h a n , capo degli ugonotti francesi in rivolta c o n t r o il C a r d i n a l e . E r a il p r o l o g o della G u e r r a d e i Trent'anni. La Francia era d u n q u e in fase di riscossa, e tornava a far sentire l a sua p r e s e n z a sulla scena e u r o p e a . N e e r a quasi scomparsa con la m o r t e di Francesco I, il g r a n d e e sfortunato rivale di C a r l o V. Suo figlio E n r i c o II aveva c e r c a t o di vendicarlo, aveva subito un'altra disfatta, ed e r a m o r t o (nel 1559) p e r un colpo di lancia ricevuto nell'occhio in un torn e o . Lasciava u n a situazione precaria, u n e r e d e m i n o r e n n e 21
- Francesco II -, e u n a vedova energica e intrigante: Caterina d e ' Medici. Il Paese era mal ridotto dalle interminabili g u e r r e con la S p a g n a che lo avevano dissanguato e impoverito. Il suo r e d dito l o r d o e r a di 12 milioni di lire, il suo debito pubblico di 43 milioni. E secondo certi calcoli i d u e terzi della ricchezza immobiliare francese a p p a r t e n e v a n o alla Chiesa. Forse e r a a n c h e questo, ma n o n soltanto questo, che aveva favorito il moltiplicarsi degli ugonotti, c o m e in Francia si c h i a m a v a n o i calvinisti. M a l g r a d o le severe persecuzioni di Francesco e di Enrico, essi a s s o m m a v a n o o r a dal dieci al venti p e r cento della p o p o l a z i o n e ; m a n o n c o n t a v a n o t a n t o p e r i l n u m e r o q u a n t o p e r la qualità. C ' e r a fra l o r o il m e g l i o della n u o v a borghesia i m p r e n d i t o r i a l e , g r a n p a r t e della cultura, e a n c h e parecchi aristocratici, c o m e i B o r b o n e , r a m o della famiglia reale. Si arrivò ai ferri corti p r o p r i o nel m o m e n t o in cui Francesco II moriva di a p p e n a sedici a n n i lasciando la c o r o n a al fratello (Carlo IX), che ne aveva dieci. Il p o t e r e e r a q u i n d i più che mai nelle m a n i di Caterina. I giudizi su questa d o n n a n o n c o n c o r d a n o n e a n c h e nei connotati f i s i c i . B r a n t ó m e la descrive di «petto bianco e sodo» e di «coscia bellissima», m a d i l i n e a m e n t i i r r e g o l a r i . Dagli a n t e n a t i Medici aveva e r e d i t a t o l'ambizione, la d o p p i e z z a e la sifilide. L'accusavano di ogni specie di malizia. Ma forse il giudizio p i ù e q u o lo dette a posteriori Enrico IV: «Cosa poteva fare u n a stranier a lasciata sul t r o n o d a l m a r i t o c o n c i n q u e b a m b i n i sulle braccia e d u e dinastie di s a n g u e reale - la nostra dei Borbone e quella di Guisa -, decise a strapparle la corona?». La situazione infatti e r a p r o p r i o questa. Sia i Guisa cattolici che la servivano, sia i B o r b o n e u g o n o t t i che la osteggiavano, cercavano in realtà di arraffarle p o t e r e e titolo. Ma essa lo sapeva. «Dio volendo», scriveva «non mi lascerò govern a r e n é d a l l ' u n a n é dall'altra p a r t e , a v e n d o i m p a r a t o fin t r o p p o b e n e che tutti a m a n o Dio, il re e me stessa m e n o del loro vantaggio»: u n a frase in cui c'era tutta l'italiana sfiducia 22
negli uomini, e che c e r t a m e n t e sarebbe piaciuta al b i s n o n n o Cosimo. C a t e r i n a n o n poteva p e r m e t t e r s i il lusso di aggrav a r e le divisioni in un Paese m i l i t a r m e n t e ed e c o n o m i c a m e n t e p r o s t r a t o , e s t r e t t o nella t e n a g l i a degli A s b u r g o di S p a g n a e degli A s b u r g o di Austria e G e r m a n i a ; d o v e v a giuocare fra le d u e forze t e n e n d o l e in bilico. Ma l'impresa era a r d u a . O g n i poco cattolici e u g o n o t t i venivano alle mani, ci f u r o n o v e r e e p r o p r i e battaglie in c a m p o a p e r t o c o n migliaia di morti, e a Caterina n o n restava che un lavoro di rammendo. È impossibile seguire tutti gli episodi di questa spaventosa g u e r r a di religione che in cadaveri e distruzioni costò alla Francia p i ù di q u a n t o le fossero costate le g u e r r e con la Spagna. A un certo p u n t o essa spezzò il Paese in d u e : quello a s u d della Loira fu c o m p l e t a m e n t e in m a n o agli u g o n o t ti c o n un loro esercito, u n a loro capitale a La Rochelle, e un loro Re, il B o r b o n e E n r i c o di N a v a r r a . C a t e r i n a ricorse a u n a m a n o v r a tipicamente femminile e medicea: offrì sua figlia Margherita in sposa a Enrico. Enrico accettò, ma si p r e sentò alle nozze con un seguito di quattromila a r m a t i e n o n volle m e t t e r e p i e d e in chiesa. Dai pulpiti, i predicatori cattolici t u o n a v a n o c o n t r o il «tradimento» della M o n a r c h i a . E la tensione sboccò in un attentato c o n t r o il Coligny, il grand e Ammiraglio u g o n o t t o , tuttavia legato d a p r o f o n d a amicizia p e r s o n a l e col giovane Carlo. Si scatenò la rappresaglia p r o t e s t a n t e , e le s t r a d e t o r n a r o n o a lastricarsi di m o r t i . I Guisa che p r o b a b i l m e n t e avevano a r m a t o la m a n o del sicafio è t e m e v a n o il castigo, ne a p p r o f i t t a r o n o p e r i n d u r r e Caterina allo sterminio dei ribelli. C a t e r i n a cercò di convincere Carlo a d a r n e l'ordine, e siccome il giovane resisteva, minacciò di t o r n a r s e n e in Italia lasciandolo solo. In un accesso di d i s p e r a z i o n e , il g i o v a n e g r i d ò : «Per la m o r t e di Dio, se avete scelto di a m m a z z a r e l'Ammiraglio, fatelo. Ma allora sterminateli tutti, gli ugonotti... Tutti, in m o d o che n o n ne r i m a n g a n e s s u n o a rinfacciarmi l'assassinio!» E r a n o le parole d i u n u o m o d e b o l e , sconvolto dall'idea del m a s s a c r o . 23
Ma C a t e r i n a e i Guisa le p r e s e r o alla lettera, e fu la famosa «notte di San B a r t o l o m e o » (24 agosto 1572). B a n d e di arm i g e r i si s g u i n z a g l i a r o n o p e r le s t r a d e al g r i d o di «Ammazza, a m m a z z a , o r d i n e del Re», e t r o v a r o n o la p i ù e n t u siastica collaborazione nel p o p o l i n o , eccitato dalla p r o s p e t tiva d e l s a c c h e g g i o . Il Coligny fu r a g g i u n t o d a i p u g n a l i m e n t r e pregava inginocchiato. Il Duca La Rochefoucauld fu s c a n n a t o d o p o u n a p a r t i t a a t e n n i s col Re. Costui convocò il cognato Enrico e il Principe Enrico di C o n d é e li mise alla scelta: o u n a messa, o la m o r t e . Il C o n d é scelse la m o r t e , Enrico accettò la messa. Il «sacro macello» si estese a t u t t e le p r o v i n c e e si saldò con c i n q u e o diecimila cadaveri (c'è chi dice trentamila). Sembrava la fine del calvinismo francese, e tale la consid e r a r o n o c o n t r i p u d i o Filippo I I e p a p a G r e g o r i o X I I I (quello del calendario). Ma i fatti d i m o s t r a r o n o che l'eresie n o n si e s t i r p a n o col s a n g u e . Alimentata dalle flotte dell'Ing h i l t e r r a p r o t e s t a n t e , La Rochelle si rivelò i m p r e n d i b i l e , m o l t e città c h i u s e r o le p o r t e alle t r u p p e del Re m a n d a t e a e s p u g n a r l e , e alla fine Caterina dovette scendere a un n u o vo c o m p r o m e s s o con gli u g o n o t t i riconoscendo loro libertà di culto. A p a g a r e il conto fu il giovane Carlo. Macerato dai rimorsi, c a d d e in u n a crisi di p r o s t r a z i o n e da cui n o n ci fu verso di risollevarlo. Accusava la m a d r e di t u t t o q u e l sang u e , nel s o n n o urlava: «Assassini!... Assassini!...» E q u a n d o sentì p r o s s i m a la fine, c h i a m ò il c o g n a t o Enrico, gli chiese p e r d o n o e gli affidò la moglie e la figlia. E n r i c o r i m a s e a c o r t e , m e n t r e sul t r o n o saliva u n altro E n r i c o , il I I I , fratello del d e f u n t o e p i ù di costui sotto la pantofola d i sua m a d r e . I l n u o v o s o v r a n o e r a l'ultimo d e i Valois, e d i e d e subito a d i v e d e r e c h e da lui n o n c ' e r a da a s p e t t a r s e n e altri, p r e s e n t a n d o s i alla festa i n a u g u r a t i v a del suo r e g n o con un cerchio di p e r l e al collo, orecchini, braccialetti, e un seguito di guaglioni il cui aspetto n o n e r a n e a n che equivoco. Le male lingue dicevano c h ' e r a stata sua mad r e a s p i n g e r l o su quella s t r a d a p e r p o t e r c o n t i n u a r e a 24
g o v e r n a r e . A n c h e q u e s t a p r o b a b i l m e n t e e r a u n a calunnia, ma è certo che il vero Re seguitò ad essere lei. E fu lei che a un certo p u n t o , vista l'impossibilità di u n a successione diretta, consentì che e r e d e al t r o n o venisse designato il g e n e ro Enrico di B o r b o n e . Costui aveva da un pezzo a b b a n d o n a t o Parigi p e r tornare nelle s u e t e r r e e r i a b b r a c c i a r e la fede p r o t e s t a n t e . Sua moglie lo aveva r a g g i u n t o . Q u e s t a d o n n a bellissima, spiritosa, volubile e p i e n a di sex-appeal, r i e m p i v a il m a r i t o di corna, o p e r meglio dire gli ricambiava quelle che lui le faceva. Ma nelle e m e r g e n z e e r a s e m p r e p r e s e n t e . Tuttavia tante ne fece che alla fine i d u e Enrichi - il marito e il fratello - decisero di c o m u n e accordo di confinarla in un castello. Essa lo ridusse mezzo a salotto, m e z z o ad alcova, fu in c o r r i s p o n denza con M o n t a i g n e , scrisse un libro di pettegolezzi a u t o biografici d e g n o di un rotocalco m o d e r n o , ingrassò nel peccato, d o p o la m e n o p a u s a se ne pentì, si p r e s e c o m e cappell a n o V i n c e n z o d a Paola, f o n d ò u n c o n v e n t o , e m o r ì r i m pianta da tutti. Il B o r b o n e f r a t t a n t o v e d e v a in p e r i c o l o la p r o p r i a successione p e r l'ascendente che i Guisa avevano n u o v a m e n t e preso sul Re. Ma essi sfruttarono male il successo a s s u m e n do atteggiamenti autoritari che ferirono il debole e suscettibile s o v r a n o . Questi convocò il loro capostipite, lo fece assassinare in a n t i c a m e r a , e o r d i n ò l'arresto di tutti i p i ù influenti capi cattolici. Q u a n d o a n d ò a vantarsi di quell'energiche misure con sua m a d r e , questa gridò disperata: «Avete rovinato tutto!», e ne m o r ì di collera e di s g o m e n t o . Abband o n a t o a se stesso e braccato dai cattolici levatisi in a r m i , a Enrico n o n restò che rifugiarsi tra le braccia del suo o m o n i mo e cognato, che gli mise a disposizione l'esercito u g o n o t to e riebbe la designazione al t r o n o . Un m o n a c o fanatizzato raggiunse il Re fedifrago col suo p u g n a l e , lo uccise, rimase ucciso, e il suo ritratto fu posto sull'altare delle chiese e venerato c o m e quello di un santo. Così E n r i c o B o r b o n e di N a v a r r a salì sul t r o n o (era il 25
1589), o meglio si dispose a conquistarlo p e r c h é i d u e terzi del Paese glielo contestavano. Fu u n a «lunga marcia» comb a t t u t a dal p r i m o all'ultimo miglio c o n t r o l'esercito della L e g a Cattolica c o m a n d a t o dal M a y e n n e . Enrico aveva m e no uomini, ma e r a aiutato da I n g h i l t e r r a e Venezia, che pav e n t a v a n o u n a Francia asservita alla Chiesa che a sua volta e r a asservita agli Asburgo. Vinse tutte le battaglie, e mise assedio a Parigi. La città si ridusse allo s t r e m o , e p e r salvarla Filippo II inviò dalle F i a n d r e u n ' a r m a t a di veterani s p a g n o li al c o m a n d o di Alessandro Farnese, u n o dei più g r a n d i c o n d o t t i e r i del t e m p o . Enrico evitò lo scontro con un'abile ritirata; e q u a n d o il F a r n e s e fu m e s s o fuori causa da u n a malattia, t o r n ò su Parigi. Ma capiva che, a n c h e se fosse riuscito a e s p u g n a r l a , n o n a v r e b b e p o t u t o t e n e r l a c o n t r o u n a m a g g i o r a n z a cattolica. Convocò i suoi l u o g o t e n e n t i , l'informò che aveva deciso di convertirsi («Parigi vale u n a messa», disse), e li lasciò liberi di confermargli o ritirargli la loro lealtà. Alcuni lo a b b a n d o n a r o n o i n d i g n a t i , ma i più gli r i m a s e r o fedeli, e fra di essi l'avveduto e a u t o r e v o l e Sully. I capi della Chiesa francese n o n c r e d e t t e r o i n quella c o n v e r s i o n e , m a l ' a c c e t t a r o n o . E n r i c o a sua volta accettò di essere istruito da un teologo, ma rifiutò l ' i m p e g n o di p e r s e g u i t a r e l'eresia, e q u a n d o si trattò di digerire la d o t t r i n a del Purgatorio, che i protestanti r e s p i n g e v a n o con o r r o r e , l'ammise con queste parole: «E va b e n e , visto ch'è la migliore fonte dei vostri redditi», allud e n d o alle «indulgenze» di cui la Chiesa seguitava a fare mercato. P r i m a di a n d a r e , tutto vestito di bianco, a ricevere la c o m u n i o n e nella chiesa di Saint Denis, scrisse alla sua a m a n t e Gabrielle d'Estrées: «Sto p e r fare il salto mortale». Enrico p r o m u l g ò il famoso «editto di Nantes» che g a r a n tiva agli u g o n o t t i p i e n a libertà di culto, e c o n d u s s e la sua azione pacificatrice con un sapiente dosaggio di severità e di clemenza. Istigati dai gesuiti, i cattolici intransigenti n o n si stancavano di a r m a r e sicari c o n t r o di lui. Egli ne graziò alcuni, ne decapitò altri, e p r o c e d e t t e alla ricostruzione di un 26
Paese che ne aveva u r g e n t e bisogno. Sully gli p r e s t ò i suoi talenti, c h ' e r a n o g r a n d i , e le sue energie, c h ' e r a n o i m m e n se. N o n e r a u n u o m o facile, n e a n c h e col suo Re. Q u a n d o Enrico gli m o s t r ò la lettera che si p r o p o n e v a di m a n d a r e a H e n r i e t t e d ' E n t r a g u e s p r o m e t t e n d o l e di sposarla a condizióne che gli desse un figlio, Sully gliela s t r a p p ò in faccia. Il m a t r i m o n i o era u n a faccenda di Stato, che doveva servire a qualcosa. Il ministro p r o t e s t a n t e pensava che dovesse servire soprattutto a rimettersi in b u o n a con la Chiesa che seguitava a diffidare di quella conversione. Infatti si rivolse al Papa. Il Papa p r o p o s e Maria d e ' Medici, figlia del G r a n d u c a di Toscana, e Sully ne approfittò p e r farsi r i m e t t e r e dai banchieri fiorentini tutti i debiti che la Francia aveva c o n t r a t t o con loro. Enrico a n d ò incontro alla sposa a Lione, la trovò t r o p p o alta, t r o p p o grossa, t r o p p o autoritaria, ma c o m p ì il suo d o vere - un d o v e r e dal quale n a c q u e un figlio, il futuro Luigi X I I I -, e t o r n ò fra i suoi soldati e dalla sua H e n r i e t t e . Meditava u n a g u e r r a c o n t r o gli Asburgo che seguitavano a stringere la Francia nella loro morsa, p r e n d e n d o a pretesto u n a complicata successione nel piccolo p r i n c i p a t o di Clèves in G e r m a n i a . L'imperatore Rodolfo p r e t e n d e v a n o m i n a r v i u n cattolico di sua fiducia, ma i protestanti tedeschi si o p p o n e vano, ed Enrico i n t e n d e v a schierarsi al loro fianco. Nel maggio del 1610 affidò la r e g g e n z a a Maria, e si p r e p a r a v a a r a g g i u n g e r e l'esercito, q u a n d o fu p u g n a l a t o dal m o n a c o Ravaillac. N o n si è mai saputo se e r a n o stati i gesuiti a istigarlo. Ma, a n c h e se n o n c'era u n a loro diretta r e s p o n sabilità, ce n'era u n a indiretta. Le esequie del Re dimostrar o n o d a q u a l e successo l a sua o p e r a pacificatrice e r a stata c o r o n a t a . Salvo p o c h i fanatici, tutta Parigi seguì in lutto il suo feretro e tutta la Francia - cattolica e u g o n o t t a - lo pianse. Il p o p o l o lo amava n o n soltanto p e r la concordia, l'ordine e la p r o s p e r i t à c h e aveva r e s t i t u i t o al Paese, ma a n c h e p e r c h é aveva i n c a r n a t o il suo p r e d i l e t t o a r c h e t i p o u m a n o : g u e r r i e r o , insolente e libertino. 27
L a m o r t e d i E n r i c o r i t a r d ò d i otto l a G u e r r a d e i T r e n t ' a n n i , ma r i p i o m b ò la Francia nelle sue divisioni religiose. La s e c o n d a Medici si trovò p r e s s a p p o c o nelle stesse condizioni della p r i m a , ma senza p o s s e d e r n e le qualità, con un figlio di otto anni, un Paese in subbuglio e dei consiglieri infidi. Sully t e n t ò di d i f e n d e r e l ' o r d i n e e il T e s o r o , n o n ci riuscì, e si ritirò d i s g u s t a t o a scrivere le s u e m e m o r i e . Il p r i n c i p e e r e d i t a r i o n o n somigliava in n u l l a a suo p a d r e e cresceva male, tribolato da mille afflizioni. Il Boulainvilliers dice che in un a n n o a r r i v a r o n o a fargli quarantasette salassi e d u e c e n t o q u i n d i c i clisteri. Soffriva di crisi depressive, la severa educazione religiosa che gli avevano impartito lo aveva r e s o bigotto ma n o n g l ' i m p e d i v a di p r e f e r i r e i ragazzi alle ragazze, e odiava sua m a d r e che lo considerava u n o scemo e riservava il suo affetto al secondogenito Gastone. Q u a n d o lo sposarono ad A n n a d'Austria, d o v e t t e r o spingerlo di forza nel t a l a m o , e gli ci vollero t r e lustri p e r g e n e r a r e un figlio, il f u t u r o «Re Sole», c h e tuttavia si m o s t r ò d e g n o d e i l u n g h i sforzi compiuti dal p a d r e p e r la sua procreazione. Il d e b u t t o in politica Luigi X I I I lo fece a sedici a n n i organizzando l'assassinio di un cortigiano, che la Medici si e r a p o r t a t o al seguito dall'Italia, il Concini. Era un avventuriero c h e m e r i t a v a quella s o r t e . Ma Luigi gliela r i s e r v ò sop r a t t u t t o p e r c h é e r a amico di Maria, che fu d e p o r t a t a in un castello p e r c h é protestava. D o p o d i c h é r u p p e la t r e g u a con gli u g o n o t t i , e mosse con l'esercito c o n t r o di loro, ma n o n riuscì a e s p u g n a r e La Rochelle, e di n u o v o la Francia rischiò di dividersi. A trarla da quel repentaglio fu il Richelieu. Il Richelieu e r a un Vescovo, che Maria e il Concini avev a n o «scoperto» e p o r t a t o giovanissimo alla S e g r e t e r i a di Stato. Q u a n d o il cortigiano fu ucciso e la Regina confinata, a n c h e lui p e r s e il p o s t o . Ma u n a c o n g i u r a di nobili organizzata da Maria, c h ' e r a evasa dalla sua p r i g i o n e , costrinse il Re a r i c h i a m a r e in servizio il p r e l a t o , l'unico c h e potesse riconciliarlo con sua m a d r e e i ribelli. Richelieu ci riuscì, e da allora diventò indispensabile. 28
Alto, fragilissimo, e s a n g u e , egli g o d e v a di u n a p e s s i m a salute, di un cervello l i m p i d o , di u n a volontà d'acciaio e di u n o smisurato orgoglio. Luigi, c h e c r e d e v a di aver trovato in lui un servitore, trovò invece un p a d r o n e che sapeva p a r largli c o m e a un subalterno. Sebbene u o m o di Chiesa (il Papa si e r a affrettato a farlo Cardinale), egli p r o c e d e t t e subito a l i b e r a r e lo Stato da o g n i s u d d i t a n z a religiosa, e d e t t e lo sfratto allo stesso confessore del Re. Capiva che solo così si poteva r e s t a u r a r e la c o n c o r d i a , e infatti la resistenza u g o notta ne fu disarmata. Solo la fanatica g u a r n i g i o n e della Rochelle si rifiutò di scendere a patti. Il Cardinale salì a cavallo, pose il blocco alla città sia da p a r t e di t e r r a che da p a r t e di m a r e m e t t e n d o in rotta le navi inglesi che la rifornivano, e la lasciò m o r i r e di fame. La resistenza di quei disperati fu epica: m a n g i a r o n o Cavalli, gatti, topi u c c i d e n d o c h i u n q u e parlasse di resa. Ma alla fine, dimezzati e ridotti a larve d o vettero piegarvisi, sebbene persuasi di esser tutti destinati al patibolo. Richelieu n o n n e toccò u n o , p r o m u l g ò u n ' a m n i stia e richiamò in vigore l'editto di Nantes. Debellata la d i s s i d e n z a religiosa, il C a r d i n a l e affrontò quella politica dei g r a n d i nobili che p r e t e n d e v a n o farla da sovrani assoluti nei p r o p r i feudi. G l ' i n t i m o di s m a n t e l l a r e tutte le loro fortezze, e quelli risposero m o n t a n d o contro di lui u n a rivolta di cui la sua vecchia protettrice Maria assunse il p a t r o n a t o . Richelieu sventò il complotto origliando dietro le p o r t e , affrontò di p e r s o n a la Regina m a d r e e l'obbligò a f u g g i r e in Belgio. I c o n g i u r a t i si s t r i n s e r o i n t o r n o al secondogenito Gastone, Duca di Orléans, che levò un esercito c o n t r o il fratello e il C a r d i n a l e . G a s t o n e fu sconfitto, c a d d e p r i g i o n i e r o e p e r salvare la pelle fece il n o m e dei complici. Richelieu n o n si lasciò i m p r e s s i o n a r e dai l o r o g r a n d i n o m i e ne m a n d ò parecchi al patibolo. C o n questi m e t o d i «il Cardinale di ferro» - come lo chiamavano - ricostruì l'unità della Francia, le restituì il suo p r e stigio e la riportò nel g r a n d e giuoco internazionale. Il quale consisteva soprattutto nel r o m p e r e il cerchio degli Asburgo e 29
distruggerne l'egemonia sull'Europa. Poiché gli Asburgo erano i campioni del cattolicesimo, l'uomo di Chiesa Richelieu si volse ai nemici della Chiesa e li attrasse nella sua rete diplomatica. N o n risulta che la sua coscienza di sacerdote ne fosse turbata. Fu lui a inventare le p a r o l e «ragione di Stato», u n a r a g i o n e t a n t o forte da vincere n o n soltanto i suoi scrupoli religiosi, ma a n c h e le sue debolezze fisiche. Ne aveva molte, procurategli dalla malcerta salute: e m o r r o i d i , calcoli alla vescica, insonnia e incubi. Ma nessuna riuscì a incrinare la sua volontà. Ebbe a n c h e qualche difetto morale: era permaloso, avido di titoli nobiliari, nepotista, e afflitto da u n a vanità letteraria che lo rendeva geloso dei successi altrui, specie di Corneille. Lasciò dieci libri di m e m o r i e , nutriti di ottima prosa e soprattutto di encomiabile modestia. E, a differenza di tutti i dittatori che fanno s e m p r e piazza pulita i n t o r n o a sé, lasciò anche un successore. Ma di questo d i r e m o più tardi. La d i s s i d e n z a religiosa c h e aveva m e s s o a s o q q u a d r o la Francia stava p e r p r o v o c a r e gli stessi g u a i in I n g h i l t e r r a . C o n Eltalia della Controriforma abbiamo lasciato questo Paese in p i e n o boom, sotto l'accorta g u i d a di Elisabetta. La g r a n d e R e g i n a aveva s a p u t o t r o v a r e u n c o m p r o m e s s o t r a l e forze cattoliche, quelle anglicane e i «puritani» calvinisti, dirottand o n e le tensioni all'esterno, cioè alla conquista dell'Oceano e alla costruzione di un i m p e r o . La sua era stata u n a g r a n d e I n g h i l t e r r a c h e aveva n o n soltanto d i s t r u t t o la «invincibile armata» di Filippo, ma a n c h e dato alla cultura e u r o p e a i Bacone, gli Shakespeare e i Marlowe. O r a Elisabetta era alla fine, e siccome n o n si e r a mai sposata, n o n aveva e r e d i d i r e t t i cui affidare la successione. Il p a r e n t e p i ù prossimo era il Re di Scozia, Giacomo, figlio di quella Maria S t u a r d a che, cacciata dal t r o n o p e r u n ' i n s u r r e zione e rifugiatasi a L o n d r a , Elisabetta aveva fatto decapitare p e r congiura c o n t r o di lei. L'ayvento di Giacomo avrebbe consentito l'unificazione delle d u e c o r o n e . M a u n p u n t o restava oscuro: a quale confessione Giacomo a p p a r t e n e s s e . 30
A q u a n t o p a r e , n o n lo sapeva n e m m e n o lui che, stretto fra gli opposti fanatismi di quei suoi protervi sudditi m o n t a n a r i , aveva evitato d i p r e n d e r e p o s i z i o n e . Sua m a d r e e r a cattolicissima, ma e r a fuggita q u a n d o lui n o n aveva a n c o r a un a n n o lasciandolo in balìa dei calvinisti che l'avevano cacciata. Questi n o n a n d a v a n o d'accordo n e m m e n o fra loro e, d o p o a v e r istituito u n a g e r a r c h i a di Vescovi c h ' e r a in flag r a n t e c o n t r a d d i z i o n e col loro c r e d o d e m o c r a t i c o e legalitario (la Chiesa calvinista n o n conosce che i «pastori»), le si e r a n o ribellati. Giacomo fu p e r i Vescovi, il p o p o l o si ribellò anche a lui costringendolo alla fuga, e lo riaccolse solo a certe condizioni. La verità è c h e G i a c o m o e r a di m e n t a l i t à e sentimenti cattolici, e c o m e tale si considerava Re p e r grazia di Dio, m e n t r e i suoi s u d d i t i p r o t e s t a n t i lo c o n s i d e r a v a n o Re p e r loro volontà. Però si g u a r d ò b e n e dal dirlo, n o n soltanto p e r c o n s e r v a r e l a c o r o n a scozzese, m a a n c h e p e r c h é già p e n s a v a a quella inglese. Sicché, q u a n d o Elisabetta gli chiese di dichiararsi protestante, egli lo fece. L'uomo e r a un coacervo di c o n t r a d d i z i o n i . Sully lo chiamò «il più saggio sciocco della Cristianità». Volgare d'aspetto e nel linguaggio, aveva gusti raffinati in fatto di cultura, e fu egli stesso un eccellente scrittore. Triviale e p e r m a l o so, offendeva tutti, si offendeva di nulla e si a b b a n d o n a v a a collere violente, salvo a p i a n g e r e di p e n t i m e n t o e di vergogna. U n a volta prese a calci il suo aiutante p e r c h é n o n trovava un d o c u m e n t o , poi gli s'inginocchiò ai piedi e gli chiese p e r d o n o . Sapeva tutto di scienza, ma credeva solo agli astrologi e alle s t r e g h e , e a n d a v a in giro imbottito di talismani. N o n si lavava, ma s p e r p e r a v a p a t r i m o n i in abiti, profumi e biancheria. Q u a n d o lo sposarono ad A n n a di Danimarca, costei si accorse ch'egli n o n aveva molto trasporto p e r le d o n n e e preferiva i bei guaglioni. Ma, a p a r t e questo deviazionismo, Giacomo fu un b u o n m a r i t o e s o p r a t t u t t o un eccellente pad r e , i n n a m o r a t o del figlio che Anna gli diede, Carlo. Q u a n d o ci venne p e r l'incoronazione, nel 1603, L o n d r a lo accolse b e n e . Ma Giacomo disse al Parlamento che saliva sul 31
t r o n o c o m e l u o g o t e n e n t e di Dio e che solo a Dio i n t e n d e v a r i s p o n d e r n e . Evidentemente, aveva sbagliato secolo e Paese, e gl'inglesi glielo fecero subito capire obbligandolo a p r e n d e r m i s u r e c o n t r o i cattolici che rialzavano il capo. Costoro p e r rivalsa organizzarono un complotto, la cosiddetta «congiura delle polveri», p e r far saltare la Reggia con tutti i suoi inquilini. La s c o p e r t a della tresca p r o v o c ò u n a violenta r e a z i o n e , cui Giacomo dovette cedere m a n d a n d o a m o r t e molti preti e s b a n d a n d o n e il g r e g g e . Così rimase nelle m a n i dei p r o t e stanti, che accettavano la Monarchia, ma n o n l'assolutismo. La partita p e r ò n o n fu liquidata; fu soltanto rinviata. In c a m p o diplomatico, Giacomo p e r s e g u ì u n a politica di p a c e , c h ' e r a s o p r a t t u t t o di p a c e con la S p a g n a , il n e m i c o e r e d i t a r i o . A s p i n g e r v e l o f u r o n o n o n soltanto le s i m p a t i e ideologiche p e r il r e g i m e a u t o r i t a r i o dei cattolici Asburgo, ma a n c h e i consigli d e l suo p r i m o m i n i s t r o . E r a costui un certo Villiers, che G i a c o m o aveva conosciuto v e n t e n n e . Se n ' e r a i n n a m o r a t o , lo aveva fatto p r i m a conte, poi m a r c h e s e , e infine, col titolo di Duca di B u c k i n g h a m , gli aveva delegato il p o t e r e . Il Paese n o n a p p r o v ò né quella scelta né quella politica, ma ne profittò l a r g a m e n t e . S e m p r e p i ù forti e sig n o r e degli Oceani, le flotte inglesi completavano in America e in Asia quella rete di «basi» destinate a fornire l'intelaiat u r a del p i ù g r a n d e i m p e r o i n t e r c o n t i n e n t a l e . Nel 1606 fu fondata la p r i m a vera e p r o p r i a «colonia» d'oltre Atlantico: la Virginia. In I n d i a c'era da vincere la c o n c o r r e n z a olandes e c h e p e r a n n i s i d i m o s t r ò imbattibile. M a n e l 1615 u n a missione inglese riuscì a mettervi p i e d e e a stabilirvi scali e fondachi. L'impero p r e n d e v a forma, e la politica di L o n d r a cominciava a r u o t a r e su di esso: secondo i suoi interessi si sarebbe orientata a n c h e la diplomazia nei confronti dell'Europa. Per questo l'Inghilterra tergiversò tanto a e n t r a r e nella G u e r r a dei T r e n t ' a n n i , sebbene la questione dinastica ve la coinvolgesse sin dal p r i m o m o m e n t o . Ma questo lo v e d r e m o a suo tempo. 32
E veniamo alla più ingarbugliata di tutte le matasse: la GermaniaVoltaire diceva che il Sacro R o m a n o I m p e r o n o n e r a né sacro, né r o m a n o , né i m p e r o . Aveva r a g i o n e . Esso r i u n i v a infatti u n i n s i e m e d i p r o v i n c e ( G e r m a n i a , L u s s e m b u r g o , Franca Contea, L o r e n a , Austria, U n g h e r i a , Boemia, Moravia) assai diverse p e r lingua, cultura, religione; cioè n o n le riuniva affatto p e r c h é l'unico loro vincolo era r a p p r e s e n t a to da un I m p e r a t o r e che i m p e r a v a b e n poco. Dal 1438 questo titolo e r a rimasto i n i n t e r r o t t a m e n t e a p p a n n a g g i o della dinastia Asburgo. Ma costoro avevano potestà assoluta e gov e r n o d i r e t t o soltanto sull'Austria, d i cui e r a n o Duchi p e r diritto ereditario, e p e r certi p e r i o d i a n c h e su Boemia, Moravia e U n g h e r i a . Da tutte le altre province, dovevano farsi riconoscere il titolo i m p e r i a l e di volta in volta, c o n t r a t t a n d o l o con i sette g r a n d i «elettori» qualificati ad attribuirlo: i Principi di Boemia, Sassonia, B r a n d e b u r g o , Palatinato, e gli Arcivescovi di Colonia, Treviri e Magonza. Fra costoro c'er a n o differenze di r a n g o e di attribuzioni, ma qui è inutile addentrarvisi. ' Con la diplomazia, col d e n a r o , con l'intrigo, gli Asburgo e r a n o riusciti p e r oltre c e n t ' a n n i a c o n s e r v a r e alla p r o p r i a famiglia l'altisonante investitura. Ma con Carlo V essa si era sposata con un p o t e r e effettivo: quello degl'immensi d o m i n i ereditati dalla m a d r e , Giovanna la Pazza: Spagna, F i a n d r e , Sud-America, p e r n o n citare che i p i ù i m p o r t a n t i , cui si aggiunse mezza Italia. Per qualche m o m e n t o s e m b r ò che, d o tato di questa forza, Carlo potesse v e r a m e n t e riunificare sotto il suo scettro tutto l'Occidente e d a r e consistenza al titolo imperiale com'era avvenuto con Carlo Magno. Ma n o n ci riuscì. Svegliate dalla Riforma, le forze nazionali si rifiutarono di sottomettersi a un p o t e r e centrale sopranazionale come quello d e l l ' I m p e r o , e d i e d e r o avvìo alla formazione dell'Europa delle Patrie, ciascuna col suo Stato sovrano. Carlo «bbe il b u o n senso di p r e n d e r n e atto e, accorgendosi che il Suo R e a m e e r a t r o p p o vasto e sparpagliato, al m o m e n t o di 33
a b d i c a r e lo divise, lasciando al figlio Filippo II la S p a g n a , l'Italia, le F i a n d r e , l'America latina, le colonie africane, e al fratello F e r d i n a n d o i p o s s e d i m e n t i e r e d i t a r i degli Asburgo - Austria, U n g h e r i a , Boemia, Moravia - e il titolo imperiale. F e r d i n a n d o si trovò in u n a posizione difficilissima. Person a l m e n t e e r a cattolico zelante, e in prevalenza cattolici erano austriaci, u n g h e r e s i e moravi. Ma i Principati tedeschi che gli avevano conferito il titolo e con cui doveva vedersela erano in m a g g i o r a n z a p r o t e s t a n t i . Egli riuscì tuttavia a m a n o vrare abbastanza b e n e fra gli u n i e gli altri: tanto che, q u a n do m o r ì , il titolo imperiale fu trasferito al figlio Massimiliano, che n o n ne spasimava. Era infatti Un compito e squisito gentiluomo che amava tutte le arti, m e n o quella del comand o . Sul p r o b l e m a religioso, che in q u e l m o m e n t o e r a il p i ù scottante, sebbene anagraficamente egli fosse cattolico, le sue simpatie e r a n o incerte. Era certa solo la sua antipatia p e r tutti gli estremismi, e infatti riuscì a infrenarli. Al suo letto di m o r t e n o n permise che si avvicinasse né il p r e t e cattolico né il «ministro» protestante. A benedirlo fu tutto il p o p o l o , che ne aveva apprezzato la tolleranza e l'imparzialità. Fu p e r ripagarlo di questi meriti che gli elettori nel 1576 a s s e g n a r o n o il titolo a suo figlio Rodolfo, che dal p a d r e aveva ereditato tante cose, ma n o n tutte. A n c h e lui era sobrio e affabile, di t r a t t o democratico, n e m i c o della p o m p a , amico delle arti e delle scienze, dove si g u a d a g n ò u n a giusta fama di m e c e n a t e c o n la p r o t e z i o n e a c c o r d a t a a Tycho B r a h e e Keplero, i g r a n d i pionieri dell'astronomia. Ma sul p i a n o religioso fu m o l t o m e n o a p e r t o , forse p e r c h é da ragazzo l'avevano affidato a Filippo II di S p a g n a che, deluso dei figli suoi, carezzava l'idea di farne il p r o p r i o e r e d e , e che a sua volta l'aveva affidato ai gesuiti. Rodolfo subì da loro un lavaggio di cervello che lo rese p o c o disponibile al «dialogo» con gli eretici. N o n li perseguitò; ma impose loro parecchie restrizioni. L e n t a m e n t e tuttavia si ritrasse dall'esercizio del p o t e r e , d e l e g a n d o l o a dei favoriti, scelti p u r t r o p p o con man o p i u t t o s t o infelice. E r a afflitto d a u n a f o r m a d e p r e s s i v a 34
che lo r e n d e v a malinconico, i n s o n n e e ossessionato da mille p a u r e , s o p r a t t u t t o degli attentati. Nel 1606 affidò il governo dei d o m i n i ereditari asburgici (Austria, U n g h e r i a , Moravia e poi a n c h e Boemia) al fratello m i n o r e Mattia, che così si trovò già sul t r o n o q u a n d o Rodolfo m o r ì (1612). Ma a n c h e Mattia, già sessantenne e stanco di u n a vita spesa quasi tutta in servizio militare fra u n a g u e r r a e l'altra, preferì delegare il p o t e r e a Klesl, l'Arcivescovo di Vienna: un prelato così coscienzioso e liberale che i cattolici lo accusarono di collusione coi protestanti. Un altro Asburgo, F e r d i n a n d o , cugino di Mattia, ne approfittò p e r i m p r i g i o n a r e l'Arcivescovo, assum e r n e i p o t e r i e assicurarsi la successione al t r o n o , che effettivamente alla m o r t e di Mattia (1619) gli fu riconosciuta. Fu il p r o l o g o della G u e r r a dei T r e n t ' a n n i . E q u i n d i vediamo di spiegare un p o ' meglio i termini del conflitto e la p o sta che vi era in giuoco. L ' I m p e r o e r a u n a cosa vaga: n o n solo sul p i a n o giuridico, cioè dei p o t e r i c h ' e r a n o connessi al titolo, ma a n c h e su quello t e r r i t o r i a l e . Di sicuro, c o m e a b b i a m o già d e t t o , gli Asburgo p o t e v a n o c o n t a r e soltanto sul p r o p r i o p a t r i m o n i o e r e d i t a r i o , cioè sulle p r o v i n c e di cui e r a n o Re. Su di esse avevano diretta giurisdizione, a esse p o t e v a n o attingere tasse p e r le p r o p r i e finanze e soldati p e r il p r o p r i o esercito. Però le situazioni variavano dall'una all'altra. La vera cittadella della dinastia, il suo p u n t o di forza, era l'Austria, sua p a t r i a n o n d ' o r i g i n e (gli A s b u r g o e r a n o alsaziani), ma d'elezione. La sua compattezza era stata messa a d u r a prova dal conflitto religioso che sulla m e t à del Cinquecento sembrava volgere a vantaggio dei luterani, i quali avevano conquistato anche l'Università di Vienna. Ma fu ripristinata da F e r d i n a n d o I, lo zio di Filippo I I , e d a i gesuiti ch'egli c h i a m ò al p r o p r i o servizio. Essi a g i r o n o con un'abilità in cui la fermezza si univa al tatto. Sicché alla fine del secolo il Paese n o n soltanto aveva quasi del tutto sanato i suoi ifentrasti, ma era diventato un bastione della Chiesa nei confronti sia del luteranesimo che dell'Islam. 35
I Turchi infatti e r a n o alle sue p o r t e , solidamente impiantati nel c u o r e d e l l ' U n g h e r i a , d i cui o c c u p a v a n o d u e b u o n i terzi. Q u e s t o fece sì che l'altro terzo si stringesse s e m p r e più agli A s b u r g o e ne accettasse la signoria. A n c h e in q u e s t o b r a n d e l l o di n a z i o n e il conflitto religioso e r a stato a s p r o e p e r l u n g o t e m p o i n c e r t o fra l u t e r a n i , calvinisti e cattolici. Ma a risolverlo fu la r a g i o n di Stato. L'unico sostegno dell ' U n g h e r i a nei c o n f r o n t i d e l l ' i n v a s o r e m u s s u l m a n o e r a l'Austria cattolica. Il gesto di Peter P à z m à n y esemplifica la situazione. Figlio di calvinista e calvinista egli stesso, si convertì, ricevette dal Papa il galero cardinalizio, e a p r ì le p o r t e del Paese ai gesuiti. Moravia, Slesia e Lusazia riconoscevano c o m e loro legittimo sovrano quello di Boemia, che da oltre un secolo riconosceva c o m e suoi Re gli A s b u r g o . Ma ciascuna di q u e s t e q u a t t r o province m a n t e n e v a la p r o p r i a capitale (Praga, Brn o , Breslavia e Bautzen) e la p r o p r i a Dieta o p a r l a m e n t o . Il p r o b l e m a religioso e r a p a r t i c o l a r m e n t e complicato in q u e ste t e r r e c h e a v e v a n o covato la rivolta di H u s s , e d o v e ai contrasti spirituali se ne a g g i u n g e v a n o di razziali e sociali. L'aristocrazia, quasi t u t t a di s a n g u e tedesco, e r a in p r e v a lenza l u t e r a n a ; la borghesia, calvinista; la massa c o n t a d i n a , cattolica. F e r d i n a n d o I p e n s ò di ripristinare l'unità religiosa affidandosi ai gesuiti, e quella politica a b o l e n d o le q u a t t r o capitali e a c c e n t r a n d o tutti i p o t e r i a V i e n n a . Ma q u e s t e s o m m a r i e m i s u r e servirono a dilazionare, n o n a eliminare il conflitto che covava. I suoi successori Massimiliano, Rodolfo e Mattia se lo r i t r o v a r o n o r e g o l a r m e n t e di fronte, e lo las c i a r o n o in e r e d i t à a F e r d i n a n d o I I , fra le cui m a l a c c o r t e m a n i e r a d e s t i n a t o a s c o p p i a r e a c c e n d e n d o la miccia della G u e r r a dei T r e n t ' a n n i . L a Svizzera faceva a n c h ' e s s a n o m i n a l m e n t e p a r t e dell ' I m p e r o . Ma solo n o m i n a l m e n t e . In pratica, le sue inaccessibili m o n t a g n e e a n c h e la sua poco invitante povertà avevano consentito ai Cantoni, in cui quel territorio e r a diviso, di sottrarsi al p o t e r e c e n t r a l e . Il conflitto religioso minacciò 36
questa loro a u t o n o m i a p e r c h é Savoia e S p a g n a accorsero a spalleggiare i C a n t o n i cattolici, m e n t r e la Francia e i luterani tedeschi d a v a n o m a n forte a quelli protestanti. Ma il patriottismo svizzero ebbe la meglio su queste i n f r a m m e t t e n ze. P u r c o n t i n u a n d o a litigarsi tra loro, i C a n t o n i r i m a s e r o sostanzialmente solidali nella difesa della loro i n d i p e n d e n z a e libertà. D o p o Calvino, alla testa della Venerabile Compagnia da lui fondata a Ginevra, c'era un pastore di g r a n d e tatto e accortezza, De Bèze, che fra gli altri meriti ebbe a n c h e quello di c a m p a r e fino a quasi n o v a n t ' a n n i . Egli sfoggiò nella battaglia missionaria un senso politico p i ù fine del suo intollerante predecessore, e p i a n o piano, sotto la sua guida, il calvinismo conquistò la Svizzera senza m e t t e r n e a r e p e n t a glio l'indipendenza. G l ' I m p e r a t o r i d o v e t t e r o contentarsi di riceverne qualche formale omaggio. L'imbroglio p i ù grosso e r a la G e r m a n i a , e il lettore n o n s'illuda c h e n o i p o s s i a m o fornirgliene la chiave. Possiamo solo alla meglio semplificarglielo. Dei sette G r a n d i Elettori che di volta in volta conferivano il titolo imperiale, qualcuno e r a laico, Principe o Duca, qualche altro Vescovo. Ma essi n o n e r a n o i soli p a d r o n i del Paese. C o m e l'Italia, la Germ a n i a e r a u n a galassia di Stati e staterelli, q u a l c u n o vasto c o m e u n a r e g i o n e , qualche altro piccolo c o m e un villaggio, ma tutti gelosissimi della p r o p r i a sovranità. Il conflitto religioso aveva e s a s p e r a t o q u e s t a d i s p e r s i o n e , e forse e r a diventato così p r o f o n d o a p p u n t o p e r c h é secondava gl'interessi particolari e le loro t e n d e n z e centrifughe. L'unico vincolo c h e u n i v a q u e s t e p r o v i n c e e r a u n a Dieta o p a r l a m e n t o , cui t u t t e inviavano i l o r o delegati, ma col m a n d a t o d ' i m p e d i r g l i d i f u n z i o n a r e . N e l 1555 t u t t a v i a , r i u n i t i a d A u g u s t a , essi r i u s c i r o n o a d a c c o r d a r s i s u u n p r i n c i p i o , quello del Cuius regio, eius religio, c h e in p r a t i c a significava q u e s t o : o g n i cittadino è t e n u t o a s e g u i r e la r e ligione d e l l o Stato cui a p p a r t i e n e , cioè d e l s u o S o v r a n o . Se vi si rifiuta, e m i g r i in un altro Stato che p r a t i c a la sua. Non era una soluzione; era soltanto un r a m m e n d o , ma 37
c h e al r o g o sostituiva l'esilio: il c h e r a p p r e s e n t a v a un discreto p r o g r e s s o . All'ingrosso, le province meridionali e la R e n a n i a e r a n o cattoliche; p r o t e s t a n t e il resto. Ma questo resto a n d a v a diviso fra luterani e calvinisti, che fra loro si odiavano n o n m e no di q u a n t o e n t r a m b i odiassero i cattolici. «Abbiamo notato» scrive Rescius alla fine del secolo «che i libri dei p r o t e stanti c o n t r o i p r o t e s t a n t i s o n o t r e volte p i ù n u m e r o s i di quelli scritti c o n t r o i cattolici.» C o n t r o questa «rabbia teologica», c o m e la chiamava Melantone, il mite e tollerante successore d i L u t e r o , l'editto d i A u g u s t a p o t e v a p o c o , a n c h e p e r c h é esso e r a r i m a s t o i n g r a n p a r t e lettera m o r t a p e r l e pratiche difficoltà che p r e s e n t a v a n o i trasferimenti. E ancora m e n o poteva l ' I m p e r a t o r e , che oltre a dover c o n t r a t t a r e volta p e r volta il suo titolo vitalizio coi sette Elettori, n o n aveva giurisdizione diretta su n e s s u n o di questi Stati, i quali obbedivano soltanto ai loro rispettivi Sovrani, i quali disobbedivano a lui. Al guazzabuglio politico e religioso si aggiungeva u n a crisi economica. Ne LItalia della Controriforma a b b i a m o visto le forze t r a e n t i della p r o d u z i o n e e del c o m m e r c i o spostarsi dalla G e r m a n i a del S u d verso quella del N o r d . Q u e s t a inversione di poli e r a un effetto della d e c a d e n z a d e l l ' e c o n o mia italiana, d i cui quella tedesca e r a s e m p r e stata u n ' a p p e n d i c e . Le capitali industriali e mercantili tedesche e r a n o state le città a ridosso delle Alpi: Augusta e N o r i m b e r g a . Ma da q u a n d o l'Italia e r a stata tagliata fuori dai g r a n d i traffici internazionali spostatisi verso l'Atlantico, il capitalismo tedesco aveva cominciato a g r a v i t a r e sul M a r e del N o r d , sospintovi a n c h e dalla Riforma che nella G e r m a n i a settentrionale, m o l t o m e n o romanizzata, trovava p i ù favorevole terreno. Soprattutto le città anseatiche - B r e m a , Lubecca ecc. - se n ' e r a n o e n o r m e m e n t e avvantaggiate, grazie ai loro attrezzatissimi p o r t i e scali. Ma verso la fine del C i n q u e c e n t o avevano d o v u t o vedersela con le flotte olandesi, di cui n o n ave38
vano retto la c o n c o r r e n z a . Nel 1572 la g r a n d e b a n c a Loitz fallì riducendo sul lastrico i suoi clienti. Nel 1614 fallirono i Welser. E quasi c o n t e m p o r a n e a m e n t e crollarono quelli che da oltre un secolo e r a n o considerati l'architrave della finanza tedesca, i Fugger, travolti dai ripetuti fallimenti di Filippo I I , che n o n si e r a n o stancati di sovvenzionare. Il caos e r a al c o l m o . Fra le t a n t e cose c h e l ' I m p e r a t o r e n o n riusciva a i m p o r r e alla Dieta e agli Elettori era u n a zecc a c o m u n e . O g n i Stato b a t t e v a m o n e t a p e r c o n t o p r o p r i o eppoi, p e r sottrarsi ai debiti, la tosava. Q u e s t o scoraggiava il risparmio, cioè l'accumulo del capitale. La m a n c a n z a di capitale i m p e d i v a g l ' i n v e s t i m e n t i . E la m a n c a n z a d'investim e n t i faceva l a n g u i r e la p r o d u z i o n e . N e a n c h e le m i n i e r e d a v a n o p i ù r e d d i t o , d a q u a n d o l ' E u r o p a e r a stata alluvionata dall'oro e dall'argento delle colonie d'oltreoceano. Questa e r a la situazione con cui il n u o v o i m p e r a t o r e Ferd i n a n d o II doveva vedersela. Ma p e r c o m p l e t a r e il q u a d r o e r e n d e r e un p o ' più intelligibile, o un p o ' m e n o oscuro l'imbroglio della g u e r r a che sta per scoppiare, d o b b i a m o a p r i r e a l m e n o u n a finestrella sull ' E u r o p a del N o r d , c h e p e r la p r i m a volta si affaccia sulla storia in veste di protagonista. Alla m e t à del C i n q u e c e n t o la p o t e n z a e g e m o n e e r a la Dan i m a r c a , signora a n c h e della N o r v e g i a , della Svezia m e r i dionale, e i n s o m m a di quasi tutto il Baltico. In questi Paesi, convertitisi in massa al l u t e r a n e s i m o , n o n c'erano dissidenze religiose. Il re C r i s t i a n o IV se ne avvalse p e r c e r c a r di unificare quelle vaste province, a c c e n t r a n d o n e il g o v e r n o a C o p e n a g h e n , che sotto di lui diventò u n a bella e attrezzatissima capitale. Cristiano, che r e g n ò s e s s a n t ' a n n i , ricordava un p o ' il suo quasi coetaneo Giacomo I d ' I n g h i l t e r r a . Anche lui era un curioso miscuglio di finezza e di volgarità. Il suo giudizio in fatto d'arte, di scienza, di cultura, era infallibile; ma s e m p r e espresso in un linguaggio da stalliere e con un c o n t o r n o di scurrilità da far arrossire un livornese. Il p o p o 39
lo lo a m a v a p e r c h é Cristiano partecipava ai suoi balli, alle sue feste, e a n c h e alle sue sbornie; e p e r questo n o n lesinava reclute q u a n d o il Re bandiva la mobilitazione. Ciò gli capitava spesso p e r c h é Cristiano aveva un debole p e r la g u e r r a , e ne fece parecchie p e r rintuzzare le t e n d e n ze s e p a r a t i s t e dei suoi d o m i n i . Fra questi, la Svezia e r a la p i ù i n q u i e t a . P r a t i c a m e n t e , essa aveva già r a g g i u n t o l ' i n d i p e n d e n z a nel 1523 con Gustavo I Vasa, fondatore della dinastia r e g n a n t e . Ma i nobili mal sopportavano l'accent r a m e n t o dei poteri, e suscitavano torbidi. Eric, il successore di Gustavo, dovette abdicare e fu messo a m o r t e dal fratello Giovanni. Costui, spintovi dalla moglie, c h ' e r a u n a principessa polacca, si convertì di nascosto al cattolicesimo: il che consentì a suo figlio di d i v e n t a r e Re di Polonia col titolo di S i g i s m o n d o I I I , in attesa di d i v e n t a r l o a n c h e della Svezia alla m o r t e del p a d r e , i n m o d o d a unificare l e d u e c o r o n e . Ma Carlo, altro fratello di Giovanni, r a d u n ò a Uppsala trecento ministri protestanti e trecento laici in r a p p r e s e n t a n z a di tutte le classi sociali, i quali p r o c l a m a r o n o che il t r o n o di Svezia e r a accessibile solo ai l u t e r a n i . Q u a n d o il p r o b l e m a della successione si pose, Sigismondo accorse p e r assicurarsela. Ma i capi svedesi gl'imposero un'abiura, che gli avrebbe fatto a u t o m a t i c a m e n t e p e r d e r e il trono di Polonia. Sigis m o n d o tergiversò a l c u n i mesi i n cerca d i u n impossibile c o m p r o m e s s o . Alla fine decise d ' i n v a d e r e la Svezia, vi sbarcò col suo esercito, ma fu b a t t u t o dallo zio, che subito d o p o fu i n n a l z a t o al t r o n o col titolo di Carlo IX. Il n u o v o Sovrano, già vecchiotto, impiegò i suoi pochi a n n i di r e g n o a organizzare lo Stato. E ci riuscì così b e n e che Cristiano, ved e n d o in pericolo il p r i m a t o d a n e s e , gli mosse g u e r r a . Carlo cercò di evitarla s f i d a n d o a singoiar t e n z o n e C r i s t i a n o , che rifiutò. M o r e n d o q u a n d o già il conflitto e r a scoppiato, pose u n a m a n o sulla testa del figlio sedicenne d i c e n d o : «Rie faciet», p e n s e r à lui a fare il resto. Q u e s t o figlio si chiamava Gustavo Adolfo, e la Svezia già lo a d o r a v a p e r la sua atletica prestanza, p e r la sua cortesia e 40
p e r il suo coraggio. S e b b e n e d e s t i n a t o a t r a s c o r r e r e la sua breve esistenza sui campi di battaglia e a immortalarsi c o m e il p i ù g u e r r i e r o di tutti i Re scandinavi, egli d e b u t t ò comp r a n d o l a p a c e dalla D a n i m a r c a p e r u n milione d i talleri. Aveva capito c h e il p e r i c o l o n o n e r a quello, ma il colosso russo, cui occorreva p r e c l u d e r e gli sbocchi sul Baltico p r i ma che si fosse organizzato sotto il p o t e r e centralizzatore dei suoi Zar Romanov. C o n u n a fulminea spedizione si annesse la C a r d i a O r i e n t a l e e l'Ingria fino all'odierna L e n i n g r a d o , s t r a p p a n d o alla D a n i m a r c a l ' e g e m o n i a s u l l ' E u r o p a n o r d orientale. Q u e s t a e r a p r e s s a p p o c o l ' E u r o p a alla vigilia della G u e r ra dei T r e n t ' a n n i . Ma p r i m a di a d d e n t r a r c i in questa ingarbugliata vicenda, occorre d a r e u n o s g u a r d o anche al n u o v o m o n d o d ' o l t r e Atlantico, c h e i r r o m p e anch'esso nella Storia.
CAPITOLO TERZO
L'ALTRO O C C I D E N T E
Sono pochi gli e u r o p e i del Seicento ad accorgersi che l'Occ i d e n t e si allarga: l'America sta e n t r a n d o nella sua cerchia. Essa è ancora u n a t e r r a remotissima, di leggenda. Ma la sua conquista è in p i e n o sviluppo, e fra poco farà sentire i suoi sconvolgenti effetti sui c o n q u i s t a t o r i . C e r c h i a m o di d a r n e u n a rapida retrospettiva. Sono avvenimenti in gran parte del C i n q u e c e n t o , che c r o n o l o g i c a m e n t e a v r e b b e r o d o v u t o r i e n t r a r e ne L'Italia della Controriforma. Se ne p a r l i a m o solo ora, è p e r c h é solo o r a c o m i n c i a n o a esercitare influssi sull'Europa, e q u i n d i a n c h e sul nostro Paese. I p r i m i a gettarsi sulle rotte oceaniche che Colombo aveva a p e r t o con le sue piccole caravelle furono gli spagnoli. Il g r a n d e n a v i g a t o r e g e n o v e s e aveva c r e d u t o c h e l e Antille, dov'era sbarcato, fossero un arcipelago dell'Estremo O r i e n te. Ma i suoi successori fecero p r e s t o ad accorgersi che quelle isole e r a n o invece l'antemurale di un i m m e n s o continente, e lo p r e s e r o d'assalto. Protagonisti di quest'avventura fur o n o u n p u g n o d i spericolati che a g i r o n o d i p r o p r i a iniziativa, in piccoli g r u p p i , senz'aspettare gli o r d i n i del loro gov e r n o e senza riceverne alcun aiuto. I conquistadores n o n volevano colonizzare il n u o v o m o n d o . Volevano soltanto saccheggiarlo p e r c h é avevano sentito dire c h ' e r a p i e n o d ' o r o , d ' a r g e n t o e di spezie. D a p p r i n c i p i o si c o n t e n t a r o n o di C u b a e delle altre isole del Mar dei Caràibi. Ma p r o p r i o l'anno dell'elezione di Carlo V a I m p e r a t o r e (1519), u n o di loro gettò le a n c o r e nella baia messicana di Vera Cruz. Si chiamava F e r n a n d o Cortes, ed e r a un piccolo nobile castigliano tagliato nella stoffa di 42
C e s a r e Borgia. N o n aveva letto Machiavelli p e r c h é e r a semianalfabeta, ma lo aveva n e l s a n g u e . Alla testa della sua piccola c i u r m a di p r e d o n i , si a v v e n t u r ò in quella t e r r a di cui n u l l a sapeva, senza lasciarsi i n t i m o r i r e dalle t e s t i m o n i a n z e della g r a n d e civiltà cui si t r o v ò di f r o n t e : e r o i c h e strade scavate nella roccia, ciclopiche m u r a , m e t r o p o l i chiuse d e n t r o i loro bastioni. Q u e s t a civiltà e r a fatta di strati s o v r a p p o s t i . A iniziarla e r a stata u n a p o p o l a z i o n e i n d i g e n a dell'America centrale, i Maya, circa millecinquecento a n n i p r i m a . Poi i Maya e r a n o stati sopraffatti da un'altra popolazione più settentrionale, i Toltechi, che avevano esteso il loro d o m i n i o su tutto il Messico, ma a loro volta e r a n o stati ridotti in servitù dai p i ù bellicosi Aztèchi, gli attuali p a d r o n i . Gli Aztèchi n o n avevano distrutto i loro predecessori. Li avevano semplicemente d e g r a d a t i a schiavi. E questo condizionava il l o r o r e g i m e m o l t o simile alle a n t i c h e s a t r a p ì e orientali. T u t t o il p o t e r e e tutti i privilegi e r a n o m o n o p o l i o di u n a casta d o m i n a n t e incarnata in un capo militare, il tlatuano. La loro unica occupazione e r a la g u e r r a , cui gli schiavi fornivano la cosiddetta «carne da cannone», oltre ai frutti delle loro fatiche. C o m e tutti i regimi di lavoro forzato, anc h e quello degli Aztèchi e r a b a s a t o sul t e r r o r e poliziesco, che alimentava fra le vittime m o l t e scontentezze. E fu q u e sto che i m m e d i a t a m e n t e capì Cortes, p u r essendo assolutam e n t e n u o v o del paese e i g n o r a n d o n e storia, geografia, costumi e lingua. Lo spagnolo n o n aveva che settecento u o m i n i e u n a diecina di c a n n o n i . Affrontare, con queste miserevoli forze, un i m p e r o c o m e quello azteco, sembrava u n a follia. E tale forse si s a r e b b e d i m o s t r a t a , senza l ' i n t e r v e n t o di un fattore sul q u a l e n e m m e n o C o r t e s c o n t a v a . Fra q u e i suoi s e t t e c e n t o u o m i n i , ce n ' e r a n o quattordici a cavallo. La p r i m a popolazione con cui si s c o n t r a r o n o n o n aveva mai visto quegli animali, d a p p r i n c i p i o c r e d e t t e c h e facessero t u t t ' u n o coi cavalieri, e q u a n d o vide u n o di costoro s m o n t a r e di sella, ri44
mase sbigottita c o m e da un sortilegio, si a r r e s e all'aggressore e passò dalla sua p a r t e . La voce corse su p e r l'altipiano a rinfocolarvi lo spirito di rivolta c o n t r o l'oppressione aztèca. Un'altra tribù, i Tlaxaltechi, si mise agli o r d i n i dell'invasore. Ma n e m m e n o questi aiuti p o t e v a n o rovesciare il r a p p o r t o di forze che restava largamente favorevole agli Aztèchi. Il loro t l a t u a n o si chiamava M o n t e z u m a , e n o n si d i m o strò all'altezza della t r a d i z i o n e g u e r r i e r a d e l suo p o p o l o . Spaurito, dicono, dal r u m o r di t u o n o dei c a n n o n i spagnoli, d a p p r i m a si rinchiuse nella capitale, Tenochtitlan; poi scese a trattative con C o r t e s , s p e r a n d o p r o b a b i l m e n t e di r a g g i rarlo. Cortes gli p r o m i s e di lasciarlo sul t r o n o , anzi di p u n tellarvelo, se il t l a t u a n o gli a p r i v a le p o r t e della città. U n a volta e n t r a t i , gli s p a g n o l i si d i e d e r o a un sistematico saccheggio. Il materiale n o n m a n c a v a p e r c h é gli Aztèchi avevano s e m p r e p r a t i c a t o u n ' e c o n o m i a di tesaurizzazione acc u m u l a n d o , grazie al lavoro forzato degli schiavi, o r o e pietre preziose. E gli spagnoli n o n cercavano altro. Q u a n d o alcuni nobili aztèchi si ribellarono a quella spoliazione, Cortes ne d i e d e la colpa a M o n t e z u m a ; d o p o averlo i m p r i g i o n a t o lo fece s o p p r i m e r e , e ne assunse il p o t e r e in n o m e dell'imp e r a t o r e Carlo V. Costui era r a p p r e s e n t a t o dal viceré Velasquez, che risiedeva a C u b a e c h e n o n aveva a u t o r i z z a t o la s p e d i z i o n e di Cortes. Vedendosi scavalcato da lui, m a n d ò un distaccamento ad arrestarlo. Cortes, che conosceva i suoi polli, invece di p r e n d e r e i soldati a c a n n o n a t e , l'invitò a p a r t e c i p a r e al bottino, e li ebbe tutti con sé. Ma o r m a i gli Aztèchi si e r a n o svegliati, a v e v a n o t r o v a t o nel fratello di M o n t e z u m a , Cuit l à h u a c , un t l a t u a n o c o r a g g i o s o e risoluto. E, c h i a m a t e a raccolta d a l l ' i n t e r n o d e l Paese l e l o r o g u a r n i g i o n i , e r a n o passati alla controffensiva. I c o n q u i s t a t o r i , circondati, riuscirono con u n a sortita a r o m p e r e l'assedio, ma ci rimisero i d u e terzi delle loro forze, e fu b u o n p e r i superstiti che i fedeli Tlaxaltechi li accogliessero nel p r o p r i o territorio. C o n la loro p r o t e z i o n e e complicità, C o r t e s r i p r e s e contatti coi 45
capi dell'opposizione indigena, con loro ricostituì un esercito, e di lì a p o c o fu lui a c i r c o n d a r e il n e m i c o asserragliato nella capitale. Per mesi ve lo lasciò c o n s u m a r e di fame e di sete. Poi lanciò le sue t r u p p e all'assalto con l'ordine di n o n fare prigionieri. Infatti n o n ce ne furono. Di lì a poco, colui c o n t r o il quale il viceré aveva spiccato m a n d a t o d ' a r r e s t o ricevette d a l l ' I m p e r a t o r e la n o m i n a a g o v e r n a t o r e della Nuova Spagna, c o m e il Messico lì p e r lì fu chiamato. E allora si vide che il Conquistador n o n era soltanto un p r e d o n e avido e t e m e r a r i o . Col suo p u g n o di u o m i n i di poco rinforzato da modesti contingenti, mise in piedi un g o v e r n o tirannico ma efficiente, organizzò polizia e tribunali, divise le popolazioni in m o d o da giuocare le u n e c o n t r o le altre, e lanciò i suoi distaccamenti alla conquista delle terr e circonvicine. N o n e r a n o c h e p a t t u g l i e della forza d i u n p l o t o n e . E p p u r e u n a di esse p i a n t ò le sue b a n d i e r e in California d o v e mise su un a r s e n a l e p e r il v a r o di u n a flotta spagnola del Pacifico, u n ' a l t r a nel Texas, u n a si spinse fino al Mississippi, a l t r e invece scesero al S u d e i n c a m e r a r o n o G u a t e m a l a , H o n d u r a s e P a n a m a . Bisogna risalire ad Aless a n d r o M a g n o e ai Califfi di M a o m e t t o p e r t r o v a r e e s e m p i di conquiste altrettanto folgoranti. Il loro protagonista ebbe il titolo di Marchese, ma poi fu messo in d i s p a r t e dal S o v r a n o cui aveva regalato un i m p e r o , e q u a n d o t o r n ò in p a t r i a n o n fu r i c e v u t o n e m m e n o a Corte. Seguitò tuttavia a servire i n t r e p i d a m e n t e il suo Paese che lo ignorava, e in p u n t o di m o r t e chiese soltanto che le sue spoglie fossero traslate nel suo Messico. Il g o v e r n o di M a d r i d vi si decise solo d o p o molti a n n i . Se è v e r o c h e la grandezza di un p o p o l o la si m i s u r a a n c h e dalla sua ingratit u d i n e , la S p a g n a di quei secoli e r a davvero i m m e n s a . M e n t r e l'aristocratico Cortes compiva i suoi raids al n o r d del Mar dei Caràibi, un p o r c a r o andaluso, rozzo e analfabeta, Francisco Pizarro, e un soldataccio di v e n t u r a , Diego de Almagro, ne imitavano le gesta al sud. Ricercato dalla polizia p e r debiti, n o n si sa c o m e Pizarro riuscì a farsi d a r e dal46
l ' I m p e r a t o r e l'investitura a g o v e r n a t o r e su q u e i t e r r i t o r i che oggi si c h i a m a n o Colombia ed Ecuador. Forse l'ottenne perché erano territori ancora da conquistare. Pizarro si dispose a farlo con p o c h e centinaia di p r e d o n i prezzolati di q u a e di là. Ma subito dalla costa p r e s e a risalire l'altopiano del Perù, d o v e aveva sentito d i r e che l'oro si sprecava. D'oro, ce n ' e r a infatti moltissimo. Si accumulava nei forzieri d e g l ' I n c a , u n a t r i b ù g u e r r i e r a c h e aveva p r e s o il sop r a v v e n t o sulle p o p o l a z i o n i i n d i g e n e : i Q u e c h u a . GITnca dicevano di discendere dal dio Sole e costituivano u n a casta militare e sacerdotale, che esercitava un p o t e r e assoluto. Il loro Stato e r a totalitario, e la sua e c o n o m i a si basava, c o m e quella degli Aztèchi, sul lavoro forzato. Le città e r a n o scavate nella roccia e collegate da strade che r a p p r e s e n t a v a n o capolavori d ' i n g e g n e r i a e assicuravano il controllo del p o t e r e centrale. Q u e s t o e r a p i ù efficiente di quello azteco, specie sul p i a n o tributario. Drenava tutta la p r o d u z i o n e nazionale - m i n e r a r i a , agricola e artigiana -, ne ripartiva un'aliquota fra la popolazione secondo un criterio s t r e t t a m e n t e egalitario che n o n consentiva differenze di ceti e di classi, e accum u l a v a il grosso n e i m a g a z z i n i della casta d o m i n a n t e c h e forniva in esclusiva i q u a d r i dell'esercito e della burocrazia. Il privilegio era giustificato dall'origine divina che gl'Inca si attribuivano e che gli altri Q u e c h u a n o n gli c o n t e s t a v a n o . Ma se essa li m e t t e v a al r i p a r o d a l l ' i n s u b o r d i n a z i o n e dei soggetti, n o n li salvava dalle p r o p r i e dissidenze i n t e r n e . E q u a n d o Pizarro arrivò, c e n ' e r a a p p u n t o u n a c h e divideva la famiglia reale, in cui si accentrava p e r diritto ereditario il s u p r e m o c o m a n d o : quella fra il re A t a h u a l p a e suo fratello Huàscar. H u à s c a r alla fine e r a stato eliminato. Ma aveva lasciato u n a fazione smaniosa di vendetta. Pizarro e r a al c o r r e n t e di questi avvenimenti, q u a n d o a un certo p u n t o della sua scalata si trovò di fronte allo sterminato esercito degl'Inca. Il p o r c a r o a n d a l u s o n o n se ne lasciò s g o m e n t a r e . I n v i t ò a un c o l l o q u i o A t a h u a l p a c h e fiduciosamente vi si p r e s e n t ò , lo mise in c a t e n e , e lanciò i 47
suoi pezzenti all'attacco. La fulmineità dell'azione s o r p r e s e gl'Inca che si lasciarono t r u c i d a r e dagli archibugi degli spagnoli p r i m a di esser v e n u t i c o n l o r o a c o n t a t t o di lancia e p u g n a l e , uniche loro armi. Pizarro a r r e s t ò m a g n a n i m a m e n te il macello p e r p r o p o r r e ai s u p e r s t i t i la r e s t i t u z i o n e di Atahualpa dietro adeguato compenso d'oro e di g e m m e . Siccome un figlio del Sole n o n ha prezzo, il c o m p e n s o fu altissimo. Q u a n d o f u i n t e r a m e n t e p a g a t o , P i z a r r o c o n v o c ò A t a h u a l p a , n o n p e r restituirlo ai suoi, ma p e r incriminarlo di fratricidio. Il processo fu r a p i d o e si concluse con la cond a n n a a m o r t e che fu subito eseguita. D o p o d i c h é il p o r c a r o e i suoi masnadieri, che o r a n a s c o n d e v a n o i loro stracci sotto collane d ' o r o e p e n d a g l i di p i e t r e preziose, r i p r e s e r o la marcia verso la capitale, Cuzco. Sotto l e m u r a della città f u r o n o r a g g i u n t i d a A l m a g r o , cui e r a arrivata n o n si sa c o m e la voce del favoloso b o t t i n o p e r u v i a n o , e c h e a c c o r r e v a p e r p a r t e c i p a r v i a n c h e lui coi suoi p r e d o n i . A l m a g r o e Pizarro e r a n o vecchi c o m p a r i . Insieme avevano partecipato ad altri saccheggi, ma poi avevano litigato p e r il t r a t t a m e n t o di privilegio che Pizarro aveva ricevuto con la n o m i n a a g o v e r n a t o r e . Fecero pace p e r unire le loro forze, t o r n a r o n o a litigare d o p o la vittoria p e r la spartizione della p r e d a , e alla fine la controversia fu risolta dal tribunale più indicato a d i r i m e r e vertenze fra simili p r o tagonisti: il p u g n a l e . E fu Almagro a farne le spese. Lasciava p e r ò u n f i g l i o , Diego, che t r e a n n i d o p o p a r e g g i ò i l c o n t o , facendo fare a Pizarro la stessa fine. P r i m a p e r ò che tutto questo avvenisse, il p o r c a r o a n d a l u so aveva c o m p i u t o u n ' i m p r e s a che n o n aveva nulla da invidiare a quella di Cortes. Lanciati alla v e n t u r a , i suoi distacc a m e n t i a v e v a n o p i a n t a t o b a n d i e r a in Bolivia e in Cile sul Pacifico, e si e r a n o ricongiunti ai capisaldi spagnoli che altri conquistadores avevano stabilito in Venezuela sull'Atlantico. E n o n c'è c h e d a d a r e u n o s g u a r d o alla c a r t a geografica p e r r e n d e r s i c o n t o della grandiosità di q u e s t a e p o p e a . La conquista spagnola si stendeva o r a dal Mississippi, nell'America 48
del N o r d , al Rio della Piata in quella del Sud. E a compierla e r a n o stati m e n o di diecimila straccioni a r m a t i di grossolani archibugi con le m u n i z i o n i contate. Se n o n avevano incontrato resistenze invincibili d a p a r t e d e g l ' i n d i g e n i , avevano tuttavia d o v u t o sfidare la giungla, i climi t o r r i d i dell'Equatore e quelli gelidi delle A n d e , la fame, la sete, Io s g o m e n t o dell'ignoto. E r a n o p e r la maggior p a r t e avanzi di galera. Ma è con questo materiale u m a n o che si costruiscono gl'imperi. L'Europa del C i n q u e c e n t o aveva quasi t o t a l m e n t e i g n o r a t o questa e p o p e a . Ma già ai p r i m i del Seicento i suoi effetti com i n c i a v a n o a farsi s e n t i r e d a p p e r t u t t o , a n c h e n e l n o s t r o Paese. E p e r motivi e v i d e n t i . L'Italia, p u r a v e n d o v i d a t o avvìo coi suoi g r a n d i navigatori, e r a r i m a s t a tagliata fuori da questa g r a n d e a v v e n t u r a . Ma essa faceva p a r t e dell'imp e r o spagnolo che ne e r a invece il massimo protagonista. Il contraccolpo e r a inevitabile. I sovrani spagnoli n o n p e n s a v a n o di costruire un i m p e r o . Nell'affidare le tre caravelle a C o l o m b o , re F e r d i n a n d o gli aveva r a c c o m a n d a t o di p o r t a r e i n d i e t r o q u a n t o più o r o trovava, e la r e g i n a Isabella di c o n v e r t i r e al c r i s t i a n e s i m o q u a n t i p i ù i n d i g e n i p o t e v a . I l o r o successori r i p e t e r o n o p r e s s a p p o c o le m e d e s i m e direttive ai soldati, ai m a r i n a i , ai funzionari e ai missionari che s ' i m b a r c a v a n o . L'organizzazione dei viaggi e r a m o n o p o l i o di u n ' a g e n z i a , la Casa de contratación di Siviglia, c h e p r o v v e d e v a a r e c l u t a r e i volontari, a n o l e g g i a r e le navi e a p r e l e v a r e p e r c o n t o dello Stato un'imposta sui metalli preziosi che i reduci riportavano in patria, p a r i alla m e t à del loro valore. Q u e s t a e r a l'unica cosa che i m p o r t a v a al g o v e r n o di M a d r i d . Per esso le Indias, c o m e si seguitava a c h i a m a r e le A m e r i c h e , e r a n o soltanto u n a riserva d ' o r o . Privi di carte geografiche, all'oscuro sull'estensione e ubicazione di quelle l o n t a n e t e r r e , i b u rocrati castigliani m i s u r a v a n o le i m p r e s e dei loro conquistadores u n i c a m e n t e sui quantitativi di metallo che fruttavano. N o n avevano del tutto torto p e r c h é infatti quegli avven49
turieri e r a n o dei p r e d o n i , n o n dei colonizzatori e solo all'or o b a d a v a n o . Saccheggiata u n a r e g i o n e , n e o c c u p a v a n o un'altra: ma s e m p r e e soltanto p e r farvi bottino. Q u e s t o bott i n o lo t r o v a r o n o d a p p r i m a , già confezionato, nei forzieri degli Aztèchi e degl'Inca. E a b b i a m o visto c o m e lo incamer a r o n o . Ma questa fonte di rifornimento n a t u r a l m e n t e fece p r e s t o a esaurirsi. E allora occorse rifarsi alle miniere. Ma le m i n i e r e volevano braccia che le scavassero alla ricerca dei filoni, e gli spagnoli e r a n o pochi e allergici al piccone. Ci misero gì'indios, che del resto e r a n o già stati abituati al lavoro forzato dai vecchi p a d r o n i aztèchi e inca. E così n a c q u e il sistema dell'encomienda, che assegnava a ogni colono, assieme a u n a vasta a r e a di p r o s p e z i o n e , un certo n u m e r o di indios ridotti a servitù di gleba. F u r o n o le circostanze a i m p o r r e p o i u n ' e v o l u z i o n e , q u a n d o , esauritesi a n c h e le m i n i e r e , i coloni a d i b i r o n o i loro latifondi a l l ' a g r i c o l t u r a e a l l ' a l l e v a m e n t o del b e s t i a m e . Q u e s t o n o n migliorò la sorte degì'indios che r i m a s e r o servi della gleba, a n c h e se di u n ' a l t r a gleba. Ma ciò r i g u a r d a la storia americana, ai cui testi (e ce ne sono di appassionanti) r i m a n d i a m o il lettore. In E u r o p a , il p r i m o contraccolpo fu di n a t u r a economica. La S p a g n a n o n era costituzionalmente un Paese p o v e r o p e r c h é di risorse nelle sue viscere ne aveva e t u t t o r a ne ha. Ma e r a i m p o v e r i t o dalla sua politica di g r a n d e z z a militare c h e s t r a p p a v a gli u o m i n i d a i c a m p i p e r f a r n e d e i soldati. G r a n d i , g r a n d i s s i m i soldati, ma i m p r o d u t t i v i c o m e t u t t i i soldati. Il lavoro e r a riservato agli scarti di leva, e perciò era diventato, c o m e a b b i a m o già d e t t o , il disprezzato m o n o p o lio degli ebrei e dei moriscos - i residui dell'occupazione araba f o r z a t a m e n t e convertiti al cristianesimo -, che l'esercito rifiutava. Q u a n d o la ventata d'intransigenza cattolica portata dalla C o n t r o r i f o r m a spinse i Re spagnoli a p e r s e g u i t a r e e scacciare queste d u e m i n o r a n z e , il Paese si ridusse a u n a cas e r m a che viveva u n i c a m e n t e di ciò che i suoi soldati arraffavano nelle t e r r e conquistate, e specialmente in F i a n d r a e 50
in Italia. Carlo V, il g r a n d e i m p e r a t o r e sui cui d o m i n i il sole n o n t r a m o n t a v a mai, era u n o squattrinato che riusciva a par e g g i a r e i suoi cronici disavanzi di bilancio solo grazie ai prestiti dei b a n c h i e r i tedeschi F u g g e r (i quali n o n riuscirono mai a farseli r i m b o r s a r e né da lui né dal figlio, e a un certo p u n t o , come abbiamo detto, fallirono). N o n e r a facile trovare d a n a r o p e r c h é l ' E u r o p a era p o v e r a di metalli, e q u i n d i di circolante. Era questo, anzi, che faceva ostacolo al decollo del capitalismo. I ceti i m p r e n d i t o r i a l i c ' è r a n o , s o p r a t t u t t o nei Paesi del N o r d . C ' e r a n o i tecnici. C'era un a b b o n d a n t e e abile artigianato. Mancava il capitale. E il p o c o disponibile e r a d r e n a t o dal fisco spagnolo e dalle b a n c h e infeudate alla Spagna p e r alimentare gli eserciti e le flotte di M a d r i d . Ecco perché la S p a g n a in America cercava soltanto l'oro. E l'oro arrivò. D a p p r i n c i p i o fu quello p r e d a t o a M o n t e z u m a e A t a h u a l p a c h e , se r e s e m i l i a r d a r i gli straccioni di Cortes e di Pizarro, n o n r a p p r e s e n t ò tuttavia nulla di risolutivo p e r l'esausto T e s o r o s p a g n o l o . Ma verso la m e t à del C i n q u e c e n t o i conquistadores a f f o n d a r o n o i l o r o picconi, o meglio i picconi dei loro schiavi, negl'inesauribili giacimenti d'argento del Perù e del Messico. E allora fu l'alluvione. Sui moli della Casa de contratación i galeoni c o m i n c i a r o n o a riversare fiumi di metallo. Carlo V fece in t e m p o a vederli, e forse p e n s ò che o r a poteva t r a n q u i l l a m e n t e c e d e r e il p o t e r e affiglio Filippo cui, con quella ricchezza, sarebbe stato facile ricostituire u n g r a n d e i m p e r o cattolico e u r o p e o . A quei tempi, l'economia politica e r a u n a scienza ancora sconosciuta. E q u i n d i n o n si p u ò r i m p r o v e r a r e né a Carlo né ai suoi successori il fatto di n o n a v e r p r e v i s t o le conseguenze d e l l ' a v v e n i m e n t o . Ma esse f u r o n o sconvolgenti. In p r o p o r z i o n e con la moltiplicazione del circolante, salirono v e r t i g i n o s a m e n t e i prezzi delle d e r r a t e . Le p r i m e vittime furono, c o m e al solito, i ceti che vivevano di r e d d i t i fissi, e quelli dei professionisti e degli o p e r a i , i cui salari n o n ten_x- g o n o mai il passo di questi rincari. Ne a p p r o f i t t a r o n o i con*adini, m a g g i o r a n d o c o n t i n u a m e n t e il prezzo dei loro p r o 51
dotti. Ma fu un profitto effimero p e r c h é con t u t t o il resto salirono a n c h e i canoni di affitto che l'agricoltore pagava al p r o p r i e t a r i o , n o n c h é i l p r e z z o delle m e r c i ch'esso n o n p r o d u c e v a e doveva acquistare. C o m e s e m p r e avviene, ins o m m a , l'inflazione coinvolgeva nei suoi effetti devastatori t u t t e le classi sociali, m i n a n d o e r e n d e n d o instabile la m o neta. E l'instabilità della m o n e t a - dice L e n i n , che di queste cose s ' i n t e n d e v a a b b a s t a n z a - è la p r e m e s s a della rivoluzione. Q u e s t a rivoluzione n o n si tradusse soltanto in barricate. Anche di queste ce ne furono un p o ' d o v u n q u e . Ma la rivoluzione vera fu la involuzione sociale che ne derivò. L'unico ceto al r i p a r o da questo cataclisma e r a quello dei militari e dei burocrati preposti alla conquista. Per finanziarla, essi p o tevano attingere senza limiti al fiume d ' o r o che i galeoni rovesciavano sui moli di Siviglia. N a t u r a l m e n t e u n a b u o n a aliq u o t a r i m a n e v a nelle loro tasche. Ma un p o ' p e r c h é p r o v e nivano quasi tutti dall'aristocrazia feudale che n o n concepiva altra ricchezza c h e quella immobiliare, un p o ' p e r c h é la svalutazione colpiva senza p i e t à tutti gli altri investimenti r e n d e n d o l i i m p r o d u t t i v i , questi profittatori i m p i e g a r o n o i loro miliardi a ricostituire i g r a n d i latifondi c o n le briciole delle piccole p r o p r i e t à costrette alla svendita. Q u e s t e e r a n o infatti a p p a n n a g g i o di u n a piccola nobiltà che viveva parass i t a r i a m e n t e di c a n o n i di affìtto c o n t i n u a m e n t e scavalcati dall'inflazione. Il peculio ricavato dalla vendita dei loro beni si volatilizzò r a p i d a m e n t e e li costrinse a cercare altre fonti di g u a d a g n o . Ma n o n ce n ' e r a che u n a p e r u o m i n i inabili a o g n i l a v o r o : la s p a d a al servizio del Re. Così si r i f o r m ò , sulla r o v i n a di t u t t e le categorie p r o d u t t i v e , la società m e dievale. Al vertice, i g r a n d i dignitari che m o n o p o l i z z a v a n o tutte le alte cariche civili e militari e inglobavano nei loro latifondi i n t e r e province. Nelle loro a n t i c a m e r e , i piccoli n o bili, spadaccini disoccupati alla ricerca di favori e di «posti»: turbolenta genìa che in Spagna alimentò soprattutto le schiere dei conquistadores. Alla base, un amorfo proletariato 52
di contadini in miseria, di artigiani senza clienti, di m e r c a n ti falliti- Le borghesie cittadine i n s o m m a e r a n o state sopraffatte da u n a macchina statale che con l'inflazione aveva svalutato i l o r o r i s p a r m i . Il t o r r e n t e d e l l ' o r o e d e l l ' a r g e n t o a m e r i c a n i , c h e a v r e b b e r o p o t u t o o s s i g e n a r e il n a s c e n t e capitalismo, finiva i n t e r a m e n t e nelle insaziabili fauci delle flotte, degli eserciti e del loro sottobosco amministrativo. I partigiani del materialismo storico, secondo cui alla base di qualsiasi avvenimento n o n c'è che il fattore economico, d i c o n o c h e fu q u e s t a i n v o l u z i o n e a p r o v o c a r e la Riforma. N o n è vero. E n o n coincidono n e m m e n o le date. La Riform a p r e s e avvìo p a r e c c h i d e c e n n i p r i m a d e l g r a n d e sconquasso m o n e t a r i o , i cui effetti c o m i n c i a r o n o a farsi sentire solo sulla fine del C i n q u e c e n t o . A provocarla e alimentarla f u r o n o i n n a n z i t u t t o e s o p r a t t u t t o degli aneliti spirituali e morali. Ma n o n c'è d u b b i o c h e lo s c o n q u a s s o c o n t r i b u ì al s u o successo, e il suo successo c o n t r i b u ì a limitare lo sconquasso e anzi a i n v e r t i r n e le conseguenze. Basta v e d e r e come diversamente reagirono le due borghesie europee. jQuelle cattoliche italiane si lasciarono r o v i n a r e senza resistenza. C o m e a v e v a n o accettato il giogo politico e militare della Spagna, così ne s u b i r o n o il sistema economico e il m o dello sociale. Quelle olandesi e inglesi, infiammate dal calvin i s m o , a p p r o f i t t a r o n o della colata d ' o r o p e r sviluppare industrie, e al militarismo spagnolo o p p o s e r o vittoriosamente il loro produttivismo. Così l'Occidente vieppiù si divise. Da -*I
ne d e i c o n s u m i . A b b i a m o visto gli Aztèchi di M o n t e z u m a sbigottiti davanti all'apparizione del c e n t a u r o - b i p e d e dalla cintola in su, q u a d r u p e d e dalla cintola in giù - che a un certo p u n t o si scomponeva in d u e animali diversi. Il cavallo essi n o n lo avevano m a i visto. N o n ce n ' e r a , nelle A m e r i c h e . Ma c ' e r a n o in c o m p e n s o s t e r m i n a t e p r a t e r i e , d o v e i q u a t tordici cavalli di Cortes e quelli dei suoi l u o g o t e n e n t i e successori t r o v a r o n o un ideale habitat p e r moltiplicarsi p r o d i giosamente. Altra fauna ignota agl'indigeni e r a n o il b u e e la p e c o r a . N o n s a p p i a m o q u a l e d e i conquistadores ebbe l'idea d ' i m p o r t a r l i laggiù, e anch'essi vi si t r a s f o r m a r o n o r a p i d a m e n t e in greggi e m a n d r i e allo stato b r a d o . Questi furono i regali c h e l ' E u r o p a fece all'America, a p a r z i a l e c o m p e n s o dei saccheggi compiuti ai suoi d a n n i . Regali interessati p e r ché p o i q u e l b e s t i a m e si rivelò u n a ricchezza p i ù p r e z i o s a dell'oro. Ma p e r i coloni, n o n p e r i poveri indigeni. L'Europa d ' a l t r o n d e se la fece subito restituire. Pizarro, p e r p a g a r e i suoi schiavi, si era servito della loro stessa m o neta che, oltre tutto, a lui n o n costava nulla p e r c h é consisteva nei g r a n i di u n a p i a n t a locale. E r a il cacao. U n a volta assaggiatolo, i suoi p r e d o n i ne d i v e n t a r o n o subito ghiottissimi. Alcuni di essi, q u a n d o i forzieri dei vinti furono vuotati e le m i n i e r e d ' o r o esaurite, si d i e d e r o a coltivarlo e di q u a d a l l ' O c e a n o t r o v a r o n o subito u n a clientela con cui avviare un florido commercio. Subito d o p o fu la volta della c a n n a da zucchero, che p r o vocò un'autentica rivoluzione. Il Vecchio M o n d o la conosceva già: l'avevano i m p o r t a t a gli Arabi in S p a g n a e in Sicilia. Ma e r a n o piccole p i a n t a g i o n i , e il l o r o p r o d o t t o r a p p r e sentava il lusso dei ricchi. L'America, che ne traboccava, lo mise alla p o r t a t a di o g n i tasca, e tutta l'alimentazione degli e u r o p e i ne fu trasformata. N o n solo. Ma con la c a n n a si fecero a n c h e le melasse, e dalle melasse si distillò u n a bevand a c h e d o v e v a l a r g a m e n t e influire sul c o s t u m e d e l l'Occidente: il r u m . Alcuni dietisti m o d e r n i dicono che, assieme al tè e al caffè suoi coetanei sui nostri mercati, il r u m 54
s e g n ò u n a svolta p e r i l c a r a t t e r e d e l l ' u o m o e u r o p e o , svegliandone i riflessi e la fantasia, e che a questo si deve l'accelerazione d e l suo p r o g r e s s o . Q u e s t o forse è eccessivo. Ma n o n c'è d u b b i o che su u n a p o p o l a z i o n e , la quale sin allora n o n aveva conosciuto a l t r o eccitante c h e il vino e la b i r r a , l'uso di queste n u o v e b e v a n d e e quello del tabacco che cominciò a diffondersi s u b i t o d o p o , q u a l c h e effetto d o v e t t e sortirlo. N e sortì c o m u n q u e sui c o m m e r c i c h e v i d e r o u n a frenetica corsa a questi p r o d o t t i . Le Antille con le loro mille isolette d i v e n t a r o n o la base di o p e r a z i o n e di quella specie d'internazionale della pirateria che fu la famosa Filibusta. Le sue c i u r m e ubriache di r u m furono la d a n n a z i o n e delle flotte mercantili e u r o p e e e c o n t r i b u i r o n o g r a n d e m e n t e , schierandosi o r a dall'una, o r a dall'altra p a r t e , alla lotta competitiva che si era scatenata tra le p o t e n z e navali e u r o p e e , e specialmente tra quella spagnola e quella olandese. Altri p r o d o t t i a r r i v a n o dal n u o v o m o n d o , a rivoluzionare n o n solo la dieta, ma il c o s t u m e di quello vecchio, e p e r fino a crearvi n u o v i r a p p o r t i di forza. A r r i v a n o la vainiglia, l'indaco, la c h i n a . A r r i v a il p o m o d o r o . A r r i v a n o i fagioli. Arriva la p a t a t a che, t r a p i a n t a t a in Prussia, la riscatterà dalla sua e n d e m i c a fame e le c o n s e n t i r à di d i v e n t a r e u n a p o tenza. Tutto questo d i e d e avvìo - su scala, si capisce, molto più ridotta r i s p e t t o a quella d ' o g g i - a u n a n u o v a «civiltà dei consumi» che n o n m a n c ò di p r o v o c a r e le sue c o n s e g u e n z e a n c h e sul p i a n o e c o n o m i c o e sociale. O r a alle carestie, che seguitavano a tribolare l'Europa, c'era qualche r i m e d i o . Ess o n o n consisteva t a n t o nei r i f o r n i m e n t i c h e g i u n g e v a n o d'oltre O c e a n o , q u a n t o nella possibilità di c e r c a r e s c a m p o laggiù. L'emigrazione e r a u n ' a v v e n t u r a da s g o m e n t a r e anche i p i ù a u d a c i . Si calcola c h e i d u e terzi di coloro che la tentavano m o r i v a n o di naufragio o di stenti d u r a n t e il viaggio e nel p r i m o p e r i o d o d'insediamento. I g r a n d i esodi n o n e r a n o ancora cominciati. Ma già ai p r i m i del Seicento risulta che circa 200.000 e u r o p e i si e r a n o trasferiti oltre O c e a n o . 55
Fra di essi, italiani n o n ce n ' e r a n o , salvò q u a l c h e m a r i naio di servizio nelle flotte s p a g n o l e . La S p a g n a praticava nelle sue colonie u n a politica p u n t i g l i o s a m e n t e discriminatoria, r i s e r v a n d o l e solo ai suoi sudditi. E così i c o m p a t r i o t i di Colombo, di Vespucci, di Vei-razzano, cioè di coloro che avevano scoperto queste n u o v e t e r r e , ne furono esclusi. Ma ciò n o n toglie che a n c h e l'Italia risentisse del loro sviluppo. N o n soltanto p e r la crisi inflazionistica che, investendo tutta l'Europa, coinvolse a n c h e il nostro Paese con le conseguenze che d i r e m o . N o n soltanto p e r la rivoluzione che i p r o d o t ti a m e r i c a n i p r o v o c a r o n o nei c o n s u m i , e q u i n d i nel costum e . N o n soltanto p e r c h é lo s p o s t a m e n t o dei traffici, delle flotte e dei conflitti di p o t e n z a d a l M e d i t e r r a n e o all'Atlantico contribuì a relegare s e m p r e di più l'Italia in u n a p o sizione periferica e subalterna. Ma a n c h e p e r c h é nel n u o v o m o n d o si s p e r i m e n t a r o n o , c o m e in un ideale laboratorio, le d u e concezioni di vita, i d u e sistemi morali, politici ed economici che si disputavano il p r i m a t o in E u r o p a . Vediamo r a p i d a m e n t e c o m e si stavano d e l i n e a n d o .
CAPITOLO QUARTO
LE DUE AMERICHE
1
3*8=?
«8^
Abbiamo d e t t o c h e le u n i c h e cose che i conquistatori e u r o pei i m p o r t a r o n o in America furono il cavallo, il b u e e la p e cora. D o b b i a m o rettificare. V ' i m p o r t a r o n o a n c h e l e loro idee, la loro mentalità, il loro c o s t u m e . Ed è q u e s t o , m o l t o p i ù che la geografia, a dividere a n c o r oggi quel d o p p i o continente. Per r e n d e r l o p i ù chiaro, limitiamoci a isolare il contrasto nelle sue manifestazioni più clamorose. La conquista spagnola attraversò diverse fasi. La p r i m a si riassunse, c o m e abbiamo visto, in un gigantesco saccheggio, e n a t u r a l m e n t e d u r ò finché ci fu r o b a da saccheggiare. U n a volta dato fondo al tesoro degl'Inca e degli Aztèchi ed esaurito il g e t t i t o delle m i n i e r e col sistema dell'encomienda, i 200.000 fra spagnoli e portoghesi che si e r a n o trasferiti laggiù si rivolsero, p e r c a m p a r e , all'agricoltura e all'allevamento, cioè iniziarono u n a vera e p r o p r i a colonizzazione. N a t u r a l m e n t e lo fecero coi criteri e m e t o d i cui e r a n o stati abituati in patria, cioè r i c r e a r o n o nel n u o v o m o n d o il m o d e l l o politico, e c o n o m i c o e sociale di q u e l l o vecchio. O p e r a z i o n e facile p e r c h é n o n c ' e r a n o forze c h e p o t e s s e r o opporglisi. A p a r t e la scarsa p o p o l a z i o n e i n d i g e n a , che aveva dimostrato la sua i m p o t e n z a lasciandosi debellare al primo u r t o , l'America e r a un c o n t i n e n t e v u o t o : si poteva farne ciò che si voleva. E gli s p a g n o l i ne a p p r o f i t t a r o n o p e r farne u n a specie d i c a r i c a t u r a della S p a g n a nella sua organizzazione t i p i c a m e n t e feudale. O g n u n o di essi si a p p r o p r i ò un vasto latifondo col lavoro forzato degl'indios. Ne derivò u n a società divisa in d u e sole classi n e t t a m e n t e individuate: quella dei p a d r o n i e quella dei servi. Nel corso dei 57
d e c e n n i le cose si modificarono. Ai c o n q u i s t a t o r i v e n u t i di S p a g n a si a g g i u n s e r o i criollos, cioè la loro p r o g e n i e di sang u e bianco nata su suolo a m e r i c a n o , e i mestizos, cioè quella di s a n g u e incrociato con le d o n n e i n d i g e n e . Ma questo fece s e n t i r e i suoi effetti m o l t o p i ù t a r d i . Per t u t t o il S e i c e n t o l'America l a t i n a r i p r o d u s s e p u n t u a l m e n t e i c a r a t t e r i d e l Medio Evo e u r o p e o con le sue g e r a r c h i e sociali e i suoi conc e n t r a m e n t i di p o t e n z a e di ricchezza nelle m a n i della piccola casta d o m i n a n t e . Ma la S p a g n a n o n e r a soltanto questo. Essa e r a a n c h e il braccio secolare della Controriforma, e approfittò dell'America p e r travasarvene gl'ideali. Già Isabella aveva r a c c o m a n dato a Colombo di conquistare a n i m e a Cristo, c o n v e r t e n d o gl'indigeni. I suoi successori e r a n o rimasti ligi alla direttiva, e avevano chiuso l'America agli stranieri a n c h e p e r i m p e d i re che vi entrassero dei protestanti. La volevano i n t e r a m e n te e d e v o t a m e n t e cattolica. E nel clero t r o v a r o n o u n ' a p p a s sionata c o l l a b o r a z i o n e . Sin d a p p r i n c i p i o , fra gli avanzi di galera che formavano le c i u r m e e le t r u p p e dei conquistadores, c'era s e m p r e il missionario col crocifisso, l'aspersorio e l'ostia consacrata nello zaino. Pizarro, d o p o ogni carneficina, si confessava, e il battesimo era la p r i m a cosa che i m p o neva agl'indigeni scampati al massacro. Era un i m p e r o costruito sul s a n g u e , sul furto e sulle messe. Ma i preti n o n si c o n t e n t a r o n o soltanto di benedirlo. Vollero a n c h e f o n d a r v i un loro r e g n o , che fosse di m o d e l l o a tutto il m o n d o , vecchio e n u o v o . Al principio del secolo d u e gesuiti italiani, Cataldino e Mazeta, g i u n s e r o in Paraguay, se ne fecero assegnare un a p p e z z a m e n t o g r a n d e c o m e l'Italia, vi r i c h i a m a r o n o un c e n t i n a i o di confratelli, e vi c r e a r o n o u n a teocrazia di loro invenzione. I circa centomila indios che vi abitavano v e n n e r o distolti con la forza dalle loro n o m a d i abitudini, fissati alla t e r r a e a d d e s t r a t i ai lavori agricoli, all'artigianato e all'allevamento. I frutti di questo lavoro erano raccolti in g r a n d i depositi, cui i b u o n i p a d r i attingevano p e r distribuirne u n a p a r t e agl'indios secondo un criterio ri58
g i d a m e n t e egalitario, e v e n d e r e il resto nelle città vicine p e r l'acquisto di attrezzi, sementi e altro materiale. All'alba suon a n o la c a m p a n a p e r c h i a m a r e il g r e g g e alla messa, gli regolano m i n u z i o s a m e n t e tutta la g i o r n a t a fino al t r a m o n t o , sorvegliano che ciascuno faccia il p r o p r i o d o v e r e con la m o glie, gli s e q u e s t r a n o i figli p e r allevarli s e c o n d o i d e t t a m i della Chiesa e i bisogni della comunità, li n u t r o n o , li vestono, li sposano, ma soprattutto b a d a n o che n e s s u n o sviluppi u n a sua p e r s o n a l i t à c h e possa differenziarlo dagli altri. GYindios n o n h a n n o n e s s u n bisogno di p e n s a r e , visto che i p a d r i p e n s a n o già a t u t t o , a n c h e p e r l o r o . N o n d e b b o n o crescere e d i v e n t a r e u o m i n i . D e b b o n o r e s t a r e d e i b u o n i fanciulli e perciò n o n gli si p e r m e t t e n e m m e n o di p r e n d e r e i voti. Il sacerdozio e il p o t e r e assoluto che vi è connesso restano m o n o p o l i o della piccola casta gesuitica. Un p o t e r e bonario che amministra la giustizia p a t e r n a m e n t e , con u n a severità c o n d i t a d ' i n d u l g e n z a , che p e r i suoi i n t e r r o g a t o r i si serve del confessionale, e tratta il r e a t o c o m e un peccato remissibile con qualche frustata e parecchie avemarie. N o n fu un piccolo episodio m a r g i n a l e e p a s s e g g e r o . La repubblica teocratica del Paraguay d u r ò un secolo e mezzo, cioè fino alla seconda m e t à del Settecento, q u a n d o la C o m pagnia di Gesù fu soppressa. Di colpo, tutto crollò senza lasciare altra traccia che i r u d e r i di qualche chiesa nella foresta. GYindios che da q u a t t r o g e n e r a z i o n i e r a n o sottoposti a quel r e g i m e n o n m o s s e r o u n dito p e r d i f e n d e r l o e contin u a r l o . N o n p o t e v a n o p e r c h é i loro maestri n o n gli avevano insegnato a farlo. Avevano avuto tutto, dai gesuiti. Tutto, m e n o la libertà. E senza libertà n o n a v e v a n o p r o g r e d i t o , non erano mai diventati uomini. E r a n o rimasti, in quel m o n d o m u m m i f i c a t o nel suo a s s o l u t i s m o , d e i fanciulloni abituati a farsi c o m a n d a r e , vestire, n u t r i r e , sculacciare. E u n a volta restituiti a se stessi, r i d i v e n t a r o n o di colpo indios come tutti gli altri, n o m a d i e infingardi. Per sua fortuna, n o n tutta l'America latina subì la stessa sorte. Ma, grazie alla Spagna, essa fu l a r g a m e n t e clericaliz59
zata. I missionari t r o v a r o n o nei cattolicissimi viceré e govern a t o r i spagnoli, un i n c o n d i z i o n a t o aiuto alla realizzazione degl'ideali controriformisti di cui Cataldino e Mazeta avevano incarnato il modello. E i viceré e i governatori t r o v a r o n o nei missionari il p i ù valido a p p o g g i o p e r la c o s t r u z i o n e di u n i m p e r o b a s a t o sul p r i n c i p i o d ' a u t o r i t à , sul p i ù r i g i d o centralismo e sul privilegio delle caste d o m i n a n t i . Tutto veniva dall'alto. Le leggi e r a n o dettate da M a d r i d , cioè da u n a burocrazia che ignorava totalmente la realtà americana, giustizia e polizia e r a n o al soldo dei p a d r o n i . Nel soffocare qual u n q u e anelito di a u t o n o m i a , sia in c a m p o politico e a m m i nistrativo che in c a m p o spirituale, p r e t e e g e n d a r m e collab o r a v a n o f r a t e r n a m e n t e . E gli effetti sono tuttora sotto i n o stri occhi. Questi effetti si afferrano ancora meglio mettendoli controluce a quelli sortiti dall'avventura dell'altra America. La sua p r i m a e p i ù g r a n d e f o r t u n a fu di n o n p o s s e d e r e metalli preziosi. In realtà ce n ' e r a n o , nell'Alaska. Ma, d a t a l'impraticabilità di quella zona polare, v e n n e r o scoperti solo tre secoli d o p o . Fu p e r questo che i conquistadores spagnoli si l i m i t a r o n o a p i a n t a r b a n d i e r a in California e nel Texas, rin u n c i a n d o ad a n n e t t e r s i il m a r e di foreste che si s t e n d e v a all'infinito verso il N o r d . I p r i m i ad avventurarvisi furono i francesi. U n o di loro, Cartier, aveva e s p l o r a t o già nella p r i m a m e t à del C i n q u e c e n t o le coste d e l C a n a d a . E il g r a n d e m i n i s t r o Richelieu ebbe l'idea di fondarvi u n a colonia all'alba del Seicento. Ma a n c h e lui, e s s e n d o c a r d i n a l e , n e s b a r r ò l e p o r t e a i p r o t e stanti, c o m p r e s i gli u g o n o t t i francesi: gli unici che, p e r sottrarsi alle p e r s e c u z i o n i c h e s u b i v a n o i n p a t r i a , a v r e b b e r o avuto motivo di trasferirsi laggiù. Gli altri, a n c h e i più miserabili, ne e r a n o svogliati dal fatto che a n c h e il C a n a d a , come le colonie spagnole, ricalcava il r e g i m e feudale della m a d r e p a t r i a . E i diseredati, che a queste operazioni forniscono s e m p r e il m a t e r i a l e , p r e f e r i v a n o r e s t a r tali in Francia c h e c o n t i n u a r e a esserlo in quella t e r r a gelida e sconosciuta. Ri60
chelieu p e n s ò di rimediarvi d e p o r t a n d o v i di forza galeotti e p r o s t i t u t e . Ma i p i ù s c a p p a r o n o . Gli altri s ' i m b r a n c a r o n o coi pellirosse p e r fare incetta di pellicce. E i n s o m m a , d o p o d e c e n n i di sforzi, tutta la colonizzazione francese si ridusse a un i n s e d i a m e n t o di un paio di migliaia di p e r s o n e , il cui nucleo principale e r a formato da missionari in cerca di anime da convertire. Q u e s t o spiega l ' i m p r o n t a cattolica che il C a n a d a tuttora fortemente conserva. Altro fu il d e s t i n o , in quelle stesse c o n t r a d e , d'inglesi e olandesi. Gl'inglesi avevano fatto un p r i m o tentativo al tempo della g r a n d e Elisabetta, ma e r a fallito. Ci si r i p r o v ò il suo successore G i a c o m o I c h e , da b u o n cattolico, si lanciò in quell'avventura con lo stesso spirito degli spagnoli, cioè p r o g r a m m a n d o l a c o m e u n ' i m p r e s a di r a p i n a , alla ricerca dell'oro. Egli istituì u n a Compagnia della Virginia c h e sbarcò q u a l c h e c e n t i n a i o d i d i s p e r a t i nella c o n t r a d a che d a essa prese il suo n o m e . Costoro furono decimati dal freddo, dalla fame e dai selvaggi. S e m b r a v a che i superstiti dovessero a b b a n d o n a r e l'impresa, q u a n d o di colpo il successo li ripagò di tante traversìe: n o n con l'oro (che n o n c'era), ma col tabacco. Le foglie disseccate di quella pianta, m a n d a t e in Eur o p a assieme ad a l c u n e p i p e di pellirosse, vi a t t e c c h i r o n o i m m e d i a t a m e n t e c o m e solo capita ai vizi. Re Giacomo provvide a d a n n e t t e r s i quella t e r r a c h e , s e c o n d o l o s t a t u t o , avrebbe d o v u t o restare p r o p r i e t à della C o m p a g n i a , e quindi dei coloni. Ma l'avvìo alla colonizzazione vera e p r o p r i a n o n v e n n e dall'iniziativa del Re e del suo g o v e r n o . Un g r u p p o di puritani, come si chiamavano i calvinisti inglesi, avevano abband o n a t o l'Inghilterra già dai t e m p i di Elisabetta p e r rifugiarsi in O l a n d a , loro p a t r i a spirituale. Essi chiesero alla C o m p a gnia di essere trasbordati in Virginia. La C o m p a g n i a diede loro un passaggio sul Mayflower, che tanto posto occupa nella mitologia americana. Secondo la leggenda, fu quella nave c h e nel 1620 sbarcò a C a p o C o d , in u n a t e r r a di n e s s u n o n o n annessa alla c o r o n a d ' I n g h i l t e r r a , i p r i m i pionieri detti 61
Pilgrim Fathers, o p a d r i pellegrini, che gli Stati Uniti consid e r a n o i loro Romoli e Remi. Anagraficamente, si tratta di un falso anzi di d u e . I primi coloni e r a n o stati quelli della Virginia. E a b o r d o del Mayflower i veri p a d r i p e l l e g r i n i , a n i m a t i d a l p r o p o s i t o di cos t r u i r e nel n u o v o m o n d o u n o Stato c h e i n c a r n a s s e i l o r o ideali di libertà, n o n e r a n o p i ù di tre dozzine. Gli altri pass e g g e r i - c e n t o d u e in t u t t o - e r a n o c o m e al solito degli avanzi di galera in cerca di fortuna, disposti più al saccheggio che alla c r e a z i o n e di un n u o v o m o n d o . Ma sta di fatto che in questa composita pattuglia furono i pochi idealisti a imporsi, grazie alla loro s u p e r i o r e forza morale, ai molti avventurieri, e a d e t t a r e il m o d o di vita comunitario nel g r u p po di c a p a n n e in cui s'insediarono. C o m e p r i m a cosa, r e d a s s e r o u n a specie di Costituzione con cui o g n u n o s'impegnò a obbedire «a quelle giuste leggi, uguali p e r tutti, c h e s e m b r e r a n n o le più atte a g a r a n t i r e il b e n e della c o m u n i t à » . A n c h e gli analfabeti firmarono, con u n a croce, quel d o c u m e n t o . Poi elessero un «governatore» che in realtà aveva le mansioni di u n o «sceriffo», e stabilirono 1'«obolo» che ciascuno doveva versare p e r il finanziamento di questa r u d i m e n t a l e organizzazione. La regione in cui e r a n o sbarcati è quella che oggi si chiama Massachusetts. Di fronte, avevano l'oceano. Alle spalle, la foresta. Il p r i m o i n v e r n o fu d u r i s s i m o : fame, f r e d d o , scorbuto e incursioni di selvaggi d e c i m a r o n o quella p a t t u glia di pionieri, fra cui c'erano a n c h e alcune d o n n e e b a m bini. B a r r i c a t i nelle loro c a p a n n e d i l e g n o c o s t r u i t e c o m e fortini, essi attinsero solo alla Bibbia e alla loro coscienza la forza di resistere. E r a n o convinti, da b u o n i calvinisti, di essere gli «unti d e l Signore» e, s e c o n d o la l o r o m o r a l e , ved e v a n o nel successo il segno della Grazia. Perciò lo volevano ad ogni costo. Il successo fu lento a v e n i r e . A p r o p i z i a r l o n o n fu l'oro né il tabacco, ma il lavoro, il d u r o paziente spossante lavoro di ogni giorno: gli u o m i n i sulla t e r r a p e r strapparla alla fo62
resta con l'accetta e ai pellirosse col fucile, le d o n n e anch'esse a r m a t e di g u a r d i a alle c a p a n n e . In c a p o a p o c h i a n n i , centinaia di ettari e r a n o diventati t u t t ' u n c a m p o di g r a n o e di mais, e sugli scogli d o v ' e r a a v v e n u t o lo sbarco si accatastavano i tronchi d'albero che le navi inglesi venivano a caricare p e r trasportarli nella m a d r e p a t r i a e farne altre navi. I pionieri se li facevano r i p a g a r e con fucili e munizioni. Gli restava un m a r g i n e di g u a d a g n o che gli p e r m i s e di ricomp r a l e dai finanzieri di L o n d r a le c a r a t u r e della colonia. O r a essi ne e r a n o proprietari. A p p e n a e b b e r o accumulato un altro p o ' di d e n a r o , lo i n v e s t i r o n o nella c o s t r u z i o n e di u n a scuola, «sapendo» scrissero n e l l ' a t t o costitutivo «che u n a delle più perfide malizie del vecchio i m b r o g l i o n e Satana è quella di t e n e r gli u o m i n i l o n t a n o dalla c o n o s c e n z a della Scrittura». Nel frattempo, t u t t ' i n t o r n o , c'erano stati altri arrivi, altri eroismi, altre morti, altre fughe, altri sudati successi. Le difficoltà deH'acclimatamento o p e r a v a n o u n a spietata selezione. Resistevano solo quelli che trovavano in se stessi le risorse fisiche e morali p e r n o n lasciarsi sopraffare, cioè che sentivano di essere lì p e r qualcosa che n o n e r a n o soltanto i b u o ni affari. Un fortissimo spirito di solidarietà li affratellava, come s e m p r e nella lotta p e r la sopravvivenza. Gli unici m o tivi di dissenso fra loro e r a n o quelli religiosi. Questi u o m i n i che di giorno lottavano tutti p e r u n o e u n o p e r tutti, raccolti di sera i n t o r n o al Libro - unica loro lettura - si accapigliavano sull'interpretazione dei suoi c o m a n d a m e n t i . Nel 1635, cioè a p p e n a quindici anni d o p o lo sbarco del p r i m o nucleo, il pastore Williams accusò i suoi colleghi d'intolleranza verso le altre confessioni, e solo p e r questo fece secessione, seguito d a u n g r u p p o d i p i o n i e r i c h e c o n d i v i d e v a n o l e sue idee. Alla loro testa egli fondò un'altra colonia a Providence n c o m i n c i a n d o da zero la terribile e s p e r i e n z a dell'insediam e n t o nella foresta. Q u a l c u n o la c o n s i d e r ò u n a follia. Ma quella follia si tradusse in un atto costitutivo che garantiva a ogni cittadino piena libertà di culto. E questo atto costituti63
vo consentì a un g r a n signore cattolico inglese, L o r d Baltim o r e , di f o n d a r e u n a colonia - la cui capitale p r e s e il suo n o m e - p e r i p r o p r i correligionari. Così, all'opposto dell'America ispano-portoghese, che chiudeva la p o r t a ai n o n cattolici, quella anglosassone, che i calvinisti avevano d a p p r i n cipio considerato u n a T e r r a Promessa solo a loro, lo fu a tutti offrendo s c a m p o alle vittime delle persecuzioni religiose europee. N o n è affar n o s t r o s e g u i r n e l'evoluzione. E n o n ce n ' è n e m m e n o b i s o g n o p e r c o g l i e r n e i c a r a t t e r i . Essi s o n o già tutti riconoscibili nel p r i m o i n s e d i a m e n t o del Mayflower. Eccoli in riassunto. I p a d r i pellegrini n o n e r a n o stati i primi, abbiamo detto: quelli della Virginia li avevano p r e c e d u t i . Ma costoro e r a n o a n d a t i laggiù p e r conto d ' i m p r e s a r i inglesi, e vi si consider a v a n o «in trasferta», a n c h e quelli che poi invece vi si stabilir o n o p e r s e m p r e . I p a d r i p e l l e g r i n i e r a n o sbarcati invece col fermo p r o p o s i t o di costruire un m o n d o n u o v o , n o n già a i m m a g i n e e simiglianza della m a d r e p a t r i a , ma anzi in c o n t r a d d i z i o n e ad essa e alle sue ingiustizie. S e b b e n e n o n r a p p r e s e n t a s s e r o , c o m e a b b i a m o d e t t o , c h e u n t e r z o della piccola s p e d i z i o n e , il l o r o spirito m i s s i o n a r i o s'impose a quello a v v e n t u r o s o , p r e d a t o r i o e b e l l u i n o dei l o r o c o m p a gni di viaggio, ma n o n lo distrusse. E così già in quel piccolo n u c l e o si r i t r o v a n o le d u e g r a n d i c o m p o n e n t i della vita americana: l'idealismo che p r o d u r r à i Lincoln, e la violenza che p r o d u r r à gli assassini di Lincoln (e d e i K e n n e d y , e di L u t h e r King). Ogni americano se le porta mescolate nel s a n g u e , a n c h e p e r c h é nel corso della sua storia ha avuto bis o g n o di e n t r a m b e . A differenza di C o r t e s e P i z a r r o , egli n o n ha trovato sulla sua strada delle civiltà indigene. I pellirosse n o n e r a n o arrivati n e a n c h e allo stadio dell'agricoltur a . Vivevano n o m a d i , solo di caccia. A n i m a t i da zelo r e d e n t o r e , i p r i m i pionieri c e r c a r o n o di convertirli alla Bibbia e a l l ' a r a t r o . N o n ci r i u s c i r o n o . E da q u e l m o m e n t o il conflitto fu inevitabile p e r c h é l'aratro distruggeva il t e r r e n o 64
di caccia. In questo clima di u n a lotta imposta dalla fatalità si formò il cosiddetto frontierman, l'uomo della frontiera con la Bibbia in tasca e la pistola alla cintola, classico e r o e di ogni western che si rispetti. A seconda che in lui prevalga lo slancio m i s s i o n a r i o o l'istinto della violenza, egli d i v e n t a un m a r t i r e o u n p r e d o n e . Q u e s t e d u e vocazioni c o n v i v o n o quasi costantemente nella coscienza dell'americano, m e t t e n dola a s o q q u a d r o e t o r m e n t a n d o l a di r i m o r s i c h e sovente solo l'alcool riesce a placare. Ma questo n o n è tutto. Diventato, p e r la sua superiorità morale, il d i r e t t o r e di coscienza della piccola c o m u n i t à , è il missionario che, a p p e n a sbarcato, si p r e o c c u p a di d a r l e un o r d i n e e u n a legge. Q u e s t a legge n o n riconosce altra differenza fra i suoi m e m b r i che quella derivata dall'efficienza e dal merito, né altra autorità che quella attribuita p e r elezion e . L e cariche n o n sono d e s i g n a t e dall'alto p e r c h é q u e s t a minuscola popolazione n o n si riconosce suddita di n e s s u n o . È il voto p o p o l a r e c h e vi designa i migliori. E migliori sono considerati coloro che più riescono, visto che la riuscita è il segno della Grazia divina. La religione del successo, già implicita nel c r e d o calvinista, trova nel n u o v o m o n d o il t e r r e n o ideale n o n solo p e r il p r o p r i o sviluppo, ma a n c h e p e r le sue applicazioni sociali. Qui nasce il solidarismo a m e r i c a n o , basato sulla m o r a l e del good neighbor, il b u o n vicino. Il b u o n vicino è quello che accorre di notte a difendere col fucile la c a p a n n a del vicino, o a salvarla dalle fiamme. E quello c h e n o n si s o t t r a e m a i al t u r n o di g u a r d i a , e anzi vi sostituisce il vicino m a l a t o . E quello che, s a p e n d o l'alfabeto, la sera insegna a l e g g e r e (la Bibbia, n a t u r a l m e n t e ) a coloro che n o n sanno. E quello che, c o m e fa il p a s t o r e H a r v a r d n e l 1636 in u n a cittadina c h ' è a n c o r a un m u c c h i o di b a r a c c h e , d e s t i n a t u t t o il suo p a t r i monio alla fondazione di u n a Università che diventa la culla della cultura americana. Q u i nasce il rigore fiscale che c o n t r a d d i s t i n g u e l'America. Il p i o n i e r e p a g a volentieri il suo «obolo». Perché il suo 65
obolo è il salario dello sceriffo che di notte fa la r o n d a intorno alla sua c a p a n n a e gli consente di d o r m i r e . Chi si sottrae a questa tassa è un disonesto che cerca di profittare dei p u b blici servizi senza contribuirvi, u n o sfruttatore, un parassita privo di dignità. Q u i nasce il culto della d o n n a , l'altissimo r i s p e t t o c h e s e m p r e la circonderà. Se l'è g u a d a g n a t o la sposa del pioniere che col fucile a tracolla m o n t a la g u a r d i a al focolare m e n tre il marito lavora sui campi, sforna u n o d o p o l'altro t o r m e di figli e sovrintende alla loro educazione con u n a m a n o arm a t a di Bibbia e l'altra di frusta. E qui nasce a n c h e il conformismo a m e r i c a n o . La vita di a c c a m p a m e n t o che c o n d u c o n o queste piccole c o m u n i t à insidiate da u n a n a t u r a ostile e dalle incursioni degl'indiani, esige u n a rigida disciplina. Chi la viola, chi si sottrae al compito assegnatogli p e r agire di testa p r o p r i a , l'individualista, i n s o m m a , è u n n e m i c o p u b b l i c o che ogni tanto viene a d d i r i t t u r a espulso. E anche questo carattere resterà u n a costante della vita americana, specie nei piccoli centri di provincia. C o m e si vede, è u n ' e s p e r i e n z a del tutto diversa da quella d e l l ' A m e r i c a latina, anzi o p p o s t a su t u t t ' i p i a n i : politico, e c o n o m i c o , sociale e spirituale. Q u i l ' i m m i g r a t o n o n è un soldato di v e n t u r a alla conquista di u n a colonia da a n n e t t e re alla m a d r e p a t r i a . Il p i o n i e r e anglosassone agisce in n o me p r o p r i o , c o n t a n d o solo sulla p r o p r i a iniziativa, e seg u e n d o solo gl'imperativi del suo interesse e della sua coscienza. La società ch'egli crea n o n è priva di difetti. Delle s u e d u e c o m p o n e n t i f o n d a m e n t a l i , la Bibbia e la pistola, spesso è questa a p r e n d e r e il sopravvento su quella. Malgrado gli sforzi d e i b e n i n t e n z i o n a t i , la p o p o l a z i o n e i n d i g e n a n o n subisce sorte migliore di quella che ha avuto a che fare coi m a s n a d i e r i di Cortes e di P i z a r r o . L o zelo religioso si t r a d u r r à talvolta in intolleranza e l'intolleranza si t r a d u r r à in «cacce alle streghe» d e g n e della p e g g i o r e I n q u i s i z i o n e e u r o p e a . La religione del successo d a r à avvìo a un capitalismo di r a p i n a , c o n t r o cui o c c o r r e r à lottare a l u n g o p e r ri66
d u r n e le sopraffazioni. U n a delle sue manifestazioni sarà la vergognosa tratta dei n e g r i che a p r i r à nella c a r n e americana la p u r u l e n t a piaga delle discriminazioni razziali, c o n t r o cui ancor oggi invano si lotta. E p e r n a s c o n d e r e tutte queste contraddizioni, la società americana d o v r à r i c o r r e r e a molte ipocrisie. Ma ciò n o n toglie n u l l a , o toglie p o c o , alla g r a n d i o s i t à d e l l ' e s p e r i m e n t o che qui si compie. In q u e s t o n u o v o m o n do si a f f e r m a n o p r i n c ì p i e n a s c o n o istituzioni, c h e quello vecchio n o n aveva mai conosciuto né mai s a r e b b e stato in g r a d o , d a solo, d i e l a b o r a r e . Q u a n d o l ' E u r o p a volle m e t tersi sulla strada della libertà e della democrazia, fu in q u e sta America calvinista che v e n n e a cercarne il modello. Tutto il p e n s i e r o politico d e l l ' E u r o p a m o d e r n a è qui che trova la sua ispirazione e le s u e c o n f e r m e . Q u e s t o g r a n d e contin e n t e n o n ci ha regalato solo il tabacco e la b o m b a atomica. Ci ha dato a n c h e l'esempio, con tutti i suoi difetti, ma anche coi suoi insostituibili m e r i t i , d e l l ' a u t o g o v e r n o , della libera iniziativa, dell'affrancamento del s u d d i t o in cittadino. Nel Seicento tutto questo ancora n o n e r a chiaro agli occhi degli e u r o p e i . Essi n o n c o n o s c e v a n o l ' e s p e r i e n z a , n o r d - a m e r i c a n a , c h e infatti s p r i g i o n ò la sua s u g g e s t i o n e ideologica solo nel Settecento. E p p u r e , p e r quella misteriosa forza di contagio che solo le idee possiedono, fin d ' o r a il nostro continente cominciò a risentirne l'influsso. C h i e d i a m o scusa al l e t t o r e se lo a b b i a m o s t a n c a t o c o n questa l u n g a divagazione nel vecchio e nel n u o v o m o n d o , forse t r o p p o affollata di eventi. Ma solo t e n e n d o p r e s e n t e questo p a n o r a m a , in cui tutti i r a p p o r t i politici, economici e spirituali sono diventati infinitamente più vasti e complessi, egli p o t r à c o m p r e n d e r e i motivi della catastrofe che sta p e r abbattersi sull'Europa: la G u e r r a dei T r e n t ' a n n i .
PARTE SECONDA
L'ITALIA LA GUERRA DEI T R E N T A N N I
CAPITOLO QUINTO
L A G U E R R A DEI T R E N T A N N I
Abbiamo d e t t o c h e la p a c e d ' A u g u s t a del 1555, basata sul p r i n c i p i o d e l cuius regio eius religio, p e r cui i s u d d i t i d ' u n o Stato d o v e v a n o abbracciare la fede del loro sovrano, aveva lasciato a p e r t o il conflitto religioso in G e r m a n i a . La sua a p plicazione avrebbe c o m p o r t a t o massicci trasferimenti di p o polazione che in pratica risultavano impossibili, o difficilissimi. E a complicare le cose c'era l'instabilità degli stessi Principi. L'elettore palatino Federico I I I fu un calvinista arrabbiato. Il figlio Luigi si fece l u t e r a n o . Il fratello Giovanni Casimiro ripristinò la fede p a t e r n a . N e l l T s e n b u r g - R o n n e b u r g , il conte Wolfgang invitò i l u t e r a n i ad a n d a r s e n e e r i p o p o l ò lo Stato di m a r b a c h i a n i , altra setta di p r o t e s t a n t i affini ai calvinisti. E n r i c o , fratello e successore di F e d e r i c o , b a n d ì questi e r i c h i a m ò quelli. N e l 1 6 0 1 , il c o n t e E r n s t e s p u l s e n u o v a m e n t e i l u t e r a n i e rimise in a u g e i calvinisti. Milioni di tedeschi e r a n o in balìa della fede dei loro capricciosi sovrani, di cui n o n facevano in t e m p o a seguire le giravolte, e spesso, nello spazio d ' u n a settimana, passavano dalla p a r t e di persecutori a quella di perseguitati, e viceversa. La diatriba religiosa e il fratricidio in n o m e di Dio e r a n o la causa principale del caos tedesco, ma n o n la sola. Altre vi concorrevano. Ciascun p r i n c i p e g e r m a n i c o sognava di cingere l a c o r o n a d i Sacro R o m a n o I m p e r a t o r e , a n c h e s e d a secoli n o n era più che un simbolo vuoto e screditato. Per inseguire l'impossibile c h i m e r a d ' u n a r e s t a u r a z i o n e carolingia, i signori tedeschi abdicavano all'unità nazionale, rintuzzando e soffocando ogni tentativo di d a r e al Paese u n a gui71
da centralizzata. Ciascuno badava al suo «particulare» e mirava solo a l l ' i n g r a n d i m e n t o del p r o p r i o territorio a spese di quelli vicini e rivali. Batteva m o n e t a , a r r u o l a v a eserciti, faceva e disfaceva alleanze, dichiarava g u e r r e . Anche all'interno di questi mini-reami c'era u n a g r a n bar a o n d a . Le leggi di successione e r a n o incerte e anacronistiche. Nell'Assia-Cassel il diritto di p r i m o g e n i t u r a e r a sconosciuto, il p r i n c i p e spartiva i suoi p o s s e d i m e n t i tra i figli, e questi a loro volta li sbocconcellavano fra gli eredi. I Principati s p u n t a v a n o c o m e funghi: in u n a provincia se ne potevano c o n t a r e fino a dieci, molti e r a n o limitati a u n a città, alcuni n o n uscivano dai confini d ' u n villaggio con p o c h e centinaia d ' a n i m e , strette a t t o r n o a un rozzo padiglione di caccia, capitale e palazzo del S i g n o r e . C ' e r a n o le c o s i d d e t t e città libere, sottoposte alla giurisdizione p u r a m e n t e platonica d e l l ' I m p e r a t o r e . C ' e r a n o i feudi della Chiesa, in m a n o a Principi-vescovi, i n d i p e n d e n t i da tutti, specialmente dal Papa. C ' e r a n o i liberi cavalieri, c o m e quel certo Gòtz von Berlichingen, che si vantava d ' o b b e d i r e solo a Dio, all'Impera tore e a se stesso. E c'erano, infine, delle enclaves in m a n o a sovrani stranieri. Il Re di Danimarca, p e r esempio, era duca d e l l ' H o l s t e i n , quello di S p a g n a d o m i n a v a il Circolo B u r g u n d o , cioè le zone r e n a n e , eccetera. Si calcola che alla vigiHa della G u e r r a dei T r e n t ' a n n i , v e n t u n milioni di tedeschi fossero governati da più di d u e m i l a autorità diverse, in perp e t u o conflitto fra loro. La sovranità che l ' I m p e r a t o r e esercitava sul Paese - l'abb i a m o già d e t t o - era p u r a m e n t e n o m i n a l e . Teoricamentev egli poteva convocare la Dieta, o assemblea di tutti i governi i n d i p e n d e n t i , l'unico o r g a n o qualificato a legiferare. In realtà, r a d u n a r e in u n o stesso l u o g o i d e l e g a t i tedeschi e metterli d'accordo e r a c o m e q u a d r a r e il circolo. Le r a r e volte che q u e s t e assise si r i u n i v a n o n o n c o m b i n a v a n o n i e n t e , anzi spesso n o n c o m i n c i a v a n o n e a n c h e i lavori p e r c h é 1 p a r t e c i p a n t i e r a n o t u t t i o c c u p a t i a d i b a t t e r e e a n o n risolvere complicate e puntigliose questioni di p r o c e d u r a e di 1
72
p r e c e d e n z e . La Dieta finì così fatalmente p e r p e r d e r e autorità e prestigio. In m a n c a n z a di leggi nazionali, funzionavano quelle locali, che aggravavano il particolarismo e fomentavano le divisioni i n t e r n e . I m p o t e n t e davanti alla Dieta, l ' I m p e r a t o r e e r a p e r di più prigioniero dei sette g r a n d i elettori. Tre - quelli di Magonza, Colonia e Treviri - e r a n o vescovi, q u a t t r o - quelli di Boe.mia, del Palatinato, della Sassonia e del B r a n d e b u r g o - eratrio laici. I loro poteri e r a n o e n o r m i . Eleggevano I'Imperato-re, il quale e r a t e n u t o a consultarli nelle questioni p i ù gravi tà e trattavano dall'alto in basso i borghesi. Questi - commercianti, artigiani e piccoli industriali - sfruttavano il p o polo m i n u t o , d i s e r e d a t o e i n e r m e . Il clero c a m p a v a , c o m e •solito, di decime ed elemosine. ,/MLa moralità pubblica e privata lasciava molto a desideratt in nessun Paese d ' E u r o p a i costumi e r a n o rilassati c o m e G e r m a n i a . Specie l'alcolismo dilagava. «I buoi» scriveva c o n t e m p o r a n e o «cessano d i b e r e q u a n d o n o n h a n n o più
sete. I tedeschi, invece, cominciano allora.» Nelle città e nelle c a m p a g n e , vino e b i r r a s c o r r e v a n o a fiumi. Un p r i n c i p e cattolico si c o n g e d a v a dagli amici con questa frase: «Valete et inebriamini» state b e n e e sbronzatevi. Il L a n g r a v i o d'Assia, i n u n accesso d i t e m p e r a n z a , f o n d ò u n a lega a n tialcolica, il cui p r i m o p r e s i d e n t e m o r ì u b r i a c o . Luigi del W u r t t e m b e r g sfidò d u e noti b e o n i a chi t r a c a n n a v a p i ù vino. Q u a n d o costoro furono c o m p l e t a m e n t e ebbri, li fece caricare su un c a r r o c o n alcuni maiali e r i n c h i u d e r e in un p o r cile. Il vizio e r a c o m u n e a tutte le classi e diffuso a tutti i livelli. Le leggi c o n t r o gli eccessi d e l b e r e r e s t a v a n o l e t t e r a m o r t a . U g u a l e effetto sortivano quelle c o n t r o le prostitute, i lenoni, i pederasti, gli usurai. Già da t e m p o Francia e S p a g n a spiavano c o m p i a c i u t e il deteriorarsi della situazione tedesca e soppesavano i p r ò e i c o n t r o d'eventuali alleanze. Nel 1608, Enrico IV p r e s e posizione a favore dei principi protestanti, schierandosi con l'Un i o n e evangelica, costituitasi p r o p r i o in q u e l l ' a n n o in funzione antiasburgica. Nel 1609 si formò la Lega cattolica, capeggiata dal d u c a di Baviera Massimiliano I, cui la S p a g n a offrì i p r o p r i eserciti. La s c o m p a r s a del Re di Francia, p u gnalato il 14 maggio 1610 da un m o n a c o fanatico, fu un d u ro colpo p e r i p r o t e s t a n t i . La L e g a cattolica i m b a l d a n z ì , e nel 1615 si s p a r s e la notizia ch'essa si stava a r m a n d o p e r estirpare dal suolo tedesco l'eresia. Le n u b i all'orizzonte si fecero più fosche. Il ciclone che p e r t r e n t ' a n n i avrebbe infuriato sulla G e r m a n i a e r a alle viste. Il suo occhio fu la Boemia. Questa faceva p a r t e , c o m e abb i a m o già d e t t o , dei d o m i n i degli A s b u r g o , e l ' i m p e r a t o r e Mattia l a g o v e r n a v a p e r i n t e r p o s t a p e r s o n a a t t r a v e r s o u n collegio di cinque fedeli l u o g o t e n e n t i . Mattia e r a vecchio e p i e n o d'acciacchi, e la sua fine era attesa da un m o m e n t o all'altro. I p r o t e s t a n t i v e d e v a n o in essa la g r a n d e occasione p e r s t r a p p a r e finalmente agli Asburgo la c o r o n a imperiale. L a m a n o v r a e r a semplice: i n n a l z a r e sul t r o n o b o e m o u n p r i n c i p e p r o t e s t a n t e e garantirsi la m a g g i o r a n z a nel Colle74
gio elettorale, d e t e n u t a fin allora dai cattolici, che avevano già il l o r o c a n d i d a t o in un altro A s b u r g o : il lentigginoso e bigotto arciduca di Stiria, F e r d i n a n d o II. A Praga, l ' a n n u n c i o della sua designazione fece precipitare gli eventi. Il conte H e i n r i c h von T h u r n mobilitò i p r o testanti e il 23 m a g g i o 1618 li fece m a r c i a r e sul castello di -Hradcany, d o v e si t r o v a v a n o d u e d e i c i n q u e l u o g o t e n e n t i • imperiali. G i u n t i al loro cospetto, il C o n t e d i e d e o r d i n e di buttarli dalla finestra assieme a u n o dei s e g r e t a r i , che p e r caso si trovava nella stanza. I tre fecero un volo di quindici metri, ma r e s t a r o n o illesi p e r c h é e b b e r o la fortuna di cadere su un m u c c h i o di rifiuti. L'episodio, n o t o c o m e la «defenestrazione di Praga», segna l'inizio ufficiale della G u e r r a dei T r e n t ' a n n i . ••-<•• D o p o essersi sbarazzato dei r a p p r e s e n t a n t i imperiali, il von T h u r n cacciò l'Arcivescovo e i gesuiti, e insediò un direttorio rivoluzionario con pieni poteri. Il vecchio Mattia, con un piede già nella fossa, fece sapere al Conte d'essere disposto a trattare con gl'insorti. Il rifiuto di von T h u r n provocò d'intervento di F e r d i n a n d o , cui la c o r o n a b o e m a serviva da Sgabello p e r quella imperiale. F e r d i n a n d o era u o m o di grandi ambizioni, di scarsa cultura, di m o d e s t a intelligenza, ma di n o n comuni doti politiche. Gliel'avevano coltivate e affinati? i gesuiti, di cui era stato u n o zelante allievo. L ' a n n u n c i o c h e d u e suoi eserciti stavano i n v a d e n d o l a U o e m i a seminò il panico fra i protestanti. Il v o n T h u r n n o n poteva c o n t a r e c h e su p o c h e migliaia d ' u o m i n i m a l e equipaggiati, e l'Unione evangelica n o n si muoveva. Ne profittò l'elettore del Palatinato, Federico, calvinista arrabbiato e gen e r o del Re d ' I n g h i l t e r r a , p e r offrire, in cambio della corona boema, il p r o p r i o aiuto militare. Gli a v v e n i m e n t i precipitarono. Il 20 m a r z o Mattia morì, lasciando F e r d i n a n d o Re di Boemia ed e r e d e al t r o n o imperiale. Il 17 agosto la Dieta
L'elettore p a l a t i n o sentì vacillare la sua. Era già p e n t i t o d'averla accettata, d o p o aver t a n t o b r i g a t o p e r o t t e n e r l a . Aveva agito sotto l'impulso dell'ambizione e dell'età (aveva a p p e n a v e n t i d u e anni) senza t e n e r conto che, c o m e calvinista, avrebbe avuto c o n t r o n o n solo i cattolici, ma a n c h e i luterani. C o m e avrebbe p o t u t o in quelle condizioni t e n e r testa a tanti nemici, fra cui il colosso spagnolo? Si rivolse allora al suocero. Ma Giacomo I, invece d ' u n esercito, d i e d e al g e n e r o il consiglio di r i n u n z i a r e al t r o n o . Era un b u o n consiglio, ma a F e d e r i c o s e m b r ò i n c o m p a t i b i l e col p r o p r i o o n o r e . Il 4 n o v e m b r e egli e n t r ò a P r a g a , accolto trionfalm e n t e dal Direttorio e dal p o p o l o . Aveva tutto p e r piacere alla folla: bello, elegante, raffinato e malinconico. Ma sotto queste a p p a r e n z e c'era un c a r a t t e r e debole, irresoluto e facilmente influenzabile s o p r a t t u t t o dalla moglie, la bellissima Elisabetta. Il suo d e b u t t o di Re fu u n a catastrofe. L'ordine che died e , a p p e n a g i u n t o a Praga, di r i m u o v e r e dalle chiese altari e immagini, esasperò le masse c o n t a d i n e , tutte cattoliche, e fornì a l l ' I m p e r a t o r e u n p r e t e s t o d ' i n t e r v e n t o . F e r d i n a n d o Io colse al volo e lanciò un u l t i m a t u m : se e n t r o il p r i m o giug n o (1620) Federico n o n avesse deposto la c o r o n a usurpata, egli l'avrebbe dichiarato fuori legge. C o n t e m p o r a n e a m e n te, con abile mossa, si riconciliò a U l m coi p r i n c i p i p r o t e s t a n t i , u n o dei quali, l'elettore di Sassonia G i o v a n n i Giorgio, si schierò a d d i r i t t u r a dalla sua p a r t e . S e b b e n e a b b a n d o n a t o d a tutti, Federico n o n mollò, rifiutò di d e p o r r e il titolo e s'accinse, con le p o c h e forze di cui disponeva, a sostenere l'urto di quelle imperiali, calcolate a oltre v e n t i c i n q u e m i l a u o m i n i , guidati da un abilissimo gen e r a l e , il C o n t e di Tilly, allievo ed e m u l o del g r a n d e Aless a n d r o Farnese. I d u e eserciti si s c o n t r a r o n o nei pressi della M o n t a g n a Bianca, a ovest di P r a g a , l'8 n o v e m b r e . I calvinisti f u r o n o messi in r o t t a . F e d e r i c o , la m o g l i e e la c o r t e f u g g i r o n o in Slesia, dove il Palatino cercò inutilmente di racimolare n u o 76
ve milizie. Il 9 n o v e m b r e i vincitori, guidati da Massimiliano di Baviera, v a r c a r o n o le m u r a di P r a g a . I t e m p l i cattolici riebbero i m m e d i a t a m e n t e i loro altari e le loro i m m a g i n i , furono richiamati i gesuiti, l'istruzione passò n u o v a m e n t e sotto il controllo del clero r o m a n o , tutte le religioni, eccetto quelle cattolica ed ebraica, furono b a n d i t e . O g n i simulacro d'eresia v e n n e cancellato: l'anniversario di G i o v a n n i H u s s fu proclamato lutto nazionale. I partigiani di Federico, che n o n avevano fatto in t e m p o a mettersi in salvo, f u r o n o impiccati o decapitati, e i loro cadaveri esposti sulla t o r r e del ponte di Carlo sopra la Moldava. Mentre in Boemia i m p e r v e r s a v a n o le p u r g h e , un esercito s p a g n o l o , al c o m a n d o del g e n e r a l e g e n o v e s e Spinola, muoveva dalle Fiandre alla conquista del Palatinato. Q u e s t o malaccorto i n t e r v e n t o allarmò i protestanti, che s e m b r a r o no ritrovare la loro unità. Nei pressi di H e i d e l b e r g le loro t r u p p e si s c o n t r a r o n o con quelle s p a g n o l e , ma e b b e r o la peggio. La città, mecca e roccaforte del calvinismo, v e n n e b a r b a r a m e n t e saccheggiata. La s t u p e n d a biblioteca dell'Università, p e r o r d i n e di Massimiliano, fu smantellata fino all'ultimo volume, caricata su c i n q u a n t a carri e spedita a Roma, d o n o al p a p a Gregorio XV. F e r d i n a n d o esultò e in cambio dei servigi resi concesse a Massimiliano il Palatinato, il c h e r e n d e v a schiacciante la m a g g i o r a n z a cattolica nel collegio e l e t t o r a l e d e l l ' I m p e r o . Così schiacciante c h e a p r e o c c u p a r s e n e f u r o n o n o n solo i principi p r o t e s t a n t i , ma a n c h e i cattolici. F e r d i n a n d o n o n aveva vinto. Aveva stravinto, e cominciava a diventare pericoloso. Si vociferava che carezzasse l'idea d'unificare sotto il suo scettro la G e r m a n i a . Anche il Papa e la Francia sentivano il puzzo d ' u n a n u o v a e g e m o n i a asburgica. S ' i m p o n e v a una mobilitazione antimperiale. Artefice e regista ne fu il Richelieu. Il Cardinale isolò gli Asburgo s t i p u l a n d o u n ' a l l e a n z a con l ' O l a n d a , a t t i r a n d o v i subito d o p o l ' I n g h i l t e r r a , la Svezia e la D a n i m a r c a , infine e s t e n d e n d o l a ai Savoia e a Venezia p e r s t r a p p a r e agli
A s b u r g o la Valtellina, c o r r i d o i o strategico di vitale imp o r t a n z a e passaggio obbligato degli eserciti spagnoli e imperiali dall'Italia all'Austria. I frutti di questi m a n e g g i n o n si fecero a t t e n d e r e . Il p r i m o fu un frutto a m a r o , e toccò alla D a n i m a r c a inghiottirlo. Il suo bellicoso re, Cristiano IV, e r a a n c h e Duca di Holstein e controllava vasti t e r r i t o r i nella G e r m a n i a del N o r d , che costituivano un formidabile b a l u a r d o p e r la p o t e n z a m a r i t t i m a d a n e s e nel Baltico. Questi possedimenti facevano n a t u r a l m e n t e gola a F e r d i n a n d o , c h e s o g n a v a q u e l l o sbocco al m a r e e si stava a r m a n d o p e r p i a n t a r v i le s u e b a n d i e r e . Per p r e v e n i r l o C r i s t i a n o fece s b a r c a r e sul C o n t i n e n t e un esercito di ventimila u o m i n i che nella Bassa Sassonia si congiunse con quello savoiardo, c o n d o t t o da von Mansfeld, forte di quattromila. L'Imperatore o r d i n ò al Tilly di marciare contro il Re danese. Il generale obbedì ma chiese a F e r d i n a n d o rinforzi p e r c h é n o n gli e r a n o rimasti che diecimila u o m i n i , stanchi e male in arnese. L'Imperatore gli m a n d ò u n certo Wallenstein. Costui, di s a n g u e b o e m o , si chiamava in realtà Albrecht von Waldstein, ed e r a nato nel 1583, figlio d ' u n piccolo gentiluomo di c a m p a g n a protestante. Aveva studiato nella celeb r e scuola l u t e r a n a di Altdorf, di dove e r a stato cacciato p e r il carattere violento e rissaiolo. D o p o un viaggio a R o m a s'era convertito al cattolicesimo, e q u a n d o F e r d i n a n d o e r a ancora arciduca di Stiria, s'era messo al suo servizio. Giovanissimo, aveva sposato u n a ricca vedova, che l'aveva a sua volta lasciato vedovo. Q u a n d o l ' I m p e r a t o r e aveva messo in vendita i b e n i dei protestanti boemi, egli s'era precipitato a farne incetta. I ritratti che di lui possediamo ce lo m o s t r a n o alto, m a g r o , zigomi sporgenti, naso grosso, mascella pesante, labbra carnose. Era d'approccio sgradevole, poco incline alle effusioni e agli entusiasmi, diffidente, taciturno, ambizioso e testardo. S'indovinava in lui l'uomo abituato al comand o . Era m a n i a c o d e l l ' o r d i n e e della p u n t u a l i t à . D'abitudini spartane, mangiava con m o d e r a z i o n e e n e s s u n o ricorda d'a78
verlo m a i visto u b r i a c o . Si vestiva di n e r o , un c o l o r e c h e contrastava col pallore del volto, e p o r t a v a al collo u n a sciarpa rossa. P a r e c h e si tingesse a n c h e le labbra. E r a d e v o t o , ma più che a Dio credeva agli astrologi. La sua ascesa di condottiero era cominciata nel 1618. In q u e l l ' a n n o e r a scoppiata in Moravia u n a rivolta c o n t r o gli Asburgo, alla q u a l e a v e v a n o a d e r i t o a n c h e l e t r u p p e del Wallenstein, g o v e r n a t o r e della provincia. Questi e r a riuscito a i m p a d r o n i r s i del tesoro militare e a metterlo in salvo alla corte di F e r d i n a n d o . I ribelli, rimasti al v e r d e , se n ' e r a n o tornati a casa. L'anno d o p o , Wallenstein aveva p r e s t a t o all'Imperatore in bolletta q u a r a n t a m i l a fiorini, poi centosessantamila, poi duecentomila e, nel 1623, mezzo milione. Sapeva che F e r d i n a n d o n o n glieli avrebbe mai resi, ma sapeva anche che quel d e n a r o gli sarebbe t o r n a t o p r i m a o poi in tasca sotto forma di favori e privilegi. Ecco p e r c h é , q u a n d o Tilly sollecitò rinforzi, l ' I m p e r a t o re n o n ebbe dubbi su chi avrebbe d o v u t o fornirglieli. A Wallenstein quella p a r v e l a g r a n d e occasione p e r e n t r a r e d a p r o t a g o n i s t a nel teatro della g u e r r a , a fianco e di fronte ai c o n d o t t i e r i più prestigiosi d e l l ' e p o c a . I n p o c h e s e t t i m a n e mise insieme un esercito di ventimila u o m i n i , li equipaggiò di tutto p u n t o e li lanciò contro von Mansfeld, travolgendolo, m e n t r e Tilly sconfiggeva C r i s t i a n o . Q u i n d i invase il ÌBrandeburgo e costrinse l'elettore Giorgio G u g l i e l m o a schierarsi c o n l ' I m p e r a t o r e . Dal B r a n d e b u r g o m a r c i ò sul4'Holstein e lo sottomise, cacciando i danesi dal loro ultimo a v a m p o s t o c o n t i n e n t a l e , m e n t r e Richelieu r i c h i a m a v a l e ^touppe francesi che aveva spedito in Valtellina. -rf- II n o m e di Wallenstein e r a o r m a i sulla bocca di tutti. La « a fama di g e n e r a l e aveva offuscato q u e l l a d e l Tilly, di Mansfeld, di Cristiano. Egli era, col suo esercito, il p a d r o n e «tìci destini d ' E u r o p a . Ma l ' e g e m o n i a c o n t i n e n t a l e , c h e le strabilianti vittorie avevano dato a F e r d i n a n d o , n o n baa ad a p p a g a r e la sconfinata ambizione del c o n d o t t i e r o . £uoi napoleonici piani esse n o n d o v e v a n o essere che la r
s
79
p r e m e s s a e la base di c a m p a g n e successive c h e a v r e b b e r o p o r t a t o al d o m i n i o imperiale sul Baltico e sul M a r del N o r d . Sognava la rinascita dell'Hansa, l'ormai fatiscente federazione dei g r a n d i porti commerciali che s'affacciavano su quelle grigie distese d ' a c q u e , le cui b a n c h i n e ricevevano e smistav a n o m e r c i p r o v e n i e n t i d a ogni p a r t e d ' E u r o p a . L a realizzazione di q u e s t o d i s e g n o a v r e b b e significato il crollo dell'Olanda, dell'Inghilterra, della Svezia, che del Baltico e del Mar del N o r d e r a n o le principali utenti. Anche la Chiesa ne a v r e b b e t r a t t o il suo utile p e r c h é F e r d i n a n d o , aizzato dai gesuiti, n o n avrebbe resistito alla tentazione di stroncare l'eresia nei nuovi territori. La minaccia i n s o m m a e r a g r a v e , e c o l o r o sui quali inc o m b e v a c o r s e r o ai r i p a r i . I p i ù i m m e d i a t a m e n t e esposti e r a n o i p r i n c i p i tedeschi, p e r c h é sul suolo g e r m a n i c o Wal-. lenstein giocava la sua partita. Essi avevano seguito con sgom e n t o l'ingrossarsi dell'esercito del condottiero b o e m o , che, contava o r a c e n t o q u a r a n t a m i l a u o m i n i , m e n t r e quello della Lega cattolica e r a sceso a ventimila. C o n u n a siffatta massa d ' u o m i n i , p e r f e t t a m e n t e addestrati, magnificamente a r m a i e disciplinati, r e v o c a r e le «libertà germaniche» e r i d u r r e la miriade di staterelli tedeschi sotto l'egida asburgica sarebbe stato u n gioco d a b a m b i n i . N e l l ' i n v e r n o d e l 1627-28, gli elettori d e l l ' I m p e r o si r i u n i r o n o a M u l h a u s e n p e r discutere il da farsi. I protestanti e r a n o n a t u r a l m e n t e più p r e o c c u p a ^ dei cattolici. Ma a n c h e costoro s'allarmarono, q u a n d o Feffiì d i n a n d o , senza n e p p u r e consultarli, s t r a p p ò al suo legittìj? mo titolare il ducato di M e c l e m b u r g o e l'assegnò al Wallenfc Stein. Bisognava f e r m a r e l ' I m p e r a t o r e p r i m a che fosse trop~ po tardi, p r i m a cioè c h e Wallenstein diventasse p i ù potente di lui. -f P r o p r i o in quei giorni F e r d i n a n d o voleva n o m i n a r e il i-,, glio Re di Roma, p e r spalancargli la successione alla coro."., imperiale, e un veto dei g r a n d i elettori avrebbe fatto fallii* la prova. Il 28 m a r z o costoro fecero s a p e r e a l l ' I m p e r a t o ! che n o n lo a v r e b b e r o posto s'egli avesse licenziato il Walle 80
Stein. N o n gli nascosero n e p p u r e che, se n o n si fosse messo „«jn freno all'ambizione del g e n e r a l e , l ' I m p e r o sarebbe p r e gio caduto in sua balìa. F e r d i n a n d o p r o m i s e che avrebbe ten u t o conto del monito. Esso gli veniva rivolto in un m o m e n t o p a r t i c o l a r m e n t e difficile, in cui più che mai aveva bisogno del Wallenstein e delle sue milizie. Dietro le insistenti pressioni dei gesuiti infiltri YImperatore stava p r o m u l g a n d o un editto che obbligal a i possessori d i antichi b e n i ecclesiastici, passati i n m a n i ittiche d o p o il 1552, a restituire alla Chiesa ciò c h e da essa «vevano r e g o l a r m e n t e acquistato. E r a u n a colossale truffa, Ch'ingiustizia senza p r e c e d e n t i , che poteva imporsi solo con |uso, o la minaccia, della forza. ; L'editto v e n n e applicato con zelo fino all'ultimo centimeq u a d r a t o di t e r r a . Ci furono q u a e là delle resistenze, sujito d o m a t e dai lanzichenecchi del Wallenstein. Decine di i e cittadine protestanti passarono ai cattolici e i loro abiliti, in ossequio al p r i n c i p i o del cuius regio eius religio, o iiirarono la vecchia fede o e m i g r a r o n o . Accontentati i ge"ti, F e r d i n a n d o si decise finalmente a d a r soddisfazione i elettori d e l l ' I m p e r o , che gli avevano chiesto la testa del lenstein. Ma il g e n e r a l e , al c o r r e n t e delle m i r e d e i suoi nemici e ^sospetti c h e c o s t o r o a v e v a n o i n s i n u a t o n e l l ' a n i m o d i - i n a n d o , aveva avviato trattative segrete con Cristiano, Ihainate il 22 m a g g i o 1629 nella pace di Lubecca e nella itùzione al Re danese di g r a n p a r t e dei suoi ex territori ^eschi. Wallenstein aveva agito in p a r t e all'insaputa deljperatore, che n o n nascose il suo d i s a p p u n t o , convocò il rale e gli o r d i n ò di s t o r n a r e dal suo esercito trentamila ini e spedirli in Italia. Wallenstein rifiutò, d i c e n d o che "di Svezia Gustavo Adolfo stava a r r u o l a n d o t r u p p e p e r | | r e l'Europa. Ma F e r d i n a n d o fu irremovibile, e alla fisflìenstein d o v e t t e c e d e r e . D u e mesi d o p o , il c o n d o t ipwemo perse a n c h e il c o m a n d o dell'esercito, che passò §ttniliano di Baviera. Senza clamori si ritirò nelle s u e r
t e n u t e in Boemia in attesa, come Cincinnato, che l ' I m p e r a tore lo richiamasse. Il suo esilio n o n sarebbe d u r a t o a l u n g o con l'aria c h e tirava dal N o r d , e p r e c i s a m e n t e dalla Svezia, dove il re Gustavo Adolfo si atteggiava a g r a n d e c a m p i o n e della causa protestante, e lo era. Il 4 luglio 1630 sbarcò a U s e d o m , in P o m e r a n i a . Aveva trentasei a n n i ed e r a l'idolo dei suoi soldati, che trattava da commilitoni, c o n d i v i d e n d o n e i triboli, le fatiche, i r e p e n t a gli. Dormiva con loro sotto la t e n d a , c o n s u m a v a con loro il r a n c i o e indossava p e r s i n o la l o r o stessa divisa: g i u b b a e p a n t a l o n i di camoscio e un b e r r e t t o di castoro. Lo si riconosceva p e r u n a fascia o un mantello scarlatto che solo lui portava. Era un cavaliere formidabile e instancabile, si lavava di r a d o , i suoi abiti e r a n o gualciti e sbrindellati, i suoi stivali scorticati e inzaccherati. Q u a n d o p a r l a v a g u a r d a v a diritto negli occhi l'interlocutore e a n d a v a subito al sodo. I suoi sì e r a n o sì, i suoi n o , n o . Sotto questa crosta ruvida e cameratesca c'era p e r ò u n senso puntigliosissimo del r a n g o . Guai se un ambasciatore, p r e s e n t a n d o g l i le credenziali, n o n si rivolgeva a lui con tutti i titoli che gli spettavano, guai se a palazzo il m a e s t r o delle cerimonie commetteva u n a svista. Quelli con cui sbarcò a U s e d o m e r a n o in tutto tredicimila u o m i n i , p i ù a l c u n e migliaia di m e r c e n a r i , r e c l u t a t i in G e r m a n i a d o p o un'accurata selezione. E r a n o in m a g g i o r a n za luterani, ma n o n m a n c a v a n o seguaci di altre religioni. A tutti G u s t a v o c h i e d e v a o b b e d i e n z a cieca e fedeltà assoluta n o n solo alla b a n d i e r a svedese, ma a n c h e agli ideali in n o me dei quali egli combatteva e si diceva p r o n t o a m o r i r e : la sicurezza e l'indipendenza del suo Paese, minacciate da Ferd i n a n d o . Ai suoi c o r r e l i g i o n a r i chiedeva in p i ù di recitare d u e volte al giorno le p r e g h i e r e e di c a n t a r e d u r a n t e le battaglie. N o n obbligava n e s s u n o a farlo, ma tutti lo facevano p e r c h é lo faceva lui. E l'esempio del Re valeva più d ' u n ord i n e . Sebbene la disciplina fosse molto rigida, il saccheggio fosse p u n i t o con la m o r t e e n o n ci fossero p r o s t i t u t e al seguito delle t r u p p e , n e s s u n o si lamentava. 82
Gustavo Adolfo aveva meticolosamente p r e p a r a t o la spedizione a n c h e dal p u n t o di vista psicologico p e r g u a d a g n a re alla sua causa le masse l u t e r a n e g e r m a n i c h e . Alla vigilia di salpare p e r il C o n t i n e n t e , aveva pubblicato un manifesto in c i n q u e l i n g u e , c h ' e r a stato diffuso in t u t t ' E u r o p a , in cui spiegava p e r c h é m u o v e v a g u e r r a a F e r d i n a n d o . N e d e t t ò un secondo s b a r c a n d o a U s e d o m , nel quale accusava i g r a n di elettori p r o t e s t a n t i di t r a d i r e la loro fede, che lui solo si trovava o r a a difendere. Ma n e s s u n o si mosse, e Gustavo d o vette g u a d a g n a r s i gli alleati con la forza delle baionette. In tre settimane quasi tutta la costa baltica era in m a n i svedesi. Di qui il «leone del N o r d » , c o m e lo c h i a m a v a n o , dilagò nel C o n t i n e n t e , p a s s a n d o da u n a conquista all'altra. Il 23 gennaio 1631 Svezia e Francia suggellarono la loro alleanza: Richelieu a v r e b b e fornito i mezzi ( q u a t t r o c e n t o m i l a talleri), Gustavo avrebbe trovato gli u o m i n i . Nessuno dei d u e avrebbe fatto la pace senza il consenso dell'altro, né avrebbe sollevato la questione religiosa. Richelieu invitò Massimiliano di Baviera (e del Palatinato) a p a s s a r e nel c a m p o franco-svedese, ma il Duca rispose s p e d e n d o il Tilly c o n t r o Gustavo. Il g e n e r a l e , o r m a i s e t t a n t u n e n n e , p u n t ò sulla cittadina di N e u b r a n d e n b u r g , se ne i m p a d r o n ì e massacrò i tremila u o mini che la p r e s i d i a v a n o . Gustavo n o n volle essere da m e no: m a r c i ò su F r a n c o f o r t e , l'occupò e s t e r m i n ò l ' i n t e r a g u a r n i g i o n e . Tilly replicò a s s e d i a n d o M a g d e b u r g o . D o p o sei mesi di resistenza disperata, la città stremata dalla fame, dalla perniciosa e dalla m a n c a n z a di munizioni, spalancò le p o r t e agli imperiali, c h e s ' a b b a n d o n a r o n o a un saccheggio d e g n o di Attila. Case, scuole, ospedali furono dati alle fiamme, venti dei trentamila abitanti sterminati. Il macello d u r ò q u a t t r o g i o r n i , e lo stesso Tilly a m m i s e c h e s'era s p a r s o troppo sangue. La Germania protestante inorridì e d u e suoi principi, l'elettore di B r a n d e b u r g o e Giovanni Giorgio di Sassonia, misero i loro eserciti a disposizione di Gustavo, c h e con queste n u o v e forze, il 17 s e t t e m b r e del ' 3 1 , sbaragliò il Tilly a Breitenfeld, presso Lipsia. Fu u n a vittoria stre83
pitosa, c h e r i a n i m ò t u t t o lo s c h i e r a m e n t o a n t i a s b u r g i c o e p r o c u r ò al Re di Svezia nuovi alleati. La b a n d i e r a svedese sventolava ora d a l l ' O d e r al R e n o . A M a g o n z a , d o v e G u s t a v o aveva stabilito il suo q u a r t i e r gen e r a l e , e r a stata issata sul p e n n o n e del più alto edificio citt a d i n o , simbolo della trionfante causa p r o t e s t a n t e . Q u e l l a cattolica, affidata al vecchio e stanco Tilly, sembrava definit i v a m e n t e p e r d u t a . Solo u n u o m o forse a v r e b b e p o t u t o o p e r a r e la riscossa: l'imbattuto Wallenstein. Q u a n d o Ferdin a n d o gli chiese di r i p r e n d e r e il c o m a n d o dell'esercito imp e r i a l e , il c o n d o t t i e r o b o e m o accettò, ma volle d e t t a r e le condizioni del reingaggio: c o m a n d o s u p r e m o delle t r u p p e , pieni p o t e r i di negoziato e di t r e g u a , diritto di saccheggio, di confìsca e d ' a m n i s t i a . L ' I m p e r a t o r e n o n aveva scelta, e accettò. Wallenstein r i u n ì i n u n b a t t e r d ' o c c h i o u n p o d e r o s o e s e r c i t o , i n d u s s e G i o v a n n i G i o r g i o di Sassonia a u n ' e n n e s i m a p i r o e t t a . D o p o d i c h é p u n t ò su P r a g a e, senza colpo ferire, l'occupò. Nel frattempo, p e r la seconda volta Gustavo Adolfo sconfiggeva a Rain il Tilly, che d u e settimane d o p o m o r i v a p e r le ferite riportate. Da Rain, il Re svedese piegò su Monaco, dove lo r a g g i u n s e la notizia che all'esercito del Wallenstein, Massimiliano aveva u n i t o il suo, e t u t t ' e d u e si stavano o r a p r e p a r a n d o al g r a n d e s c o n t r o . Q u e s t o a v v e n n e il 16 n o v e m b r e 1632 a L ù t z e n , nei d i n t o r n i di Lipsia. Fino al tram o n t o la lotta infuriò in u n ' a l t a l e n a d ' a t t a c c h i e c o n t r a t tacchi, a v a n z a t e e r i t i r a t e . Sul far della sera, s e m b r ò c h e i cattolici p r e n d e s s e r o il sopravvento. Gustavo allora d i e d e il segnale della riscossa, e vi si p o s e a c a p o , l a n c i a n d o il suo cavallo c o n t r o la p r i m a linea nemica. A un tratto, un proiettile lo colpì al braccio sinistro e un altro a n d ò a conficcarsi nella fronte del cavallo, che stramazzò al suolo, disarcionando il sovrano, r a g g i u n t o alla schiena da u n a seconda pallottola. Nella confusione n e s s u n o s'accorse della sua c a d u t a . La ferita n o n e r a m o r t a l e ed egli forse se la sarebbe cavata se ai soldati imperiali, che p e r p r i m i gli s'avvicinarono p e r 84
chiedergli chi fosse, n o n avesse risposto: «Sono il Re di Svezia, che suggello la religione e la libertà della n a z i o n e germanica col mio sangue». Fu investito da u n a selva di lance e il suo petto ridotto un crivello. La notizia della m o r t e di Gustavo si sparse nel c a m p o con la rapidità del fulmine. Gl'imperiali esultarono. Gli svedesi, d o p o un m o m e n t o iniziale di panico, s e r r a r o n o le file e, come belve inferocite, s ' a v v e n t a r o n o sul n e m i c o , f r a n t u m a n d o n e le difese e volgendolo in rovinosa rotta. Ma mai vittoria era costata più cara. Le r e d i n i della g u e r r a furono p r e s e dal Richelieu che da Parigi seguiva le mosse degli eserciti antiasburgici rimasti in c a m p o : quello francese, c o m a n d a t o da B e r n a r d o di Sassonia Weimar, e quello svedese, guidato da B a n é r e Torstensson. Gl'imperiali s u b i r o n o nuovi rovesci, e il Wallenstein si ritirò in Boemia p e r r i m e t t e r e insieme i cocci della sua n o n più invincibile armata. Sapeva benissimo che a g u e r r a finita F e r d i n a n d o n o n avrebbe esitato un solo istante a liquidarlo. Ma s a p e v a a n c h e c h e i capi p r o t e s t a n t i , il Richelieu e l'Oxenstierna, e r a n o disposti a trattare con lui, e che gli esuli boemi gli avrebbero volentieri offerto la c o r o n a di Re. Il 24 gennaio 1634, F e r d i n a n d o gli tolse il c o m a n d o delle t r u p p e . Wallenstein, con p o c h e migliaia di u o m i n i rimastigli fedeli, fuggì a Eger, dove s'acquartierò. Il 25 febbraio, m e n t r e se ne stava nella sua stanza a curarsi la gotta, quattro soldati v ' i r r u p p e r o e lo m a s s a c r a r o n o a colpi di s p a d a , f u g g e n d o p o i a V i e n n a , d o v e l ' I m p e r a t o r e li r i c o m p e n s ò con u n a lauta mancia e u n o scatto di g r a d o . Al suo p o s t o , F e r d i n a n d o mise il p r o p r i o figlio, c h e si chiamava c o m e lui. E r a un giovane di ventisei a n n i , colto, delicato, a m a n t e della musica e della filosofìa, e a n c h e b u o n g e n e r a l e . La sua p r i m a sortita a N ò r d l i n g e n c o n t r o Bern a r d o fu un trionfo. Da quella battaglia l'esercito protestante uscì assai malconcio, e Richelieu e O x e n s t i e r n a dovettero b a n d i r e n u o v e leve, a cui p e r ò i principi tedeschi rifiutarono reclute. La g u e r r a , che sembrava n o n dovesse più finire, 85
li aveva s t r e m a t i e sui loro Stati, devastati dagli eserciti di m e z z ' E u r o p a , incombeva lo spettro della fame e della b a n carotta. C i o n o n o s t a n t e e r a n o a n c o r a disposti a cofnbattere, ma n o n più p e r la Francia e la Svezia, cioè p e r lo straniero. Se dovevano c o n t i n u a r e a versar s a n g u e , l'olocausto a n d a v a c o m p i u t o in n o m e della G e r m a n i a . La g u e r r a seguitò a d i v a m p a r e su vari fronti con sorti alt e r n e , c h e s a r e b b e t r o p p o l u n g o s e g u i r e . Nella G e r m a n i a d e l N o r d l'esercito della Sassonia si s c o n t r ò nel 1635 con quello svedese. A occidente B e r n a r d o , affiancato dal francese T u r e n n e , batté tre a n n i d o p o gl'imperiali a Wittemweiler e d i e d e alla Francia l'Alsazia. Nel 1642 Torstensson sconfisse la lega asburgica a Breitenfeld. Nel 1643 E n g h i e n mise in r o t t a gli spagnoli a Rocroi, nel '44 lo stesso E n g h i e n e Tur e n n e c o n q u i s t a r o n o la Renania, nel '46 a n c o r a T u r e n n e dilagò in Baviera. I franco-svedesi e r a n o imbattibili e gl'imperiali esausti. F e r d i n a n d o I I I , successo nel 1637 al p a d r e , cominciò a p e n s a r e alla pace. Trattative s ' a n d a v a n o t r a s c i n a n d o da p i ù di dieci a n n i . Nel 1635, il p a p a U r b a n o V i l i aveva invitato i belligeranti a s o s p e n d e r e le ostilità. Le varie p a r t i s'erano riunite a Colonia, ma n o n avevano concluso niente. Sei a n n i d o p o , francesi, svedesi e imperiali s'erano dati c o n v e g n o ad A m b u r g o e avevano designato le città di M ù n s t e r e O s n a b r ù c k c o m e sedi di negoziati s e p a r a t i : nella p r i m a , la Francia a v r e b b e trattato con F e r d i n a n d o , m e d i a t o r i il P a p a e Venezia; nella s e c o n d a , Francia e I m p e r o si s a r e b b e r o a b b o c c a t e c o n la Svezia, m e d i a t o r e il Re d a n e s e . La divisione e r a stata chiesta dal r a p p r e s e n t a n t e svedese, che n o n voleva s e d e r e allo stesso tavolo col n u n z i o pontifìcio, e da q u e s t ' u l t i m o c h e n o n voleva aver d i fronte u n l u t e r a n o . B e g h e p r o c e d u r a l i , cavilli di protocollo, puntigli d'etichetta e soprattutto le cangevoli vicende della g u e r r a che r e n d e v a n o riluttante il vincitore del m o m e n t o ad a b b a n d o n a r e la lotta, r i t a r d a v a n o il concreto avvìo dei negoziati. Solo il 4 d i c e m b r e 1644 essi finalmente c o m i n c i a r o n o , 86
presenti c e n t o t r e n t a c i n q u e delegati, che p e r sei mesi dibatt e r o n o le p i ù futili questioni di p r e c e d e n z e . L'ambasciatore francese fece ufficialmente sapere che n o n avrebbe partecipato ai lavori se n o n gli fosse stato riconosciuto il titolo d'Altezza. Finalmente, nell'ottobre 1648, la pace, la famosa pace di Westfalia, ossia il d u p l i c e t r a t t a t o di M ù n s t e r e O s n a bruck, fu firmato: Svizzera e O l a n d a o t t e n n e r o l ' i n d i p e n denza; l'Alto Palatinato passò alla Baviera, il Basso t o r n ò a Federico, anzi al figlio, c h e d i v e n t ò ottavo e l e t t o r e dell'Impero; il B r a n d e b u r g o acquistò la P o m e r a n i a orientale e le città di M a g d e b u r g o e M i n d e n , e gettò le basi d ' u n n u o v o Stato: la Prussia; alla Svezia v e n n e r o assegnate le diocesi di Brema e Verden, le città di Wismar e Stettino, è il territorio alla foce dell'Oder; ai principi tedeschi furono riconfermate le c o s i d d e t t e libertà g e r m a n i c h e , cioè la l o r o p i e n a i n d i p e n d e n z a d a l l ' I m p e r a t o r e ; questi o t t e n n e il riconoscim e n t o della sua sovranità in Boemia e in U n g h e r i a ; la Francia e b b e P i n e r o l o , l'Alsazia c o n le diocesi di Metz, T o u l e Verdun, ma s o p r a t t u t t o vide realizzarsi tutti i sogni d e l Richelieu: l ' a l l a r g a m e n t o delle p r o p r i e frontiere, l'indebolim e n t o degli Asburgo e il m a n t e n i m e n t o della divisione dei principi tedeschi. La g r a n d e sconfitta fu la Chiesa cattolica, che aveva sognato di r i p o r t a r e la G e r m a n i a all'ortodossia sugli scudi imperiali. L a p a c e a m a r e g g i ò p r o f o n d a m e n t e i l p a p a I n n o cenzo X che la definì: «Nulla e n o n valida, maledetta, e senza effetto a l c u n o né risultato p e r il passato, il p r e s e n t e e il futuro». Ma n e s s u n o gli d i e d e retta. In G e r m a n i a la C o n troriforma era stata bocciata. La Riforma, invece, g u a d a g n ò punti a N o r d e ne p e r s e a Sud, dove n o n e r a mai stata forte. Il calvinismo fu ufficialmente riconosciuto. T r e n t ' a n n i di g u e r r a - e che g u e r r a ! - avevano ridotto la Germania a un deserto dei tartari. Sul suo suolo sei eserciti - tedesco, danese, svedese, b o e m o , spagnolo, francese - s'erano abbandonati a ogni sorta di violenze, che n o n cessarono n e m m e n o con la pace p e r c h é molti soldati m e r c e n a r i , li87
cenziati dai loro c o m a n d a n t i , si t r a s f o r m a r o n o in briganti e razziatori, s e b b e n e da razziare nel Paese fosse rimasto b e n poco. Secondo i calcoli, spesso discordanti, dei c o n t e m p o r a nei, i v e n t u n milioni d'abitanti d e l l ' a n t e g u e r r a e r a n o scesi a tredici e mezzo. La Baviera aveva p e r d u t o ottantamila famiglie e novecento villaggi; la Boemia tre quarti della popolazione e c i n q u e sesti dei suoi villaggi. I p i ù colpiti f u r o n o i contadini, c h ' e b b e r o i loro c a m p i devastati dagli eserciti, e i m e r c a n t i , tagliati fuori dai c o m m e r c i fra Stato e Stato, fra città e città. Anche le r i m a n e n t i attività economiche - i n d u stria, artigianato, servizi - e r a n o ridotte allo stremo, e ci volle più d ' u n secolo p e r c h é rifiorissero. N e s s u n conflitto c o m e quello dei T r e n t ' a n n i i m p o v e r ì e i n s a n g u i n ò t a n t o la G e r m a n i a e l ' E u r o p a , n e s s u n a pace fu più s u d a t a e sospirata di quella di Westfalia. Il 1648 chiuse l'epoca delle g u e r r e d i r e l i g i o n e e a p r ì quella, n o n m e n o c r u e n t a , delle g u e r r e nazionali. Al f a n a t i s m o teologico e ideologico si sostituì un'altra forma di fanatismo, n o n m e n o esiziale E o r a vediamo il contraccolpo che questo cataclisma aveva provocato negli Stati italiani.
CAPITOLO SESTO
IL PIEMONTE
Dal 1580 lo Stato s a b a u d o era nelle m a n i di Carlo E m a n u e le I, figlio di E m a n u e l e Filiberto. Del p a d r e possedeva l'ambizione, l'intelligenza, la g r i n t a , ma n o n la c o e r e n z a e la p r u d e n z a . Era diventato Duca a diciott'anni e s'era trovato sulle spalle il peso d ' u n o Stato ancora in fasce, su cui seguitavano ad a p p u n t a r s i le diffidenze e gli appetiti della vicina, Francia, che vedeva con sospetto il suo consolidamento. Fu p e r a r g i n a r e q u e s t ' i n v a d e n z a c h e Carlo E m a n u e l e si p r e s e in m o g l i e la figlia di Filippo I I , C a t e r i n a . Bastava g u a r d a r l a p e r capire c h ' e r a stata u n a scelta dettata p i ù dalla r a g i o n di Stato che da quella del c u o r e . L'Infanta era piccola, e s a n g u e , malaticcia, col volto b u t t e r a t o d a l vaiolo. N e a n c h e il Duca e r a un c a m p i o n e di bellezza: di statura inferiore alla m e d i a c o m e molti Savoia, aveva le spalle leggerm e n t e arcuate, i lineamenti delicati, l'incarnato pallido. Ma fin da b a m b i n o il p a d r e l'aveva abituato a ogni sorta d'esercizi fisici e di s p o r t e ne aveva fatto un abile cavaliere e un invincibile spadaccino. Il m a t r i m o n i o suggellò l'alleanza con la S p a g n a e il Duca ne profittò subito p e r sollevare la q u e s t i o n e di Saluzzo, avamposto francese in Piemonte e spina nel fianco dello Stato s a b a u d o . Nel 1588, m e n t r e a Parigi infuriava la g u e r r a civile tra i Valois e i Guisa, Carlo E m a n u e l e fece o c c u p a r e il Marchesato di Saluzzo in n o m e di antichi diritti aleramici e in quello della Fede, minacciata - egli diceva - dalla presenza nel territorio di sette u g o n o t t e . Imbaldanzito dal successo, si lanciò q u i n d i alla conquista di Ginevra e della Provenza, ma stavolta dovette fare i conti col maresciallo francese 89
Lesdiguières, che dal Delfinato p i o m b ò col suo esercito sulla Savoia e sul Marchesato, obbligando il Duca a far marcia indietro. Fra a l t e r n e vicende, la g u e r r a si trascinò fino al 1601. In quell'anno, a Lione, il re di Francia Enrico IV cedette a Carlo E m a n u e l e il Marchesato di Saluzzo o t t e n e n d o in cambio la Bresse, il Bugey, il Valromey e il p a e s e di G e x , possedim e n t i sabaudi al di là delle Alpi. Il baratto ribadiva la vocazione italiana dei Savoia e legava i destini di questa Casa, di c e p p o b o r g o g n o n e , a quelli della Penisola. «E molto meglio» a n n o t ò n e i suoi Ricordi C a r l o E m a n u e l e «avere u n o Stato solo, tutto u n i t o , come è questo di q u a d e ' monti, che d u e , e tutti e d u e malsicuri.» Tredici a n n i di g u e r r a avevano s t r e m a t o la p o p o l a z i o n e e s v u o t a t o le casse s a b a u d e . Il D u c a t e n t ò di r i m p o l p a r l e i n a s p r e n d o i vecchi balzelli, i n v e n t a n d o n e di nuovi e i m p e g n a n d o i gioielli della moglie che n o n p o t è p r o t e s t a r e p e r ché e r a già calata nella t o m b a . L'aumento delle tasse, invece, s e m i n ò m o l t o m a l c o n t e n t o tra i sudditi, specialmente a T o r i n o che, c o m e capitale e c e n t r o e c o n o m i c o dello Stato, e r a la città p i ù tartassata dal fisco. Il Duca la s p r e m e v a , ma a n c h e l'abbelliva. Per il suo riassetto urbanistico molto aveva già fatto E m a n u e l e Filiberto, c h e vi s'era installato q u a n d ' e s s a e r a poco p i ù d ' u n b o r g o m o n t a n a r o . Il figlio le d i e d e un volto razionale e m o d e r n o , a p r e n d o e p a v i m e n t a n d o strade, scavando fogne, i n n a l z a n d o edifici e m u n e n doli di g r o n d a i e . Accanto alla Torino medievale s p u n t ò così u n a città n u o v a con n u o v e m u r a e solidi bastioni. N o n contava che ventimila abitanti, ma già stava acquistando il tono di u n a capitale. Il suo fulcro e r a la C o r t e . S e b b e n e s ' i n t e n d e s s e d ' a r t e , parlasse francese, spagnolo, latino, scrivesse poesie e aforismi militari, leggesse i classici, Carlo E m a n u e l e n o n era un m e c e n a t e . Lo sarebbe forse stato se ne avesse avuto il temp o , ma gli affari di g o v e r n o n o n gli d a v a n o t r e g u a , l'assorbivano tutto il g i o r n o e spesso lo t e n e v a n o sveglio anche 90
la notte. E r a u n a specie di m o t o r i n o , s e m p r e in m o v i m e n t o , s e m p r e all'erta. N o n aveva orari, m a n g i a v a q u a n d o capitava, t e n e n d o in p e r e n n e mobilitazione cuochi e camerieri. A C o r t e , feste, balli, spettacoli si svolgevano senza di lui. Le d o n n e gli p i a c e v a n o , ma a n c h e a l o r o si c o n c e d e v a p o c o . N o n aveva hobbies né svaghi, la sua u n i c a o c c u p a z i o n e e preoccupazione era la politica. C o m e il p a d r e , si circondava di consiglieri ma n o n ne seguiva i consigli. Faceva e disfaceva tutto di testa sua: g u e r r e , paci, alleanze. Sognava, in anticipo di d u e secoli, di fare del piccolo P i e m o n t e lo Stato guida d'Italia, e in questo sogno spese tutte le sue risorse e le sue energie. Conquistato Saluzzo, si volse al M o n f e r r a t o su cui sventolava lo s t e m m a dei G o n z a g a di M a n t o v a . Sposò le figlie M a r g h e r i t a e Isabella a d u e p r i n c i p i di quella casata, si staccò dalla Spagna, ostile al passaggio del M o n f e r r a t o nell'orbita sabauda, e strizzò l'occhio al Re di Francia, s p e r a n do che questi li chiudesse tutt'e d u e sulle sue ambizioni annessionistiche. Nel 1612 il Duca di Mantova Francesco, che aveva sposato M a r g h e r i t a , m o r ì lasciando u n a figlia. Carlo Emanuele reclamò p e r essa il Monferrato. Il fratello del Duca, F e r d i n a n d o , spalleggiato dalla Spagna, s'oppose. Il Duca di Savoia occupò allora Trino, Alba e Moncalvo. Il govern a t o r e s p a g n o l o di Milano gli o r d i n ò di r i t i r a r s e n e . C a r l o E m a n u e l e rispose r e s t i t u e n d o al Re di S p a g n a il Collare del Toson d ' o r o e dichiarandogli g u e r r a . Q u i n d i lanciò appelli alla Francia, a Venezia, agli Stati italiani p e r c h é scendessero MI c a m p o al suo fianco, ma n e s s u n o si mosse. Allora il piccolo Davide decise di sfidare da solo il gigante Golia. L'esercito p i e m o n t e s e si scontrò a p i ù r i p r e s e con quello spagnolo e fu battuto. Solo q u a n d o vide minacciata Torino, « D u c a si piegò alla pace, che fu stipulata alla fine di g i u g n o •fel 1615 ad Asti. Carlo E m a n u e l e s'impegnò a smobilitare e ^disinteressarsi del Monferrato. Ma subito si rimise a tesser l e f i l a d ' u n a n u o v a e p i ù solida alleanza con l a Francia, p o s a n d o il figlio ed e r e d e Vittorio A m e d e o alla sorella di 91
Luigi X I I I , Cristina. Pensava che p r i m a o poi la q u e s t i o n e del Monferrato sarebbe tornata a galla e che con l'appoggio francese egli l'avrebbe spuntata. Ma nel 1627 si spense l'ultimo dei Gonzaga, Vincenzo, d o p o aver d a t o la figlia Maria in sposa a C a r l o di N e v e r s , c h e d i v e n t a v a così il n a t u r a l e successore al Ducato di Mantova, e q u i n d i a n c h e d e l Monferrato. Tutti i disegni di Carlo E m a n u e l e a n d a v a n o a m o n te, e a m o n t e a n d a v a a n c h e l'alleanza con la Francia. Il Duca approfittò della G u e r r a dei T r e n t ' a n n i , c h e imp e g n a v a fino al collo la d i p l o m a z i a e le forze francesi p e r passare in c a m p o s p a g n o l o e lanciarsi p e r la s e c o n d a volta alla conquista della sua p r e d a . Il Richelieu spedì subito un esercito al di q u a delle Alpi p e r sostenere le rivendicazioni del Nevers, ma a S a m p e y r e Carlo E m a n u e l e lo mise in fuga. Il m i n i s t r o francese t e n t ò allora d ' i n d u r r e il D u c a a sganciarsi dagli spagnoli, offrendogli in cambio le piazzeforti m o n f e r r i n e già da lui occupate. E siccome Carlo E m a n u e le nicchiava, r i p e t è l'invito, ma affidandolo alle baionette di u n esercito c h e sbaragliò quello d e l D u c a . Q u e s t i accettò dalla forza le condizioni che aveva rifiutato dalla d i p l o m a zia. Si t e n n e il suo cantuccio di M o n f e r r a t o e r i p u d i ò l'alleanza spagnola. Ma sotto sotto seguitò a trescare con Mad r i d . Richelieu allora lo convocò a Bussoleno e gl'intimo di far presidiare il Monferrato dai francesi. Nell'estate, t r u p p e spagnole sbarcarono a Genova. Carlo E m a n u e l e tirò un sospiro di sollievo, ma q u a n d o le vide dirigersi su Casale anzic h é verso la valle di Susa, o r m a i c o m p l e t a m e n t e in m a n o francese, si b a r r i c ò a Rivoli a difesa della Capitale, distante u n a quindicina di chilometri. Il Richelieu, t e m e n d o forse di n o n r i u s c i r e a e s p u g n a r l a , o r d i n ò alle t r u p p e d ' o c c u p a r e Pinerolo e Saluzzo. Alla testa di diciottomila u o m i n i , il Duca scese in c a m p o p e r affrontarle, ma a Savigliano fu stroncato da un attacco di b r o n c o p o l m o n i t e . Aveva sessantott'anni e p e r c i n q u a n t a aveva r e g n a t o , cacciandosi i n i m p r e s e s p r o p o r z i o n a t e alle sue esigue forze, ma n o n alle sue sconfinate ambizioni. Si e r a b a r c a m e n a t o con eccessiva disinvoltu92
ra t r a S p a g n a e Francia, aveva c a m b i a t o c o n t i n u a m e n t e bandiera, n o n aveva o r d i t o che intrighi. Ma qualcosa aveva intuito e vagheggiato: un'Italia unita sotto gli stemmi sabaudi, u n o Stato nazionale sul modello francese e spagnolo. Per i suoi t e m p i e r a stato un visionario. Per quelli successivi, un profeta. Lasciava il Piemonte in balìa degli eserciti francesi e d'una terribile peste, e il titolo di Duca al figlio Vittorio A m e deo. Questi aveva da poco passato la quarantina, era un bell'uomo, alto, b r u n o , aitante. Ma l'aspetto ingannava. Fin dall'infanzia soffriva d'asma e di crisi depressive, che combatteva col lavoro e la caccia. Amava p e r d u t a m e n t e la moglie che lo tradiva con un gentiluomo di corte. N o n aveva né l'ambizione né l'intelligenza del p a d r e , ma conosceva i p r o p r i limiti, e n o n faceva mai il passo più l u n g o della gamba. A p p e n a salito al t r o n o , cercò subito un accordo con la Francia, con la S p a g n a e c o n l ' I m p e r o p e r i m p e d i r e c h e il P i e m o n t e fosse, coinvolto nella spaventosa G u e r r a dei T r e n t ' a n n i e diventasse, come la G e r m a n i a , un c a m p o di battaglia e di r a p i n a di eserciti stranieri. Riconobbe i diritti del D u c a di Nevers su Mantova e o t t e n n e in cambio altre città del Monferrato, ma dovette cedere Pinerolo alla Francia col trattato di Cherasco del marzo 1631. U n a data da ricordare p e r c h é l'ipoteca francese su Pinerolo e r a destinata a p e s a r e sulla storia n o n solo del Piemonte, ma di tutta l'Italia. La capitolazione e r a stata imposta dall'abilità diplomatica del Richelieu sotto la minaccia delle b a i o n e t t e . Ma e r a stata d e t t a t a a n c h e da motivi familiari. I fratelli del Duca, Tommaso e Maurizio, odiavano Cristina, che accusavano di francofilia. La D u c h e s s a a sua volta rinfacciava ai c o g n a t i d'essere al soldo della Spagna. Q u e s t e liti avvelenavano l'atmosfera di C o r t e , e il Richelieu ne a p p r o f i t t ò da p a r s u o , esercitando subdole pressioni sul Duca p e r i n d u r l o a schierarsi c o n t r o la Spagna, a dichiararle g u e r r a e a i n v a d e r e la L o m b a r d i a , su cui a n c h e i Savoia n u t r i v a n o m i r e . L'astuto ministro sperava che u n a n u o v a c a m p a g n a militare lavoras93
se l'alleato al p u n t o da p o r l o c o m p l e t a m e n t e in sua balìa. Vittorio A m e d e o accettò la sfida, si pose a capo dell'esercito, passò il T i c i n o e p u n t ò su M i l a n o . N e i pressi di G a l l a r a t e s'imbattè negli spagnoli, li sconfisse, ma le p e r d i t e che subì gli consigliarono di far marcia indietro e dirigersi su G e n o va. A M o m b a l d o n e r i p o r t ò u n ' a l t r a vittoria, c h e lo volse n u o v a m e n t e verso la L o m b a r d i a . Ma, g i u n t o a Vercelli, nell'ottobre del 1637, fu assalito da u n a misteriosa febbre, che in pochi giorni lo stroncò assieme a d u e suoi generali. Qualc u n o disse che il Duca e r a stato avvelenato p e r o r d i n e di Richelieu, ma tutto lascia p e n s a r e c h e a ucciderlo sia stata la malaria, che infestava allora la zona. La sua m o r t e a p r ì in m o d o d r a m m a t i c o il p r o b l e m a della successione. N o n p o t e v a n o a s p i r a r v i né il p r i m o g e n i t o Francesco Giacinto c h e aveva c i n q u e a n n i , n é C a r l o E m a n u e l e che n e aveva tre. Bisognava n o m i n a r e u n r e g g e n t e . Ma chi? I francesi a p p o g g i a v a n o Cristina, gli spagnoli i d u e fratelli del Duca. I sudditi, che odiavano Cristina, si schierar o n o dalla p a r t e di Maurizio e T o m m a s o . Parigi e M a d r i d s p e d i r o n o a T o r i n o a g e n t i p e r s o s t e n e r e i rispettivi c a n d i d a t i . Si f o r m ò così il p a r t i t o d e i madamistì, seguaci della Duchessa, e quello dei principisti, fautori di Maurizio e Tommaso che avevano lasciato la Capitale e da lontano guidavano l'opposizione alla cognata. Nel m a r z o del 1639 i d u e d i c h i a r a r o n o illegale la r e g g e n za di C r i s t i n a e m o s s e r o su T o r i n o alla testa d ' u n esercito spagnolo. La Duchessa allontanò Carlo E m a n u e l e dalla città (Francesco Giacinto e r a m o r t o da poco) e invitò i sudditi a p r e n d e r e le a r m i c o n t r o i cognati. Ma l'appello c a d d e nel vuoto, e Cristina decise d ' a b b a n d o n a r e la Capitale. Già tutto era p r o n t o p e r la p a r t e n z a e la Duchessa stava p e r salire in carrozza, q u a n d o u n o del seguito le disse che quella n o n e r a u n a fuga, m a u n v e r o e p r o p r i o t r a d i m e n t o . Cristina t o r n ò allora sui suoi passi e a n n u n c i ò che sarebbe rimasta. Il gesto p i a c q u e ai torinesi, che si r i t r o v a r o n o improvvis a m e n t e tutti madamisti. Da un capo all'altro s'innalzarono 94
b a r r i c a t e , si s c a v a r o n o t r i n c e e , si d i s t r i b u i r o n o a r m i . Ma t a n t o e n t u s i a s m o doveva b e n p r e s t o essere soffocato dalle t r u p p e francesi di stanza a T o r i n o , c h e a v e v a n o r i c e v u t o l ' o r d i n e dal Richelieu di d i s a r m a r e gli abitanti e a r r e s t a r e gli ufficiali p i e m o n t e s i sospetti. Ne profittarono Maurizio e T o m m a s o p e r attaccare la città, c h e c a d d e nelle loro m a n i senza quasi o p p o r r e resistenza. La Duchessa trovò rifugio nella cittadella. I torinesi a b b a n d o n a r o n o la sua causa, uscir o n o dalle loro case e s c i a m a r o n o nelle s t r a d e sventolando b a n d i e r e , o s t e n t a n d o coccarde e i n t o n a n d o inni principisti. Il Senato p r o c l a m ò Maurizio e T o m m a s o t u t o r i e r e g g e n t i per il d u c h i n o Carlo E m a n u e l e . Cristina, vista la mala p a r a ta, a b b a n d o n ò il suo rifugio e p r e s e la via di Grenoble, dove l ' a t t e n d e v a n o il fratello Luigi X I I I e il Richelieu. La D u chessa e il Re n o n si v e d e v a n o da dieci a n n i . Il l o r o colloquio fu cordiale e c o m m o s s o . T e m p e s t o s o fu invece quello col c a r d i n a l e , c h e chiese a Cristina di c o n s e g n a r g l i il Piem o n t e e Carlo E m a n u e l e . La Duchessa rifiutò. Il Richelieu ebbe un'esplosione di collera e uscì dalla stanza d o v ' e r a avvenuto l'incontro sbattendo la porta. A T o r i n o i n t a n t o si seguitava a c o m b a t t e r e . T r u p p e fresche e r a n o state spedite da Parigi a d a r m a n forte al presidio francese. Alla fine di m a g g i o (1640) esse cinsero d'assedio la Capitale. I torinesi, in p r e d a al panico, fecero e s p o r r e fuori del D u o m o la Santa S i n d o n e . Q u i n d i c o m p i r o n o u n a sortita contro i francesi, che li respinsero con gravi p e r d i t e , l'inseguirono e p e n e t r a r o n o nella città. I principisti dovettero a r r e n d e r s i e scendere a patti. Cristina r i e n t r ò a Torino, ma prima di varcare le m u r a ordinò numerosi arresti ed e m a n ò un editto di proscrizione. Il suo ingresso in città avvenne su u n o splendido cocchio. Giunta a Porta N u o v a , ne discese e salì su u n a p o r t a n t i n a ; s o r m o n t a t a da un baldacchino, che si diresse alla volta del D u o m o , dove fu celebrata u n a messa solenne e cantato un Te Deum di r i n g r a z i a m e n t o Per il r a g g i u n t o accordo. Ma questo sarebbe stato p r e c a r i o finché la Duchessa e i 95
cognati n o n si fossero rappacificati. Lo stesso Richelieu facilitò la riconciliazione s p e d e n d o suoi emissari a t r a t t a r e con T o m m a s o e M a u r i z i o . L'intesa fu p i ù facile d e l p r e v i s t o : T o m m a s o accettò di passare al servizio della Francia; Maurizio, c h ' e r a c a r d i n a l e , a c c o n s e n t ì a lasciare la p o r p o r a e a s p o s a r e la figlia di Cristina, L u d o v i c a , c h e oltre ad essere sua nipote aveva quattordici a n n i , m e n t r e lui ne aveva quarantanove. Anche p e r il P i e m o n t e , che aveva solo cercato di a p p r o fittarne p e r i suoi interessi passando disinvoltamente da un c a m p o all'altro, la G u e r r a dei T r e n t ' a n n i e r a finita. E senza risultati. La situazione era rimasta quella sancita dal trattato di C h e r a s c o , c h e v e d e v a P i n e r o l o nelle m a n i francesi e il M o n f e r r a t o nelle m a n i dei G o n z a g a - N e v e r s , p r o t e t t i dai francesi.
CAPITOLO SETTIMO
MILANO
Ne / promessi sposi A l e s s a n d r o M a n z o n i ci ha lasciato u n o splendido affresco di Milano nella p r i m a m e t à del Seicento. Sotto il d o m i n i o s p a g n o l o , cominciato nel 1536, la città aveva p e r d u t o l'antico fulgore. Le sue sorti di colonia dell'immenso I m p e r o fondato da Carlo V e r a n o affidate a un governatore n o m i n a t o da M a d r i d , i cui poteri equivalevano a quelli d ' u n Viceré e n o n e r a n o limitati c h e dalla volontà dell'Escuriale. Il S e n a t o ne aveva p r e s o atto e vi s'era a d e guato. I suoi m e m b r i , reclutati fra i cittadini patrizi di collaudata fedeltà alla S p a g n a , p o t e v a n o infatti c o n v a l i d a r e i decreti reali, ma n o n avevano facoltà d'invalidarli, venivano consultati dal g o v e r n a t o r e , ma n o n esercitavano alcun diritto di veto sulle sue decisioni. E r a n o i n s o m m a dei notai, ai cui titoli n o n c o r r i s p o n d e v a un'effettiva funzione politica. Di u n ' a m p i a a u t o n o m i a godeva invece la burocrazia. Fin dai tempi comunali, Milano s'era data, in questo settore, dei q u a d r i di p r i m ' o r d i n e , che la S p a g n a lasciò inalterati. Se le cose in L o m b a r d i a a n d a r o n o meglio che nelle altre colonie spagnole, ciò fu a n c h e d o v u t o alla sopravvivenza di questa vetusta e gloriosa t r a d i z i o n e a m m i n i s t r a t i v a , c h e servì di modello ai conquistatori. Costoro avevano u n a sola p r e o c c u p a z i o n e : evitare g r a n e coi sudditi e i m p e d i r e sommosse. La r e g i o n e costituiva u n a base militare d'eccezionale i m p o r t a n z a strategica grazie alle fcue inespugnabili piazzeforti, rifugi e centri di rifornimento degli eserciti spagnoli. A Milano, il famoso Castello e r a u n a città nella città. Ospitava u n a g u a r n i g i o n e di c i n q u e c e n t o 97
u o m i n i , le s u e m u r a si s n o d a v a n o p e r un miglio e m e z z o c i n g e n d o case, palazzi, botteghe, cinque pozzi, un ospedale, un m u l i n o , u n a chiesa con otto cappellani e un curato. Nella sua piazza si p o t e v a n o schierare fino a seimila soldati, e sui bastioni c'era posto p e r d u e c e n t o c a n n o n i . Q u i facevano t a p p a le t r u p p e dirette nella Valtellina, il corridoio strategico che collegava la L o m b a r d i a all'Austria, dove r e g n a v a l'alt r o r a m o degli Asburgo. N o n s e m p r e questo corridoio e r a a p e r t o p e r c h é i Grigioni, che ne p o s s e d e v a n o le chiavi, e r a n o protestanti e odiavano la S p a g n a e il Papa, m e n t r e cattolica e r a la p o p o l a z i o n e valtellinese, perseguitata e sottoposta dai d o m i n a t o r i a ogni s o r t a d i s o p r u s i . S u b i t o d o p o l o s c o p p i o della G u e r r a dei T r e n t ' a n n i , il g o v e r n a t o r e di Milano, D u c a di Feria, s p e d ì emissari nella Valle a o r g a n i z z a r e u n a rivolta c o n t r o i Grigioni. L'azione, condotta con g r a n d e p r u d e n z a e abilità, dette i suoi frutti. La mattina del 19 luglio (1620), a un segnale c o n v e n u t o - q u a t t r o colpi d'archibugio -, gli abitanti di Tir a n o scesero p e r le strade d a n d o il via a quello ch'è passato alla Storia c o m e il «Sacro Macello della Valtellina». L'esempio fu subito i m i t a t o d a i cittadini di S o n d r i o , c h e massac r a r o n o centottanta protestanti. L a carneficina d u r ò alcuni giorni e costò dai trecento ai seicento m o r t i (trecento secondo i cattolici, seicento secondo i protestanti). Costoro, colti di sorpresa, mossero sulle città insorte p e r r i c o n d u r l e all'obbedienza, m e n t r e t r u p p e spagnole accorrevano a d a r m a n forte ai ribelli. La Francia, t e m e n d o u n a vittoria cattolica, inviò aiuti ai p r o t e s t a n t i . Fu l'inizio d ' u n a g u e r r a che fece capitolo a sé d e n t r o quella dei T r e n t ' a n n i e ne d u r ò sei in un'indescrivibile altalena di t r e g u e , battaglie, arbitrati, compromessi. Il 5 m a r z o 1626, finalmente, la pace di M o n z ó n pose fine alle ostilità. La Valtellina fu restituita ai Grigioni, che riconobbero i pieni diritti dei cattolici. In cambio, austriaci e spagnoli dovettero r i n u n z i a r e a farvi passare i loro eserciti. Il c o n t i n u o via-vai di t r u p p e aveva trasformato il Milane98
se in u n ' i m m e n s a , desolata b r u g h i e r a . Le c a m p a g n e s'erano spopolate, molti contadini p e r sfuggire alle violenze e ai saccheggi delle soldatesche s ' e r a n o i n u r b a t i m e t t e n d o in crisi l'agricoltura che dalla caduta di Ludovico il M o r o n o n aveva fatto che declinare. Gli spagnoli n o n solo avevano assistito impassibili a questa rovina, ma con la loro sordità ai p r o blemi economici, ne a v e v a n o accelerato il corso. C o n s i d e r a v a n o la L o m b a r d i a u n a semplice b a s e m i l i t a r e e s'infischiavano della sua prosperità. N o n si r e n d e v a n o conto che il progressivo d e p a u p e r a m e n t o delle colonie avrebbe i n d e bolito il loro I m p e r o fino a farlo crollare. Gli stessi i m p r e n ditori e m e r c a n t i milanesi p r e f e r i v a n o investire i l o r o capitali in b e n i immobili piuttosto che farli circolare. Le Corporazioni, che ai t e m p i del C o m u n e e della Signoria e r a n o state le protagoniste della vita economica, o r a r a p p r e s e n t a v a n o soltanto un ostacolo alla sua p r o s p e r i t à . A m e t à d e l Seicento, se ne c o n t a v a n o circa un centinaio: m e r c a n t i , armaioli, s p a d a r i , calzolai, c a r p e n t i e r i , barbieri, librai, stamp a t o r i , cartai, lattai, macellai, orefici, r i c a m a t o r i , speziali, sarti, pellicciai. Ciascun'arte aveva un p r o p r i o statuto, di cui e r a gelosissima e g u a r d a v a in c a g n e s c o le a l t r e . I lanaioli litigavano coi commercianti, i sarti accusavano i rigattieri di v e n d e r e abiti nuovi, i ricamatori p r o t e s t a v a n o c o n t r o i cinturari che smerciavano p r o d o t t i lavorati. Il Vicario di Provvisione, cioè il Sindaco, da cui le C o r p o r a z i o n i d i p e n d e v a no, passava g r a n p a r t e del suo t e m p o a d i r i m e r e queste baruffe. Un'altra iattura e r a il fisco. A far l'elenco dei balzelli imposti dalla S p a g n a ai poveri milanesi n o n basterebbe un vol u m e . Salvo l'aria, tutto era tassabile e tassato. O g n i g i o r n o veniva escogitata u n a n u o v a gabella. Oltre all'imposta di farfuglia, a quelle sugli immobili e sui redditi, a quelle indirette sui generi di c o n s u m o - sale, farina, vino, legna - c'erano le taglie, i donativi, i balzelli straordinari, con cui la popolazione contribuiva al m a n t e n i m e n t o delle t r u p p e spagnole. I sistemi d'esazione e r a n o antiquati e colpivano, c o m e al soli99
to, s o p r a t t u t t o il p o p o l o e la b o r g h e s i a , cioè le sole classi produttive della società. I nobili fruivano infatti d'ogni sorta d ' e s e n z i o n i e i m m u n i t à : c o s t i t u i v a n o il ceto privilegiato, legato alla S p a g n a dall'interesse e dal costume di vita parassitario. Grazie alle r e n d i t e delle p r o p r i e t e r r e nel contado, il nobile viveva tra feste e banchetti, battute di caccia, p r i m e teatrali. Era p i ù istruito dei suoi a n t e n a t i che si v a n t a v a n o di n o n saper né leggere né scrivere, aveva studiato nei collegi dei gesuiti e dei barnabiti che d e t e n e v a n o il m o n o p o l i o dell'insegnamento, conosceva le lingue, viaggiava e n o n p e r d e va occasione di sfoggiare i suoi titoli, il suo r a n g o , le sue ricchezze. Era m a n i a c o dell'etichetta e del p r o t o c o l l o , e p e r u n a questione di p r e c e d e n z a b r a n d i v a la spada. Scimmiottava i m o d i esteriori del nobile spagnolo, ma n o n la sua concezione della vita ascetica e tragica. La sua i m p o r t a n z a era c o m m i s u r a t a al n u m e r o di cavalli e carrozze e alla dovizia di p e n n a c c h i , fregi, velluti con cui li a d d o b b a v a . M a n t e n e v a stuoli di servi, che reclutava fra ex soldati o ex contadini disoccupati. Le gesta di d o n Rodrigo, grazie al Manzoni, le conosciam o tutti. Q u e l l e d i P o r r o n e e D u g n a n i n o n f u r o n o m e n o scellerate. Il p r i m o e r a un nobilotto t r a c o t a n t e , m a n e s c o e borioso che un g i o r n o , innervosito dalle g r i d a d ' u n lattaio a m b u l a n t e , uscì in strada, l'immobilizzo e l'obbligò a b e r e tutto il latte, fino a farlo scoppiare. Un'altra volta, v e n u t o a lite con d u e ciabattini, li cucì insieme con lo spago. U n a notte, in un accesso di zelo p u r i t a n o , invitò, nel suo palazzo u n a ventina di prostitute, le fece spogliare e le frustò a sangue. Ai colpi di staffile il D u g n a n i preferiva invece quelli di bas t o n e , che distribuiva i m p a r z i a l m e n t e e g e n e r o s a m e n t e a tutti coloro che l'infastidivano: ai gabellieri che volevano ficcare il naso nella sua carrozza, agli agenti dei suoi creditori, ai servi che facevano r u m o r e q u a n d o dormiva. Su questi misfatti la polizia chiudeva un occhio e, se chi li c o m m e t t e v a era, c o m e si dice a Napoli, un «omo e' p a n 100
za», cioè un p o t e n t e , li chiudeva t u t t ' e d u e . Il g o v e r n a t o r e sfornava o g n i g i o r n o gride, o editti, c o n t r o i p i ù c o m u n i reati, che lasciavano il t e m p o che trovavano. A n c h e la giustizia usava d u e pesi e d u e m i s u r e . Poteva capitare che un nobile finisse sul patibolo, ma il p i ù delle volte restava imp u n i t o . A n c h e in caso di c o n d a n n a , godeva d ' u n t r a t t a m e n to di favore. Gli e r a infatti riservata la m a n n a i a , m e n t r e i c o m u n i mortali venivano squartati, arrotati o legati alla coda d ' u n cavallo e trascinati p e r le strade. Gli e r a p u r e concessa u n a speciale messinscena. Parenti, amici, servi, debitori p o t e v a n o a c c o m p a g n a r l o al supplizio vestiti di n e r o , i m p u g n a n d o torce e c a n t a n d o salmi, e d a r e solenne sepoltura al cadavere. D ' u n a totale i m m u n i t à beneficiavano invece i diplomatici: a m b a s c i a t o r i e consoli di p o t e n z e s t r a n i e r e accreditati presso il governatore. Alle loro abitazioni n o n p o t e v a n o avvicinarsi m a g i s t r a t i né sbirri. U n a r o n d a , a v v e n t u r a t a s i a quattrocento metri dal palazzo del connestabile Colonna, fu bastonata a sangue dai servi. Sorte peggiore toccò a un bargello, commissario di pubblica sicurezza, e ad alcuni suoi cagnotti che avevano osato passare davanti alla casa dell'ambasciatore veneto: fatti c e n t r o a u n a scarica d'archibugiate, il bargello restò ucciso e i suoi u o m i n i feriti. Poiché la legge funzionava male, anzi n o n funzionava affatto, ciascuno se la faceva da sé. Il sistema più spiccio e r a il duello. Ne avvenivano a tutte le ore del g i o r n o e della notte, nelle s t r a d e , nelle piazze, nei vicoli. Spesso s c e n d e v a n o in c a m p o fino a sei, sette coppie p e r volta. S'incrociavano le armi p e r i più futili motivi: di d o n n e , d'interessi, ma soprattutto di r a n g o . Appositi m a n u a l i e n u m e r a v a n o tutti i casi in cui s'imponeva la sfida. Dalla violenza n o n s'asteneva n e p p u r e il clero, specialmente quello regolare. I monaci e r a n o turbolenti, riottosi, attaccabrighe; gli abati d i s p o n e v a n o di vere e p r o p r i e milizie che d a v a n o n o n poco filo da torcere agli spagnoli. I c o n v e n t i e r a n o più l u o g h i di p e r d i z i o n e e c a m o r r a che di d e v o z i o n e e r a c c o g l i m e n t o . Q u a n d o n o n 101
e r a n o essi stessi fucine di briganti, ne e r a n o ostello. Il malc o s t u m e dilagava. N o n n e e r a n o i m m u n i n e m m e n o i conventi femminili. L e m o n a c h e d i M o n z a p u l l u l a v a n o . N o n m a n c a v a n o le vocazioni a u t e n t i c h e , ma i più p r e n d e v a n o i voti solo p e r c h é costretti dalla famiglia, c o m e i figli cadetti e le ragazze nubili. II maggiorascato concentrava infatti tutto il p a t r i m o n i o nel p r i m o g e n i t o , e i m i n o r i d o v e v a n o a r r a n giarsi a r r u o l a n d o s i nell'esercito o nella Chiesa. C o n t r o l'imperversante corruzione ecclesiastica tuonavano i vescovi. Carlo B o r r o m e o soppresse l'Ordine degli Umiliati, tali ormai solo di n o m e , e avviò u n a riforma dei costumi che diede m e n o frutti di quelli sperati e fu a l u n g o avversata dalla popolazione. Anche l'attribuzione al Foro ecclesiastico dei casi di bestemmia, sodomia e adulterio suscitò molto malc o n t e n t o , p o i c h é le sue s e n t e n z e e r a n o assai p i ù severe di quelle dei tribunali laici. C o n particolare d u r e z z a venivano colpiti l'eresia, i peccati della carne, la d a n z a e il gioco delle carte. Un tizio fu scomunicato p e r aver ballato di domenica; u n altro, m o r t o i m p r o v v i s a m e n t e m e n t r e giaceva con u n a ragazza, si vide rifiutare la sepoltura. E r a n o eccessi che n u o cevano alla fede più di q u a n t o giovassero alla morale. Ma c'era il rovescio della medaglia. A n c h e il clero aveva le sue virtù che rifulgevano nei m o m e n t i difficili q u a n d o le calamità naturali, le carestie, l'epidemie s'abbattevano sulla città, s e m i n a n d o v i il p a n i c o e la m o r t e . Q u a n d o , nel 1630, Milano fu investita dalla peste, il suo vescovo Federico, cugino del g r a n d e C a r l o , a b b a n d o n ò la diocesi e scese p e r le s t r a d e in mezzo alla folla, istituì centri di p r o n t o soccorso, distribuì medicinali, visitò lazzaretti ed ebbe p e r tutti u n a p a r o l a di conforto. Centinaia di altri ecclesiastici ne imitarono l'esempio. Basta leggere le bellissime p a g i n e del Manzoni sulla peste p e r cogliere in tutto il suo eroismo l'opera dei religiosi in favore delle vittime del contagio. A n c h e in q u e sta circostanza n o n m a n c a r o n o t u t t a v i a manifestazioni d i s u p e r s t i z i o n e e f a n a t i s m o c h e , invece d ' a r r e s t a r e l ' e p i d e mia, ne favorirono la diffusione. Le processioni propiziato102
rie, o r d i n a t e dal vescovo, n o n ebbero certo un valore profilattico. A n c h e la caccia, che il clero milanese n o n osò sconfessare, alle s t r e g h e e agli u n t o r i , c o n t r i b u ì a i n q u i n a r e la già a m m o r b a t a atmosfera. La p e s t e del 1630 fu il p i ù g r o s s o t r i b u t o che Milano p a g ò alla G u e r r a dei T r e n t ' a n n i e u n a delle p a g i n e più tragiche della sua storia. N o n conosciamo il n u m e r o esatto delle vittime. Tutti p e r ò sono d'accordo che ci vollero a n n i prima che la città si risollevasse e la vita r i p r e n d e s s e il suo corso n o r m a l e . L'economia ne uscì ancora più malconcia. Centinaia di b o t t e g h e fallirono, decine d'opifici c h i u s e r o i battenti, il p a n e e i generi di p r i m a necessità v e n n e r o a mancare. Un sudario di disperazione e di squallore avvolse la città. Dall'ultimo Sforza, questa n o n aveva fatto che contrarsi e immiserirsi. I t e m p i di Ludovico il M o r o e della sua splendida corte a p p a r t e n e v a n o a un passato m o r t o e sepolto. Milano era p e r gli spagnoli t e r r a di conquista e o g n i forma di vita intellettuale, artistica e di r e l a z i o n e e r a g u a r d a t a con sospetto, c o m e fomite di sedizione. I d o m i n a t o r i facevano vita a sé, e solo p o c h i privilegiati a v e v a n o accesso ai loro chiusi compounds. Un b a r l u m e di mecenatismo si poteva cogliere in alcuni illuminati patrizi e in certi ordini religiosi. Il conte Vitaliano B o r r o m e o f o n d ò l'Accademia dei Faticosi presso il convento dei Teatini, i gesuiti d i e d e r o vita a quelle degli Animosi e degli Arisofi, riservate agli studi filosofici e teologici, in g r a n d e a u g e in questo secolo. Ma si trattava d'istituzioni d'elite, dalle quali la massa era esclusa. Per questa c'erano le vecchie scuole pubbliche del Broletto, ribattezzate Scuole p a l a t i n e , ma solo u n a piccola m i n o r a n z a le f r e q u e n t a v a . I p i ù vivevano n e l l ' i g n o r a n z a , u n i c a m e n t e preoccupati di m e t t e r d'accordo il desinare con la cena. Anche l'arte s'era affiochita. Architetti c o m e il B r a m a n t e , pittori c o m e L e o n a r d o n o n e r a n o più apparsi all'orizzonte. Salvo r a r e eccezioni, c o m e i Richini, i Crespi, i Boccaccini, gli epigoni di quei d u e grandi maestri erano mestieranti di scarso estro e di poca fantasia. 103
Il q u a d r o di Milano nella p r i m a m e t à del Seicento n o n poteva essere più desolato e desolante. N o n cambierà molto nella seconda e solo con la cacciata degli spagnoli si cominc e r a n n o a i n t r a v e d e r e i p r i m i segni di risveglio e rinnovam e n t o . Ma n o n anticipiamo, e dalla L o m b a r d i a spostiamoci a Venezia, la città italiana p i ù viva, libera e spensierata del Seicento.
CAPITOLO OTTAVO LA S E R E N I S S I M A
La posizione geografica, l'abilità dei suoi diplomatici, la tradizionale politica di n e u t r a l i t à e d'equidistanza dai blocchi avevano t e n u t o p e r secoli Venezia al r i p a r o dalle bufere che s'erano abbattute sul resto dello Stivale. Anche se aveva aderito a questa o a quella lega c o n t r o questo e quello Stato, la Serenissima n o n aveva mai visto minacciate la p r o p r i a incolumità e i n d i p e n d e n z a . Solo in seguito al c o n s o l i d a m e n t o d e l l ' e g e m o n i a s p a g n o l a in Italia e alle m i r e asburgiche sul Veneto, essa spostò decisamente l'asse della p r o p r i a politica verso la Francia e i suoi alleati. Il Veneto faceva gola a M a d r i d e a V i e n n a p e r c h é collegava la L o m b a r d i a all'Austria e vari furono i tentativi i m p e riali d'assicurarselo. Nel 1615, l'Arciduca d'Austria o c c u p ò Gorizia e dilagò nel Friuli, ma sull'Isonzo fu r e s p i n t o dagli eserciti della Serenissima. S e m p r e nel 1615 s'infittirono le incursioni degli Uscocchi, corsari slavi al soldo degli Asburgo, c o n t r o le navi veneziane. Nel 1617, d o p o u n a l u n g a serie di sanguinosi scontri, gli atti di pirateria cessarono grazie alla mediazione della Francia, e gli Uscocchi si ritirarono nelle loro basi. Nello stesso a n n o , l'ambasciatore di Spagna, marchese Bedmar, ordì u n a congiura p e r rovesciare dall'int e r n o la Repubblica. C o m p r a t e dal suo o r o , le milizie m e r cenarie v e n e t e d o v e v a n o a m m u t i n a r s i , far saltare in aria l'arsenale, o c c u p a r e il palazzo Ducale e la Zecca e q u i n d i p r o c l a m a r e la sovranità s p a g n o l a sulla Serenissima. Ma il c o m p l o t t o fu s c o p e r t o , il B e d m a r fuggì a Milano e la Repubblica fu salva. D u r a n t e la G u e r r a dei T r e n t ' a n n i , nella quale Venezia, 105
come gli altri Stati italiani, si trovò coinvolta solo di riflesso, le ostilità c o n t r o gli Asburgo si rinfocolarono. La Serenissima scese in c a m p o a fianco del P i e m o n t e e della Francia, e la stessa linea m a n t e n n e nel corso della lotta di successione di Mantova. Ma queste guerriglie e guerricciole n o n sortir o n o altro effetto che quello di salassare le finanze della Repubblica, già messe a d u r a p r o v a dalle ingenti spese ch'essa aveva d o v u t o e doveva s o s t e n e r e p e r f r o n t e g g i a r e la sfida d e l m a r e . O g g i c h e q u e s t a minaccia d i n u o v o i n c o m b e s u Venezia e il g o v e r n o italiano si mostra i m p a r i a fronteggiarla m a l g r a d o le illimitate possibilità che la tecnica gli offre, vale la p e n a r i c o r d a r e gli eroismi c h e la Repubblica s e p p e c o m p i e r e da sola c o m p e n s a n d o con la volontà, l'efficienza e l'intelligenza la povertà delle cognizioni e dei mezzi di allora. E u n a lezione c h e d o v r e b b e far a r r o s s i r e di v e r g o g n a i nostri attuali dirigenti. La l a g u n a aveva s e m p r e salvato e seguitava a salvare Venezia. Resa i n e s p u g n a b i l e p e r via di t e r r a da quello specchio d'acqua, la Serenissima aveva p o t u t o costruire un imp e r o che s'era esteso fino all'Egeo e al Mar N e r o . Ma la lag u n a è s e m p r e un f e n o m e n o t e m p o r a n e o : rinchiusa fra la t e r r a e il m a r e , alla l u n g a o se la m a n g i a il m a r e , o se la m a n g i a la terra. Salvare la l a g u n a significava perciò r e n d e re p e r m a n e n t e il p r e c a r i o equilibrio che la c o n d i z i o n a . E q u e s t o c o m p i t o e r a affidato ai «Magistrati delle Acque», investiti di poteri quasi assoluti, ma a n c h e di responsabilità altrettanto assolute. Costoro si rivelarono, u n o d o p o l'altro, dei tecnici di primissima scelta n o n soltanto p e r c o m p e t e n za, m a a n c h e p e r risolutezza. N e l C i n q u e c e n t o l a l a g u n a aveva corso un pericolo mortale: i tre fiumi che vi sboccavano - il Piave, il B r e n t a e il Sile - la stavano l e n t a m e n t e ma inesorabilmente c o l m a n d o col loro limo. Venezia sembrava avviata alla sorte di Ravenna, città anch'essa in origine anfibia e poi diventata t e r r e s t r e . I Magistrati dissero che c'era un solo scampo: deviare i fiumi e farli sboccare in m a r e fuori della laguna. 106
Discussioni e p o l e m i c h e a n d a r o n o avanti p e r d e c e n n i . Molti r i t e n e v a n o irrealizzabile, coi mezzi d'allora, il p r o g e t to. E n o n a v e v a n o t o r t o p e r c h é si t r a t t a v a d ' u n a i m p r e s a n o n inferiore, c o m e dimensioni, allo scavo del canale di Pan a m a . Ma i Magistrati t e n n e r o d u r o e, a s s u m e n d o n e p i e n a r e s p o n s a b i l i t à , d i e d e r o avvìo a i lavori. Q u a n t i d e c e n n i , quanti miliardi e q u a n t e vite u m a n e siano costati n o n sapp i a m o . S a p p i a m o soltanto che q u e l miracolo fu d o v u t o in parti uguali all'abnegazione del p o p o l o , alla sagacia dei gov e r n a n t i e alla coscienza d ' u n a b u r o c r a z i a che p e r il p r o p r i o d o v e r e sapeva rischiare n o n soltanto il «posto» ma la pelle (i v e n e z i a n i di allora e r a n o g e n t e seria e a v e v a n o la forca facile). Salvata dalla minaccia della t e r r a , la l a g u n a doveva tuttavia vedersela con quella del m a r e . U n a m i s u r a radicale e definitiva s a r e b b e stata la c h i u s u r a delle t r e i m b o c c a t u r e - Chioggia, Malamocco e Lido - che al m a r e la collegavano. Ma questo avrebbe c o n d a n n a t o Venezia alla peste p e r p e t u a . La città n o n aveva - e n o n ha - fognature, tutti i suoi rifiuti non potevano che finire nei canali, e la nettezza u r b a n a era affidata all'Adriatico che, con le sue m a r e e , e n t r a p e r le tre bocche nella l a g u n a , la spazza e ne r i n n o v a le a c q u e . Col m a r e q u i n d i Venezia era ed è costretta a restare abbracciata. I v e n e z i a n i della Serenissima risolsero il p r o b l e m a con vari accorgimenti. Anzitutto costruirono i «murazzi» p e r imp e d i r e c h e il m a r e s'aprisse altri ingressi t r a v o l g e n d o lo s b a r r a m e n t o n a t u r a l e dei «lidi», cioè delle fettoline di t e r r a distese fra p o r t o di Chioggia e p o r t o di Lido, e c h e di suo h a n n o poca consistenza. I «murazzi» n o n e r a n o semplici dighe anteposte a p r o t e z i o n e dei «lidi». E r a n o costruiti c o m e scalinate che s p i n g e v a n o i loro ultimi g r a d i n i p e r p a r e c c h i metri d e n t r o il m a r e , in m o d o che l'onda si frangesse su di essi e vi p e r d e s s e la p r o p r i a violenza, p r i m a d'abbattersi sulla p a r t e s u p e r i o r e . In s e c o n d o l u o g o , lasciarono a p e r t e , sì, le i m b o c c a t u r e , ma solo di q u a n t o bastava a c o n s e n t i r e il flusso e deflusso 107
delle m a r e e . A o g n u n o di q u e i p o r t i n o n faceva c a p o un unico, largo e p r o f o n d o canale, ma un reticolato di canaletti stretti e bassi, in m o d o c h e il m a r e faticasse ad aprirvisi la strada. Faticavano ad aprirsi la strada a n c h e le navi. Infatti quelle da g u e r r a sbarcavano i loro c a n n o n i a Pola, e quelle mercantili i loro carichi al Lido a p p u n t o p e r d i m i n u i r e , col peso, il p r o p r i o pescaggio. Ma anche così alleggerite, avevano bisogno, per r a g g i u n g e r e la città, di timonieri espertissimi nel seguire il m o v i m e n t o dell'acqua che s'irrorava nella l a g u n a come il s a n g u e nel p o l m o n e , cioè p e r u n a miriade di canaletti capillari, fatti apposta p e r smorzare la violenza del mare. Per il m a n t e n i m e n t o di questo delicato equilibrio, Venezia n o n badava a spese né a castighi. Chi, senza esservi autorizzato, piantava un palo nella l a g u n a , finiva d r i t t o in p r i gione p e r c h é , dicevano i veneziani, «palo fa paluo», a n c h e un p a l o basta a fare u n a piccola p a l u d e . E un d e c r e t o del Senato del 1505 c o m m i n a v a cento ducati di a m m e n d a (cifra colossale p e r quei tempi) «a c h i u n q u e , n o n essendo professore o savio alle acque, s'occupava della laguna». I n s o m m a , e r a p r o i b i t o p e r f i n o p a r l a r n e p e r c h é a n c h e l e chiacchiere facevano «paluo». Venezia n o n e r a p i ù la «signora dei mari» del T r e e d e l Q u a t t r o c e n t o . L o s p o s t a m e n t o d e i traffici sul M a r e del N o r d e sull'Atlantico, e l'egemonia turca sul M e d i t e r r a n e o , n o n glielo c o n s e n t i v a n o . C o m e c e n t r o d i p o t e r e , l a sua d e c a d e n z a era cominciata. Ma essa restava la più vivace m e t r o p o l i italiana, la p i ù c o s m o p o l i t a , la m e n o c o n d i z i o n a t a dalla Spagna e dalla Chiesa: quella in cui meglio si p u ò riconoscere il costume italiano dell'epoca. Il Rinascimento, sbocciato qui più tardi che altrove, aveva lasciato la sua indelebile i m p r o n t a , cui si g i u s t a p p o n e v a o r a quella barocca. Il n u o v o stile attorcigliava le c o l o n n e , curvava le sagome, appesantiva gli aggetti, complicava le volute, faceva scialo di m o d a n a t u r e , capitelli, cornici, festoni, 108
statue, stucchi. I palazzi a c q u i s t a r o n o u n a n u o v a m a e s t à e magnificenza col loro scaglione d ' a p p r o d o sul C a n a l g r a n d e e i l o r o i n t e r n i n o n m e n o fastosi delle facciate. La profusione di ori, cristalli, mosaici, tappeti, arazzi li r e n d e v a simili a r e g g e . Pareti e soffitti e r a n o un'orgia d'affreschi ispirati a temi p a g a n i e cristiani. Mobili e suppellettili n o n avevano più la vecchia s a g o m a classica, l i m p i d a e l i n e a r e . S ' e r a n o fatti svolazzanti e arzigogolati, tutti curve, sbalzi, contorsioni, tempestati di pietre, rutilanti di specchi e cristalli. Cassap a n c h e , a r m a d i , letti, seggioloni, stipi e r a n o popolati di tralci, c h i m e r e , sfingi, uccelli intagliati. N o n m a n c a v a un pizzico d'esotismo nelle lacche e nelle porcellane che i m e r c a n t i della Serenissima i m p o r t a v a n o dal G i a p p o n e e dalla Cina. Tanta ostentazione di lusso e licchezza n o n si limitava all'abitazione ma si ritrovava a n c h e nell'abbigliamento. Parigi n o n aveva ancora soppiantato Venezia c o m e Mecca dell'eleganza. Q u i c'erano i migliori sarti d ' E u r o p a , le lane più p r e giate, le sete più fini. Il g u a r d a r o b a e r a la principale occupazione e p r e o c c u p a z i o n e delle d a m e veneziane. La scelta dei colori e dei modelli doveva intonarsi con l'ambiente in cui l'abito veniva i n d o s s a t o . N i e n t e e r a lasciato all'improvvisazione e al caso. La veste più c o m u n e consisteva in un c o l p e t t o con gorgiera increspata, m a n i c h e a sbuffi, larghe alle spalle e strette ai polsi, rinforzato alla vita da stecche di b a l e n a , e in u n a g o n n a p i e g h e t t a t a t e n u t a larga da un guardinfante che faceva risaltare i fianchi e dava maestà alla figura femminile. Il p o e t a M a r i n o disse che in esso «la m i n o r cosa e r a la d o n n a » . Sopraffatta da q u e s t a specie di mongolfiera, la d a m a veneziana si muoveva a piccoli passi e per fare un inchino era obbligata a spogliarsi. A n c h e l e c a l z a t u r e n o n e r a n o u n m o d e l l o d i praticità. Quelle più in voga avevano la forma di zoccoli, alti e scoscesi c o m e trampoli, che richiedevano esercizi d'equilibrismo. La m o n a c a Angela Tarabotti n ' e r a entusiasta p e r c h é , diceva, grazie ad essi la d o n n a veniva innalzata «dalle o r d i n a r i e bassezze». G l ' i n d u m e n t i intimi, ricercati e civettuoli, e r a n o 109
confezionati con tela di F i a n d r a , pizzi, merletti, e g u a r n i t i con gioielli, pietre preziose, bottoni d'oro. Gradevoli alla vista, lo e r a n o assai m e n o all'olfatto. Le signore e r a n o piuttosto refrattarie al sapone, e il b a g n o lo facevano di r a d o , anche p e r c h é la Chiesa considerava le abluzioni un'insidia del demonio. Per neutralizzare gli effluvi c h ' e m a n a v a n o dal suo corpo, la veneziana faceva largo uso d ' u n g u e n t i , cosmetici e profumi. La sua toilette d u r a v a tutta la mattina, i m p e g n a v a stuoli di c a m e r i e r e e culminava nella confezione del n e o , che del maquillage costituiva il m o m e n t o s u p r e m o . Ce n ' e r a n o di tutti i tipi e p e r tutti i gusti. Ciascuno aveva il suo significato simbolico e il suo n o m e : sul naso si chiamava sfrontato, all'angolo dell'occhio a p p a s s i o n a t o , sulle l a b b r a g a l a n t e , in mezzo alla fronte maestoso, all'angolo della bocca assassino. Le u n g h i e si p o r t a v a n o lunghissime, e i m p o n e n t i dovevano essere le chiome. I p a r r u c c h i e r i n o n lesinavano in posticci, trecce, riccioli, chignons, e si sbizzarrivano in a c c o n c i a t u r e b a r o c c h e e s t r a v a g a n t i t r a s f o r m a n d o le teste femminili in nidi d'uccelli imbalsamati, g r a p p o l i d'uva, cestini di frutta, mazzi di fiori. Pettini, spille, fermagli intralicciavano i capelli. Un coiffeur p a d o v a n o v'issò a d d i r i t t u r a un parafulmine. A n c h e i gioielli avevano la loro p a r t e nell'abbigliamento femminile. Più e r a n o massicci e p o m p o s i , più facevano colp o . C o l l a n e , braccialetti, d i a d e m i , anelli, c a t e n i n e , sigilli p e n d e v a n o dalle m a n i , dalle braccia, dal seno, dal collo, dalla testa. Accessorio indispensabile d ' o g n i d a m a e complice della sua galanteria e r a il ventaglio: di seta, di p e r g a m e n a , di carta, d i p i n t o a m a n o , fregiato di p e r l e e g e m m e . N o n t u t t e l e v e n e z i a n e n a t u r a l m e n t e p o t e v a n o sfoggiare t a n t a eleganza. Il g u a r d a r o b a delle p o p o l a n e era m o l t o p i ù m o desto e si riduceva a pochi capi di vestiario semplici e senza pretese, ma decorosi e intonati a un innato b u o n gusto. Gli uomini, n o n m e n o vanitosi e ricercati, s'ispiravano ai modelli spagnoli e francesi. Sotto la toga n e r a , c h ' e r a la loro veste ufficiale, i patrizi indossavano abiti eccentrici e vario110
pinti di d a m a s c o e velluto, camicie di lino, calze d ' I n g h i l t e r r a , s c a r p e strette, a p p u n t i t e e infiocchettate. Sulla fine del secolo si diffuse la m o d a della giubba, del g i u s t a c u o r e , delle calze di seta, delle scarpe Abbiate e dei jabot. I b o r g h e si s ' a c c o n t e n t a v a n o d ' u n t a b a r r o di seta o di p a n n o , i p o polani d ' u n paio di b r a c h e e d ' u n a giubba. C ' e r a n o poi gli zerbini, dandìes ignoranti e fannulloni, le cui sedute davanti allo specchio n o n e r a n o m e n o e s t e n u a n t i e laboriose di quelle femminili. S'incipriavano e si m a n t e c a v a n o la chioma, si p r o f u m a v a n o , s'ingioieliavano, a s s u m e v a n o p o s e sdolcinate e leziose. C o n t r o gli eccessi del dilagante lusso la Repubblica sfornava ogni g i o r n o leggi che c o m m i n a v a n o severe m u l t e a chi vendeva stoffe e guarnizioni t r o p p o costose, a chi i m p o r t a va p o p p e finte dalla Francia, dove quest'industria e r a partic o l a r m e n t e fiorente. Ma i divieti r e s t a v a n o l e t t e r a m o r t a . I n t e r e f o r t u n e venivano dilapidate in occasione di battesimi, onomastici, funerali, s e b b e n e il g o v e r n o c o n d a n n a s s e anche qui ogni forma di s p e r p e r o : dall'abuso di baldacchini a l n u m e r o eccessivo d i p a d r i n i , c h e n o n d o v e v a n o essere più di dodici. Ma e r a s o p r a t t u t t o lo sfarzo p r i n c i p e s c o d e i m a t r i m o n i che dava scandalo. Il cerimoniale che li precedeva e li accompagnava era costoso e complicato. Il fidanzato doveva, p e r un certo n u m e ro di giorni e a u n ' o r a fissata, passare sotto la finestra della promessa sposa e saiutarla con un a m p i o gesto della m a n o . D o p o d i c h é veniva a m m e s s o al cospetto dei suoceri e d o n a va alla fidanzata un anello, o ricordino. Il g i o r n o delle nozze la d o n n a a n d a v a a far visita ai g e n i t o r i dello sposo, che la benedivano. Q u i n d i il corteo, fra ali di folla festante, s'avviava verso la chiesa. Al t e r m i n e della c e r i m o n i a , nel palazzo dello sposo veniva i m b a n d i t o u n trimalcionico b a n c h e t t o , cui seguiva un g r a n ballo. Per d u e giorni si danzava, si m a n giava e si beveva fra lazzi e canti. Sebbene il m a t r i m o n i o fosse ufficialmente indissolubile, e r a facile o t t e n e r n e l'annullam e n t o e passare a n u o v e nozze. La Chiesa era di manica lar111
ga n e l c o n c e d e r e l ' a n n u l l a m e n t o , s p e c i a l m e n t e ai ricchi. G i u d i c a v a invece con severità q u e i nobili cadetti che p e r r i s p a r m i a r e p r e n d e v a n o u n a moglie i n c o m u n e . La g r a n d e p a s s i o n e d e i v e n e z i a n i e r a il t e a t r o . Ma di q u e s t o d i r e m o a p r o p o s i t o di M o n t e v e r d i . La stagione teatrale, che toccava l'acme nei mesi invernali, subiva u n a batt u t a d ' a r r e s t o solo fra luglio e o t t o b r e , q u a n d o i nobili e i ricchi sciamavano nelle loro ville sulla t e r r a f e r m a . Le p i ù s o n t u o s e e r a n o d i s s e m i n a t e l u n g o le rive del B r e n t a , sullo sfondo d ' u n o scenario n a t u r a l e d'incomparabile bellezza. A p r o g e t t a r l e e decorarle e r a n o chiamati gli architetti, gli scultori e i pittori più in voga. Esse eguagliavano e spesso super a v a n o in magnificenza, grandiosità e dovizia d ' a r r e d i i fastosi palazzi sul C a n a l g r a n d e . I parchi, i giardini all'italiana p o p o l a t i di statue, cascate, peschiere, fontane, tritoni facevano di queste d i m o r e veri e p r o p r i paradisi terrestri. La vita d e i l o r o inquilini n o n e r a m e n o b r i l l a n t e e sfarzosa di quella cittadina, le feste si susseguivano a un r i t m o a n c o r a p i ù frenetico, e il lusso si faceva p i ù o s t e n t a t o e insolente: m a g g i o r d o m i in p o l p e , cocchieri in livrea, carrozze cesellate, g u a r n i t e d ' o r o e d ' a v o r i o , cavalli i m p e n n a c c h i a t i con frontali di velluto, collari di seta, borchie d ' a r g e n t o . Ai balli e ai banchetti s'alternavano gite in c a m p a g n a , b a t t u t e di caccia, partite a carte, giochi di società. Il m o m e n t o più solenne della giornata era quello del caffè, che veniva servito alle cinque del pomeriggio. Se ne faceva un tale scialo che il suo acquisto assorbiva b u o n a p a r t e del bilancio domestico. La villeggiatura e r a n a t u r a l m e n t e riservata ai ricchi. Il p o p o l i n o d o v e v a a c c o n t e n t a r s i d ' u n a s c a m p a g n a t a dalla mattina alla sera in terraferma, d'un'escursione al lido e delle feste che la città gli offriva: da quella, solenne e g r a n d i o sa, dello «Sposalizio col mare», che aveva insieme un significato politico e religioso, alle mascherate, ai trionfi che celeb r a v a n o u n a vittoria navale o l'elezione del Doge, alle regate. C ' e r a n o poi le piccole c e r i m o n i e di q u a r t i e r e e di p a r rocchia, cui solo il volgo partecipava. La più m o v i m e n t a t a e 112
pittoresca era quella p e r l'elezione del n u o v o p a r r o c o o del nuovo becchino, condita di fuochi d'artificio, scoppi di m o r taretti, squilli di t r o m b a . N o n m a n c a v a n o le risse, q u a n d o il candidato n o n era gradito ai fedeli. I n s o m m a , ogni occasione e r a b u o n a p e r s c e n d e r e in piazza e far b a l d o r i a . Tutti i viaggiatori c h e c a p i t a v a n o a Venezia r e s t a v a n o colpiti da u n a festosità e gioia di vivere che n o n avevano riscontro in nessun'altra città italiana o e u r o p e a . Se ci siamo un p o ' dilungati nel descriverne il costume, è p e r c h é è Venezia ó r a che gli dà il la p e r t u t t a l'Italia. Nel ruolo di «capitale morale» essa si è sostituita a Firenze.
CAPITOLO NONO IL G R A N D U C A T O
S e b b e n e n o n fosse p i ù la Mecca del capitalismo e la Wall Street del Rinascimento, il G r a n d u c a t o di Toscana n o n aveva c o m p l e t a m e n t e p e r d u t o quei connotati che ne avevano favorito l'ascesa: le antiche tradizioni mercantili, l ' i n t r a p r e n d e n z a dei suoi o p e r a t o r i economici, la vastità delle sue relazioni internazionali, i fermenti culturali. Cosimo, n o n o s t a n t e le sue stranezze, aveva g o v e r n a t o ben e . Il figlio Francesco, che gli era succeduto, n o n ne aveva ricalcato le o r m e . S u c c u b o d e l l ' a m a n t e , dei m a g h i e della S p a g n a , aveva p a s s a t o la vita fra storte e alambicchi, infischiandosi dei sudditi e dello Stato. Il fratello F e r d i n a n d o c h e , alla sua m o r t e (1587), ne p r e s e il p o s t o , e b b e invece stoffa di statista. Q u a n d o diventò G r a n d u c a aveva trentasei a n n i . Eletto a q u a t t o r d i c i C a r d i n a l e e m e m b r o d e l Sacro Collegio, aveva lasciato Firenze p e r R o m a dove, coi soldi di p a p à , s'era fatto c o s t r u i r e al Pincio la famosa villa Medici, a t t u a l m e n t e sede dell'Accademia di Francia, che aveva tras f o r m a t o in un p r e z i o s o m u s e o . Aveva infatti il p a l l i n o dell'archeologia e faceva incetta di statue, c o l o n n e , frontoni, capitelli antichi. Finanziava p e r s o n a l m e n t e c a m p a g n e di scavi e qualche volta, m u n i t o di piccone e vanga, egli stesso vi partecipava. Era a n c h e un patito della musica e n o n perd e v a un c o n c e r t o . La l e t t e r a t u r a lo lasciava invece indifferente ed e r a r a r o vederlo con un libro in m a n o . Anche con la Bibbia e i p a d r i della Chiesa poco se la diceva. La fede n o n era il suo forte e, più che ai santi, credeva agli astrologi e alle fattucchiere. Era piacente, affabile, raffinato e generoso. Si vestiva con eleganza, ma alla p o r p o r a di cardina114
le preferiva l ' a r m a t u r a di cavaliere sebbene fosse un u o m o pacifico. Amava l'equitazione e aveva u n a scuderia di cento cavalli. P u r a p p a r t e n e n d o alla C u r i a r o m a n a , n o n n e c o n d i v i d e v a i vizi. N o n fu m a i o g g e t t o di p a s q u i n a t e o di corbellature, e mai si trovò coinvolto in scandali. Q u a n d o fu eletto G r a n d u c a , i fiorentini e s u l t a r o n o al g r i d o di «palle, palle, viva, viva!» Egli li ricompensò elargendo ingenti somme in beneficenza e c o n c e d e n d o u n a g e n e r a l e amnistia. Liberò la m a t r i g n a Camilla Martelli, che Francesco aveva fatto r i n c h i u d e r e in un m o n a s t e r o , e le assegnò un vitalizio e u n a villa. Fu m a g n a n i m o anche coi p a r e n t i della cognata, che detestava, e coi nemici. L'indomani dell'incoronazione decise di p r e n d e r moglie. Scelse Cristina di L o r e n a , figlia della figlia di C a t e r i n a d e ' Medici, la vecchia regina di Francia. F e r d i n a n d o n o n la conosceva, ma sapeva benissimo quali sarebbero stati i vantaggi d ' u n a simile u n i o n e . A p a r t e la dote c h e n o n e r a da buttar via - 600 mila scudi e la cessione di tutti i diritti di Caterina sul p a t r i m o n i o dei Medici -, essa gli consentiva di passare dal c a m p o spagnolo a quello francese. La Francia era, in quel m o m e n t o , dilaniata dalle g u e r r e di religione fra cattolici e ugonotti, ma s'avviava a diventare la p r i m a p o t e n z a europea. Le nozze furono celebrate col solito sfarzo. Cristina piacq u e subito ai fiorentini p e r la sua grazia, la sua eleganza, il suo spirito. Sebbene fisicamente n o n fosse g r a n che, Ferdin a n d o se n ' i n n a m o r ò e le restò fedele tutta la vita, forse perché gli affari di Stato n o n gli lasciarono il t e m p o di n o n esserlo. Lavorava dalla m a t t i n a alla sera, e q u a l c h e volta anche la notte. Il fratello aveva p o r t a t o la Toscana sull'orlo della bancarotta. Egli ne restaurò le finanze col c o m m e r c i o dei cereali, cui adibì la sua personale flotta. Grazie a questa e ad altre fortunate speculazioni riuscì a m e t t e r e insieme un bel gruzzolo, che custodiva in u n a c a m e r a segreta, di cui solo lui e l'architetto che l'aveva costruita possedevano le chiavi. Ma il suo m a g g i o r merito fu d'aver valorizzato Livorno, 115
che p r o c l a m ò p o r t o franco, e d ' a v e r n e fatto lo scalo tirrenico più i m p o r t a n t e d o p o Genova e la città italiana più toller a n t e in fatto di r e l i g i o n e . Ne s p a l a n c ò infatti le p o r t e a calvinisti, luterani, ebrei, e con speciali editti ne garantì la lib e r t à di culto e l'incolumità. I m m e n s o fu il c o n t r i b u t o che queste attive e a g g u e r r i t e m i n o r a n z e d i e d e r o allo sviluppo economico della città, che F e r d i n a n d o chiamava «la mia dama» e il Montesquieu definì «il capolavoro della dinastia d e ' Medici». Egli abbellì e a m p l i ò a n c h e Siena e Grosseto, erig e n d o v i n u o v i q u a r t i e r i e f a v o r e n d o v i l ' i m m i g r a z i o n e di m a n o d o p e r a specializzata. A Firenze incoraggiò l'edilizia di lusso e quella p o p o l a r e . Per sé fece costruire n u m e r o s i casini di caccia c h ' e r a , n o n o s t a n t e la gotta, il suo p r i n c i p a l e
hobby. C o m e tutti i Medici, si p o r t a v a q u e s t a malattia nel sang u e fin dalla nascita. T e n t a v a di c u r a r l a con la dieta, m a n giando poco e in bianco e b e v e n d o con m o d e r a z i o n e . Q u a n do sentiva che l'attacco s'avvicinava, cominciava a p r e g a r e . Q u a n d ' e r a passato, s'inginocchiava e baciava la croce. Ma n o n era bigotto. Andava a messa e faceva la c o m u n i o n e più p e r d a r e l'esempio ai sudditi e far p i a c e r e ai gesuiti, a Firenze assai potenti, che p e r autentica devozione. Il p o p o l o l'amava p e r c h é e r a p r o d i g o e dava u n a m a n o a tutti. In occasione d'ogni festa distribuiva fiorini e viveri alla p o p o l a z i o n e , q u a n d o gli n a c q u e il p r i m o figlio istituì il «Monte delle doti» p e r le fanciulle p o v e r e , col p r o p r i o den a r o fece e r i g e r e l'ospedale dei convalescenti, u n o dei primi d e l g e n e r e n o n solo in Italia ma in E u r o p a . Fin allora, chi veniva d i m e s s o d a u n n o s o c o m i o e r a a b b a n d o n a t o a l p r o p r i o destino, con le c o n s e g u e n z e facilmente i m m a g i n a bili. Per un paio di decenni, sotto di lui, la Toscana s e m b r ò rit r o v a r e all'interno la pace e il b e n e s s e r e dei t e m p i di Cosim o . A n c h e in politica e s t e r a F e r d i n a n d o agì c o n abilità e l u n g i m i r a n z a . Il suo m a t r i m o n i o , d e t t a t o p i ù dalla r a g i o n di Stato che da quella del cuore, e forse p r o p r i o p e r questo 116
felice, gli garantiva l'appoggio della Francia che riconquistò l'unità religiosa grazie un p o ' a n c h e a lui. Q u a n d o infatti, nel 1589, Enrico di Valois fu assassinato, fu F e r d i n a n d o che convinse il Papa ad accettare la successione al t r o n o di Enrico di N a v a r r a , il B o r b o n e u g o n o t t o , l i b e r a n d o l o dalla scom u n i c a . Il G r a n d u c a riuscì a n c h e a d a r e in moglie al brill a n t e s o v r a n o francese la p r o p r i a n i p o t e Maria, figlia d e l m o r t o g r a n d u c a F r a n c e s c o , c o n u n a d o t e d i seicentomila scudi. Sully, m i n i s t r o di E n r i c o , aveva chiesto un milione; ma F e r d i n a n d o , fra tira e molla, lo ridusse quasi a metà. N o n fu q u e s t a l'ultima i m p r e s a d i n a s t i c o - m a t r i m o n i a l e di F e r d i n a n d o . Anche le nozze del p r i m o g e n i t o Cosimo fur o n o o p e r a sua. La sposa stavolta a n d ò a cercarla in Austria alla corte dell'arciduca Carlo, p a d r e del futuro I m p e r a t o r e F e r d i n a n d o II. Si chiamava Maria M a d d a l e n a , n o n era bella ma aveva un carattere nobile e fiero. La cerimonia fu allietata da giostre, tornei, fuochi pirotecnici. Seguì un g r a n de b a n c h e t t o cui il G r a n d u c a fece insolito o n o r e , i m m e m o re della p r o p r i a gotta. Pochi giorni d o p o p e r ò si mise a letto. Ci stette un mese. Poi, sentendosi meglio, volle a n d a r e a caccia. Uccise d u e lepri, ma al r i t o r n o fu assalito da un terribile mal di ventre. I medici di corte convocati al suo capezzale d i a g n o s t i c a r o n o un'occlusione intestinale. F e r d i n a n d o m a n d ò a c h i a m a r e il p r i m o g e n i t o , lo b e n e d ì e spirò fra le sue braccia. Cosimo aveva diciannove anni, era b i o n d o , m i n g h e r l i n o , di salute cagionevole, malinconico e taciturno. Era stato un bambino-prodigio. A tre a n n i sapeva già leggere e scrivere, a otto disquisiva di grammatica, a quattordici maneggiava il latino c o m e l'italiano. Conosceva a n c h e lo spagnolo e il tedesco e aveva nozioni di filosofia, scienza e musica. Fu forse quest'eccesso di s t u d i o a c o n d u r l o p r e m a t u r a m e n t e alla tomba. N o n amava lo sport e n o n si concedeva svaghi. Usciva di r a d o dalle sue stanze, aveva pochi amici, le d o n n e lo lasciavano indifferente, e r a allergico ai piaceri della tavola, si coricava con le galline e passava a letto b u o n a p a r t e del 117
suo t e m p o . La c o r o n a di G r a n d u c a dovette pesargli parecchio, specialmente negli ultimi anni. All'inizio infatti g o v e r n ò con saggezza, consigliato e guid a t o dai ministri del p a d r e , di cui c o n t i n u ò la politica d'es p a n s i o n e c o m m e r c i a l e . Potenziò la flotta, strinse alleanza con Fakhr-ad Din, e m i r o dei Drusi del Libano e della Siria, incoraggiò la sua rivolta c o n t r o i turchi, o t t e n e n d o in cambio fondachi e franchigie sulle coste della Siria. Da b u o n Medici protesse artisti e scienziati, c h i a m ò da Padova Galileo, lo n o m i n ò «matematico soprastraordinario» all'Università di Pisa e gli d i e d e u n a p e n s i o n e di mille scudi l ' a n n o . Sovvenzionò cenacoli scientifici e filosofici e favorì il diffondersi della musica nella n u o v a f o r m a del m e l o d r a m m a . A v e n t i q u a t t r ' a n n i , agli acciacchi che già l'affliggevano, s'agg i u n s e l'ulcera gastrica. A n c h e la tisi, da cui e r a da t e m p o minato, s'aggravò. C o m e se ciò n o n bastasse, fu assalito dalla solita gotta. Era c o s t a n t e m e n t e circondato dai medici, che ogni sera diffondevano bollettini sulle sue condizioni di salute: «Sua altezza ha un poco di febbre», «Sua altezza è molto malicente», «Sua altezza bevve il licore di San Nicolò, et li u n s e r o il c o r p o con l'olio della l a m p a d a di Santa Maria di Trapani». O g n i r i m e d i o , ogni t e r a p i a si rivelavano vani. Il G r a n d u c a s e m p r e più pallido, s e m p r e più s m u n t o , s e m p r e p i ù triste sapeva c h e n o n c'era s c a m p o e s e m b r a v a rassegnato. Passò le redini dello Stato nelle m a n i della m a d r e , della moglie e del p r i m o ministro. Q u a n d o la febbre e le e m o r r a gie gli d a v a n o t r e g u a , convocava nella sua stanza filosofi, poeti e scienziati, ma le loro discussioni e le loro b e g h e finivano invariabilmente p e r infastidirlo. Allora con dolcezza li invitava ad a n d a r s e n e e restava solo coi suoi n a n i e i suoi m o r i , che facevano a gara p e r divertirlo e m e t t e r l o di b u o n u m o r e . Cosimo si sforzava di r i d e r e , o a l m e n o di sorridere ai loro lazzi e alle loro buffonate, ma poi r i p i o m b a v a nella sua sconsolata e inconsolabile malinconia. Aspettava la morte, e la m o r t e lo g h e r m ì in u n a grigia e gelida m a t t i n a di 118
febbraio del 1620. Un e n n e s i m o sbocco di s a n g u e gli fu fatale. Aveva t r e n t ' a n n i , e pesava q u a r a n t a chili. Nel testam e n t o lasciò scritto che voleva un funerale senza p o m p a e corteo. Vi i n t e r v e n n e r o infatti solo i familiari. Col d e n a r o risparmiato, secondo la volontà dell'estinto, fu r i m p a n n u c ciato il fondo istituito da F e r d i n a n d o in favore delle fanciulle p o v e r e della città. A corte, la scomparsa del G r a n d u c a passò quasi inosservata. La m a d r e , la moglie e i più fidati ministri seguitarono a r e g g e r e le sorti dello Stato, in attesa c h e il p r i m o g e n i t o F e r d i n a n d o , che nel 1620 aveva dieci anni, diventasse m a g g i o r e n n e . II p o t e r e , solo in teoria, e r a collegiale. In realtà, arbitra della situazione e r a la G r a n d u c h e s s a m a d r e , Cristina, che n o n nascondeva le sue simpatie p e r la Francia, dove era nata. Era u n a d o n n a imperiosa, sicura di sé, energica e battagliera. Amava la n u o r a e n'era ricambiata, sebbene Maria M a d d a l e n a fosse di s e n t i m e n t i a p e r t a m e n t e austriaci e p e r s e g u i s s e u n a politica filo-imperiale. I n c o m u n e l e d u e principesse avevano la passione p e r il lusso, le cerimonie, i banchetti, le feste. E n t r a m b e s p e n d a c c i o n e , finché era vissuto C o s i m o , c h e al soldo ci b a d a v a , a v e v a n o d o v u t o contentarsi di quel che passava il c o n v e n t o : il G r a n d u c a d e t e stava o g n i o s t e n t a z i o n e di fasto, n o n a m m e t t e v a spese superflue, e soprattutto n o n voleva che s'intaccasse il tesoro di famiglia, c h e il p a d r e aveva a c c u m u l a t o e lui stesso impinguato. Ma a l l ' i n d o m a n i della sua m o r t e , la m a d r e e la m o glie, infischiandosi delle sue volontà, a p r i r o n o i forzieri e fecero m a n bassa. La vita di c o r t e riacquistò la magnificenza d e i t e m p i di Lorenzo. Le sale del palazzo ducale furono r e s t a u r a t e e abbellite, gli a p p a r t a m e n t i di Cristina e Maria si r i e m p i r o n o di tappeti, q u a d r i , arazzi, damaschi, i migliori sarti furono incaricati di rifare il g u a r d a r o b a delle reggenti, che i m p o s e r o a corte un r i g i d o c e r i m o n i a l e e u n a p u n t i g l i o s a etichetta. Per sottolineare e s t e r i o r m e n t e la regalità del loro r a n g o , rec l u t a r o n o u n o stuolo di p a g g i da viaggio o, c o m e allora si 119
c h i a m a v a n o , «da valigia», agli o r d i n i d ' u n m a g g i o r d o m o . A u m e n t a r o n o il n u m e r o dei camerieri, dei cuochi, delle damigelle, dei cocchieri, dei buffoni, dei parassiti. Le feste si s u s s e g u i v a n o a un r i t m o v e r t i g i n o s o . Balli, concerti, c o m m e d i e deliziavano le serate delle G r a n d u c h e s se e dei loro ospiti in un rigurgito di rinascimentale ebbrezza. F e r d i n a n d o n o n aveva ancora l'età p e r parteciparvi, ma la n u o v a aria che si respirava a corte d o p o la m o r t e del pad r e gli e r a congeniale e gli piaceva. Era un bel ragazzo, aitante, vivace e p i e n o di salute. A vederlo, n e s s u n o l'avrebbe d e t t o figlio di C o s i m o . S t u d i a v a c o n profitto e aveva u n a spiccata i n c l i n a z i o n e p e r il d i s e g n o e la fisica. A m a v a lo sport, specialmente il n u o t o , a n d a v a ogni m a t t i n a a cavallo ed era un abile cacciatore. Fin da b a m b i n o e r a stato sottoposto a u n a rigida educazione religiosa, che l'aveva reso pio, m a n o n bacchettone. H a r o l d Acton che di lui e dei suoi successori ci ha lasciato smaglianti ritratti nei suo libro Gli ultimi Medici, racconta c h e q u a n d o F e r d i n a n d o c o m p ì tredici a n n i , la n o n n a e la m a d r e decisero di dargli in moglie la cuginetta Vittoria, figlia della sorella di Cosimo, Claudia, e del defunto Federico della Rovere, figlio del D u c a d ' U r b i n o . Vittoria n o n aveva che diciannove mesi, ma alla m o r t e del n o n n o avrebbe portato in eredità al futuro marito u n a delle più ricche province dell'Italia c e n t r a l e . Le nozze, a causa dell'età dei fidanzati, furono n a t u r a l m e n t e r i m a n d a t e . Vittoria fu affidata alle c u r e d ' u n a zia monaca, e solo nel 1634 il m a t r i m o n i o fu celebrato. In q u e l l ' a n n o , la sposa ne aveva quattordici e lo sposo ventiquattro. Per altri d u e la coppia visse separata. Vittoria fu r i c o n s e g n a t a alla tutrice e F e r d i n a n d o , che dal 1628 e r a uscito di minorità, t o r n ò ai compiti di G r a n d u c a . N o n aveva la stoffa politica dei suoi g r a n d i a n t e n a t i , la diplomazia l'annoiava, e r a refrattario all'economia e d e t e stava la g u e r r a . Vi fu sull'orlo q u a n d o , alla m o r t e del Duca d ' U r b i n o , il p a p a U r b a n o V I I I r i v e n d i c ò alla Chiesa quel t e r r i t o r i o che, a t t r a v e r s o Vittoria, s a r e b b e invece d o v u t o 120
p a s s a r e ai Medici. L'intervento dello zio I m p e r a t o r e , c h e n o n voleva g r a n e col Pontefice, i n d u s s e F e r d i n a n d o a rin u n z i a r e all'eredità della moglie. Ad essa a n d a r o n o soltanto le collezioni d ' a r t e del n o n n o , che a n n o v e r a v a n o dipinti di Piero della Francesca, Raffaello, Sebastiano del Piombo. Alle a r m i F e r d i n a n d o dovette invece far ricorso q u a n d o il terribile U r b a n o V I I I decise d ' a n n e t t e r s i la città di Castro, feudo dei Farnese, verso i quali il p a p a B a r b e r i n i n u triva un odio implacabile. Il G r a n d u c a unì il suo esercito a quelli di Venezia e di M o d e n a , schierati coi Farnese. Fu u n a guerricciola s a n g u i n o s a che si concluse c o n la r i t i r a t a d e l Pontefice e la vittoria della lega, e costò a Firenze molte vite u m a n e e parecchio d e n a r o . Per finanziarla F e r d i n a n d o impose u n a n u o v a tassa sulle m a c i n e , che colpì sopi-attutto i poveri, e u n a sulle p a r r u c c h e , che dispiacque specialmente ai ricchi. Anche in t e m p o di pace il G r a n d u c a s p r e m e t t e i sudditi. Aveva s e m p r e b i s o g n o di soldi p e r c h é a n c h e lui a m a v a il lusso, gli piacevano le feste e i g r a n d i spettacoli all'aperto, e r a un m e c e n a t e g e n e r o s o e aveva u n a m o g l i e particolarm e n t e spendacciona. Il bigottismo istillatole dalla zia m o n a ca infatti n o n i m p e d ì mai a Vittoria di divertirsi e far sfoggio d'eleganza. Dagli ambasciatori a R o m a e a Parigi si faceva m a n d a r e cosmetici, stoffe, ventagli, scarpe, le sue toilettes facevano c r e p a r e d'invidia le d a m e di corte, e t u t t e le fior e n t i n e i m i t a v a n o l e sue a c c o n c i a t u r e . N o n e r a simpatica p e r c h é aveva poca comunicativa e molta spocchia. Gelosissima, subì u n autentico t r a u m a q u a n d o sorprese F e r d i n a n d o fra le braccia d ' u n p a g g i o g i o v a n e e a v v e n e n t e . Per r a p presaglia a b b a n d o n ò il talamo nuziale, si trasferì in un altro a p p a r t a m e n t o e p e r diciott'anni n o n volle più avere relazioni col marito. Per n o n d a r e scandalo e salvare le a p p a r e n z e seguitò p e r ò a stare al suo fianco nelle cerimonie ufficiali e ad a c c o m p a g n a r l o nei suoi viaggi. F e r d i n a n d o , che n o n l'aveva mai a m a t a , c o n t i n u ò c o m e se n i e n t e fosse a r i e m p i r l a di corna. Sebbene prediligesse i giovani efebi, gli piacevano 121
a n c h e le d o n n e . N o n faceva distinzione fra p o p o l a n e e principesse. Era galante con t u t t e , p u r c h é fossero a r r e n d e v o l i , r o t o n d e e i m p u d i c h e . Quest'imparzialità era dovuta alla sua indole a p e r t a e cordiale, che lo p o r t a v a a familiarizzare col p i ù u m i l e dei servitori. C e n a v a spesso con le sue g u a r d i e svizzere, e tra un b i c c h i e r e e l'altro r a c c o n t a v a e si faceva r a c c o n t a r e storielle oscene. Q u a n d ' e r a a corto di quattrini, alla fine di questi pasti, vendeva a un oste dirimpettaio il vin o avanzato. Per n o n r i n u n c i a r e a questi e ad altri p a s s a t e m p i decise di s p a r t i r e coi fratelli gli affari di Stato. A Mattias affidò quelli militari, a Giovanni quelli finanziari, a L e o p o l d o quelli politici, r i s e r v a n d o s i su tutti u n a g e n e r i c a s u p e r v i s i o n e . Potè così dedicarsi con più assiduità a n c h e all'agricoltura e alla scienza, di cui e r a un appassionato. C h i a m ò a Firenze i migliori botanici italiani, raffinò le vecchie colture, ne introd u s s e di n u o v e e fece d e l G r a n d u c a t o il p i ù bel g i a r d i n o d ' E u r o p a . Si costruì un piccolo laboratorio e l'adibì a esper i m e n t i di fisica e chimica. Perfezionò il t e r m o m e t r o sostit u e n d o nella colonnina lo spirito di vino all'acqua, che aveva l'inconveniente di gelare q u a n d o la t e m p e r a t u r a scendeva sotto lo zero. Lo s t r u m e n t o , così modificato, si diffuse in tutta la Toscana. I fiorentini lo p o r t a v a n o in tasca e l'append e v a n o alle p a r e t i di casa. Se ne v e d e v a n o n e i l u o g h i p i ù i m p e n s a t i : nelle carrozze, nei confessionali, nei vespasiani. F e r d i n a n d o lo mise perfino sotto il s e d e r e d ' u n a gallina, e l ' e s p e r i m e n t o gli s u g g e r ì l'idea d e l l ' i n c u b a t r i c e . Fu a n c h e sensibile all'arte e, p e r m e r i t o suo e del fratello L e o p o l d o , le gallerie di Pitti e degli Uffizi, c h ' e r a n o state fin allora un coacervo dì q u a d r i , statue, macchine belliche, animali esotici, pietre r a r e , d i v e n t a r o n o dei veri e p r o p r i musei. F u r o n o i n s o m m a più i servigi resi dal m e c e n a t e che dallo statista a d a r e lustro al r e g n o di F e r d i n a n d o , l'ultimo Medici d e g n o di questo n o m e . C o n lui calò definitivamente nella t o m b a la g r a n d e tradizione rinascimentale fiorentina.
CAPITOLO DECIMO
L O STATO P O N T I F I C I O
A s u d del G r a n d u c a t o , lo Stato pontificio d o m i n a v a il centro dello Stivale. La C o n t r o r i f o r m a l'aveva rafforzato all'int e r n o , ma indebolito all'esterno. Dal p u n t o di vista politico n o n era più u n a potenza d i spicco e u r o p e o , m a u n a p e d i n a del g r a n gioco franco-spagnolo. I t e m p i eroici d ' I n n o c e n z o III, Gregorio V I I , Bonifacio V I I I e r a n o t r a m o n t a t i . Gli Stati nazionali n o n a m m e t t e v a n o più le i n g e r e n z e del Papa. Le s c o m u n i c h e e g l ' i n t e r d e t t i c a d e v a n o nel v u o t o . La sottile, subdola e spregiudicata diplomazia vaticana, che p e r secoli aveva t e n u t o in scacco l ' I m p e r o e fatto il b u o n o e il cattivo t e m p o , n o n aveva più voce in capitolo, scavalcata ed esautorata da quelle di M a d r i d e di Parigi, c h e si d i s p u t a v a n o la leadership continentale. La G u e r r a dei T r e n t ' a n n i ne fornì la conferma. Lo Stato pontificio visse ai m a r g i n i di quell'imm a n e cataclisma, e sporadici e vani furono i suoi tentativi di cacciarsi nella mischia. Sul p i a n o politico internazionale, insomma, il Papato dovette rassegnarsi a un ruolo subalterno. Su quello n a z i o n a l e m a n t e n n e invece il suo r a n g o , p u r a v e n d o d a t e m p o p e r d u t o o g n i slancio e c o n o m i c o . L a sua unica i n d u s t r i a e r a infatti il Vaticano che d a v a da vivere a tutta la p o p o l a z i o n e , ma p a r t i c o l a r m e n t e al patriziato. Anche se il Soglio n o n era più esclusivo a p p a n n a g g i o delle dinastie r o m a n e , che se lo c o n t e n d e v a n o con la c o r r u z i o n e e la violenza, o g n u n a di esse aveva s e m p r e in curia un cardinale che p r o v v e d e v a ad assicurare ai familiari lucrose cariche, c u r e e sinecure. Lo Stato pontifìcio e r a abbastanza vasto p e r p a g a r e gli ozi e gli sfarzi di questa casta parassitaria, che forniva i cortigiani più infidi e bacchettoni, gli a m m i n i 123
stratori più rapaci e i funzionari più incompetenti. Il p o p o lino seguitava a vivere d'elemosine, d'espedienti e d'adulazioni. La Chiesa incoraggiava questa sua atavica vocazione scroccona p e r tenerlo a b a d a e propiziarselo. La mancanza d ' u n a borghesia m e r c a n t i l e e d ' u n a classe i m p r e n d i t o r i a l e impoveriva lo Stato, ma lo liberava da pericolosi antagonisti. C l e m e n t e V i l i , l'ultimo Papa del Cinquecento e il p r i m o del Seicento, aveva cinto la tiara nel 1592, d o p o un conclave breve e senza contrasti. Sul suo n o m e , gradito alla Spagna, tutti s'erano trovati d'accordo, m a l g r a d o l'età insolitamente acerba del c a n d i d a t o : c i n q u a n t a s e i a n n i . C l e m e n t e si chiamava I p p o l i t o A l d o b r a n d i n i e discendeva da u n a famiglia fiorentina di nobili lombi, ma di scarsi mezzi. Fu il cardinale .Alessandro Farnese che fornì al ragazzo i fondi p e r studiare legge a P a d o v a e a P e r u g i a facendogli b a l e n a r e al t e m p o stesso la possibilità d'abbracciare la carriera ecclesiastica. I p polito conciliò le d u e ambizioni a r r u o l a n d o s i c o m e avvocato concistoriale e u d i t o r e di Rota. Pio V lo n o t ò e lo spedì in Spagna con un vago incarico diplomatico. Ma la sua g r a n d e ascesa cominciò con Sisto V, un Papa che di u o m i n i s'intendeva. Nel 1585 lo n o m i n ò cardinale, e tre a n n i d o p o legato in Polonia. Ippolito assolse la sua missione con tale sagacia ed energia che, q u a n d o t o r n ò a Roma, molti videro in lui il n a t u r a l e successore di Sisto. Ma la tiara, p e r a r r i v a r e a lui, n o n prese la strada diretta. Prima passò a U r b a n o V I I , che la t e n n e a p p e n a tredici giorni; poi a Gregorio XIV e I n n o cenzo IX, che la c o n s e r v a r o n o poco più a l u n g o . Finalmente, il 30 gennaio 1592, essa si posò sul capo d'Ippolito. Fu u n a scelta indovinata. C l e m e n t e e r a u o m o di g r a n d e giudizio e di s a n g u e freddo, che n o n p r e n d e v a mai decisioni affrettate e sapeva v e d e r e t u t t e le facce d ' u n p r o b l e m a . Aveva u n a s t r a o r d i n a r i a capacità d i l a v o r o , n o n e r a mai stanco e, a p a r t e un p o ' di gotta, godeva d ' u n a b u o n a salute. Vigilava su tutto e tutti, niente gli sfuggiva, leggeva dalla p r i m a parola all'ultima la valanga di relazioni che s'ammucchiavano sul suo tavolo, le postillava, le c o m m e n t a v a , le di124
scuteva coi suoi collaboratori. A un p r e l a t o che un g i o r n o gli chiese di cosa preferiva occuparsi, rispose: «Di tutto o di niente». Gli affari di Stato non lo distraevano dalle pratiche di devozione e dai d o v e r i ecclesiastici, c h e assolveva con zelo e umiltà. La mattina s'alzava di b u o n ' o r a , s'inginocchiava più volte davanti al Crocifisso, diceva le p r e g h i e r e , celebrava la messa e s o m m i n i s t r a v a a p o c h i i n t i m i la c o m u n i o n e . Fra u n ' u d i e n z a e l'altra si ritirava nella cappella privata. O g n i sera si confessava e n o n p r e n d e v a s o n n o s e n z ' a v e r letto qualche p a g i n a dei p a d r i della Chiesa. Osservava rigorosam e n t e i d i g i u n i , m a n g i a v a r a r a m e n t e c a r n e e il v e n e r d ì si nutriva esclusivamente di p a n e e acqua. Pare che indossasse anche il cilicio, che si sottoponesse a severe penitenze fisiche e c h e in t e m p o di Q u a r e s i m a facesse r i m u o v e r e d a l l ' a p p a r t a m e n t o pontificio tappeti, damaschi, q u a d r i , arazzi, oggetti preziosi e persino la biblioteca. Al loro posto collocava tibie e teschi, davanti ai quali si l'accoglieva in p r e g h i e r a . Si recava in pellegrinaggio alle t o m b e dei santi, a n d a v a scalzo in processione r e g g e n d o il crocifisso e i n t o n a n d o i salmi. Pietà e ascetismo sono qualità che di r a d o rifulgono nei Papi e che quasi mai si a c c o l g a n o con quelle che fanno l'accorto u o m o di Stato e lo scaltro d i p l o m a t i c o . C l e m e n t e fu dei pochi che riuscirono a conciliare le u n e con le altre. Fu lui che g u a d a g n ò al Papato l'alleanza con la Francia, i m p a r tendo l'assoluzione a Enrico IV, che p e r cingere la c o r o n a di Re aveva ripudiato il p r o t e s t a n t e s i m o e abbracciato la fede cattolica. Gliela concesse d o p o m o l t e t i t u b a n z e , d o v u t e in parte al timore che il B o r b o n e , u n a volta r a g g i u n t o lo scopo della sua conversione, tornasse all'antica religione, in p a r t e ai s e n t i m e n t i antifrancesi e filospagnoli c h e p r e v a l e v a n o nella Curia r o m a n a . Il Pontefice riuscì a vincerli, o piuttosto ad aggirarli, invitando in u d i e n z e separate i m e m b r i del Sacro Collegio a motivare la loro opposizione. Quasi tutti, dopo l'incontro a quattr'occhi col Papa, finirono p e r accettarne il p u n t o di vista. 125
U n o dei frutti p i ù cospicui di q u e s t o c a p o l a v o r o d i p l o matico fu, d u e a n n i d o p o , la conquista di F e r r a r a e il suo inc a m e r a m e n t o negli Stati pontifici. In base a u n a bolla di Pio V, che si richiamava a un antico diritto papale, questa città, in m a n c a n z a di eredi diretti alla successione, doveva passare al p a t r i m o n i o di San Pietro. Il 27 o t t o b r e 1597, Alfonso II d'Este m o r ì senza prole, d o p o aver designato a succedergli il nipote Cesare. Il Pontefice si disse spiacente che Alfonso n o n avesse avuto figli, ribadì i diritti della Chiesa su Ferr a r a , e siccome C e s a r e insisteva a far valere il suo titolo, il Papa p r i m a lo scomunicò, poi inviò il nipote ad A n c o n a ad a r r u o l a r e un esercito. Anche Cesare mobilitò e al suo fianco si schierarono il G r a n d u c a di Toscana e la Repubblica di Venezia, che t e m e v a n o l ' i n g r a n d i m e n t o dello Stato pontificio. Milano, in n o m e della Spagna, p r e s e posizione c o n t r o Clem e n t e . Q u a n t o alla Francia, n e s s u n o dubitava che il suo Re, legato da vincoli di g r a t i t u d i n e alla casa d'Este, che in passato l'aveva sovvenzionato, sarebbe sceso in lizza con Cesare. Ma E n r i c o , i m m e m o r e di questi favori, si schierò c o n la Chiesa e a n n u n c i ò che le a r m i francesi e r a n o p r o n t e a sos t e n e r l a . E r a u n m o d o c o m e u n altro p e r r i b a d i r e l a p r o pria fedeltà al Pontefice e «rimettere in o n o r e i gigli alla corte di Roma». La p r e s a di posizione del più p o t e n t e m o n a r c a d ' E u r o p a decise le sorti di F e r r a r a . Gli alleati di C e s a r e a c c u s a r o n o E n r i c o di t r a d i m e n t o , ma r e v o c a r o n o il loro a p p o g g i o al giovane Duca. Cesare, che n o n aveva la stoffa dello zio, perse la testa. I n c a p a c e di d e c i d e r e da solo, chiese al p r o p r i o confessore se doveva o no sottomettersi. Q u e s t i gli rispose che n o n aveva scelte e che solo rinunziando a Ferrara avrebbe o t t e n u t o il p e r d o n o del Papa. Cesare cedette, e F e r r a r a passò alla Chiesa. C l e m e n t e fu al colmo della soddisfazione. Aveva r i p o s t o b e n e la sua fiducia. L'alleato francese n o n avrebbe p o t u t o sdebitarsi meglio. Questi successi politici e diplomatici rafforzarono la già solida posizione del Papa. All'interno della Curia le vecchie 126
ostilità, a l m e n o in a p p a r e n z a , si sopirono. Il governo di Clem e n t e si fece p i ù assoluto. Le c o n g r e g a z i o n i v e n n e r o c o n s u l t a t e dal Pontefice s e m p r e più di r a d o . I nobili p e r sero molti privilegi, e la l o r o influenza a C o r t e d i m i n u ì m e n t r e cresceva quella del c a r d i n a l e n i p o t e P i e t r o Aldob r a n d i n i . Q u e s t o giovane dall'aspetto insignificante, d e t u r p a t o dal vaiolo, afflitto d a l l ' a s m a e da u n a tosse ostinata, aveva fatto studi scarsi e svogliati, ma e r a energico, intelligente e p i e n o di comunicativa. C l e m e n t e aveva un d e b o l e p e r lui, di lui solo si fidava e c o n lui solo s'apriva. I n v e c chiando, gli delegò poteri s e m p r e più ampi. «Tutte le trattative» leggiamo in u n a relazione «tutti i segni di grazia e di favore, d i p e n d o n o da lui: la sua casa è piena di prelati, n o bili, cortigiani, ambasciatori. Si p u ò dire: tutto viene u d i t o dal suo orecchio, dal suo giudizio d i p e n d e t u t t o , dalla sua bocca viene la s e n t e n z a , nelle sue m a n i l'esecuzione.» Nel 1605 q u a n d o lo zio morì, Pietro era il vero p a d r o n e di Roma, e lo r e s t ò p e r un c e r t o t e m p o a n c h e coi successori di C l e m e n t e : L e o n e X I , r i m a s t o sul Soglio a p p e n a ventisei giorni e Paolo V, che r e g n ò sedici anni. In quest'elezione, la voce dello Spirito Santo aveva parlato p e r bocca di Pietro, che tuttavia aveva scelto molto b e n e il suo u o m o . Il n u o v o Papa - cosa r a r a a quei t e m p i - n o n aveva nemici, o n'aveva m e n o degli altri candidati, e r a gradito a tutte le fazioni, lo v e d e v a n o di b u o n occhio francesi e spagnoli. Si c h i a m a Camillo B o r g h e s e ed e r a n a t o a R o m a nel 1552 da u n a famiglia d'origine senese. Aveva studiato a Perugia, dove s'era laureato in legge, poi era a p p r o d a t o nell'Urbe, e vi aveva abbracciato la c a r r i e r a ecclesiastica. Clemente V I I I l'aveva preso a benvolere, e a più riprese se n'era servito c o m e ambasciatore in delicate missioni diplomatiche. Nel 1596 l'aveva fatto cardinale, e sette a n n i d o p o vicario di R o m a . S e b b e n e fosse u n o dei p r e l a t i p i ù autorevoli, Camillo se ne stava in disparte, sprofondato negli studi giuridici e teologici. La sua vita e r a un m o d e l l o di virtù e di devozione. Quelli che lo conoscevano dicevano che n o n ave127
va ambizioni, p a g o del suo r a n g o e della b e n e v o l e n z a del Pontefice. «Sarà piuttosto un b u o n P a p a che un g r a n d e Papa» c o m m e n t ò il r a p p r e s e n t a n t e del Duca d ' U r b i n o . La profezia fu confermata a rovescio: Paolo fu un g r a n d e Papa, ma n o n un Papa b u o n o . Lo dimostrò l'indomani dell a n o m i n a facendo d e c a p i t a r e u n o scrittorello c r e m o n e s e che aveva p a r a g o n a t o C l e m e n t e V i l i a l l ' i m p e r a t o r e Tiberio. Il raffronto era cervellotico, ma il poveraccio se lo teneva p e r sé, in un q u a d e r n o chiuso nel tiretto della scrivania. L a c o n d a n n a a l c a p e s t r o p e r q u e s t o semplice r e a t o d'opin i o n e suscitò o r r o r e e sdegno. La tiara aveva dato alla testa del Pontefice. Le sue a b i t u d i n i , i suoi gesti, p e r s i n o il suo m o d o di parlare m u t a r o n o . Scrive il Ranke: «Coi suoi studi canonistici, Paolo V s'era p e r m e a t o d ' u n concetto esagerato dell'autorità papale. Voleva far valere in tutta la sua portata la d o t t r i n a che il Pontefice è l'unico r a p p r e s e n t a n t e di Gesù Cristo, c h e g o d e senza limitazioni del p o t e r e di legare e di sciogliere, che tutti i p o p o l i e tutti i p r i n c i p i d e v o n o p r o strarsi u m i l m e n t e davanti a lui. Diceva che n o n gli u o m i n i l'avevano innalzato al Soglio, ma lo spirito di Dio, con l'obbligo di tutelare le i m m u n i t à della Chiesa e i diritti di Dio. Era t e n u t o in coscienza a dedicare tutte le sue forze a liberare la Chiesa dall'usurpazione e dai soprusi. Preferiva mettere a r e p e n t a g l i o la sua vita p i u t t o s t o di d o v e r un g i o r n o , q u a n d o si s a r e b b e p r e s e n t a t o al c o s p e t t o di Dio, r e n d e r e c o n t o d ' a v e r t r a s c u r a t o il suo d o v e r e . C o n sottigliezza da giurista c o n s i d e r ò diritti t u t t e le p r e t e s e della Chiesa; e si sentì s o l e n n e m e n t e i m p e g n a t o a farli valere in tutto il loro rigore». Era, c o m e C l e m e n t e , un lavoratore forsennato e infaticabile, passava anche lui molte ore al giorno a p r e g a r e e a legg e r e il breviario, si sottoponeva a frequenti digiuni e penitenze, amava la solitudine e disdegnava il lusso. Solo coi poveri era di manica larga. Ne invitava ogni g i o r n o qualcuno a p r a n z o , e q u a n d o a n d a v a in giro p e r R o m a faceva a b b o n danti elemosine. Per r i m p a n n u c c i a r e le esauste finanze del128
la Chiesa, economizzava su tutto. Limitò a n c h e le sue gite in c a m p a g n a , che i medici gli avevano prescritto p e r t e n e r e in esercizio m u s c o l i e p o l m o n i . Gli piaceva c a m m i n a r e , e q u a n d o n o n p o t e v a uscire all'aria a p e r t a a n d a v a su e giù p e r i c o r r i d o i vaticani, o b b l i g a n d o s e g r e t a r i , p r e l a t i , ambasciatori a seguirlo. I ritratti che di lui possediamo ce lo m o s t r a n o alto, maestoso, t e n d e n t e alla p i n g u e d i n e , di lineamenti marcati, con barbetta, mustacchi a p u n t a e occhi fort e m e n t e miopi. Il suo g o v e r n o n o n fu m e n o dispotico di quello di Clem e n t e . L'evento che lo caratterizzò fu la g r a n d e contesa con Venezia, che si rifiutava di riconoscere certi privilegi giurisdizionali della Chiesa di Roma, culminata nella scomunica del Sarpi e n e l l ' i n t e r d e t t o della Serenissima. Ma questa vic e n d a , c h e p o r t ò i d u e Stati italiani sull'orlo della g u e r r a , sarà oggetto d ' u n capitolo successivo, cui r i m a n d i a m o il nostro giudizio su q u e s t o P a p a , frutto m a t u r o della C o n t r o riforma e intransigente assertore di suoi princìpi. Q u a n d o , nel gennaio 1621, Paolo V, stroncato da un colpo apoplettico, calò nella t o m b a e a succedergli fu chiamato il b o l o g n e s e A l e s s a n d r o Ludovisi, i r o m a n i trassero un r e spiro di sollievo. Il n u o v o Pontefice, c h e si fece c h i a m a r e Gregorio XV, era un vecchio p i e n o d'acciacchi e un po' rimbambito. Restò infatti assiso sul Soglio a p p e n a d u e a n n i e in sua vece r e g n ò il cardinale nipote. Nel 1623 uscì di scena, e il suo posto fu p r e s o da un u o m o che fece r i m p i a n g e r e p e r sino il Borghese. Maffeo Vincenzo B a r b e r i n i e r a il q u i n t o figlio d ' u n a nidiata di sei. Era nato a Firenze cinquantacinque a n n i p r i m a da un ricco m e r c a n t e , che l'aveva fatto studiare in un istituto di gesuiti, aveva frequentato il Collegio r o m a n o , s'era imbevuto di cultura classica, aveva letto O m e r o , Virgilio, O r a zio, C a t u l l o . D u e a n n i d o p o aveva a b b a n d o n a t o l a poesia per il diritto ed e r a e m i g r a t o a Pisa dove, c o m e desiderava la famiglia, aveva preso la sua brava l a u r e a in legge. La madre avrebbe voluto che si sposasse, ma Maffeo era deciso a 129
restar scapolo. Le d o n n e gli piacevano t r o p p o p e r legarsi a u n a sola. E p p o i un m a t r i m o n i o , con l'inevitabile fardello di figli, gli sarebbe stato d ' i n t o p p o alla carriera, ne e r a a p p e n a all'inizio, ma covava g r a n d i ambizioni. I soldi di p a p à e la p r o t e z i o n e d ' u n o zio c h e abitava a R o m a ed e r a amico di potenti cardinali, gli a v r e b b e r o spianato la strada. Nel 1588, a vent'anni, c o m p r ò p e r ottomila scudi un posto d'avvocato n e l l ' a m m i n i s t r a z i o n e pontificia. Fece m o l t o b e n e , e il P a p a gli affidò n u ò v i incarichi. Nel 1606, grazie a n c h e all'appoggio della Francia, d o v ' e r a stato n u n z i o , ott e n n e la p o r p o r a . Fu Enrico IV in p e r s o n a a porgli sul capo la b e r r e t t a di c a r d i n a l e . Alla m o r t e dello zio, ne e r e d i t ò il p a t r i m o n i o , s'installò in u n a bellissima casa, l ' a r r e d ò con fasto rinascimentale, reclutò u n o stuolo di camerieri e segretari, e ne fece un l u o g o di ritrovo di letterati e poeti. Ne tenne invece l o n t a n e le d o n n e un p o ' p e r c h é gli a r d o r i giovanili gli s'andavano s p e g n e n d o e un p o ' p e r c h é temeva che i pettegolezzi e gli scandali p o t e s s e r o c o m p r o m e t t e r e la sua ascesa al Soglio. Vi anelava al p u n t o che si fece confezionare u n a mitra personale tempestata di gemme. In pochi anni diventò il cardinale più in vista e influente dell'Urbe. Alla m o r t e di Gregorio XV, fu chiaro a tutti che il successore s a r e b b e stato lui. Il Sacro Collegio e r a diviso in d u e partiti: u n o filofrancese, l'altro filospagnolo. Maffeo era riuscito a restare al di fuori delle d u e fazioni e a fare in m o d o c h e n e s s u n a potesse p r e v a l e r e sull'altra. Così riuscì a r e n d e r s i necessario a e n t r a m b e e a d i v e n t a r e P a p a , col n o m e d'Urbano Vili. Piacque subito ai r o m a n i e soprattutto alle r o m a n e p e r la possanza fisica, la maschia bellezza, il colorito olivastro del volto, la fronte spaziosa e levigata, le sopracciglia folte e irs u t e , i g r a n d i occhi celesti, lo s g u a r d o m a g n e t i c o . E r a un c o n v e r s a t o r e affascinante e i n e s a u r i b i l e , t u t t o p u n t a e taglio. Nella discussione s'infervorava, gesticolava, batteva i p u g n i sul tavolo e q u a l c h e volta si lasciava s c a p p a r e anche q u a l c h e moccolo. Ma, sotto questi a p p a r e n t i bollori, il suo 130
sangue restava ghiaccio. N o n p r e n d e v a m a i decisioni precipitose, n o n assumeva e n o n accettava i m p e g n i verbali, esigeva c h e t u t t o fosse m e s s o p e r iscritto, firmato, controfirmato, sigillato. Sul c o m o d i n o , a c c a n t o ai p o e t i classici, a m m u c c h i a v a trattati d ' a r t e militare. E r a n o questi, p i ù della Bibbia e dei Padri della Chiesa, le sue letture preferite. Conosceva tutto quello che L e o n a r d o aveva scritto sui sistemi di fortificazione e s'esaltava alle i m p r e s e del terribile Giulio I I , il «Papa soldato». Voleva r e s t i t u i r e alla C h i e s a il r a n g o di p o t e n z a e u r o p e a senza r e n d e r s i c o n t o c h e , c o n l a G u e r r a d e i T r e n t ' a n n i , alla q u a l e gli Stati pontifici r e s t a r o n o militarm e n t e estranei, il Papato, c o m e istituto t e m p o r a l e , n o n contava più n i e n t e . N o n e r a r a r o v e d e r l o a s s u m e r e pose m a r ziali o g u a r d a r e estasiato la statua e q u e s t r e d ' u n condottiero. I m o n u m e n t i e r a n o la sua passione, ma li voleva di ferro o di b r o n z o ; quelli di m a r m o gli s e m b r a v a n o effeminati. Passava l u n g h e o r e , m u n i t o di matita, s q u a d r a e compasso, a disegnare fortezze, m u r a , arsenali. N e l Bolognese fece cos t r u i r e u n a cittadella i n e s p u g n a b i l e , e a Tivoli f o n d ò u n a fabbrica d ' a r m i da fuoco. Un solido a p p a r a t o militare doveva - secondo U r b a n o - far da p u n t e l l o a un g o v e r n o assoluto e dispotico. Il suo r e g n o fece r i m p i a n g e r e i t e m p i di Paolo V e Clem e n t e V i l i . U n a volta, a un tale che osò richiamarlo a certe antiche costituzioni papali, replicò: «La decisione d ' u n p a p a vivo vale p i ù di q u e l l e di c e n t o p a p i morti». Q u a n d o gli r a m m e n t a r o n o la deliberazione del p o p o l o r o m a n o che vietava d ' i n n a l z a r e m o n u m e n t i a un pontefice i n c a r i c a , ribatté: «Essa n o n p u ò riferirsi a un p a p a c o m e me». A chi gli magnificava le qualità diplomatiche d ' u n suo nunzio, rispose: «Ha agito secondo le mie istruzioni». E p p u r e questo Papa ambizioso, g u e r r a f o n d a i o e satrapesco, che credeva più nell'efficacia delle a r m i da fuoco che in quella della Fede e che voleva fare della Chiesa la p o t e n z a e g e m o n e della Penisola e l ' a r b i t r a delle c o n t e s e e u r o p e e , 131
n o n conobbe che smacchi, a cominciare da quello di Castro, un Ducato d a t o in feudo da Paolo I I I Farnese ai nipoti, situato alle p o r t e di Roma, in ottima posizione strategica, che godeva di speciali privilegi fiscali. Castro e r a u n a spina nel fianco d ' U r b a n o , che odiava i Farnese e voleva a tutti i costi cacciarli dalle loro t e r r e e p r e n d e r n e il posto. Facendo leva sul m a l c o n t e n t o di alcuni banchieri r o m a n i , coi quali i Farn e s e s ' e r a n o i n d e b i t a t i fino al collo, il Pontefice confiscò i beni che questa famiglia aveva nell'Urbe e le dichiarò guerra. Il 13 ottobre 1641, Castro fu occupata. Pochi mesi d o p o , U r b a n o scomunicò il duca O d o a r d o Farnese, lo dichiarò dec a d u t o da tutti i suoi diritti di s o v r a n i t à e minacciò di togliergli anche P a r m a e Piacenza. Si ventilò la possibilità d ' u n accordo, ma il Papa rispose ch'esso e r a assurdo p e r c h é Castro a p p a r t e n e v a alla Chiesa e i Farnese e r a n o degli usurpatori. A questo p u n t o , gli Stati italiani cominciarono ad allarmarsi. Se il Papa, d o p o essersi i m p a d r o n i t o del feudo laziale del d u c a O d o a r d o , con l'aiuto delle a r m i francesi avesse occupato a n c h e P a r m a e Piacenza, il pericolo p e r i Principi del N o r d si sarebbe fatto piuttosto serio. Per scongiurarlo essi r i u n i r o n o le loro forze e le misero i n c a m p o c o n t r o U r b a n o . I l F a r n e s e , i m b a l d a n z i t o dallo schieramento in suo favore di Firenze e Venezia, si mise alla testa d ' u n piccolo esercito e marciò s u l l ' U r b e , che riuscì a sostenerne l'urto e a respingerlo. La g u e r r a si trascinò avanti con alterne vicende p e r q u a t t r o anni. A porvi fine fu l'alto costo delle spese militari e l'esaurimento finanziario dei belligeranti, specie del Pontefice. La pace fu stipulata nel 1644 a t u t t o s v a n t a g g i o d ' U r b a n o c h e d o v e t t e r e v o c a r e la scom u n i c a e restituire Castro al Farnese. A n c h e sul p i a n o i n t e r n a z i o n a l e , d u r a n t e la G u e r r a dei T r e n t ' a n n i , il P a p a subì u n a serie d'umiliazioni. La p r i m a volta, q u a n d o l ' i m p e r a t o r e F e r d i n a n d o I I , d o p o aver eman a t o il famoso editto di restituzione, chiese al B a r b e r i n i di p o t e r a s s e g n a r e le sedi ecclesiastiche t o r n a t e al cattolicesimo, e a v e n d o n e avuto un rifiuto, n o n ne t e n n e alcun conto 132
e fece u g u a l m e n t e le n o m i n e . Un'altra volta, q u a n d o Urbano si schierò col Re di Svezia c o n t r o l ' I m p e r a t o r e nell'illusione che Gustavo Adolfo riconsegnasse ai cattolici i vescovadi p r o t e s t a n t i della G e r m a n i a s e t t e n t r i o n a l e , cosa che il c a m p i o n e dei p r o t e s t a n t i n o n avrebbe fatto p e r tutto l'oro del m o n d o . Se questi smacchi accorciarono la vita del Barberini n o n sappiamo. C e r t a m e n t e gliela a m a r e g g i a r o n o più di q u a n t o gliel'avessero allietata l'esercizio del p o t e r e e il suo sfrenato abuso. La sua m o r t e fu salutata con sollievo da tutti. Solo i nipoti la p i a n s e r o a m a r a m e n t e . Lo zio li aveva colmati d'ogni sorta d'onori, p r e b e n d e , privilegi. Fu calcolato che nelle loro tasche finirono la bellezza di c e n t o c i n q u e milioni di scudi.
CAPITOLO UNDICESIMO IL REAME
D u r a n t e l a G u e r r a dei T r e n t ' a n n i u n a delle p i ù p i n g u i riserve di c a r n e da c a n n o n e p e r la S p a g n a fu il Viceregno di Napoli. Si calcola che circa c i n q u a n t a m i l a soldati e cinquemilacinquecento cavalli ne varcarono i confini p e r a n d a r e a concimare i campi di battaglia d e l l ' E u r o p a centrale. Quella u m a n a e r a l'unica m e r c e che il Mezzogiorno produceva in quantità s u p e r i o r e al p r o p r i o fabbisogno e la sola che fosse in g r a d o d ' e s p o r t a r e . Il p r o b l e m a demografico già a q u e i t e m p i affliggeva il S u d f a v o r e n d o n e il d e p a u p e r a m e n t o , d o v u t o all'assoluta m a n c a n z a d ' i n d u s t r i e , allo scarso slancio c o m m e r c i a l e , allo stato d ' a b b a n d o n o delle campagne. Dai t e m p i d i F e d e r i c o I I l ' e c o n o m i a m e r i d i o n a l e n o n aveva fatto c h e declinare. Gli Angioini e gli Aragonesi avev a n o assistito impassibili alla sua rovina. Gli s p a g n o l i n o n m o s s e r o un dito p e r arginarla. Pessimi a m m i n i s t r a t o r i , allergici a ogni p r e o c c u p a z i o n e di bilancio, qui, m e n o che altrove, riuscirono a farlo q u a d r a r e . Nella sua storia del Reg n o di Napoli, B e n e d e t t o Croce ha scritto che la conquista del Mezzogiorno fu p e r M a d r i d un pessimo affare. E vero. Ma lo fu altrettanto p e r i suoi abitanti la d o m i n a z i o n e spagnola, la quale, più che a p o r t a r o r o all'Escuriale, tirò a farsi m a n t e n e r e dai sudditi, s o m m e r g e n d o l i sotto un diluvio di balzelli. La scure del Fisco s'abbatteva su tutto. Gli appaltatori s o t t o p o n e v a n o i c o n t r i b u e n t i a o g n i specie di soprusi, facevano la cresta sulle gabelle e n o n r e n d e v a n o conto che alla p r o p r i a rapacità. Poiché le tasse n o n bastavano a coprire le spese e a colmare i s e m p r e crescenti disavanzi, i Viceré 134
escogitavano, di volta in volta, esazioni s t r a o r d i n a r i e . I m p o n e v a n o d o g a n e , dazi, calmieri, c o n c e d e v a n o o r e v o cavano privative, limitavano le importazioni, scoraggiavano le esportazioni, m a n i p o l a v a n o p e r s i n o la m o n e t a e alteravano i cambi, stabilivano i «donativi» che servivano p e r le spese più futili e frivole, come l'acquisto delle pianelle p e r l'Imperatrice. La S p a g n a governava il Viceregno come se stessa, con criteri antieconomici e m e t o d i antiquati, che p i o m b a r o no la colonia nel p i ù spaventoso b a r a t r o finanziario. Alla s p r o v v e d u t e z z a a m m i n i s t r a t i v a e alla cupidigia dei d o m i n a t o r i facevano r i s c o n t r o l'abulia e l ' i n e t t i t u d i n e dei dominati, a cominciare dalla classe p i ù altolocata: la nobiltà. Nel Sud essa era assai p i ù composita e differenziata che altrove. C ' e r a quella d ' o r i g i n e g u e r r i e r a n o r m a n n a e sveva che p r e e s i s t e v a al d o m i n i o s p a g n o l o e n o n d i m e n t i c a v a i suoi titoli di priorità. Né i Re aragonesi, né i Viceré di Madrid e r a n o mai riusciti a r i d u r l a all'obbedienza. Il nobile nap o l e t a n o , calabrese, siciliano e r a r i m a s t o s o v r a n o assoluto nel suo feudo, i cui abitanti si consideravano più sudditi suoi che del Re. A n c h e se e r a v e n u t o ad a b i t a r e in un palazzo della Capitale e a o c c u p a r e u n a carica a corte, conservava g e l o s a m e n t e le p r e r o g a t i v e di q u e s t o s u p r e m o r a n g o e manteneva le distanze col pari g r a d o di n u o v a estrazione. Il g o v e r n o vicereale i n a u g u r a t o da d o n P e d r o di Toledo era stato infatti p r o d i g o d i titoli nobiliari: u n p o ' p e r c h é , ambiti c o m ' e r a n o p e r gli onori e i privilegi che comportavano in q u e s t a c h i u s a e g e r a r c h i z z a t a società secentesca, fruttavano al tesoro fior di quattrini, un p o ' p e r c h é creavano u n a categoria di clienti legati al p o t e r e costituito, un p o ' perché questa n u o v a aristocrazia serviva a controbilanciare quella p i ù antica e p r e p o t e n t e . Ma q u e s t ' u l t i m o obiettivo s'era d i m o s t r a t o illusorio p e r c h é il n u o v o nobile, più che a infrenare quello vecchio, badava a imitarlo soprattutto nell'arroganza. A n c h e lui si c o n s i d e r a v a s o v r a n o assoluto nel suo f e u d o , a n c h e lui si sentiva al di s o p r a della legge. In Pratica, il Viceré n o n g o v e r n a v a c h e un t e r z o d e l R e a m e . 135
Gli altri d u e terzi e r a n o «feudali», cioè soggetti ai Signori che se li t r a m a n d a v a n o p e r diritto ereditario e vi dettavano la legge loro. Vi risiedevano di r a d o . Anzi, c'erano dei nobili c h e n o n a v e v a n o m a i m e s s o p i e d e nelle l o r o t e r r e . Le amministravano - se si p u ò usare questo verbo - attraverso ìgabelloti, così chiamati p e r c h é si i m p e g n a v a n o a p a g a r e una «gabella», o affìtto a n n u o , al p a d r o n e che n o n voleva occuparsi del suo p a t r i m o n i o , p a g o d i s p r e m e r n e q u a n t o più p o t e v a p e r c a m p a r e a N a p o l i o a P a l e r m o . È facile capire ciò che avveniva: il gabellato, a sua volta, cercava di sfruttare al massimo la sua posizione p r a t i c a n d o un'agricoltura e una pastorizia di r a p i n a e r i d u c e n d o allo stremo i contadini. La d e g r a d a z i o n e del Sud ad «area depressa», depressa n o n solo e c o n o m i c a m e n t e , ma a n c h e m o r a l m e n t e , dalle a n g h e r i e che vi esercitavano, in n o m e del S i g n o r e assente e col suo tacito consenso, questi rapaci affittuari distruttori di boschi e pascoli, risale a quest'epoca. E l ' h a n n o sulla coscienza i nobili. C o s t o r o , o r m a i accasati in città, n o n a v e v a n o altro p r o blema da risolvere che la conquista e la difesa delle «precedenze». A differenza dei p i e m o n t e s i e dei veneziani infatti essi n o n costituivano un'aristocrazia di p o t e r e p e r c h é i Viceré spagnoli si g u a r d a v a n o b e n e dall'affidargliene anche le leve subalterne. Per le forze a r m a t e si fidavano solo - e facev a n o b e n e - dei loro generali c a s i g l i a n i . Per l'amministrazione preferivano p e r s o n a l e borghese. Il nobile quindi, per i n g a n n a r e i suoi ozi, n o n aveva altre risorse che la m o n d a nità, il gioco e le gare di prestigio e di protervia coi suoi pari. Per un posto a tavola, p e r un titolo omesso in un indirizzo, p e r un s u p e r l a t i v o in p i ù o in m e n o , e r a disposto a u c c i d e r e e a farsi u c c i d e r e . R a c c o n t a il Viterbo: « D u r a n t e u n a solennità, a Napoli, il Viceré uscì indispettito di chiesa, p e r c h é vide p o s a r e d u e cuscini sotto i piedi dell'Arcivescovo, che aveva d i r i t t o a un cuscino solo. Violenti contrasti scoppiarono in mezzo alla nobiltà di Bari p e r c h é il castellano G i u s e p p e Pappacoda, m a r c h e s e di C a p u r s o , si faceva da136
re di eccellenza e soprattutto p e r c h é la moglie nei divini uffizi alla basilica di San Nicola e in D u o m o usava la sedia con cuscino, il c h e offendeva la suscettibilità delle altre gentild o n n e prive di cuscino, e p e r giunta, d o p o essersi seduta, si lasciava avvolgere in nugoli d'incenso da pretonzoli e sagrestani che agitavano turiboli davanti a lei». I duelli del nobile n o n si c o n t a v a n o . Il suo senso dell'onore gli consentiva di n o n p a g a r e i debiti in cui il suo patrim o n i o stava s p r o f o n d a n d o , ma n o n di c e d e r e il passo sul marciapiede a un suo pari. Q u e s t o «affronto» l'obbligava a p o r m a n o alla s p a d a che gli cingeva il fianco, e gli u o m i n i del suo seguito ( p e r c h é u n nobile d e g n o d i q u e s t o n o m e non a n d a v a mai in giro da solo) e r a n o tenuti a imitarlo. Ne nascevano, in p i e n a strada, vere e p r o p r i e battaglie c h e lasciavano sul t e r r e n o m o r t i e feriti. I n v a n o i Viceré e m a n a vano b a n d i p e r i m p e d i r e queste orge d ' a r r o g a n z a e di sangue. Solo verso la fine del secolo i nobili n a p o l e t a n i si r e n d e r a n n o c o n t o d e l l ' a s s u r d i t à di questi massacri e con u n a dichiarazione s ' i m p e g n e r a n n o a cessarli. Era fatale che u n a siffatta classe, con la sua atavica refrattarietà alle attività produttive e la totale renitenza all'investimento, si giocasse il patrimonio, che dalle sue tasche cominciò lentamente a scivolare in quelle del ceto medio. Nel resto d'Italia, ceto m e d i o e r a s i n o n i m o di borghesia artigianale, mercantile, imprenditoriale. Nel Reame, no. Qui designava esclusivamente gli speculatori e gli avvocati. I p r i m i e r a n o appaltatori di gabelle, m e r c a n t i di pochi scrupoli, strozzini, usurai, questi ultimi in g r a n p a r t e forestieri, s p e c i a l m e n t e genovesi. I napoletani li chiamavano «giudei» p e r c h é e r a n o stati gli ebrei a d e t e n e r e il monopolio di quest'attività, p r i m a che d o n Pedro di Toledo li mettesse al b a n d o . Se gli speculatori, coi loro traffici più o m e n o leciti, s'imp i n g u a v a n o alle spalle dei nobili ricchi, s e m p r e m e n o ricchi, gli avvocati facevano d e n a r o sfruttando la loro litigiosa rivalità. I motivi di contesa, c o m e a b b i a m o visto, e r a n o 'nnumerevoli. Qualche volta, è vero, ci si faceva giustizia da 137
sé, con un duello o un agguato. Più spesso, a causa dei bandi vicereali che c o m m i n a v a n o p e n e severe a chi regolava in p r o p r i o i conti col nemico, s'andava dall'avvocato. Q u a n t i ce ne fossero a Napoli nel Seicento n o n sappiam o . C e r t a m e n t e dovevano essere legioni se, c o m e dice Croce, «la strada dell'avvocazione p a r v e fosse la sola a p e r t a agli u o m i n i i n t r a p r e n d e n t i , p e r c h é quella delle a r m i n o n valeva più a tal fine, e quella dei c o m m e r c i e delle industrie m a n cava, o n d e il " v e n d e r fole ai garruli clienti" d i v e n n e la vera industria e il lucroso c o m m e r c i o i n t e r n o di Napoli». Ma c'era a n c h e un'altra circostanza a r e n d e r e vantaggiosa e ambita la carriera forense: gli avvocati p o t e v a n o facilmente otten e r e cariche politiche. G u a d a g n a v a n o m e n o m a accrescevano il p r o p r i o prestigio e, se g i u n g e v a n o a ricoprire uffici importanti, venivano insigniti d ' u n titolo nobiliare. Accanto a questo ceto m e d i o e all'aristocrazia, c'era un'altra classe benestante e privilegiata: il clero. Napoli pullulava di edifici e istituzioni religiose. A m e t à del Seicento, nella sola Capitale, s o r g e v a n o p i ù di c e n t o conventi, in m a g g i o r a n z a d o m e n i c a n i , francescani, gesuiti. Alcuni risalivano al M e d i o Evo, molti e r a n o stati innalzati d o p o il Concilio di T r e n t o . Il n u m e r o dei religiosi si faceva a m m o n t a r e a trentamila su u n a popolazione che oscillava fra le d u e c e n t o e le trecentocinquantamila a n i m e . Essi n o n e r a n o dediti solo alla p r e g h i e r a e alle o p e r e di carità, ma a n c h e all'artigianato e al c o m m e r c i o . I gesuiti trafficavano in vino, altri o r d i n i lav o r a v a n o l ' o r o e l ' a r g e n t o , c h e i fedeli gli lasciavano p e r t e s t a m e n t o , le m o n a c h e c o n f e z i o n a v a n o e v e n d e v a n o biscotti, canditi, lasagne e altre leccornìe. La chiesa di D o n n a r o m i t a si specializzò nella c o m p o s i z i o n e di foglie di rosa c a n d i t e , quella di Santa C a t e r i n a nella fabbricazione di tagliolini più fini di capelli, quella di San Potito acquistò rinom a n z a p e r il «casatiello», o torta pasqualina. Grazie a q u e s t ' i m p o n e n t e attività gastronomica, Napoli g o d e v a la fama della città più buongustaia d'Italia. A n c h e nel R e a m e , c o m e nel r e s t o della Penisola, gli ec138
clesiastici beneficiavano d ' i m m u n i t à e privilegi. L'alto clero faceva c o n c o r r e n z a ai nobili nello sfoggio di ricchezza e di p o m p a e , n o n m e n o d e i p r i n c i p i e d e i b a r o n i , e r a geloso delle p r o p r i e prerogative. Il Vescovo viveva da g r a n Signor e , t e n e v a m e n s a i m b a n d i t a , aveva u n o stuolo d i m a g g i o r d o m i , c u o c h i e c a m e r i e r i , e r a riverito e ossequiato dal Viceré, dall'aristocrazia e dalla plebe, che a lui ricorreva in occasione di carestie e cataclismi naturali. D u r a n t e l ' o c c u p a z i o n e s p a g n o l a s e n ' a b b a t t e r o n o sulla città di terribili: tre volte Napoli fu squassata dal t e r r e m o t o , u n a volta fu sconvolta dall'eruzione del Vesuvio, un'altra la sua p o p o l a z i o n e fu d e c i m a t a dalla p e s t e . A far le spese di questi flagelli e r a n o il «popolo» e il «popolino». Al p o p o l o a p p a r t e n e v a n o bottegai, barcaioli, m u l a t t i e r i , piccoli c o m mercianti che guadagnavano abbastanza per campare ma n o n a b b a s t a n z a p e r affrontare l e c o n s e g u e n z e d ' u n a calamità. Il p o p o l i n o , che c o m p r e n d e v a la m a g g i o r a n z a degli abitanti, era u n a specie di sottoproletariato cencioso, disered a t o , affamato, c h e viveva d ' a c c a t t o n a g g i o e d ' e s p e d i e n t i , facile esca di suggestioni d e m a g o g i c h e e di m i r e sovversive. I Viceré lo t e n e v a n o a b a d a con piccoli sussidi ed elargizioni di vino e farina e se ne servivano, in caso di disordini, c o m e contraltare alla nobiltà. Q u e s t a p l e b e viveva nei bassi, stipata in l u r i d e catapecchie, infette e fatiscenti, dove n e m m e n o la polizia osava entrare. Forniva i q u a d r i alla malavita locale che nel Seicento, con la nascita della camorra, così d e n o m i n a t a da u n ' o m o n i ma bisca dove conveniva g e n t e della p e g g i o r risma, si diede u n a vera e p r o p r i a organizzazione gerarchica. I capi si chiam a v a n o guappi, indossavano abiti vistosi e sgargianti, assum e v a n o pose minacciose e spavalde, c a m m i n a v a n o col petto in fuori e le m a n i sui fianchi, seguiti da un codazzo di fedeli, a r m a t i fino ai denti. N o n c'era r a t t o , omicidio, r a p i n a in cui la camorra n o n avesse lo z a m p i n o . I suoi sicari venivano assoldati indifferentemente dai nobili, dagli spagnoli, dai ricchi signori che trovavano molto c o m o d o far liquidare un 139
nemico dal guappo, che l'assoluta o m e r t à della p o p o l a z i o n e r e n d e v a inafferrabile e metteva al sicuro da o g n i sanzione. Talvolta la camorra assumeva le difese del debole, angariato ingiustamente dal p o t e n t e che, con le b u o n e o le cattive, più con queste che con quelle, doveva r i p a r a r e il torto e risarcire la vittima, se n o n voleva rimetterci la pelle. Ma più spesso si c o m p o r t a v a c o m e u n ' a s s o c i a z i o n e a d e l i n q u e r e , spiccia nei m e t o d i , inesorabile negli odi, spietata nelle v e n d e t t e . E tale s'è t r a m a n d a t a fino ai giorni nostri. G o v e r n a r e in q u e s t e condizioni n o n e r a facile. I Viceré che s'avvicendarono a Napoli, salvo r a r e eccezioni, lasciaron o d i s é u n p e s s i m o r i c o r d o . Venivano dalle f i l e della n o biltà castigliana, e r a n o c o m p l e t a m e n t e d i g i u n i d ' a m m i n i strazione, consideravano la loro carica un titolo da sfoggiare e u n a facile fonte di g u a d a g n o , b a d a v a n o solo al p r o p r i o t o r n a c o n t o e s'infischiavano dei bisogni dei sudditi. Valga p e r tutti l'esempio del Duca d ' O s s u n a , a p p r o d a t o a Napoli n e l 1616, a b o r d o d ' u n a lettiga. C o m b a t t e n d o in F i a n d r a s'era infatti ferito a u n a g a m b a e c a m m i n a v a con difficoltà. Aveva t r e n t a s e t t e a n n i e t u t t e le s t i m m a t e dell'hidalgo. Di statura piuttosto bassa, b r u n o d'occhi e di capelli, olivastro d i pelle, sfrontato, i m p u l s i v o , s u p e r b o , e r a d o m i n a t o d a u n ' a m b i z i o n e sfrenata e da un'irresistibile i n c l i n a z i o n e al bel sesso. Ecco il ritratto che di lui tracciò l'agente a Napoli del Duca d ' U r b i n o : «I concetti di questo Viceré sono smisurati et d e g n i d ' u n Alessandro M a g n o . Si è messo in a n i m o di fabbricare et a r m a r galeazze, et s p e r a p r e n d e r Costantin o p o l i , r a c q u i s t a r G e r u s a l e m m e , pigliar l'Albania et cose maggiori. Cominciò a far descrivere la g e n t e di Napoli atta alle a r m i , poi à s o p r e s e d u t o . Vuol far venire q u a 1500 Valloni, 5 0 0 A l e m a n n i e t 4 0 0 0 S p a g n u o l i e t t e n e r i n o r d i n e 6000 regnicoli, p e r h a v e r un esercito valente». Era un esibizionista. Vestiva in m o d o eccentrico, ostentava gioielli di g r a n fattura, p a r l a v a a voce alta, apostrofava chi, i n c o n t r a n d o l o p e r s t r a d a , n o n gli t r i b u t a v a i l d o v u t o omaggio, si circondava di buffoni, faceva plateali elemosine, 140
i m b a n d i v a b a n c h e t t i p a n t a g r u e l i c i e dava feste da «Mille e u n a notte». Ma sapeva a n c h e g u a d a g n a r s i le simpatie p o p o lari con gesti teatrali e demagogici. Un giorno, attraversando in carrozza il m e r c a t o , g i u n t o d a v a n t i all'ufficio dove si riscuoteva il balzello sulla frutta, o r d i n ò al cocchiere di fermarsi. Scese, sguainò la spada, e con un colpo netto recise le c o r d e della bilancia su cui si pesava la frutta, e s c l a m a n d o : «Così si leva la gabella dei frutti; piuttosto p e r d i la vita che sopportarla». C o n questi gesti da g u a p p o si p r o c u r a v a i favori del popolino,, di cui aveva bisogno p e r c o m p e n s a r e l'odio che i nobili n u t r i v a n o p e r lui. Li trattava dall'alto al basso, li offendeva in p u b b l i c o e insidiava in p r i v a t o le l o r o d o n n e . Organizzava feste con prostitute e teppisti, che spesso d e g e n e r a v a n o in orge e tafferugli. Q u a l c h e volta ci scappava a n c h e il m o r t o . Fu la sua avidità a p e r d e r l o . In q u a t t r ' a n n i - quanti d u r ò la sua missione - l'Ossuna n o n m a n d ò in patria un solo r e n d i c o n t o . R u b ò a p i e n e m a n i e fece r u b a r e ai suoi amici. «Questi» scrive a n c o r a l ' a g e n t e d e l D u c a d ' U r b i n o , c o m m e n t a n d o il richiamo in S p a g n a del Viceré «è u n o d e ' g r a n matti c h ' a b b i n o mai g o v e r n a t o q u e s t o R e g n o ; e t u t t o q u e l c h ' h a fatto p e r n o n partirsi di qua, è stata v e r a m e n t e pazzia, senza f o n d a m e n t o nissuno de potersi sostenere; ma l'amore g r a n d i s s i m o di d a m e ne dà g r a n c a g i o n e ; con t u t t o ciò si p o r t e r à seco d u e cento mila ducati d'oro, senza quel che ha dissipato e dato via.» Lasciando Napoli, g i u r ò che vi sarebbe t o r n a t o p e r vendicarsi di coloro che avevano voluto, e o t t e n u t o , il suo eson e r o . M a n o n m a n t e n n e l a parola p e r c h é u n a n n o d o p o essere r i e n t r a t o in patria fu imprigionato. Ne aveva fatte t r o p p e . I suoi successori ne f a r a n n o a l t r e t t a n t e , e il R e a m e seguiterà a rotolare verso l'abisso, t r a v o l g e n d o l'economia e la società di tutto il Mezzogiorno.
CAPITOLO DODICESIMO
L'INVOLUZIONE POLITICA
Se l'Italia n o n e r a stata fra le maggiori vittime della G u e r r a dei T r e n t ' a n n i , che l'aveva coinvolta solo m a r g i n a l m e n t e e di riflesso, ciò n o n vuol dire che n o n ne abbia anch'essa sofferto le c o n s e g u e n z e . Abbiamo già visto cosa quel conflitto costò al P i e m o n t e , lo Stato italiano che vi si trovò p i ù dirett a m e n t e i m p e g n a t o . Gli a v v e n t u r o s i D u c h i d i Savoia c h e avevano cercato di approfittarne p e r impadronirsi del M o n f e r r a t o s t r a p p a n d o l o ai D u c h i di M a n t o v a e r i u n i r e sotto la loro signoria tutta la r e g i o n e , d o v e t t e r o contentarsi di p ò c h e briciole e c o n s e g n a r e in cambio P i n e r o l o ai francesi. C o s t o r o , d a q u e s t a testa d i p o n t e , p o t e r o n o s e m p r e più s v i l u p p a r e le l o r o i n t e r f e r e n z e nella p e n i s o l a p e r minarvi la -supremazia spagnola. E questa lotta doveva contin u a r e a n c h e d o p o la p a c e di Westfalia, a c c e n t u a n d o le divisioni dell'Italia e p r e c i p i t a n d o l a in un s e g u i t o di conflitti intestini, che n o n e r a n o l a g u e r r a , m a n o n e r a n o n e m m e no la p a c e . Più c h e di g r a n d e politica, si t r a t t a d ' i n t r i g h i , c h e alla fine l a s c i a r o n o le cose p r e s s a p p o c o c o m e p r i m a , ma che tuttavia l o g o r a r o n o vieppiù le r e s i d u e forze del n o stro esausto Paese. La vittima p i ù illustre fu Venezia. La sua d i p l o m a z i a si e r a b a r c a m e n a t a s a g g i a m e n t e nel g r a n d e conflitto che o p p o n e v a gli A s b u r g o d'Austria e quelli di S p a g n a ai Valois francesi. Ma la divisione d'Italia e d ' E u r o p a le fu fatale nella lotta contro i turchi all'assalto del suo i m p e r o m e d i t e r r a n e o . Di questo i m p e r o , il p u n t e l l o e r a l'isola di Creta. I turchi la conquistarono di sorpresa nel 1645; ma la g u a r n i g i o n e della capitale, C a n d i a , resistè. E Venezia, p e r sostenerla, m a n d ò 142
flotte su flotte. L o r e n z o Marcello distrusse quella avversaria nell'Ellesponto, e Lazzaro Mocenigo forzò a d d i r i t t u r a i Dardanelli m e t t e n d o il blocco a Costantinopoli. E n t r a m b i p e r sero la vita in q u e s t e s a n g u i n o s e battaglie c h e testim o n i a v a n o l'indomito valore della m a r i n e r i a veneziana, ma nello stesso t e m p o la d i s s a n g u a v a n o . Venezia aveva deciso questa resistenza a oltranza nella fiducia che p r i m a o poi si riformasse il fronte cristiano che c e n t ' a n n i p r i m a aveva cond o t t o al trionfo di L e p a n t o . Ma la s p e r a n z a a n d ò d e l u s a . Q u a n d o , d o p o ventitré a n n i di g u e r r a nella città assediata, il c o m a n d a n t e dell'eroica piazzaforte, Morosini, si arrese coi brandelli della sua g u a r n i g i o n e , Venezia aveva p e r d u t o centomila u o m i n i e oltre d u e c e n t o navi. Da questo colpo n o n si riprese più. Da allora, tutta la sua politica n o n sarà più che u n ' a z i o n e di r e t r o g u a r d i a , volta n o n già a rilanciare la sua gloriosa avventura, ma a r i t a r d a r n e la fine. Gli altri Stati italiani facevano soltanto del piccolo cabotaggio. Abbiamo visto i francesi approfittare dei dissidi fra i Savoia di Torino e i Gonzaga-Nevers di Mantova, titolari anche del Monferrato, p e r installarsi a Pinerolo. Di lì a pochi a n n i s ' i m p a d r o n i r o n o a n c h e di Casale, m e t t e n d o così il Piem o n t e sotto il p r o p r i o c o n t r o l l o e t e n e n d o sotto c o n t i n u a minaccia sia il g o v e r n a t o r a t o spagnolo di Milano che la r e pubblica d i Genova, i n d i p e n d e n t e m a s t r e t t a m e n t e legata alla S p a g n a sin dai t e m p i di A n d r e a Doria. Ma non si contentarono di questo. Con un improvviso attacco n a v a l e , o c c u p a r o n o a n c h e P i o m b i n o e i cosiddetti «Presidi» della M a r e m m a e dell'Elba. Dal p u n t o di vista territoriale, n o n e r a n o g r a n d i conquiste. Ma lo e r a n o dal p u n to di vista strategico p e r c h é q u e i capisaldi d o m i n a v a n o le rotte marittime fra Genova e Napoli. Poteva essere il principio di un sovvertimento di tutta la situazione italiana a p r ò della Francia, se questa n o n fosse c a d u t a in p r e d a alle convulsioni della Fronda, che precipitò n u o v a m e n t e il Paese nella g u e r r a civile. Casale fu evacuata, m e n t r e Piombino t o r n ò n o m i n a l m e n t e ai Ludovisi, ma di fatto alla S p a g n a , l o r o 143
p r o t e t t r i c e . M a i n t a n t o , d i tutti questi s u b b u g l i p r o v o c a t i dalla i n t e r m i n a b i l e rissa franco-spagnola, a v e v a n o cercato di approfittare gli altri potentati. Nei capitoli che a b b i a m o loro singolarmente dedicato, abbiamo fatto c e n n o di queste piccole avventure. Rivediamole nel loro insieme. Saldo nei suoi p o s s e d i m e n t i garantitigli dalla S p a g n a , il Papato n o n p e r d e v a occasione p e r cercar di dilatarli a spese dei vicini. Al Lazio, all'Umbria, alle Marche, a un bel boccone dell'Emilia-Romagna, nel 1598 esso aveva a g g i u n t o Ferr a r a a p p r o f i t t a n d o di u n a complicata q u e s t i o n e di successione p e r toglierla agli Este, cui rimasero soltanto M o d e n a e R e g g i o . Nel 1631 si e r a a n n e s s o U r b i n o , soffiandolo al G r a n d u c a di Toscana. Nel '49 riuscì finalmente a incamerare a n c h e Castro, il feudo laziale dei Farnese, c o n t r o cui invano si era avventato pochi a n n i p r i m a U r b a n o V i l i . Gli Este si fecero c o m p e n s a r e dai protettori spagnoli, che s o v r i n t e n d e v a n o a t u t t e q u e s t e t r a n s a z i o n i , con l'assegnazione di C o r r e g g i o . I G o n z a g a r i e b b e r o Casale, s g o m b r a t a dai francesi. Q u a n t o al G r a n d u c a di Toscana c h e , confin a n d o con gli Stati pontifici, si considerava il più minacciato dal loro accrescimento, ricevette c o m e c o n t e n t i n o le contee m a r e m m a n e di Pitigliano e di S a n t a Fiora, e P o n t r e m o l i nella Lunigiana, antichissimo feudo dei Malaspina. E r a n o c a m b i a m e n t i che n o n c a m b i a v a n o n u l l a . Quelli che passavano da u n a m a n o all'altra n o n e r a n o degli Stati, e n e m m e n o dei C o m u n i o dei Municipi, ma solo delle «fattorie» che i vari signori c o n s i d e r a v a n o loro privato p a t r i m o nio. Tutti i nuovi equilibri che questi baratti creavano e r a n o m o m e n t a n e i e n o n incidevano m i n i m a m e n t e sulle sorti del Paese, che s e m p r e più volgevano al peggio. Prima della G u e r r a dei T r e n t ' a n n i infatti l'Italia esercitava a n c o r a un certo peso. Venezia e r a u n a g r a n d e potenza, la capitale di un vasto i m p e r o coloniale, con cui l ' E u r o p a doveva fare i conti. In c a m p o spirituale, la C o n t r o r i f o r m a aveva rifatto di R o m a un Caput mundi, e sia p u r e di un m o n do mutilato qual era quello cattolico d o p o la g r a n d e divisio144
ne o p e r a t a da Calvino e da L u t e r o . In c a m p o c u l t u r a l e , il p r i m a t o italiano restava, sia p u r e solo p e r forza d'inerzia, cioè di tradizione. Malgrado i suoi Galilei, i suoi Sarpi, i suoi B e r n i n i , i suoi M o n t e v e r d i , l'Italia n o n e r a p i ù quella del Cinquecento. Ma il prestigio p e r d u r a v a . L'italiano era ancora la lingua della intellighenzia e delle Corti e u r o p e e . Il nazionalista S h a k e s p e a r e , nei suoi d r a m m i e c o m m e d i e , n o n si stanca di avventare strali contro i suoi compatrioti che p e r snobismo u s a n o parole italiane e ostentano m o d i e vezzi italiani. La «rifinitura» di un u o m o di m o n d o e il c o m p l e t a m e n t o della sua educazione era il viaggio in Italia. La G u e r r a dei T r e n t ' a n n i s e g n a lo s p a r t i a c q u e e dà l'avvìo al g r a n d e declino. Venezia r i m a n e u n a città o p u l e n ta, fastosa e festosa; ma il suo i m p e r o n o n è più il Mediterr a n e o , che del resto ha c e d u t o la sua c o r o n a di «Re dei mari», all'Atlantico; è soltanto l'Adriatico. Q u a n t o a R o m a , i fatti d i m o s t r a n o che il suo p r i m a t o spirituale, nella stessa area cattolica, e r a c o n d i z i o n a t o dal p o t e r e m a t e r i a l e della Spagna, e con esso t r a m o n t a . Il Papato, che con la Controriforma aveva c r e d u t o di r i p r e n d e r e l'iniziativa e di p o t e r ric r e a r e in E u r o p a u n ' a t m o s f e r a di crociata, d o p o la pace di Westfalia si trova r i d o t t o , c o m e influenza, al livello di u n o dei tanti Stati italiani; ed ecco p e r c h é c o m e essi si a b b a n d o na a u n a politica famelica di annessioni territoriali. Q u e s t a involuzione la si nota financo nella d e c a d e n z a fisica delle dinastie italiane. Gli Este, i G o n z a g a , i F a r n e s e , che nel Q u a t t r o e nel C i n q u e c e n t o avevano sfornato splendidi a r c h è t i p i di c o n d o t t i e r i , m a g a r i b r u t a l i e c r u d e l i , ma fisicamente gagliardi e carichi di aggressiva e n e r g i a , s o n o ora r a p p r e s e n t a t i da delle specie di m o n g o l o i d i , minati da tare ereditarie. L'ultimo Medici che fa o n o r e al n o m e è Ferd i n a n d o II. D o p o di lui, sarà un seguito di d e g e n e r a t i fino all'estinzione della casata. Ciò n o n r a p p r e s e n t a u n a semplice curiosità patologica. Ha il suo p e s o in u n a politica p e r s o n a l i z z a t a c o m e quella degli Stati italiani, che quasi d o v u n q u e s'identificano col Si145
g n o r e , anzi n o n r a p p r e s e n t a n o - c o m e abbiamo detto - che il suo privato p a t r i m o n i o . Questo, si dirà, è un tratto comune anche alla Francia, dato il carattere assolutistico della sua m o n a r c h i a . Ma la Francia e r a o r m a i u n a N a z i o n e , che già e s p r i m e v a delle classi d i r i g e n t i . I suoi Re, a n c h e q u a n d o n o n li a m a v a n o , dovevano subire i Sully, i Richelieu, i Mazar i n o , i Colbert, che r i m e d i a v a n o alle deficienze dei loro sovrani. In Italia l'unica città che potesse p r o d u r r e di questi u o mini e r a Venezia, d a t a la sua s t r u t t u r a oligarchica che, alm e n o nell'ambito delle sue «grandi famiglie», poteva procurarsi i necessari ricambi. Venezia n o n era il Doge, figura solt a n t o r a p p r e s e n t a t i v a e simbolica, ma un insieme di Magis t r a t u r e elettive c h e d a u n a p a r t e c o n t r o l l a v a n o i l p o t e r e , dall'altra servivano a selezionarne gli aspiranti. Il filtro n o n era automatico e perfetto. C o m e in tutti i regimi e in tutti i tempi, anche a Venezia l'intrigo e la malizia a v r a n n o spesso avuto la meglio sul valore e sui meriti. Ma il r e g i m e a m m e t teva u n a libera competizione, forniva u n a palestra, garantiva u n a r o t a z i o n e . E q u e s t o è il s e g r e t o della l u n g a d u r a t a della Serenissima. Nulla di tutto questo avveniva negli altri Stati italiani. A i m p e d i r l o n o n era l'assolutismo che poteva a n c h e spalancare le p o r t e alla collaborazione di u o m i n i energici e p r e p a r a ti. Lo si stava v e d e n d o , c o m e a b b i a m o d e t t o , in Francia; lo si sarebbe visto nel secolo successivo nella stessa Italia, specie nella Firenze di L e o p o l d o , il sovrano illuminato che seppe a p p a l t a r e le p r o p r i e riforme agli u o m i n i più adatti selez i o n a n d o l i i n d i p e n d e n t e m e n t e dal loro r a n g o sociale. A impedirlo e r a un altro motivo: il fatto che, nell'Italia del Seicento, il p o t e r e r a p p r e s e n t a v a l'unica industria redditizia, e q u i n d i la classe che ne d e t e n e v a il m o n o p o l i o n o n e r a disposta a r i n u n c i a r v i p e r n e s s u n a r a g i o n e al m o n d o . Negli altri Paesi e r a o r m a i cominciata la g r a n d e a v v e n t u r a capitalistica e coloniale che offriva l a r g h e e r e m u n e r a t i s s i m e possibilità a c h i u n q u e fosse dotato d'iniziativa. Più che a di146
ventar «funzionari», l'inglese e l'olandese m i r a v a n o a diventare a r m a t o r i , a i m p i a n t a r e fabbriche, a impossessarsi dei c o m m e r c i con l ' I n d i a o l ' I n s u l i n d i a . Gli stessi s p a g n o l i e portoghesi avevano il g r a n d e sbocco dell'America latina, d o ve c'erano da a c c a p a r r a r e miniere e latifondi. Gl'italiani vivevano in piccoli m o n d i asfittici e senza sbocchi. Tutta la loro ricchezza era investita in t e r r e che davano scarsi utili pelle ragioni che d i r e m o nel capitolo s e g u e n t e . Per i n t e g r a r e questi r e d d i t i miserelli, alle classi privilegiate n o n restava che scalare qualche pubblico ufficio. La sete del «posto» che caratterizza gl'italiani, specie i meridionali, nacque allora. E allora n a c q u e lo strano concetto che del «posto» h a n n o gl'italiani, n o n c o m e di un «servizio», ma come di u n a g r e p p i a o licenza di s f r u t t a m e n t o . Il privilegio si manifestava così: come un titolo, spesso ereditario, all'accaparramento di tutti i pubblici uffici, compresi quelli degli enti caritativi e assistenziali. C o l o r o che d e t e n e v a n o q u e s t a esclusiva la difend e v a n o p u n t i g l i o s a m e n t e d a qualsiasi i n t r o m i s s i o n e d i estranei. Perfino la gestione dei Monti di Pietà e r a u n a privativa di casta. Era questo che r e n d e v a così sclerotica la società italiana e così p o v e r a di ricambi. Dal P a p a al Duca di Mantova, i signorotti che s g o v e r n a v a n o l'Italia e r a n o p r i gionieri di q u e s t e mafie e c a m o r r e c h e col m o n o p o l i o del p o t e r e si t r a m a n d a v a n o di p a d r e in figlio il diritto di abusarne. Ed ecco p e r c h é le loro personali tare e deficienze erano più catastrofiche di q u a n t o n o n fossero là dove si poteva attingere ad altri serbatoi, e specialmente a quelli della cultura e della tecnica. Ma questa malformazione rischia di restare incomprensibile se n o n ci si rifa alla situazione economica che la provocava.
CAPITOLO TREDICESIMO L'INVOLUZIONE ECONOMICA
N e g l ' i m m e n s i cimiteri che la G u e r r a dei T r e n t ' a n n i aveva disseminato in tutta E u r o p a , ossa di soldati italiani ce n'erano - r e l a t i v a m e n t e - p o c h e : alcuni p i e m o n t e s i t r a s b o r d a t i dai loro Duchi dal c a m p o francese al c a m p o spagnolo e viceversa, secondo l'esigenza della loro politica «pendolare», alcuni lombardi reclutati dal G o v e r n a t o r e di Madrid, alcuni m e r i d i o n a l i m a n d a t i d a l Viceré di N a p o l i di rinforzo alle a r m a t e asburgiche. Briciole, in confronto all'ecatombe degli altri Paesi e u r o p e i . Ma l'Italia aveva u g u a l m e n t e pagato un grosso contributo di cadaveri grazie alle d u e g r a n d i epidem i e di peste c h e l ' i m m a n e conflitto p r o v o c ò : quella del 1630, di cui il Manzoni ci ha lasciato un così vivido e lugub r e affresco, e quella del 1656-57. Q u a n t e vittime siano costate n o n s a p p i a m o : censimenti a quei t e m p i n o n se ne facevano. Ma alcune cifre le abbiamo: su 240.000 abitanti, Napoli ne perse 50.000; Milano 35.000 su 200.000; Venezia 20.000 su 150.000, eccetera. P u r facendo le debite riserve sull'esattezza di questi dati, è probabile che la m a g g i o r a n z a degli storici siano p r e s s a p p o c o nel giusto q u a n d o d i c o n o c h e l'intera p o p o l a z i o n e italiana fu ridotta da quel flagello a n o n più di dieci milioni di abitanti. Fra le t a n t e carestie c h e affliggevano l'Italia c'era d u n q u e anche quella degli uomini. R e g i m i politici illuminati e a m m i n i s t r a z i o n i oculate a v r e b b e r o p o t u t o benissimo ovviare al m a l a n n o razionalizz a n d o le attività p r o d u t t i v e , cioè a p p o r t a n d o v i migliorie tecniche che r e n d e s s e r o m e n o grave la p e n u r i a di braccia, come facevano p e r esempio l'Inghilterra e l'Olanda, già di148
ventate patrie della Tecnica. Ma questo n o n era il caso di un Paese che, come v e d r e m o , tappava la bocca a Galileo. S t r e t t a m e n t e legato alla Chiesa della C o n t r o r i f o r m a , a sua volta s t r e t t a m e n t e avversa a ogni p r o g r e s s o , il d o m i n i o spagnolo n o n era di certo il più indicato a sollevare le sorti dell'economia italiana. Molti storici, specialmente m e r i d i o nali (Benedetto Croce, Panfilo Gentile, Virgilio Titone) contestano quest'affermazione. Ma noi n o n riusciamo a v e d e r e come gli spagnoli, che amministravano così male la Spagna, potessero a m m i n i s t r a r e b e n e l'Italia. G r a n d i soldati, g r a n d i conquistatori, g r a n d i sacerdoti, gli spagnoli sono stati semp r e e d o v u n q u e cattivi amministratori. Tuttavia, p e r q u a n t o r i g u a r d a l'Italia, bisogna i n t e n d e r ci. Essi n o n sfruttarono il nostro Paese, n o n cercarono di arricchirsi a spese della sua miseria, mortificando di proposito le s u e capacità p r o d u t t i v e p e r i m p o r l e le p r o p r i e m e r c i e manufatti. Al contrario. Siccome la Spagna, ridotta dai suoi stessi Re a u n a caserma, n o n dava e c o n o m i c a m e n t e più nulla, specie d o p o la cacciata degli ebrei e dei moriscos, u n i c h e sue m i n o r a n z e p r o d u t t i v e , l'Italia t r o v ò in essa la sua migliore cliente. Non soltanto gli a r m a t o r i e i banchieri g e n o vesi ci fecero affari d'oro, ma tutta l'industria italiana trovò nell'impero spagnolo il suo m e r c a t o e vi d e t e n n e , p e r m a n canza di c o n c o r r e n z a , posizioni di privilegio. Infatti la n o stra decadenza economica n o n comincia con l'egemonia coloniale spagnola, ma col suo declino in seguito alla G u e r r a dei T r e n t ' a n n i . È allora che i difetti di quell'amministrazione n o n sono più compensati dal vantaggio che all'Italia derivava di trovarsi inserita in un sistema imperiale bisognoso dei suoi manufatti e capace di assorbirli. Quali e r a n o questi difetti? E r a n o quelli insiti nel tipo di società feudale, che la S p a g n a e la Chiesa della Controriforma avevano anacronisticamente restaurato, m e n t r e in tutto il resto d ' E u r o p a la si stava l i q u i d a n d o . Q u e s t a società, basata sul privilegio ereditario, disprezzava il lavoro, m e t t e n do al vertice della gerarchia n o n il p r o d u t t o r e , ma il r e d d i 149
fiero. E r a stata q u e s t a i m p o s t a z i o n e psicologica che aveva spinto i capitalisti italiani a investire i loro p a t r i m o n i in terr e . Da Paese i n d u s t r i a l e , q u a l e r a stato fino alla m e t à del C i n q u e c e n t o , l'Italia si era trasformata in Paese agricolo. E - attenzione! - questo e r a avvenuto nel m o m e n t o in cui, attraverso la Spagna, tutta l ' E u r o p a veniva s o m m e r s a dall'oro che i conquistadores m a n d a v a n o dall'America, e c h e aveva provocato un'autentica inflazione, che a sua volta aveva p r o vocato il rincaro. Le t e r r e quindi e r a n o state p a g a t e a prezzi altissimi. M e n t r e ora, esaurito l'afflusso dell'oro americano, si apriva la fase della deflazione, e con essa la caduta dei prezzi, a cominciare da quelli dei p r o d o t t i agricoli. Di qui, la crisi dell'agricoltura: le t e r r e , p a g a t e care, r e n d e v a n o p o co. E ciò provocava d u e c o n s e g u e n z e : lo spasmodico attacc a m e n t o dei p r o p r i e t a r i alle posizioni di p o t e r e , le u n i c h e che potessero i n t e g r a r e gli scarsi redditi, come abbiamo detto nel p r e c e d e n t e capitolo; e la fuga dei contadini, s p r e m u t i dal latifondista. A b b i a m o in p r o p o s i t o cifre indicative. Nel c o r s o del Seicento, l a M a r e m m a p e r d e u n t e r z o della sua p o p o l a z i o n e , m e n t r e n e l l ' a g r o r o m a n o la t e r r a coltivata si riduce a d d i r i t t u r a a un decimo. Questo massiccio esodo avrebbe p o t u t o essere u n a fortuna, come e n t r o certi limiti lo è oggi, se la popolazione r u r a le avesse trovato nelle città delle i n d u s t r i e p r o n t e ad accoglierla e a t r a s f o r m a r l a in o p e r a i a . Ma a n c h e le i n d u s t r i e e r a n o c a d u t e in crisi da q u a n d o il loro più ricco cliente - la S p a g n a dissanguata e impoverita dalle g u e r r e - era entrata in fase di declino. Q u e s t a era la causa principale della decad e n z a i n d u s t r i a l e italiana, m a n o n l'unica. U n ' a l t r a e r a l a m a n c a n z a di capitali che, come abbiamo detto, avevano p r e so la via della t e r r a e n o n ne ritraevano q u a n t o bastasse ad a c c u m u l a r e del risparmio p e r la formazione di n u o v o capitale da investire in altre i m p r e s e . E infine le pesanti b a r d a t u r e c o r p o r a t i v e c h e la società feudale del Seicento aveva restaurato. La corporazione, che assolveva i compiti del sindacato o d i e r n o , n o n voleva n u o v e reclute, p e r c h é le n u o v e 150
reclute significavano a b b o n d a n z a di m a n o d o p e r a e q u i n d i d i m i n u z i o n e dei salari. Essa mirava a u n a cosa sola: a far sì che gli o p e r a i qualificati fossero p o c h i , in m o d o che l'imp r e n d i t o r e fosse costretto ad accettare le loro condizioni. E questo provocava il paradosso di un Paese che soffriva insieme di p e n u r i a di braccia, di disoccupazione e di costi di lavoro t r o p p o alti. Era s e m p r e stato così, a n c h e nel Tre e nel Q u a t t r o c e n t o . Ma allora l'Italia era il solo Paese d ' E u r o p a a p o s s e d e r e delle m a e s t r a n z e qualificate. Q u i n d i , a g e n d o quasi in r e g i m e di m o n o p o l i o , poteva v e n d e r e a prezzi che compensassero i suoi alti costi di p r o d u z i o n e dovuti all'alto livello dei salari. Ma l ' E u r o p a del Seicento n o n presentava prù le stesse condizioni. Francesi, inglesi, olandesi n o n solo avevano i m p a r a to le tecniche italiane, ma, grazie al r e g i m e di p i e n a libertà concesso ai l o r o scienziati e alla g e n e r o s i t à con cui p o t e r i pubblici e i m p r e s e private finanziavano s p e r i m e n t a z i o n i e ricerche di laboratorio, le avevano di g r a n l u n g a migliorate. Ci s u p e r a v a n o a n c h e nei c a m p i in cui sembrava che il prim a t o italiano fosse imbattibile. Per esempio, quello a r m a t o riale. Per secoli, Genova e Venezia avevano dettato legge coi loro cantieri. Ma alla m e t à dei Seicento il loro naviglio n o n poteva più c o m p e t e r e con quello olandese e inglese, che ormai d o m i n a v a n o tutti i m a r i , c o m p r e s o il M e d i t e r r a n e o , grazie alla loro s u p e r i o r e velocità e robustezza e ai loro p i ù convenienti noli. Se i p o r t i italiani, specie G e n o v a e Livorno, e r a n o a n c o r a molto attivi, lo e r a n o n o n p e r le navi italiane, ma p e r quelle inglesi e olandesi. E così si dica dell'industria tessile, altro c a m p o in cui avevamo p e r secoli d o m i n a t o . Nello spazio di pochi decenni, la p r o d u z i o n e a n n u a di Venezia si ridusse da 20.000 a 2.000 p a n n i , l e s e t t a n t a i m p r e s e d i Milano d i v e n t a r o n o c i n q u e , dei 30 telai di C o m o n o n ne rimase u n o . E soltanto u n a piccola esemplificazione che n o n va presa alla lettera. Il p a n o r a m a n o n è tutto catastrofico. M e n t r e queste tradizionali e accreditate aziende declinano, ce ne sono altre che sorgono 151
in città c h e m a i ne a v e v a n o a v u t e . E il motivo è c h i a r o : in q u e s t e città n o n ci sono delle c o r p o r a z i o n i a b b a s t a n z a agg u e r r i t e p e r i m p o r r e m e r c e d i t r o p p o alte. Q u i l ' i m p r e n d i tore poteva giovarsi della m a n o d o p e r a in fuga dalla campagna, m e n o abile, ma a n c h e m e n o esigente, e p r o d u r r e a costi concorrenziali grazie ai p i ù bassi salari. Ma la d e c a d e n z a c o m u n q u e r i m a n e e si aggrava. I cosiddetti «indici di p r o duttività», invece di c r e s c e r e , d i m i n u i s c o n o o g n i a n n o . E con essi diminuisce il cosiddetto «reddito pro-capite». Gli effetti sociali di questa crisi economica sono facilmente comprensibili. Fino alla m e t à del C i n q u e c e n t o , a d a r e il t o n o alla società italiana e r a stata u n a b o r g h e s i a cittadina che, a n c h e q u a n d o c o m p r a v a il b l a s o n e p e r trasferirsi nel c a m p o dell'aristocrazia, conservava i suoi caratteri di classe i n t r a p r e n d e n t e e colta o p e r lo m e n o amica della cultura, e q u i n d i sensibile alle sue esigenze di p r o g r e s s o . I Medici inc a r n a n o al meglio questi caratteri. Essi rifiutano il titolo nobiliare. «Per fare un nobile» dice Cosimo con disprezzo «basta q u a l c h e m e t r o di b u o n p a n n o . » Voleva d i r e : «Per fare un Medici invece ci vuole un grosso cervello, un g r a n d e spirito d'iniziativa e un gusto abbastanza raffinato p e r capire i Ficino e i Michelangelo, e fare di essi la p r o p r i a Corte». E questo il ceto che ha fatto dell'Italia del Rinascimento il faro della civiltà e u r o p e a . S o n o le b a n c h e , le i n d u s t r i e , la m o d e r n i t à di questa g e n t e c h e h a n n o consentito il miracolo. Il nobile del Seicento inverte la marcia. Ispirandosi al m o dello feudale spagnolo, egli p o n e il r a n g o al di sopra di qualsiasi altro valore e lo identifica con la condizione di redditiero. II blasone è incompatibile con le «arti vili e meccaniche» come di questi t e m p i si chiama il lavoro. L'unica attività consentita a u n a p e r s o n a di b u o n i lombi - in u n a società che dei lombi fa l'unico m e t r o di m i s u r a - è la funzione pubblica. Q u i n d i si liquida l'azienda, e col ricavato si c o m p r a la fattoria in c a m p a g n a . N o n già p e r viverci e p e r a p p o r t a r v i migliorìe, m a p e r ricavarne delle r e n d i t e che c o n s e n t a n o u n a vita di fasto in città, p e r c h é il fasto caratterizza il r a n g o socia152
le e p e r m e t t e la scalata ai posti di p o t e r e , concepiti c o m e quote di partecipazione alla r a p i n a del pubblico d e n a r o . Q u e s t o p r o c e s s o n o n si svolge soltanto n e l V i c e r e g n o , d o v e la S p a g n a g o v e r n a d i r e t t a m e n t e e l'aristocrazia ha s e m p r e seguito questo andazzo: il b a r o n e m e r i d i o n a l e n o n è mai stato che un feudatario parassita, u n a s a n g u i s u g a di contadini, né altro sa fare. Ma a questo m o d o di vita vediamo convertirsi nel Seicento a n c h e quei patriziati italiani che, in gran parte di origine borghese, avevano dato prova di b e n altre attitudini. Vediamo diventare t e r r i e r o e r e d d i t i e r o il s i g n o r e v e n e t o , fin q u i vissuto di m a r e e di c o m m e r c i o . N a t u r a l m e n t e ha le sue a t t e n u a n t i . L'impero della Serenissima si è contratto, la g u e r r a gli ha m a n g i a t o le flotte, i suoi «fondachi», cioè le sue basi commerciali d ' O r i e n t e , sono stati inghiottiti dai turchi. Ecco p e r c h é il patrizio veneziano si volge alla t e r r a , vi si costruisce ville s t u p e n d e , ma vi p e r d e a n c h e lo spirito d'iniziativa, l'amore dell'avventura, il senso dei vasti orizzonti, l'esperienza del m o n d o . Da cosmopolita, si fa provinciale; da i m p r e n d i t o r e , r e d d i t i e r o . Lo stesso succede al patrizio fiorentino. Aveva u n a banca o u n ' a z i e n d a tessile, girava l ' E u r o p a p e r i p r o p r i affari, p r e stava soldi a Re e Papi: e r a un u o m o vivo e m o d e r n o . O r a c a m p a di r e n d i t a su t e r r e c o m p r a t e con m o n e t a inflazionata, cioè a p r e z z o altissimo, m e n t r e le d e r r a t e che ne ricava d e v e v e n d e r l e a prezzi di deflazione, cioè bassissimi. C'è qualcuno, specie in Veneto, in L o m b a r d i a e in Toscana che, a n c o r a c o n s e r v a n d o un certo spirito i m p r e n d i t o r i a l e , cerca di trasferirlo in questa n u o v a attività bonificando e miglior a n d o le colture. Ma questo avverrà piuttosto nel Settecento. Nel Seicento r a p p r e s e n t a l'eccezione. L a n u o v a classe t e r r i e r a , che r u o t a i n t o r n o alle Corti, n e p r e n d e a n c h e l'esempio. E l'esempio delle Corti è quello di un fasto assolutam e n t e s p r o p o r z i o n a t o alle miserevoli condizioni del Paese. Oltre la m a n c a n z a d'iniziativa e di capitali, ad a g g r a v a r e la crisi d e l l ' a g r i c o l t u r a c ' e r a n o altri d u e fattori. Anzitutto, l ' e n o r m e dilatazione della m a n o m o r t a ecclesiastica, cioè dei 153
beni della Chiesa, ch'è s e m p r e stato il peggiore di tutti i p r o prietari. Inalienabile ed esente dal fisco, questo p a t r i m o n i o i n e r t e e p e s s i m a m e n t e a m m i n i s t r a t o da p a r r o c c h i e e conventi di cui serviva a finanziare l'ozio, inglobava un b u o n terzo del territorio nazionale, sottraendolo a qualsiasi bonifica e migliorìa. Il s e c o n d o motivo era il r e g i m e di c o n d u zione, quasi d o v u n q u e a mezzadria. Esso dava al c o n t a d i n o u n a certa sicurezza e tranquillità, ma incoraggiava l'immobilismo e l'assenteismo del p r o p r i e t a r i o , che p r e d i l i g e v a questo sistema a p p u n t o p e r c h é lo esentava dall'impegnarsi. Il m e z z a d r o faceva da sé. Il p a d r o n e si contentava di prelevare la sua quota di p r o d o t t o . E questa r e n d i t a di tutto riposo era un invito al letargo: un letargo che si è p r o l u n g a t o fino ai nostri giorni. Così q u e s t a c o n v e r s i o n e del capitalismo italiano dalla fabbrica alla t e r r a m a n d ò in rovina l'industria senza recare nessun beneficio all'agricoltura che p r e s e anzi ad a r r e t r a r e nei confronti di quella e u r o p e a . Ed è su q u e s t o f e n o m e n o che incise letalmente il disservizio delle amministrazioni di m o d e l l o s p a g n o l e s c o . L u n g i dal favorire la f o r m a z i o n e di nuovi capitali e il loro investimento in migliorìe terriere, gli p s e u d o g o v e r n i s p a g n o l i e i n d i g e n i li d r e n a v a n o spietatam e n t e col loro fisco discriminatorio a tutto scapito dei ceti produttivi. E r a n o le classi lavoratrici, cioè le classi povere a far le spese dell'indulgenza con cui e r a n o trattate quelle del privilegio, laiche ed ecclesiastiche, esentate da tributi. Questa bestiale ripartizione di carichi, che toglieva al ricco o g n i stimolo a p r o d u r r e altra ricchezza p r e m i a n d o n e il p a r a s s i t i s m o , e i m p e g n a v a il p o v e r o a u n a lotta s e r r a t a e senza quartiere contro il bisogno, fece fare al Paese un balzo indietro di alcuni secoli, nel m o m e n t o in cui l ' E u r o p a ne faceva u n o altrettanto r a p i d o in avanti. Tutto si a d d o r m e n t a e sclerotizza. Il destino d e l l ' u o m o è deciso dalla nascita: privilegiato e d i s e r e d a t o r e s t e r a n n o tali sino alla m o r t e , senza possibilità di far valere i p r o p r i meriti e valori. Il risultato s a r a n n o l'accidia, l'ignoranza, la passività m o r a l e , l'allergia 154
a ogni serio i m p e g n o , la p r o p e n s i o n e a sfruttare a p r o p r i o vantaggio le malformazioni e i vizi della società invece che a eliminarli, p e r totale sfiducia nel successo di simili tentativi. Nel v o c a b o l a r i o italiano, {'«idealista» d i v e n t a s i n o n i m o di «fesso» e 1'«intelligenza» di «furberia». Per meglio c a p i r l e , m e t t i a m o q u e s t e distorsioni m o r a l i contro luce al costume che s'instaura in E u r o p a .
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
L'INVOLUZIONE DEL COSTUME
C o m e se avessero intuito a che sorte si avviavano, alla fine d e l C i n q u e c e n t o gl'italiani si v e s t i r o n o a l u t t o . Un t e m p o v a r i o p i n t i e sgargianti, i c o r p e t t i , i p a n t a l o n i , le c a p p e , le calze, le s c a r p e si t i n s e r o di n e r o , s e c o n d o il f u n e b r e e sol e n n e modello d e t t a t o da M a d r i d . I Viceré spagnoli e i tribunali dell'Inquisizione n o n tolleravano infrazioni, n e a n c h e negli abiti, all'austerità controriformista. Il loro ideale di vita e r a un ideale di m o r t e . Esso stese un s u d a r i o di silenzio e di c o n f o r m i s m o su un Paese c h e p e r quasi tre secoli aveva assordato e abbagliato il m o n d o con le sue disordinate lotte, con le sue furibonde rivalità, coi suoi forsennati individualismi, col suo slancio industriale, con la sua inventiva artistica, con u n a spregiudicatezza intellettuale spinta fino al cinismo. Stato c o n t r o Stato, città c o n t r o città, q u a r t i e r e c o n t r o q u a r t i e r e , u o m o c o n t r o u o m o , l'Italia aveva sfrenato le sue e n e r g i e c o m p e t i t i v e , c h e a v e v a n o toccato i n s i e m e i vertici del sublime e dell'abbietto. C h e cosa, o r a , la riduceva a cim i t e r o p r o p r i o nel m o m e n t o in cui un fremito di n u o v a vita p e r c o r r e v a tutta l'Europa? A b b a n d o n a n d o l'astratto p i a n o d o t t r i n a r i o , r i p o r t i a m o la c o n t r a p p o s i z i o n e sul p i a n o c o n c r e t o dei fatti. Perché da essa p r e n d e avvìo il solco destinato a dividere in m a n i e r a irr e p a r a b i l e e d r a m m a t i c a i d u e Occidenti, quello cattolico e quello riformato, e a fare del secondo, a d a n n o del p r i m o , il protagonista della storia m o d e r n a . Personalmente, Calvino n o n e r a n é u n liberale n é u n d e mocratico; e r a anzi un intollerante assolutista, che t r a t t a v a ! p r o p r i eretici c o m e l'Inquisizione trattava i suoi: b r u c i a n d o 156
li. Ma ciò che conta n o n è la p e r s o n a , sibbene il magistero di Calvino. Esso fa piazza pulita di tutte le autorità. N o n riconosce n e m m e n o quella del sacerdote p e r c h é dice al fedele: «Il tuo sacerdote sei tu. Sei tu che devi leggere la Bibbia. Sei tu che devi interpretarla. Sei tu che rispondi d i r e t t a m e n t e a Dio del m o d o in cui ne osservi o ne trasgredisci il precetto. N o n p r e o c c u p a r t i della t u a sorte u l t r a t e r r e n a : essa è già stata regolata dal Signore. Tu n o n saprai mai se Egli ti riserba la Grazia o la d a n n a z i o n e , né p u o i influire sul Suo verdetto. È inutile q u i n d i che ti isoli dal m o n d o e ti dia a u n a vita di contemplazione e di p r e g h i e r a . La t u a p r e g h i e r a sia il comp i m e n t o del t u o d o v e r e . E il t u o d o v e r e è di l a v o r a r e e di p r o d u r r e . Più ci riuscirai, e p i ù v o r r à d i r e c h e godi del favore divino». Il lettore italiano, da secoli a b i t u a t o a dissociare la p r o p r i a c o n d o t t a pratica dalla regola religiosa, p r o b a b i l m e n t e si rifiuterà di c r e d e r e che questo i n s e g n a m e n t o possa aver influito sul costume, sulla mentalità, sul c o m p o r t a m e n t o di chi lo adottava. Ma dimentica che a p p u n t o p e r g u a d a g n a r s i il diritto di adottarlo e di praticarlo i suoi conversi sfidarono la s c o m u n i c a , a f f r o n t a r o n o la p e r s e c u z i o n e e il m a s s a c r o , m o r i r o n o a migliaia e a centinaia di migliaia. E v i d e n t e m e n te c r e d e v a n o in q u e i p r i n c ì p i e si s e n t i v a n o i m p e g n a t i a u n i f o r m a r v i la loro vita. Essa ne fu q u i n d i rimodellata. Ed ecco quali ne furono i pratici riflessi. Anzitutto, il calvinista scopre la libertà e le dà un fondam e n t o religioso. I polemisti cattolici lo n e g a n o d i c e n d o che nessun u o m o è più schiavo di lui, visto ch'è soggetto a u n a sorte prefabbricata s u cui egli n o n p u ò influire n e m m e n o con u n a condotta di santità e di rinunzia. Ma questo riguarda solo il suo d e s t i n o u l t r a t e r r e n o . Sul p i a n o dei r a p p o r t i u m a n i - l'unico che c'interessa in q u e s t o libro di storia, e n o n di teologia -, il calvinista è libero p e r c h é n o n riconosce più n e s s u n a autorità esterna, n e m m e n o quella del sacerdote in q u a n t o egli stesso è il p r o p r i o sacerdote. E cos'altro è la libertà, se n o n questo? Noi cattolici, c h e della libertà n o n 157
abbiamo il senso religioso, c r e d i a m o ch'essa consista nel fare ciò che detta la legge, cioè qualcosa che sta al di fuori di noi, u n ' a u t o r i t à che si p u ò a n c h e raggirare. I calvinisti sanno ch'essa consiste nel fare ciò che d e t t a la coscienza. Dio, s e c o n d o loro, è lì, terribile G i u d i c e c h e r a g g i r a r e n o n si p u ò . Egli li lascia liberi di c o m p i e r e le loro scelte, ma li chiama a r i s p o n d e r n e , ed essi si sentono i m p e g n a t i solo di fronte a lui. E l'unica a u t o r i t à che riconoscono, e sta d e n t r o di loro, n o n di fuori. Ecco la libertà. Seconda conseguenza: la democrazia. Calvino n o n ha delegato la ricerca della Verità a un sacerdote che la «riveli» ai fedeli dall'alto del suo p u l p i t o . Q u e s t o c o m p i t o lo affida ai fedeli stessi, cioè alla loro «congregazione». Il pastore che la riunisce è da essa «eletto», p u ò esserne revocato, e i suoi poteri sono solo di consiglio e di assistenza spirituale. Siccome passa la vita sulla Bibbia p u ò f o r n i r e l u m i sulla sua interp r e t a z i o n e , m a n o n p u ò i m p o r l i . I l fedele d e v e c e r c a r e l a Verità p e r c o n t o suo, e n o n ci s o n o differenze sociali che t e n g a n o . Il c o n t a d i n o , l ' a r t i g i a n o , il capitalista e il nobile, seduti gomito a gomito sullo stesso banco, s e g u o n o lo stesso Libro, e sul senso da attribuirgli il p a r e r e d e l l ' u n o vale esatt a m e n t e q u a n t o quello degli altri, p e r c h é tutti sono sacerdoti, e o g n u n o Io è solo di se stesso. Gl'istituti democratici nascono da questa parificazione di fronte a Dio. Essi n o n sono che il trasferimento sul piano politico di u n a concezione religiosa che esclude ogni autorità, se n o n quella conferita p e r elezione, cioè p e r delega. I calvinisti sono repubblicani, c o m e d i m o s t r a n o la Svizzera e l ' O l a n d a . Il l o r o c a m p i o n e inglese, Cromwell, taglia la testa al Re. Nei loro Stati, il p o tere si accentra s e m p r e di più nel Parlamento, che n o n è altro che u n a congregazione nazionale intesa agli affali civili. Esso è n a t o in chiesa: ecco la forza che gli ha consentito di resistere, fino al g i o r n o d ' o g g i , a tutti gli assalti. Nei Paesi cattolici, che ne h a n n o fatto un istituto p u r a m e n t e giuridico e politico senza f o n d a m e n t o religioso, esso è s e m p r e stato più o m e n o in crisi. 158
Terza conseguenza: il capitalismo. Calvino ha detto: «Più riuscirai a lavorare e a p r o d u r r e , e più v o r r à dire che godi del favore divino». Ma per p r o d u r r e s e m p r e di più, bisogna investire s e m p r e di più. E p e r investire s e m p r e di più, bisog n a r i s p a r m i a r e s e m p r e di p i ù . Il calvinista è t a c c a g n o . Il d e n a r o speso p e r scopi voluttuari è p e r lui u n a «colpa», di cui ha rimorso di fronte a se stesso e vergogna di fronte agli altri. Q u e s t a m o r a l e coinvolge t u t t o il c o s t u m e , e lo r i m o della. Vesti sobrie e di solide stoffe, che si rifiutano ai capricci della m o d a . Case c o m o d e , ma semplici, che assicurano il confort (parola che nei Paesi cattolici n o n ha e q u i v a l e n t e ) , ma e s c l u d o n o il lusso: n i e n t e saloni di r a p p r e s e n t a n z a , fastose gallerie, servitorame in livrea, teatrali scaloni, sciali di m a r m i , alberi genealogici coi loro r a m i protesi alla ricerca di un capostipite b l a s o n a t o . N i e n t e barocco, i n s o m m a , coi suoi sfarzi decorativi. Il calvinista n o n tiene alle a p p a r e n z e p e r c h é n o n tiene al r a n g o sociale. Egli n o n mira a inserirsi nelle s t r u t t u r e della società f e u d a l e c o m p r a n d o u n titolo che gli p e r m e t t a di scalarne il vertice. Mira a sovvertirla sos t i t u e n d o a quelle tradizionali - aristocrazia e clero - u n a n u o v a classe, la borghesia, coi suoi nuovi valori: il lavoro, il d e n a r o , il r i s p a r m i o , la frugalità, l'austerità. N o n p o t e n d o cercare la salvezza della p r o p r i a a n i m a in convento p e r c h é Calvino gli ha detto che la p r e g h i e r a n o n serve a p r o c u r a r gliela e la vita contemplativa è u n a diserzione, egli trasforma in conventi la p r o p r i a casa e la p r o p r i a bottega. Riposi se ne concede pochi. Oltre tutto, a v e n d o abolito il culto dei Santi, gli v e n g o n o a m a n c a r e quelle festività che gremiscono il c a l e n d a r i o del cattolico, il cui a n n o c o n t a sessanta o settanta giornate lavorative m e n o del suo. Già questo basterebbe ad assicurare all'imprenditore olandese e svizzero un grosso vantaggio su quello italiano che fin qui aveva d o m i n a t o l ' e c o n o m i a e u r o p e a . Ma a n c o r a p i ù d e t e r m i n a n t e , a questi fini competitivi, è p r o p r i o l'impegno morale al contin u o reinvestimento dei risparmi. Né l'Olanda, coi suoi bassifondi c o n t i n u a m e n t e invasi dal m a r e , né la Svizzera, con 159
le sue inaccessibili m o n t a g n e , possiedono risorse naturali e disponibilità di m a t e r i e p r i m e . Il loro «miracolo e c o n o m i co» che da q u e s t o m o m e n t o p r e n d e avvìo si basa d u n q u e soltanto su questa concezione del lavoro c o m e d o v e r e assoluto e della ricchezza come fonte n o n di piacere, ma di altra ricchezza. E n a t u r a l e c h e a questa scuola si f o r m i n o dei finanzieri e dei capitani d'industria che in pochi a n n i sottragg o n o tutti i mercati ai rivali cattolici, intesi a investire i loro risparmi in blasoni, palazzi e altri articoli di lusso. Q u a r t a conseguenza: le lingue e gli Stati nazionali. Siccome tutti h a n n o il d o v e r e di leggere le Scritture, la p r i m a imp r e s a di luterani e calvinisti è la t r a d u z i o n e della Bibbia nelle varie lingue cosiddette «volgari». La Chiesa le aveva proibite. Essa n o n a m m e t t e v a che la versione in latino fatta da San G i r o l a m o , i n m o d o d a lasciarne l ' i n t e r p r e t a z i o n e i n esclusiva al p r e t e che il latino lo sapeva, m e n t r e la massa dei p a r r o c c h i a n i lo ignorava. S o p r a t t u t t o su questo m o n o p o l i o si basava la p r e t e s a della Chiesa a porsi c o m e insostituibile mediatrice fra il fedele e Dio, c o m e unica autorità qualificata a decifrare e spiegare il Verbo. I protestanti affidano questo compito allo stesso fedele, e siccome costui il latino n o n lo sa, gli m e t t o n o a disposizione la Bibbia nella lingua ch'egli è a b i t u a t o a p a r l a r e in m o d o che possa capirla e interp r e t a r l a d a sé. O l t r e a d e s s e r e u n b e n s e r v i t o a l p r e t e , i n molti Paesi questa t r a d u z i o n e è a n c h e il p r i m o testo di ling u a «scritta» che da esso p r e n d e a p p u n t o l'avvìo. E la lingua è lo s t r u m e n t o con cui u n a nazione acquista coscienza della p r o p r i a individualità e si diversifica dalle altre. L u t e r o n o n è soltanto il p a d r e della Riforma; ma con la sua t r a d u z i o n e della Bibbia lo è a n c h e della l i n g u a e della p a t r i a tedesca. O r a la via è libera alla costituzione degli Stati laici. Sia che nel c o r p o della stessa nazione se ne formino parecchi e che essi a s s u m a n o a n c h e l'alta supervisione in materia spirituale c o m e avviene nella G e r m a n i a f r a n t u m a t a nei suoi Principati, sia che se ne costituisca u n o solo che il p o t e r e spirituale lo lascia alle «congregazioni» e ai loro pastori c o m e avviene 160
nei Paesi calvinisti, il risultato n o n cambia: lo Stato si sottrae alla tutela della Chiesa, cioè r a g g i u n g e finalmente la sua sovranità. Q u i n t a e decisiva conseguenza: il n u o v o assetto culturale. La Riforma, d i c e v a m o , obbliga il fedele a tuffarsi nella Bibbia, p e r c h é solo la Bibbia fornisce u n a bussola alla sua condotta. Per cercarvela, egli deve d u n q u e i m p a r a r e a legg e r e . Ed è la fine dell'analfabetismo, in u n ' e p o c a in cui si calcola che il novanta o il n o v a n t a c i n q u e p e r cento degli europei siano afflitti da questa piaga. Il protestantesimo i m p e gna tutti a c o m b a t t e r e l'ignoranza c o m e s t r u m e n t o del d e monio n o n soltanto p e r sé, ma a n c h e p e r gli altri. Abbiamo già raccontato che u n a delle p r i m e decisioni prese dai «padri pellegrini», a p p e n a sbarcati in America, fu quella di fond a r e u n a scuola p e r sventare «la più perfida malizia del vecchio i m b r o g l i o n e Satana»: t e n e r gli u o m i n i l o n t a n o dalle Scritture. I n t e s o u n i c a m e n t e al profitto c o m e fonte di p i ù massicci i n v e s t i m e n t i , l ' i m p r e n d i t o r e calvinista a g g i o g a i suoi operai ai lavori forzati e li s p r e m e fino all'ultima goccia di s u d o r e . Ma li m a n d a a scuola, m a g a r i spingendoceli a p e date, p e r c h é considera suo d o v e r e sottrarli alla perdizione. Il suo mecenatismo si sfoga solo in questo c a m p o . Ma sortisce effetti sconvolgenti. La conversione all'alfabeto di semp r e più vaste masse popolari crea, p e r tutte le attività culturali, un «mercato» che le rimodella sulle sue esigenze. Il lett e r a t o p r o t e s t a n t e n o n scrive p e r il S i g n o r e . Scrive p e r il «pubblico», o r a che grazie alla diffusione delle scuole se n'è formato u n o in g r a d o di leggere, e grazie alla diffusione del benessere in g r a d o di c o m p r a r e libri. Q u e s t o pubblico vuol ritrovare nelle sue pagine i p r o p r i problemi, interessi, aspirazioni, sentimenti, e a n c h e la p r o p r i a lingua: quella che si parla nelle strade, nelle officine, nei campi. Ed ecco p e r c h é tutta la letteratura p r o t e s t a n t e acquista quello stile semplice e «parlato», quella concretezza, quella immediatezza, che la r e n d o n o ancor oggi così viva e attuale, così a d e r e n t e alle cose, senza fronzoli né p e n n a c c h i . Lo si vede a n c h e nella pit161
tura. Quella fiamminga cerca la poesia nella r i p r o d u z i o n e realistica della vita quotidiana, p e r c h é solo in questa si riconosce il suo acquirente, che n o n è né la Chiesa né il Signore, ma l ' a n o n i m o i m p r e n d i t o r e , il tecnico, il professionista. Costoro al pittore n o n c h i e d o n o un atto di cortigianeria, ma u n a trasfigurazione poetica del p r o p r i o m o n d o e ambiente. Vediamo cosa succede invece in Italia. Molto p i ù che il d o m i n i o s p a g n o l o , è la C o n t r o r i f o r m a che la taglia fuori da questa colossale rivoluzione. Ed è il fatto di esserne stata tagliata fuori che r e n d e l'Italia così docile al giogo spagnolo. L'italiano n o n vi si ribella p e r c h é n o n ha acquistato il senso religioso della libertà. O g n i t a n t o il suo m a l c o n t e n t o e s p l o d e in q u a l c h e violenza di piazza, o lo spinge a darsi alla macchia c o m e brigante. Ma in queste dis o r d i n a t e r e a z i o n i m a n c a u n i m p e g n o d i coscienza, e d è questo che le c o n d a n n a alla sterilità. I pochi istituti democratici ereditati dall'età dei C o m u n i c a d o n o u n o d o p o l'altro. Avevano s e m p r e a v u t o u n a vita precaria e tribolata p e r c h é n o n e r a n o nati in chiesa, e quindi P a p a e S p a g n a n o n fanno fatica a sbarazzarsene p e r res t a u r a r e al loro posto il principio d'autorità, di cui e n t r a m b i sono i depositari. Il cattolicesimo n o n conosce «deleghe» dal basso, conosce solo «investiture» dall'alto. I d u e poteri, quello spirituale e quello t e m p o r a l e , spesso litigano tra loro per le « p r e c e d e n z e » , ma s o n o solidali nel n e g a r e a l l ' u o m o la qualità di cittadino e ribadirlo in quella di suddito. Si riforma la società del Medio Evo col suo «vertice» di aristocratici e prelati. Tutti i ceti i n t e r m e d i in cui essa si era articolata si dissolvono in u n a massa a m o r f a , la p l e b e , c h e n o n è più protagonista di nulla e si difende solo con la disobbedienza. Gli effetti sulla cultura sono immediati ed esiziali. Nessuno dei d u e poteri ha interesse a che essa si diffonda. L'analfabeta è facile da g o v e r n a r e , sia sul piano t e m p o r a l e che su quello spirituale. Sia p e r p a r l a r e con Dio (il quale, secondo la Chiesa, n o n p a r l a che il latino), sia p e r p a r l a r e col Govern a t o r e , l'analfabeta ha bisogno d'interpreti, alla cui autorità 162
n o n gli resta che sottomettersi. Q u i n d i , niente scuole, m e n o quelle adibite alla p r e p a r a z i o n e del personale di Chiesa e di Stato, cioè degli s t r u m e n t i dell'autorità costituita. E questo impedisce la formazione di un «mercato» culturale. Il pittore, p e r d i p i n g e r e , d e v e a s p e t t a r e l ' o r d i n a t i v o d i u n P a p a che gli commissioni u n a M a d o n n a , o di un Principe che lo incarichi di un ritratto. Sia l'uno che l'altro vogliono u n ' o p e r a agiografica e laudativa. D e n t r o questi limiti, il g e n i o italiano seguiterà a d a r e dei capolavori; ma sono limiti che alla l u n g a ridurranno l'arte ad accademia. Ed è q u a n t o avviene anche in letteratura. Lo scrittore italiano, di q u a l u n q u e cosa scriva - poesia, saggistica, n a r r a t i va, storia -, lo fa p e n s a n d o n o n al «pubblico» che, essendo analfabeta, n o n c o m p r a libri, ma al «potente», p e r c h é q u e sto è il suo unico cliente. Lo si vede dal linguaggio: aulico, solenne, latineggiarne, tutto riverenze, esclamativi e piaggerie. Un l i n g u a g g i o c h e n o n ha p i ù nulla a c h e fare c o n la l i n g u a p a r l a t a nelle case e nelle piazze, e c h e si avvia a n ch'esso a diventare accademia. Ma il guasto n o n è soltanto di forma. Per piacere al p o tente, dalla cui borsa in esclusiva d i p e n d e , l ' u o m o di cultura d e v e s e c o n d a r n e a n c h e gl'interessi. E così egli d i v e n t a complice del p o t e r e e suo s t r u m e n t o . M e n t r e gl'intellettuali protestanti, che nel pubblico h a n n o trovato la loro clientela, ne d i v e n t a n o i direttori di coscienza e acquistano u n a funzione di g u i d a e di a v a n g u a r d i a , i loro colleghi italiani fanno le sentinelle all'autorità costituita, e d i v e n t a n o semp r e p i ù parassiti e c o r t i g i a n i . Essi e v a d o n o tutti i g r a n d i problemi politici, sociali, spirituali, p e r c h é in o g n u n o di essi l'autorità costituita avverte puzzo di sovversione. Si rifugiano nei formalismi e tecnicismi del mestiere, si c h i u d o n o in circoli in cui ci si parla solo tra soci (non p e r nulla questo è il secolo delle Accademie), si d a n n o a fabbricare «maniere», i n v e n t a n o l'Arcadia cioè l'evasione in sogni pastorali; e i n s i e m e col senso del «pubblico servizio», p e r d o n o o g n i c o n t a t t o con la realtà. E u n a d i s e r z i o n e in massa, c h e p e 163
sera t e r r i b i l m e n t e sulle sorti del nostro Paese, e vi fa tuttora sentire i suoi effetti. C o m e si v e d e , l'Italia d e l Seicento aveva r a g i o n e di vestirsi a lutto. Nella scala dei valori civili, in p o c h i d e c e n n i e r a passata dal p r i m o all'ultimo posto d ' E u r o p a . E ci sarebbe rimasta p e r quasi tre secoli.
PARTE TERZA LA C I V I L T À BAROCCA
CAPITOLO QUINDICESIMO CAMPANELLA E IL P E N S I E R O P O L I T I C O
Il Medio Evo n o n aveva conosciuto che d u e p o t e r i : quello spirituale della Chiesa e quello t e m p o r a l e d e l l ' I m p e r o . Perciò il p e n s i e r o politico s'incentrava u n i c a m e n t e sui r a p p o r t i fra l ' u n o e l'altro; e quello spirituale aveva a v u t o costantem e n t e il sopravvento. E il P a p a che i n c o r o n a Carlo M a g n o inginocchiato di fronte a lui e che p e r secoli e secoli si a r r o ga il diritto di conferire l'investitura, di n e g a r l a o di r e v o carla con l'anatema. Enrico IV, che contesta questa facoltà a I l d e b r a n d o , deve poi venire a Canossa a chiedergliene umilmente p e r d o n o . Ma con la formazione degli Stati nazionali, le cose cambiano. Per c o n d u r r e avanti questo processo, i Re d e v o n o acc e n t r a r e nelle loro m a n i tutti i p o t e r i . E q u e s t o li m e t t e fat a l m e n t e in c o n t r a s t o con la Chiesa, la q u a l e n o n conosce «sudditi» ; conosce soltanto «fedeli» sui quali rivendica p i e n a e assoluta potestà. Bonifacio V i l i dice a Filippo il Bello: «Tu sei il p a d r o n e dei c o r p i d e i francesi, ma delle l o r o a n i m e , c o m p r e s a la tua, son p a d r o n e io; e q u i n d i a m e , p r i m a che a te, essi d e v o n o obbedienza». Filippo r i s p o n d e m a n d a n d o il N o g a r e t a schiaffeggiarlo, m i n a c c i a n d o il patibolo a chiunq u e riconosca in quella del P a p a u n ' a u t o r i t à s u p e r i o r e alla sua, e a t t r i b u e n d o s i financo il p o t e r e di d i s t r i b u i r e a suo giudizio o capriccio le più alte cariche ecclesiastiche di Francia. In questo conflitto la Riforma trova il suo principale alim e n t o . L u t e r o dice ai Principi tedeschi: «Come cattolici, voi n o n sarete mai p a d r o n i nei vostri Stati p e r c h é dovrete semp r e dividere il p o t e r e con gli Arcivescovi o i Vescovi che vi esercitano quello spirituale e che sono più fedeli al Papa che 167
a voi. Io invece vi offro u n a Chiesa nazionale che g i u r e r à fedeltà a voi e in voi riconoscerà i suoi unici capi». Sul p i a n o politico, fu così che L u t e r o vinse la sua battaglia. Il Papato della C o n t r o r i f o r m a decise di passare alla controffensiva, e furono s o p r a t t u t t o i gesuiti a d e t t a r n e la strategia. B i s o g n a r i c o n o s c e r e c h e lo fecero da p a r l o r o , cioè c o n s o m m a abilità. Essi n o n r i s p o l v e r a r o n o la c o n c e z i o n e medievalesca esemplificata da San T o m m a s o nell'immagine del Sole e della L u n a (la L u n a r a p p r e s e n t a , si capisce, il p o tere t e m p o r a l e la cui luce è un riflesso di quella del Sole che i n c a r n a il p o t e r e spirituale). Q u e s t a concezione p r e s u p p o n e v a u n a u n i t à del m o n d o cristiano g r a v i t a n t e i n t o r n o à d u e poli - il P a p a t o e l ' I m p e r o -, che o r m a i invece si e r a f r a n t u m a t a negli Stati nazionali. I n q u e s t a n u o v a situazione, p e r r e s t a u r a r e i l p r i n c i p i o del p r i m a t o della Chiesa, bisognava p a r t i r e da altri p r e s u p posti. E il p r i m o a esporli in m a n i e r a sistematica e coerente fu il gesuita s p a g n o l o J u a n de M a r i a n a , a n c h e se p r i m a di lui i suoi confratelli Suarez e Molina ne avevano fornito degli anticipi. Mariana, p e r arrivare alle sue conclusioni, m u o ve a d d i r i t t u r a dalla preistoria. Nello stato di n a t u r a , dice, gli u o m i n i vivevano senza vincoli associativi. Fu p e r difendersi dall'insidia degli altri animali c h e si d e t t e r o u n ' o r g a nizzazione, d e l e g a n d o il p o t e r e di c o m a n d o a un capo. Ma si tratta soltanto di «delega». Della sovranità vera e p r o p r i a resta d e t e n t o r e il g r u p p o , il quale perciò conserva il diritto di revocare, q u a n d o lo voglia, quella delega. G u a r d a t e un p o ' questi gesuiti. Essi n o n sono mai stati amici della democrazia, né mai l ' h a n n o praticata nelle loro organizzazioni. Ma q u a n d o gli conviene, s a n n o a n c h e sciogliere in suo o n o r e degl'inni come questo di Mariana, al quale p r e m e v a u n a cosa sola: dimostrare che il p o t e r e t e m p o r a le, cioè il potere dello Stato, che s'incarni in u n a Monarchia o in u n a Repubblica, n o n si basa su un'investitura divina come quello della Chiesa, e q u i n d i a questo è subordinato. Pros e g u e n d o sul filo di tale r a g i o n a m e n t o , M a r i a n a a r r i v a a 168
conclusioni a dir poco s o r p r e n d e n t i sulla bocca di un p r e t e : l'apologia del tirannicidio. Per ritirare la «delega» al Re, egli dice, il p o p o l o ha diritto di ricorrere anche al p u g n a l e . Bruto è un e r o e . E un e r o e è a n c h e il frate C l é m e n t che p o c h i anni p r i m a aveva assassinato Enrico I I I di Francia. M a r i a n a aveva a p p e n a scritto queste parole, che un altro frate, Ravaillac, stendeva m o r t o a p u g n a l a t e Enrico IV. Solo allora il G e n e r a l e dei gesuiti, Acquaviva, che fin lì aveva a p p r o v a t o tutti gli scritti del suo s u b a l t e r n o , si decise a riconoscere che in essi c'era qualche «esagerazione» e o r d i n ò che venissero corretti, ma senza a l t e r a r n e la tesi f o n d a m e n tale. L e o p e r e d i M a r i a n a s u s c i t a r o n o u n vespaio che d i m o stra q u a n t o complessi fossero i contrasti d'idee e di m e n t a lità in E u r o p a . I cattolici si divisero: quelli che oggi chiamer e m m o «integralisti», cioè i p a r t i g i a n i del p o t e r e assoluto della Chiesa, furono n a t u r a l m e n t e p e r Mariana; quelli che allora si c h i a m a v a n o «i politici», e c h e noi c h i a m e r e m m o i «laici» cioè i paladini dello Stato, furono violentemente cont r o di lui. Ma il bello è che si divisero a n c h e i p r o t e s t a n t i . F u r o n o c o n t r o M a r i a n a i l u t e r a n i e gli anglicani, e si capisce: essi n o n avevano a b b a t t u t o il principio d'autorità, Io avevano soltanto trasferito dal Papa al Re, e in quest'ultimo n o n v e d e v a n o p e r t a n t o un «delegato», ma un sovrano assoluto, assoluto c o m e il Papa, investito dei suoi p o t e r i dir e t t a m e n t e da Dio, e c o n t r o cui l'attentato, più che delitto, e r a sacrilegio. Viceversa p e r M a r i a n a f u r o n o entusiasticam e n t e i calvinisti, e a n c h e q u e s t o si capisce: il p r i n c i p i o d'autorità essi n o n lo avevano trasferito, ma a d d i r i t t u r a rinn e g a t o . Essi avevano m a t u r a t o la loro vocazione d e m o c r a tica nella «congregazione» che n o n riconosce altri poteri se n o n quelli da essa «delegati»: anche il «pastore» o «ministro» viene eletto e p u ò esserne in qualsiasi m o m e n t o revocato. P r e s s a p p o c o negli stessi a n n i e r a stato p u b b l i c a t o in Francia un a l t r o libro, Della Repubblica, scritto con i n t e n t i m e n o polemici e più scientifici. Ne era a u t o r e Giovanni Bo169
d i n , un avvocato c h e aveva g e t t a t o alle o r t i c h e la toga p e r i m m e r g e r s i nello s t u d i o della Storia, i n d a g a r n e le leggi e c h i a r i r e la n a t u r a dei suoi p r o t a g o n i s t i : gli Stati. Lo aveva già fatto Machiavelli, che resta il g r a n d e m a e s t r o e capostip i t e della filosofia politica. Ma la sua o p e r a risentiva d e i t e m p i in cui e r a stata concepita e mal si accordava a quelli n u o v i . Machiavelli e r a vissuto nell'età dei g r a n d i d e s p o t i , c h e r i a s s u m e v a n o nella p r o p r i a p e r s o n a l a s o r t e dei l o r o Stati. Per lui q u i n d i la politica si riduceva a u n a gara di forza e di abilità p e r s o n a l e fra questi u o m i n i . In essa n o n c'è p o s t o p e r i p r o b l e m i del f o n d a m e n t o giuridico del p o t e r e . Il p o t e r e è la forza, e solo con la forza si giustifica. Il n o m e di «virtù», Machiavelli lo riserva solo alle doti che contribuiscono al successo, c o m p r e s e la m e n z o g n a , la perfidia, la crudeltà. Q u a n d o Cesare Borgia finge di riconciliarsi con Vitellozzo Vitelli e poi lo fa sgozzare a t r a d i m e n t o , Machiavelli esulta e la chiama «impresa r a r a e mirabile». Questa n o n è immoralità da p a r t e di Machiavelli. E semp l i c e m e n t e la codificazione della m o r a l e «giusnaturalista» che si praticava al t e m p o di Machiavelli. Ed essa sopravvisse ai d e s p o t i italiani del Q u a t t r o e del C i n q u e c e n t o p e r c h é t r o v ò dei c o n t i n u a t o r i n e i m o n a r c h i assoluti d ' E u r o p a . Gl'interessi ch'essi p e r s e g u i v a n o n o n e r a n o nazionali, m a personali e dinastici. Francesco I e Filippo II d i s s a n g u a r o n o rispettivamente la Francia e la S p a g n a p e r a g g i u n g e r e altre c o r o n e alle famiglie Asburgo e Valois. Del b e n e dei sudditi si p r e o c c u p a v a n o poco, anzi n o n si p r e o c c u p a v a n o affatto. Essi e r a n o loro «proprietà» di cui p o t e v a n o d i s p o r r e a discrezione. Basta v e d e r e con che disinvoltura ne s p e r p e r a r o no le vite con le loro c o n t i n u e g u e r r e . N o n d o v e v a n o r e n d e r e conto al p o p o l o , e q u i n d i p o t e v a n o infischiarsi di giustificare il loro p o t e r e e l'uso che ne facevano. Fu il calvinismo a i n c r i n a r e q u e s t a c o n c e z i o n e . I Paesi che n o n ne furono toccati c o m e la S p a g n a p o t e r o n o p e r p e t u a r e il loro r e g i m e assolutistico, al r i p a r o da ogni p r o b l e matica sulle origini, il f o n d a m e n t o g i u r i d i c o e i limiti del 170
potere. Ma gli altri, c o m e la Francia dove allignano gli u g o notti, l ' I n g h i l t e r r a d o v e allignano i p u r i t a n i , e s o p r a t t u t t o l'Olanda che ha posto su basi religiose la concezione d e m o cratica della sovranità p o p o l a r e , sono costretti a e l a b o r a r e u n a teorica dello Stato: u n o Stato che n o n s'incarna più in un u o m o e q u i n d i n o n p u ò più d i p e n d e r e soltanto dalle sue personali «virtù». B o d i n riecheggia a p p u n t o queste n u o v e esigenze, e cerca di c r e a r e u n a teorica dello Stato i n d i p e n d e n t e m e n t e dalla p e r s o n a che lo r a p p r e s e n t a . Secondo lui, l'unità di un p o polo è data dalla geografia e dalla razza: e su questi dati int r o d u c e distinzioni abbastanza cervellotiche. Ma è il p r i m o a distinguere fra Stato e società e a cercar di ricostruire su basi realistiche i loro r a p p o r t i . N o n è vero, egli dice in polemica con M a r i a n a , c h e il p o p o l o abbia d e l e g a t o a q u a l c u n o il p o t e r e , e q u i n d i seguiti a esserne il v e r o depositario. Il p o tere nasce da un atto di forza di un g r u p p o sopra altri g r u p pi: e questa è la giustificazione storica della m o n a r c h i a assoluta c h e al francese e cattolico B o d i n s e m b r a il r e g i m e migliore fin q u a n d o n o n trascenda nella tirannia. Il suo compito n o n è di r i d u r r e le d i s u g u a g l i a n z e p e r c h é le d i s u g u a glianze s o n o nella n a t u r a delle cose e degli u o m i n i ; ma di m a n t e n e r e l ' o r d i n e e di g a r a n t i r e la b u o n a amministrazion e . Esso n o n d e v e i n t r a l c i a r e la libera circolazione delle merci né svalutare la m o n e t a p e r c h é ciò fa rialzare i prezzi. S v i l u p p a n d o questi r a g i o n a m e n t i , p e r p o c o B o d i n n o n inventa l'economia politica. Ma a n c h e qui è c o m u n q u e il primo che nel t r a t t a r e di politica fa posto all'economia: cosa a cui n o n avrebbe mai p e n s a t o un Machiavelli con la sua p e r sonificazione dello Stato in un P r i n c i p e inteso soltanto all'accrescimento del p r o p r i o p o t e r e . Q u a n t o ai r a p p o r t i con l'autorità spirituale, ch'era il g r a n d e p r o b l e m a del m o m e n t o , B o d i n dice che Io Stato d e ve p r o t e g g e r e la religione dei sudditi, ma n o n dice a quale religione si riferisce. Ed è n a t u r a l e p e r c h é la religione n o n lo interessa come verità rivelata, ma solo c o m e regola m o r a 171
le che contribuisce all'ordine: e in questo, che si tratti di cattolicesimo o di p r o t e s t a n t i s m o , di cristianesimo o d'islamismo, p e r lui n o n c'è differenza. N a t u r a l m e n t e questo agnosticismo attirò su Bodin la generale indignazione. Da u n a p a r t e e dall'altra della barricata lo t r a t t a r o n o di ateo e di ebreo p e r c h é sua m a d r e Io era. Ma Bodin, più che di sua m a d r e , era figlio dei suoi t e m p i : di q u e i t e m p i sconvolti dal fanatismo e i n s a n g u i n a t i dalla persecuzione. La sua Repubblica nacque nel m o m e n t o in cui a Parigi si scatenava la famosa «notte di San B a r t o l o m e o » che vide lo sterminio indiscriminato degli ugonotti. Bodin è un u o m o i m p a u r i t o che avalla l'autorità dello Stato p e r c h é s p e r a ch'esso lo metta al r i p a r o da quelle convulsioni e massacri. Q u a n d o morì, dissero c h ' e r a finito «come un cane», in p r e d a al d e m o n i o avendogli il p r e t e rifiutato i sacramenti. N o n è v e r o : i s a c r a m e n t i li chiese, li ricevette, e chiuse gli occhi tranquillo nel suo letto. Le conclusioni a cui B o d i n n o n e r a g i u n t o le trasse Ugo Grozio nel suo Trattato sulla guerra e sulla pace, che fa di lui il f o n d a t o r e del d i r i t t o i n t e r n a z i o n a l e . E r a n a t o i n O l a n d a , u n o dei Paesi più t o r m e n t a t i dalle g u e r r e di religione che si confondevano con quelle di liberazione nazionale dal giogo spagnolo. Anche lui, c o m e tutte le m e n t i più illuminate del suo t e m p o , si appellava contro gli opposti fanatismi allo spirito d e l c o m p r o m e s s o , c h e in O l a n d a aveva t r o v a t o il suo c a m p i o n e in Arminius, ultimo e p i g o n o di E r a s m o . Ma cont r o costui si s c a t e n ò la furia p e r s e c u t o r i a d e i calvinisti int r a n s i g e n t i , e a n c h e G r o z i o ne fece le spese. C a n d i d a t o al patibolo, se la cavò con la prigione a vita. Sua moglie chiese di c o n d i v i d e r n e la p e n a , fu esaudita e d o p o tre a n n i riuscì a farlo evadere, nascosto in u n a cassa di libri. Grozio r i p a r ò a Parigi e lì, m e n t r e la G u e r r a dei T r e n t ' a n n i impazzava coi suoi o r r o r i e massacri, compose la sua o p e r a . Grozio n o n c o r r e dietro a utopie. Egli accetta in p a r t e la d i s p e r a t a m o r a l e di Machiavelli, s e c o n d o cui lo Stato n o n conosce altra «ragione» che la sua, la quale giustifica tutto: 172
i n g a n n o , furto, delitto. Q u e s t o è vero, dice Grozio, p e r c h é lo Stato a v e n d o il p o t e r e di fare le leggi, n o n ha il dovere di attenervisi. Ma la legge n o n è tutto. AI di s o p r a di essa c'è un «diritto n a t u r a l e » , cui lo Stato legislatore deve n o n soltanto ispirarsi, ma a n c h e esso stesso uniformarsi p e r c h é è il f o n d a m e n t o del «diritto delle genti», cioè che vale p e r tutti e o g n u n o . Q u e s t o diritto n o n c o n d a n n a l a g u e r r a p e r c h é riconosce c h e in certi casi essa è inevitabile e necessaria. C o n d a n n a soltanto la g u e r r a «ingiusta» e s o p r a t t u t t o certi metodi di condurla. Dicendo questo, Grozio n o n si faceva illusioni. Egli sapeva benissimo (e lo dice) che un preciso criterio di distinzione fra g u e r r a giusta e ingiusta gli u o m i n i n o n sarebbero mai riusciti a i n t r o d u r l o . Si limita a fissare alcune regole generali: è giusta la g u e r r a di difesa, è ingiusta la g u e r r a di conquista. Ma si r e n d e conto che o g n i aggressore avrà s e m p r e qualche a r g o m e n t o p e r farsi passare da aggredito. Tuttavia egli crea n e l l ' o p i n i o n e p u b b l i c a a l m e n o il b i s o g n o di u n a giustificazione morale. Lo Stato machiavellico poteva farne a m e n o : la sua «ragione» l'autorizzava a tutto e n o n l'obbligava a d a r e n e a n c h e u n a m a s c h e r a t u r a di legittimità alle sue «imprese r a r e e mirabili». Grozio lo costringe a qualche ipocrisia che gli r e n d e , se n o n altro, più difficile il giuoco. Esso seguita in realtà ad essere machiavellico; ma u n ' o p i nione pubblica resa più esigente dalle idee di Grozio gl'imp o n e di rivestirsi di p a n n i un p o ' più decenti. Grozio insomma, a n c h e se n o n crea u n a n o r m a giuridica, crea un'esigenza m o r a l e . Ed è già molto. Ma risultati a n c o r a più g r a n d i o t t e n n e nella discriminazione dei m e t o d i . Egli fu il p r i m o a p a r l a r e di «criminali di g u e r r a » , i n v o c a n d o u n t r a t t a m e n t o u m a n o p e r tutti i n o n combattenti e p e r i prigionieri. Il suo g r i d o si p e r s e fra i clam o r i della G u e r r a dei T r e n t ' a n n i c h e gliel'aveva i s p i r a t o . Ma r i m a s e nell'aria. La r e g i n a C r i s t i n a di Svezia, figlia di Gustavo Adolfo, io tradì e n o m i n ò Grozio suo ambasciatore a Parigi. C o m e diplomatico, Grozio se la cavò piuttosto ma173
le e rassegnò le dimissioni quasi subito. La sua protettrice lo chiamò a Stoccolma e gli dette u n a b u o n a p e n s i o n e p e r c h é seguitasse a studiare e a scrivere. Ma anche c o m e cortigiano Grozio si sentiva un pesce fuor d'acqua, e preferì trasferirsi in G e r m a n i a . Era un i n v e r n o rigido, la nave s'incagliò fra i ghiacci, e Grozio prese u n a p o l m o n i t e che lo stroncò. L'Eur o p a n o n si era accorta di lui e seguitava a dilaniarsi in guerr e feroci che n o n c e r c a v a n o d i salvare n e m m e n o l e a p p a r e n z e della «giustizia» e n o n r i s p a r m i a v a n o n e a n c h e i vecchi, le d o n n e , i bambini. Ma d u e secoli e mezzo d o p o la sua m o r t e , nel 1899, i delegati alla C o n f e r e n z a I n t e r n a z i o n a l e della Pace all'Aja and a r o n o a d e p o r r e u n a c o r o n a d ' a r g e n t o sulla statua che l'Ol a n d a , d o p o averlo c o n d a n n a t o e costretto all'esilio, aveva elevato a Grozio. Quella c o r o n a era l'omaggio al fondatore del diritto internazionale m o d e r n o , o a l m e n o al suo p r e c u r sore. Da Grozio in p o i le n o r m e che r e g o l a n o «lo sport dei Re», c o m e qualcuno chiama le g u e r r e , sono molto migliorate. P u r t r o p p o n o n sono migliorati i Re. E n e m m e n o le Repubbliche. In Italia q u e s t o travaglio ideologico n o n ebbe eco, ed è n a t u r a l e . Anzitutto p e r c h é il nostro Paese n o n e r a diventato u n o Stato nazionale, e q u i n d i n o n poteva sentire il bisogno di d a r e a questo Stato un f o n d a m e n t o m o r a l e e giuridico né delle regole d i c o n d o t t a . E p p o i p e r c h é e r a p i a n t o n a t o dal giudice dell'Inquisizione da u n a p a r t e e dal g e n d a r m e spag n o l o dall'altra, cioè da d u e p o t e r i assoluti e u g u a l m e n t e interessati a i m p e d i r e qualsiasi discussione sulla loro legittimità e sui loro diritti. Se ne accorse T o m m a s o C a m p a n e l l a , che volle a p r i r e il discorso su questi a r g o m e n t i , sebbene lo facesse con ispirazione s q u i s i t a m e n t e c o n t r o r i f o r m i s t a . E r a u n m e r i d i o n a l e di Stilo di Calabria, e poco più che ragazzo si e r a arruolato nei d o m e n i c a n i . Ma p r e s t o c a d d e in o d o r di eresia p e r via di c e r t e sue critiche al t o m i s m o , cioè al p e n s i e r o di San T o m m a s o , della cui Summa la Chiesa aveva fatto, al Concilio 174
di T r e n t o , l'architrave del sistema. C a m p a n e l l a doveva p e r ò essere a n c h e un abile avvocato p e r c h é riuscì a s c a m p a r e a tre processi consecutivi. Al q u a r t o c a d d e , fu r i n c h i u s o nel carcere di R o m a dove, secondo qualcuno, ebbe a c o m p a g n o il B r u n o ; ma d o p o q u a l c h e m e s e fu l i b e r a t o , t o r n ò al suo p a e s e , e p e r n u l l a istruito dalla p r e c e d e n t e e s p e r i e n z a , si cacciò in u n a cospirazione contro tutte le autorità costituite, politiche e religiose. La c o n g i u r a fallì, e stavolta a C a m p a nella le risorse dialettiche n o n b a s t a r o n o . Fu t o r t u r a t o p e r q u a r a n t a o r e consecutive, e alla fine r i b u t t a t o in p r i g i o n e dove languì ventisette anni. Ma l ' u o m o doveva avere un fisico d'eccezione e u n a volontà di ferro p e r c h é n o n solo sopravvisse alla fame e al f r e d d o che lo t o r t u r a v a n o , ma lì c o m p o s e quasi tutte le sue o p e r e , fra cui la più celebre: La Città del Sole. In questa città, che C a m p a n e l l a p r e s e n t a c o m e modello di organizzazione sociale, l'autorità assoluta riposa nelle mani di un Re-sacerdote, o n n i p o t e n t e sia nel c a m p o t e m p o r a l e che in quello s p i r i t u a l e , igienista e razzista. Egli infatti si p r e o c c u p a soprattutto del m i g l i o r a m e n t o biologico dei sudditi, a c c o p p i a n d o d'autorità il meglio col meglio e d a n d o gli scarti in p a s t o ai leoni. La famiglia n o n esiste. Le d o n n e a p p a r t e n g o n o alla c o m u n i t à . I b a m b i n i c r e s c o n o senza n e a n c h e s a p e r e di chi s o n o figli, allevati dallo Stato c h e li p r e p a r a p e r la g u e r r a : chi vi si dimostra inadatto, viene soppresso. Tutti sono uguali: n o n esistono differenze di nascita, di censo, di professioni, di r i m u n e r a z i o n i . Tutti sono vestiti allo stesso m o d o , m a n g i a n o allo stesso m o d o , p e n s a n o allo stesso m o d o , o b b e d i s c o n o allo stesso c a p o , r i v e r i s c o n o lo stesso Dio: il Sole. Il lettore avrà l'impressione di aver già sentito qualcosa di simile. Infatti lo ha sentito a p r o p o s i t o della Repubblica gesuitica del Paraguay che realizzava a p p u n t o questo ideale comunitario. E molto probabile che C a m p a n e l l a n o n avesse mai u d i t o p a r l a r e dei p a d r i Cataldino e Mazeta, né loro di lui. Ma tutti e tre e r a n o italiani della C o n t r o r i f o r m a . E l'u175
topia della C o n t r o r i f o r m a e r a questa: u n o Stato in cui si ass o m m a n o il ricordo della Repubblica di Platone e l'annunzio del nazismo di Hitler e del c o m u n i s m o di Stalin: i n s o m m a il t o t a l i t a r i s m o assoluto. La c o n c e z i o n e di C a m p a n e l l a sta a quella di Grozio, c o m e l'esperienza cattolica s u d - a m e r i c a n a sta a quella calvinista del N o r d . E ci vuol poco a capire quale dei d u e m o n d i e dei d u e pensieri interpretasse meglio le istanze della libertà, della democrazia e del p r o g r e s s o . Nel '26 C a m p a n e l l a fu alla fine graziato p e r intercessione di papa Urbano V i l i . Ma n e m m e n o i cinquantott'anni di età e i quasi t r e n t a di galera avevano fiaccato la sua fibra e a n n a c q u a t o la sua protervia. Il ritratto che p r o p r i o allora gli fece il suo c o m p a e s a n o Cozza ce lo m o s t r a in tutta la sua rozza p o t e n z a di c o n t a d i n o calabrese: la folta c h i o m a tuttora n e r a , il naso dritto, la mascella forte, un grosso p o r r o sulla guancia destra, gli occhi fissi e intensi. L u n g i dal cercare un p o ' di pace d o p o tanti triboli e travagli, ridiscese subito in g u e r r a col Sant'Uffizio, c h e t o r n ò a r i n c h i u d e r l o nella sua p r i g i o n e . A restituirgli u n ' a l t r a volta la libertà ci volle tutta l'energia e la pazienza di U r b a n o che tuttavia, p e r impedirgli di c o m b i n a r e altri malestri, gli consigliò di lasciare l'Italia. A Parigi, d o v e l'eco delle sue o p e r e lo aveva p r e c e d u t o , fu accolto con r i g u a r d o . Sia il re Luigi X I I I c h e l ' o n n i p o t e n t e cardinale Richelieu gli a p r i r o n o le p o r t e della C o r t e . Al m o n a c o italiano s a r e b b e b a s t a t o p o c o p e r inserircisi in pianta stabile, e forse ci si p r o v ò c o m p o n e n d o u n a Egloga in o n o r e del p r i n c i p e e r e d i t a r i o , il f u t u r o Luigi XIV. Ma il c o m p o n i m e n t o n o n dovett'essere m o l t o a p p r e z z a t o p e r c h é e r a l'invito a sovvertire la Francia p e r farne u n a Città del Sole: p r o g r a m m a che nella patria e nel secolo dei Bodin e dei Descartes d o v e v a a p p a r i r e p o c o m e n o c h e d e m e n z i a l e . I l fatto è c h e C a m p a n e l l a n o n p o t e v a , n e a n c h e v o l e n d o , div e n t a r e un cortigiano: gliene m a n c a v a n o sia le qualità che i difetti. T o r n ò n e l suo habitat n a t u r a l e , cioè in u n a cella di c o n v e n t o c h e gli r i c o r d a v a quella della p r i g i o n e . E lì tra176
scorse i suoi ultimi a n n i a t t e n d e n d o alla definitiva stesura e alla pubblicazione delle o p e r e composte in carcere. La p i ù sostanziosa sul p i a n o filosofico è forse il De sensu rerum, il senso delle cose, in cui si c o n f o n d o n o il p r o b l e m a cosmologico e quello «gnoseologico», cioè della conoscenza. C a m p a n e l l a è cattivo scrittore. Il suo p e n s i e r o è difficile da rintracciare sotto le volute di un p e r i o d a r e oscuro e contorto che, messo controluce alla cristallina chiarezza dei francesi suoi c o n t e m p o r a n e i , ci dà la m i s u r a del livello d'involuzione cui stava s c e n d e n d o la nostra letteratura. N o n s e g u i r e m o la tematica di C a m p a n e l l a : essa r i e n t r a più nella storia della filosofia c h e in quella nostra. D i r e m o soltanto che forse abbiamo sbagliato a r u b r i c a r e C a m p a n e l la nel capitolo del p e n s i e r o politico p e r c h é la sua vera vocazione n o n fu né politica né filosofica, ma poetica. Soltanto di r e c e n t e la critica ha «scoperto» i versi ch'egli c o m p o s e nella l u n g a prigionia. A p p a r t e n g o n o alla cosiddetta «poesia civile», e n o n h a n n o c e r t o la levigatezza, la l u m i n o s i t à , la musicalità di quelli del Petrarca e dell'Ariosto. Sono anzi spigolosi e difficili. Ma li scalda u n a vibrazione di s e n t i m e n t i , u n a sincerità di passioni che i n v a n o c e r c h e r e m m o sotto le preziosità accademiche dei suoi c o n t e m p o r a n e i . Questi versi ci d a n n o il ritratto di un u o m o che valeva molto p i ù delle sue i d e e a r r u f f a t e e s o s t a n z i a l m e n t e r e a z i o n a r i e . Il v e r o p e n s a t o r e politico di questo «momento» italiano n o n fu lui. Fu il Sarpi, che m e r i t a un capitolo a p a r t e .
CAPITOLO SEDICESIMO SARPI
Nel 1605, alla m o r t e di L e o n e XI ch'era d u r a t o in carica a p p e n a tre settimane, v e n n e eletto al Soglio il C a r d i n a l e Borghese, che prese il n o m e di Paolo V. Nel capitolo sugli Stati pontifici, abbiamo già detto di lui e della sua concezione assolutistica. S e c o n d o Paolo il Pontefice e r a effettivamente il Vicario di Cristo, e q u i n d i o g n i offesa a lui e r a b e s t e m m i a da c h i u n q u e venisse, a n c h e dai Principi e dai Re. Era l'atteggiamento, p o r t a t o a conseguenze e s t r e m e e quasi caricaturali, della C h i e s a c o n t r o r i f o r m i s t a . Paolo fu subito in g u e r r a con tutti gli Stati italiani che t e n t a v a n o di difendere un b a r l u m e di a u t o n o m i a . Scomunicò il R e g g e n t e di N a p o li p e r c h é aveva c o n d a n n a t o un notaio ecclesiastico; minacciò i Savoia, Lucca, G e n o v a che i n t e n d e v a n o r e g o l a r e sec o n d o la l o r o legge c e r t e q u e s t i o n i a m m i n i s t r a t i v e . Ma lo scontro frontale l'ebbe con Venezia. La Serenissima era il solo Stato italiano - lo abbiamo già detto - che fosse riuscito a conservare, fra Chiesa e Spagna, u n a certa i n d i p e n d e n z a . Gli ambasciatori di R o m a e di Mad r i d e r a n o accolti con g r a n d i inchini e r i v e r e n z e . Ma poi, come oggigiorno quelli occidentali a Mosca, si trovavano int o r n o i l v u o t o p e r c h é c h i u n q u e i n t r a t t e n e s s e r a p p o r t i con loro finiva nei Piombi. Il governo dogale n o n p e r d e v a occasione di d i c h i a r a r e al Papa la sua p r o f o n d a devozione. Ma n e m m e n o p e r d e v a occasione d i a f f e r m a r e l a s u p e r i o r i t à delle leggi dello Stato su q u a l u n q u e altra. Così, p e r esempio, u l t i m a m e n t e aveva proibito a tutti di costruire chiese e di c e d e r e al clero b e n i immobili senza il p e r m e s s o dell'autorità, e aveva s b r i g a t i v a m e n t e m e s s o in g a l e r a d u e ec179
clesiastici p e r r i p e t u t e e riconosciute infrazioni al codice p e nale. Paolo c o n s i d e r ò q u e s t e m i s u r e un affronto alla Chiesa. Reclamò p e r e n t o r i a m e n t e che le d u e leggi venissero revocate e che i d u e ecclesiastici fossero c o n s e g n a t i a lui. Ma si trovò di fronte un Doge che aveva dello Stato la stessa concezione che lui aveva della Chiesa, e che p r o p r i o p e r questo e r a giunto al p o t e r e s u p r e m o : L e o n a r d o Dona. Costui n o n si c o n t e n t ò di r e s p i n g e r e le p r e t e s e del Papa. Volle a n c h e contestarle sul p i a n o giuridico in m o d o da toglier loro ogni validità a n c h e p e r il futuro. E ne affidò l'incarico a un frate c h e già aveva r e s o segnalati servigi in q u e s t o senso c o m e teologo-canonista della Repubblica: Paolo Sarpi. Il Sarpi e r a figlio d ' u n c o m m e r c i a n t e friulano a n d a t o in r o v i n a p e r s p e c u l a z i o n i sbagliate. Ma a e d u c a r l o aveva p r o v v e d u t o un suo zio, fratello della m a d r e , d i r e t t o r e d ' u n collegio frequentato dalla migliore gioventù veneziana. Paolo aveva a v u t o p e r condiscepoli d e i C o n t a r i n i e d e i M o r o sini, ma n o n s'era lasciato sopraffare dalla t e n t a z i o n e di mettersi sul loro livello sociale. Stava in disparte, silenzioso e solitario, e lo c h i a m a v a n o «la vergine» p e r via della sua p u n t i g l i o s a castità, c h e specie nella Venezia di q u e i t e m p i r a p p r e s e n t a v a u n ' a u t e n t i c a a n o m a l i a . A quindici a n n i e r a e n t r a t o in un c o n v e n t o di serviti, e d a p p r i n c i p i o si e r a orientato verso gli studi scientifici. A quelli filosofici e teologici arrivò p i ù tardi, d o p o aver scritto un trattatello sul p r o b l e m a della c o n o s c e n z a , c h e alcuni suoi a m m i r a t o r i considerano un'anticipazione delle teorie di Locke. Ma n o n è così: quel libretto n o n anticipa nulla e vale poco. Paolo lo c o m p o s e al r i t o r n o da Roma, dove il suo O r d i n e lo aveva m a n d a t o c o m e p r o c u r a t o r e . Era il m o m e n t o in cui Sisto V cercava di d a r e un c o n t e n u t o spirituale alla Chiesa della C o n t r o r i f o r m a con u n a bonifica d a l l ' i n t e r n o che n o n si limitasse alle s t r u t t u r e organizzative. Paolo p a r t e c i p ò con fervore a quel travaglio e si legò di stretta amicizia c o n un gesuita p e r il m o m e n t o a n c o r a sconosciuto e con cui più tar180
di si sarebbe trovato in b e n altri r a p p o r t i : B e l l a r m i n o . Ent r a m b i e r a n o p a r t i g i a n i d i u n a C h i e s a p i ù i m p e g n a t a nel c a m p o m o r a l e e p i ù d i s i m p e g n a t a in quello m o n d a n o . Ed e n t r a m b i f u r o n o delusi dalla m o r t e di Sisto e dall'elezione d i U r b a n o V I I , che appariva l ' u o m o m e n o a d a t t o a d attuare quella riforma. Paolo n o n aveva simpatizzato con l ' U r b e e tanto m e n o con la Curia. Q u e i grassi preti r o m a n i unicam e n t e intesi al p o t e r e e alla ricchezza lo avevano disgustato. E r a stato p e r q u e s t o , cioè p e r trovarvi u n a distrazione, che si era dato alla scienza. N o n vi raggiunse risultati, ma vi fece d e g l ' i n c o n t r i che c e r t a m e n t e c o n t r i b u i r o n o al suo d e v i a z i o n i s m o . Il p i ù i m p o r t a n t e fu quello c o n Galileo c h e allora i n s e g n a v a a P a d o v a e c h e , p u r n o n e s s e n d o a n c o r a c a d u t o in sospetto di eresia, vi si stava a v v i a n d o p e r le s u e c o n v i n z i o n i c o p e r n i c a n e . D i v e n t a r o n o g r a n d i amici e si scambiarono lettere sul p r o b l e m a della c a d u t a dei corpi nello spazio. Ma o r a altri interessi stavano p r e n d e n d o in Paolo il sopravvento. La Repubblica lo aveva assoldato c o m e consulente nelle sue vertenze con l'autorità ecclesiastica. Paolo vi si m o s t r ò subito agguerritissimo e vi g u a d a g n ò tale p r e stigio c h e il g o v e r n o p r o p o s e la sua n o m i n a a Vescovo di N o n a . Ma il Papa rifiutò. Q u a l c u n o dice che fu questo sgarbo a fare del frate un ribelle. Ma n o n è che u n a c o m o d a semplificazione. Può darsi che lo sgarbo abbia contribuito. Ma esso s o p r a v v e n n e q u a n do il Sarpi aveva già assunto un atteggiamento molto preciso c o n t r o le p r e t e s e ecclesiastiche. I p u n t i di a t t r i t o n o n m a n c a v a n o . Il clero veneto era u n o dei più ricchi d'Italia: le sue e n t r a t e s u p e r a v a n o i dieci milioni di d u c a t i , u n a cifra - p e r quei t e m p i - colossale. Da s e m p r e il g o v e r n o vi prelevava u n a «decima», cioè u n a tassa che n o n s u p e r a v a i dodicimila ducati, u n a briciola, che tuttavia la Chiesa considerava arbitraria. Sarpi sosteneva che arbitraria e r a soltanto l'es e n z i o n e c h e il g o v e r n o a c c o r d a v a agli alti prelati, i quali, secondo lui, a n d a v a n o più s e v e r a m e n t e tassati del basso clero. Ma, oltre a questo, c'era il p r o b l e m a dei libri. Dal g r a n 181
de Manuzio in poi, che ne aveva fornito modelli d'insuperata eleganza, Venezia e r a r i m a s t a la capitale dell'editoria. I d u e terzi di ciò che si stampava in Italia, si stampava lì. Ma questa industria, da cui d i p e n d e v a lo sviluppo culturale del Paese - e forse p r o p r i o p e r questo - era c o n t i n u a m e n t e minacciata di crisi dall'Indice r o m a n o che colpiva spietatament e qualsiasi o p e r a n o n a s s o l u t a m e n t e c o n f o r m i s t a m e t t e n d o l a al b a n d o e o r d i n a n d o n e il ritiro. Esso n o n a m m e t teva che messali e breviari, e p e r cautelarsi c o n t r o la farina del diavolo aveva o r d i n a t o che tutti i libri colpiti da censura venissero ristampati a Roma. Il g o v e r n o veneziano si era accorto che i funzionari dell'Indice g r a d u a v a n o la loro severità secondo le «bustarelle» delle varie tipografie d e l l ' U r b e d o ve, come al solito, la bigotteria dava u n a m a n o alla ladroneria. Il vaso q u i n d i e r a già c o l m o q u a n d o il P a p a i n g i u n s e al g o v e r n o v e n e t o di consegnargli i d u e ecclesiastici già a r r e stati, p e n a la scomunica del D o g e e l'interdetto contro la Serenissima, cioè il divieto di esercitarvi i servizi divini. La minaccia e r a g r a v e a n c h e p e r i suoi riflessi politici. La Repubblica confinava col D u c a t o di Milano, roccaforte degli spagnoli. E gli spagnoli avevano s e m p r e agito da braccio secolare della Chiesa. Ma D o n a e il g o v e r n o n o n vacillarono n e m m e n o di fronte a questo pericolo. C o n f e r m a r o n o le loro leggi, rifiutarono la consegna dei galeotti e q u a n d o il Papa, trascorsi i termini dell'ultimatum, lanciò l'interdetto, ord i n a r o n o al clero d ' i g n o r a r l o . I gesuiti esitarono, e solo su u n p e r e n t o r i o o r d i n e del Papa a b b a n d o n a r o n o l a Serenissima che si affrettò a lanciare c o n t r o di loro un b a n d o p e r p e t u o . I teatini e i cappuccini li seguirono di malavoglia. Ma tutto il resto del clero si schierò con la Repubblica e seguitò a svolgere le sue funzioni. S a r p i , c h i a m a t o a d i f e n d e r e l ' o p e r a t o del g o v e r n o sul p i a n o teologico, capì i m m e d i a t a m e n t e che quella e r a l a g r a n d e occasione n o n p e r l i q u i d a r e u n i n c i d e n t e , m a p e r p o r r e in t e r m i n i di d o t t r i n a e su basi p e r m a n e n t i il proble182
ma d e l g i u r i s d i z i o n a l i s m o , cioè dei r a p p o r t i fra Chiesa e Stato. La passione con cui si gettò in q u e s t a i m p r e s a testimonia la forza delle sue convinzioni. Il compito n o n e r a facile p e r c h é a n c h e R o m a , p e r far valere i suoi a r g o m e n t i , aveva mobilitato il suo controversista più a g g u e r r i t o : il cardinale B e l l a r m i n o . E così i d u e vecchi amici si r i t r o v a r o n o dalle d u e parti della barricata, e bisogna dire che dell'amicizia si r i c o r d a r o n o poco. Tuttavia la p r i m a battaglia il Sarpi d o v e t t e c o m b a t t e r l a n o n t a n t o c o n t r o il suo avversario q u a n t o c o n t r o gli stessi giuristi veneti, renitenti a u n a polemica col Papa che rimettesse in discussione il suo p r i m a t o assoluto in tutti i campi. Fra' Paolo fu reciso. Disse che se si a m m e t t e v a quel principio, t a n t o valeva a r r e n d e r s i senza c o n d i z i o n i . M a q u e s t o , a g g i u n s e , e r a t r a d i m e n t o dello Stato (e di u n o Stato - sottintendeva - che i traditori li aveva s e m p r e m a n d a t i al patibolo senza pensarci d u e volte). Eppoi, continuava fra' Paolo, n o n era il p r i m a t o del Papa che bisognava discutere; ma l'esenzione degli ecclesiastici dalle leggi dello Stato. N e m m e n o lo Stato p o t r e b b e accordarla, p e r c h é ciò facendo verrebbe m e n o al m a n d a t o affidatogli da Dio: quello di e m a n a re e di far valere la legge su qualsiasi interesse privato di laici o di ecclesiastici. Q u e s t o , dice Sarpi, è i n s i e m e il fondam e n t o , la giustificazione e la missione dello Stato. Sarpi svolse queste tesi, assolutamente rivoluzionarie nell'Italia di allora, nelle Considerazioni sopra le censure della San-
tità di Papa Paolo V contro la Serenissima Repubblica di Venezia, cui s e g u i r o n o l'Apologia per le opposizioni dell'Illustrissimo e Reverendissimo Cardinal Bellarmino e il Trattato dell'Interdetto. Erano scritti f o r t e m e n t e polemici in cui il Sant'Uffizio ravvisò
plurima temeraria, calumniosa, scandalosa, seditiosa, schismatica, erronea et haeretica. Invitato a presentarsi a R o m a p e r rispond e r e di questi delitti, fra' Paolo n a t u r a l m e n t e rifiutò, rispose p e r le r i m e e fu s c o m u n i c a t o . Ma quella « g u e r r a delle scritture», c o m e fu chiamata, aveva r a g g i u n t o lo scopo che il ribelle, scatenandola, si era p r o p o s t o : la «contesa dell'In183
terdetto», da piccolo episodio di cronaca locale, era diventato un «caso» m o n d i a l e , su cui l'intera E u r o p a si e r a divisa. L'Inghilterra e l ' O l a n d a acclamavano il Sarpi c h i a m a n d o l o «il piccolo L u t e r o d'Italia», e poco m a n c ò che quella diatriba anticipasse la G u e r r a dei T r e n t ' a n n i . C o m u n q u e , a corr e r e n o n fu solo l'inchiostro. N e l l ' a u t u n n o del 1607, l'intrep i d o frate fu aggredito da alcuni sicari, p u g n a l a t o e lasciato p e r m o r t o . G u a r ì invece delle ferite, e si dice che c o m m e n tasse: «Riconosco lo stile della C u r i a R o m a n a » , g i u o c a n d o sul d o p p i o senso della parola stile che significa a n c h e stiletto. L'attentato aveva m o l t o c o n t r i b u i t o alla p o p o l a r i t à del Sarpi i n E u r o p a , m a a r r i v a v a t r o p p o t a r d i p e r l a vittoria della sua causa. Malgrado la sua ostinatezza, a n c h e il Papa si era reso conto della gravità della situazione. Se si fosse rivolto alla S p a g n a p e r infliggere un castigo a Venezia, questa si sarebbe rivolta alla Francia di Enrico IV, in cerca di pretesti p e r i n t e r v e n i r e nella penisola. N o n solo. Ma si correva anche il rischio che la Serenissima, m o r a l m e n t e e diplomaticam e n t e sostenuta dai Paesi protestanti, ne adottasse a n c h e la religione. La città formicolava di agenti inglesi e olandesi, e dai loro r a p p o r t i risultava che s p e c i a l m e n t e l'aristocrazia, cioè la classe d i r i g e n t e , e r a fortemente t e n t a t a d a l calvinismo e p r o p e n d e v a p e r un a p e r t o scisma. Per quel Papa p r e p o t e n t e il c o m p r o m e s s o dovett'essere un a m a r o boccone. Lo fu anche p e r i veneziani più attaccati alla causa del laicismo. Ma bisognava a r r e n d e r s i alla ragion di Stato: la massa della popolazione era p u r s e m p r e cattolica, e u n a g u e r r a di religione sarebbe stata a n c h e u n a guerra civile. Le trattative furono l u n g h e : a m b e d u e le parti d o vevano salvare la faccia, e n o n era facile, specie p e r q u a n t o r i g u a r d a v a i d u e p r e t i p r i g i o n i e r i . F i n a l m e n t e fu trovata u n a di quelle scappatoie che i diplomatici c o n s i d e r a n o geniali m e n t r e a noi s e m b r a n o soltanto farsesche. I veneziani «regalarono» i d u e galeotti a l l ' a m b a s c i a t o r e di Francia, il quale a sua volta li regalò a un messo del Papa. In c o m p e n so Venezia ribadiva le leggi di cui le e r a stata i n t i m a t a l'a184
b r o g a z i o n e , n o n riconosceva la scomunica c o n s i d e r a n d o l a n o n soltanto nulla, ma mai p r o n u n c i a t a e, p u r c o n c e d e n d o il p e r m e s s o di r i t o r n o ai cappuccini e ai teatini, confermava il b a n d o ai gesuiti. Q u e s t a soluzione era u n a vittoria p e r la Serenissima, ma u n a delusione p e r Sarpi, che aveva sperato di v e d e r e sboccare quel conflitto in un vero e p r o p r i o distacco dalla Chiesa. Sebbene q u a l c u n o lo abbia n e g a t o , il suo epistolario coi protestanti d ' O l a n d a e d ' I n g h i l t e r r a parla chiaro: Sarpi era u n o dei pochi italiani che avevano capito l'inconciliabilità di u n o Stato libero e di u n a società o r d i n a t a e civile col cattolicesimo della C o n t r o r i f o r m a . E n e s s u n o oggi p u ò d i r e che cosa avrebbe r a p p r e s e n t a t o p e r l'Italia u n a Repubblica ven e t a c h e fin d'allora avesse r i p u d i a t o i legami con R o m a e fosse diventata il focolare delle libertà laiche. L'indomito frate continuò la battaglia p e r conto suo. N o n ve lo spingeva di certo l ' a m o r e della p o p o l a r i t à . Viveva in disparte, chiuso nel suo convento, da cui n o n e r a riuscita a cacciarlo n e m m e n o la s c o m u n i c a p e r c h é i serviti, solidarizzando con lui, l'avevano ignorata. N o n e r a n e m m e n o u o mo da covare illusioni. Anzi, f r e d d o e distaccato c o m ' e r a , sui risultati pratici della p r o p r i a azione si mostrava piuttosto pessimista. Ma a spingerlo e r a la sua coscienza cristiana. «Se sarà g u e r r a in Italia», scriveva a un amico francese, «va b e n e p e r la r e l i g i o n e : l ' I n q u i s i z i o n e cesserà e l'Evangelio avrà corso.» P u r t r o p p o fu p r o p r i o il Re di Francia, q u e l l ' E n r i c o IV, che p u r e in g i o v e n t ù e r a stato u g o n o t t o e di cui si diceva che conservasse r i m p i a n t i calvinisti, a infliggere un d u r o colpo al frate ribelle. Egli i n t e r c e t t ò e c o n s e g n ò al N u n z i o pontifìcio a Parigi u n a lettera del Diodati, c o r r i s p o n d e n t e del Sarpi, in cui tutta l'opera di proselitismo che costui stava svolgendo veniva descritta nei suoi particolari. L'emozione fu g l a n d e , sia a R o m a che a Venezia. Tutti i timorati e benp e n s a n t i della Repubblica videro in Sarpi un p e r t u r b a t o r e della pubblica quiete, un fomentatore di «grane», e gli fece185
ro il vuoto i n t o r n o . Era un b r u t t o m o m e n t o , p e r lui. In tutta E u r o p a spirava aria di bonaccia. C o n Enrico IV, pugnalato da un frate, scompariva n o n soltanto il delatore del Sarp i , ma a n c h e il g r a n d e rivale e c o n c o r r e n t e della S p a g n a . Gli amici protestanti d ' I n g h i l t e r r a e O l a n d a a b b a n d o n a v a n o l a S e r e n i s s i m a p e r m a n c a n z a d i p r o s p e t t i v e d i azione c o n c r e t a . Galileo, c o n cui fra' Paolo aveva s e r b a t o stretti r a p p o r t i , aveva lasciato Padova p e r Firenze. Ma il Sarpi n o n p e r questo si scoraggiò. E q u a n d o l'ambasciatore d ' I n g h i l t e r r a v e n n e a portargli un messaggio di re Giacomo che gli consigliava di cambiar aria e di trasferirsi suo ospite a L o n d r a , rifiutò. Aveva t r o v a t o un altro c a m p o di battaglia: la Storia. Q u e l l o stesso a m b a s c i a t o r e inglese, C a r l e t o n , si a r r o g ò p i ù tardi il merito di aver suggerito al Sarpi l'idea di scrivere u n a storia del Concilio di T r e n t o e di avergliene fornito il modello nel libro di un suo cugino, ministro anglicano. Ma si t r a t t a di m i l l a n t a t o c r e d i t o . Sarpi aveva già raccolto parecchio materiale sull'argomento p e r c h é si e r a s e m p r e vivam e n t e interessato al Concilio, in cui vedeva - giustamente la g r a n d e svolta, l'avvenimento più decisivo della storia mod e r n a . C o n o s c e v a a n c h e d i p e r s o n a alcuni suoi p r o t a g o nisti, fra i quali l'amico-nemico Bellarmino. Q u a n d o nel '14 si sparse la notizia ch'egli aveva posto m a n o a q u e l lavoro, tutta la c u l t u r a e u r o p e a ne trasalì. U n a storia del Concilio d e g n a di q u e s t o n o m e a n c o r a m a n c a v a , e Sarpi e r a consid e r a t o p e r la sua i n d i p e n d e n z a e serietà l'unico che potesse scriverla. I protestanti t r e p i d a r o n o p e r lui, e specialmente re Giacomo lo bersagliò di lettere, sollecitandolo di n u o v o a trasferirsi a L o n d r a o p e r lo m e n o a m a n d a r g l i i fascicoli del lavoro, via via c h e lo c o m p o n e v a , p e r sottrarlo alle insidie dell'Inquisizione. A tanto orgasmo Sarpi o p p o s e u n a pazienza che gli valse a s p r e critiche. Lo a c c u s a v a n o di f r e d d e z z a e i n d e c i s i o n e , spesso d u b i t a n d o c h e avesse a b b a n d o n a t o il l a v o r o p e r m a n c a n z a di coraggio. Il fatto è ch'egli sentiva l'importanza 186
d i quella i m p r e s a che richiedeva u n a d o c u m e n t a z i o n e coscienziosa e g r a n controllo critico. Q u a n t o p r o f o n d a m e n t e vi si sentisse i m p e g n a t o , lo dice nella prefazione: «Raccont a r e le cause e li m a n e g g i d ' u n a convocazione ecclesiastica, nel corso di ventidue anni, p e r diversi fini e con vari mezzi da chi procacciata e sollecitata, da chi impedita e differita, e p e r altri a n n i diciotto o r a a d u n a t a , o r a disciolta, s e m p r e celebrata con vari fini, e che ha sortito forma e c o m p i m e n t o t u t t o c o n t r a r i o al d i s e g n o di chi l'ha p r o c u r a t a e al t i m o r e di chi con ogni studio l'ha disturbata: chiaro d o c u m e n t o p e r r a s s i g n a r e li p e n s i e r i in Dio e n o n fidarsi della p r u d e n z a umana». Dedicò al lavoro q u a t t r o intensi anni. Poi affidò il m a n o scritto (o u n a copia) a un inglese m a n d a t o apposta p e r ritirarla dall'Arcivescovo di C a n t e r b u r y che lo fece s t a m p a r e a L o n d r a : n e s s u n e d i t o r e italiano avrebbe osato farlo. Il successo fu p a r i all'attesa che, data la situazione, era i m m e n s a : s'era alla vigilia della g u e r r a che p e r t r e n t ' a n n i doveva fare d e l l ' E u r o p a un r o g o di passioni religiose. Sarpi aveva d u n q u e scelto il m o m e n t o giusto. N o n r i a s s u m e r e m o il suo libro che seguita ad essere oggetto di vivaci p o l e m i c h e . S e g u e n d o il l o r o solito cavilloso m e t o d o , i gesuiti ne d e n u n z i a r o n o i m m e d i a t a m e n t e le inesattezze, c o m e avevano fatto p e r d e m o l i r e la versione biblica di E r a s m o . E c o m e in E r a s m o , p u ò d a r s i c h e a n c h e in S a r p i delle inesattezze ci s i a n o . Ma c o m e E r a s m o , a n c h e Sarpi esce t r i o n f a n t e d a q u e s t o assalto d i p e d a n t i . L a sua Storia ha c e r t a m e n t e dei difetti. Approfondisce poco le q u e stioni d o g m a t i c h e , e r i d u c e a u n a battaglia p u r a m e n t e verbale perfino quella sull'Eucarestia. N o n s e m p r e lo scrupolo di oggettività dello storico ha la meglio sui suoi risentimenti polemici. Sono difetti da cui n e s s u n libro di Storia è mai del tutto i m m u n e , e che scompaiono di fronte agl'immensi p r e g i del Sarpi. Il suo c o r a g g i o a n z i t u t t o , cioè la sua libertà. Sarpi n o n p a g a p e d a g g i o a n e s s u n a c e n s u r a né esterna né inter187
na: obbedisce soltanto al suo cervello e alla sua coscienza. I suoi e r r o r i - se ne c o m m e t t e - s a n n o di b u c a t o : n o n sono mai suggeriti da p a u r a o da calcolo. E questa sincerità si riflette a n c h e nell'impasto della sua prosa, nel suo calore di c o n v i n z i o n e , nel suo r i t m o s e r r a t o . La sua è u n a storia di u o m i n i , colti in tutti i l o r o aspetti g r a n d i e m e s c h i n i . Mai ch'essa d e g e n e r i in astratto dibattito o che si p e r d a in retorici moniti. Niente letteratura, che è poi l'unico m o d o di far b u o n a letteratura. Sarpi va subito all'osso. Il suo bersaglio, più che la d o t t r i n a della Chiesa, è il Papato, e lo s'individua subito. Il suo anticattolicismo, p r i m a ancora che dichiarato, è implicito nella insofferenza di q u e s t ' u o m o , che t r a s p a r e c h i a r a m e n t e da tutta la sua prosa, a u n a fede i m p o s t a dall'alto, puntigliosamente dettagliata nei suoi articoli come un codice, ridotta a p u r a osservanza di pratiche liturgiche, che n o n concede libertà di p a r o l a alla coscienza né spazio a un d u b b i o . Questi r i m p r o v e r i Sarpi li m u o v e i m p a r z i a l m e n t e a n c h e a un certo d o g m a t i s m o p r o t e s t a n t e . Il suo c o n t r a d d i t t o r e B e l l a r m i n o , da b u o n gesuita r o t t o al cavillo, ha un Dell'inchiodare il Sarpi sul particolare teologico. La sua argomentazione sarà a n c h e d o t t r i n a r i a m e n t e ineccepibile, ma sotto ci si sente l'uomo di Chiesa, cioè n o n libero. In Sarpi si sente l'uomo, e basta. E la Storia, fra i d u e , ha giudicato: di Bellarmino r i m a n e solo l'Inquisitore; di Sarpi, r i m a n e tutto lo scrittore. Il r u m o r e suscitato da quel libro fu presto sopraffatto da quello della g u e r r a che scoppiava. Ma Sarpi n o n se ne dolse. Anzi. In quella g u e r r a aveva investito t u t t e le sue speranze, c o m p r e s a quella che Venezia v'intervenisse schierandosi dalla p a r t e dei protestanti. La battaglia della M o n t a g n a Bianca, che vide il trionfo degli eserciti cattolici, fu p e r lui un a m a r o disinganno. I «papalini» ripresero il sopravvento nel g o v e r n o e nell'opinione pubblica della Serenissima, e il N u n z i o apostolico riferiva a R o m a in t o n o t r i o n f a n t e che fra' Paolo e r a odiato da tutti, nobili e p o p o l o . C ' e r a a n c h e da s p e r a r e , aggiungeva il prelato con squisito senso cristia188
n o , che ormai il r e p r o b o , in là con gli a n n i (ne aveva settanta) e piuttosto m a l a n d a t o , ne avesse p e r poco. E q u i n d i consigliava d i « r e c u p e r a r l o » i n m o d o c h e n o n d i v e n t a s s e , d a m o r t o , l'eroe di un'apostasia. Per d u e volte la C u r i a invitò fra' Paolo a R o m a i m p e g n a n d o s i a rispettarne la vita e la libertà in cambio di un atto di sottomissione. E p e r d u e volte fra' Paolo rifiutò. Morì nel ' 2 3 , nella cella e tra i fedeli monaci del suo conv e n t o . L a R e p u b b l i c a , che n o n aveva m a i r i c o n o s c i u t e l e s c o m u n i c h e lanciate dal Papa, e q u i n d i n e m m e n o quella che aveva colpito il Sarpi, fece s t e n d e r e u n a relazione sulle ultime o r e di fra' Paolo, da cui risultava che questi e r a spirato s e c o n d o t u t t e le r e g o l e c h i e d e n d o i s a c r a m e n t i e rivolg e n d o gli u l t i m i p e n s i e r i alla Chiesa e alla Patria. Ma l'estensore di quell'atto fece poi s a p e r e che il Sarpi invece, in perfetta coerenza con le sue idee, i sacramenti li aveva rifiutati, m e n o la c o m u n i o n e . Così finì l'ultima g r a n d e coscienza italiana scampata alla Controriforma.
CAPITOLO DICIASSETTESIMO LA RIVOLTA DELLA R A G I O N E
C o m e devastazioni, la G u e r r a dei T r e n t ' a n n i d e t i e n e forse un p r i m a t o assoluto nella Storia. C o m e a b b i a m o già detto, alcuni Paesi ne u s c i r o n o l e t t e r a l m e n t e d i s t r u t t i , c o m e la Boemia che vi perse i tre quarti dei p r o p r i abitanti. Le Nazioni che a v e v a n o p r e s o p a r t e a q u e l «sacro macello» ne e m e r s e r o imbarbarite. Ma a fare le spese di quella interminabile g u e r r a di religione fu anche la religione. Il f e n o m e n o è a b b a s t a n z a facile da c a p i r e . S e b b e n e a p r e n d e r v i il sopravvento fossero poi stati tutt'altri interessi, di p o t e r e e di ragion di Stato, il conflitto era n a t o come regolamento di conti fra le d u e Chiese, quella cattolica e quella p r o t e s t a n t e , e a p p u n t o p e r q u e s t o e r a stato così l u n g o , accanito e micidiale. Ma p r o p r i o negli o r r o r i che provocava, il fanatismo trovava il suo contravveleno. Questi orrori n o n e r a n o soltanto le stragi e le razzie degli eseixiti che scorrazzavano c o m e o r d e imbestialite dal D a n u b i o al Mare del N o r d . E r a n o a n c h e gli eccessi cui si a b b a n d o n a v a n o gli zelatori d e l l ' u n o e dell'altro credo, sospinti dal furore della lotta e travolti da quell'orgia di sangue. È il m o m e n t o della «caccia alle streghe», nelle quali la superstiziosa m e n t e popolare incarna le p r o p r i e calamità. L'Europa, intendiamoci, conosceva di già questo flagello. Ma ora esso diventa febbre, delirio, m a n ì a collettiva, al cui contagio n o n sfuggono nemm e n o uomini di cultura e prelati d'alto b o r d o . C'è chi v'imp e g n a a d d i r i t t u r a u n ' a m b i z i o n e agonistica c o m e il Vescovo di W i i r z b u r g che r i v e n d i c a il p r i m a t o dei r o g h i p e r averci m a n d a t o oltre mille disgraziati, fra cui a n c h e dei bambiniMa un p e r s e c u t o r e l o r e n e s e glielo c o n t e n d e vantandosi di 190
a v e r n e accesi di più. L'iniziativa privata trova in questo lug u b r e sport il p i ù fertile dei t e r r e n i : o g n u n o ha la sua strega da bruciare, e o g n u n o p u ò diventare la strega di qualche altro. Di fronte allo spettacolo di q u e s t a u m a n i t à impazzita, s e m p r e più un d u b b i o s'insinua e u n a d o m a n d a ronza nella m e n t e degli u o m i n i , vittime e carnefici: «Ma che Dio è, un Dio nel cui n o m e si p o s s o n o c o m m e t t e r e simili massacri e crudeltà, e che li consente?» Se lo c h i e d o n o sia i cattolici che i protestanti. Ed è n a t u r a l e che gli u n i e gli altri siano portati a riconsiderare le rispettive posizioni. Il g r a n d e accusato, in q u e s t o p r o c e s s o , è n a t u r a l m e n t e l ' i n t r a n s i g e n z a . Così Ignazio di Loyola e Calvino si t r o v a n o sullo stesso banco. E la g e n t e si accorge che si somigliano c o m e d u e gocce d'acqua. Q u e s t a n o n è, si capisce, che u n a schematizzazione. Ma il f e n o m e n o , r i d o t t o all'osso, è q u e s t o . D o p o t a n t o s a n g u e , l'Europa cominciava a d o m a n d a r s i , da u n a p a r t e e dall'altra della barricata, se la teologia giustificasse un tale salasso. La p r i m a risposta e r a v e n u t a implicitamente da Erasmo, m a t r o p p o p r e s t o . Per sua disgrazia, i l g r a n d e u m a n i s t a fiammingo aveva lanciato la sua invocazione di pace nel m o m e n t o in cui i furori teologici d i r o m p e v a n o , e la sua voce si era p e r s a n e i c l a m o r i della battaglia che cominciava. Ma p r o p r i o m e n t r e q u e s t a toccava l a sua a c m e nelle g r a n d i g u e r r e della s e c o n d a m e t à del C i n q u e c e n t o fra Riforma e Controriforma, c'era già q u a l c u n o che ne d e n u n c i a v a tutta la futilità. Montaigne, fra gli altri e sugli altri. C h e q u e s t o r i c h i a m o alla m i s u r a e alla saggezza venisse dalla Francia, ha il suo p e r c h é . Diviso fra cattolici e p r o t e stanti, quello e r a a n c h e il Paese che p i ù aveva b i s o g n o di trovare fra di essi un t e r r e n o di conciliazione. E la conciliazione esigeva u n a lotta a f o n d o c o n t r o il fanatismo d e l l ' u n a e dell'altra p a r t e . M o n t a i g n e n o n lo c o m b a t t é di proposito e p e r cosciente calcolo politico. Era, come oggi si direbbe, u n o scrittore «disimpegnato», che n o n si a r r u o l ò 191
sotto n e s s u n a b a n d i e r a . Ma p r o p r i o qui sta il suo valore di esempio, in un m o m e n t o in cui p e r tutta l ' E u r o p a risuonava il g r i d o , il solito g r i d o che d a c c h é m o n d o è m o n d o ann u n z i a i massacri e gli fa da alibi: «Chi n o n è con noi, è cont r o di noi». Montaigne insegnò che si poteva, anzi si doveva, n o n essere con n e s s u n o . E in mezzo a q u e i suoi cont e m p o r a n e i ubriachi di Dio fino al p u n t o di massacrarsi in Suo n o m e gli u n i con gli altri, rispolverò Socrate «che aveva fatto calare la saggezza u m a n a dal cielo, dove s'era persa così a l u n g o , p e r restituirla all'uomo». Non, era né contro i cattolici né c o n t r o i protestanti. Era contro il loro d o g m a t i s m o , cui c o n t r a p p o n e v a il p r o p r i o dubbio. «Non so nulla» diceva con Socrate e P i r r o n e «non so n e m m e n o se abbia r a g i o n e Copernico o Tolomeo. P r o p e n d o per Copernico. Ma può d a r s i c h e di q u i a mille a n n i s c o p r i r e m o c h e avevan t o r t o e n t r a m b i e che questo e n o r m e c o r p o da noi chiamato Mondo è un g e n e r e di cosa assolutamente diversa da quella che tutti crediamo.» Ecco in cosa consiste il suo cosiddetto «scetticismo». Glielo suggerisce la storia d e l l ' u o m o . O g n i volta, dice Montaig n e , questo stupido b i p e d e p r e t e n d e di aver scoperto la Verità e il B e n e definitivi e assoluti; e o g n i volta suo figlio o suo nipote gli d i m o s t r a n o che n o n è vero. Un p o ' di m o d e stia n o n farebbe male. Oltre tutto, essa i m p e d i r e b b e agli uom i n i di a v e r e delle p r o p r i e o p i n i o n i u n ' o p i n i o n e così alta da sentirsi autorizzati ad arrostire coloro che n o n le condiv i d o n o . Richiamo p e r t i n e n t e in quell'epoca di roghi. M o n t a i g n e fu il p a d r e del «memorialismo»: quello che ne d e t t ò il m o d e l l o a Saint-Simon e agli altri. Forse n o n fu un g r a n d e filosofo. Ma molti filosofi del Sei e del Settecento, senza M o n t a i g n e , n o n s a r e b b e r o diventati g r a n d i . Più che all'altezza del p e n s i e r o la sua influenza fu d o v u t a alla perfezione della sua prosa, u n a perfezione assoluta p e r c h é assol u t a m e n t e i m m u n e d a l e t t e r a t u r a . M o n t a i g n e n o n scrive; parla. I suoi Essais (per i quali d a r e m m o a occhi chiusi tutta la p r o d u z i o n e italiana del Seicento, m e n o Galileo) sono u n a 192
c o n v e r s a z i o n e d i r e t t a , i n t i m a , familiare. L e g g e r l o è c o m e a n d a r e a braccetto con lui che ci p a r l a di tutto, ma specialm e n t e di se stesso, e n o n soltanto delle sue idee, ma a n c h e dei suoi personali triboli, in cui riconosciamo i nostri. Il lettore n o n c r e d a che tanta spontaneità fosse un d o n o di natura: n o n Io è mai. Montaigne stesso racconta, r i d e n d o , c o m e nei suoi p r i m i c o m p o n i m e n t i egli si fosse c o m p i a c i u t o di lardellare le sue p a g i n e di svolazzi, ribòboli e soprattutto di citazioni dai classici che fanno tanto «cultura». Poi s'era accorto della pacchianeria di tutto questo, e se n ' e r a liberato, ma n o n senza lotte e difficoltà. «Sentii» dice «di a v e r r a g g i u n t o il vero stile, q u a n d o riuscii a p a r l a r e alla carta come faccio con la p r i m a p e r s o n a che incontro.» Se gli scrittori italiani avessero udito queste parole e ne avessero fatto tesoro, q u a n t i secoli di retorica e di p e d a n t e r i a ci a v r e b b e r o risparmiato! Montaigne ebbe un c o n t i n u a t o r e nel suo amico C h a r r o n il cui trattato Della Saggezza riscosse là p e r là ancora più successo degli Essais. Molto m e n o geniale, vivo, brillante e immediato, C h a r r o n ebbe tuttavia il m e r i t o di d a r e al p e n s i e r o suo (e di Montaigne) u n a q u a d r a t u r a più sistematica. Il fatto di essere un p r e t e n o n gl'impedì di p o r t a r e un colpo decisivo al fanatismo religioso. Cattolico o protestante, egli dice, il fanatismo è soltanto il frutto dell'ignoranza e della p r e sunzione. La Verità n o n la possiede n e s s u n o p e r c h é all'uomo n o n è dato di conoscerla. Chi uccide in n o m e di essa uccide solo p e r le p r o p r i e opinioni, e n o n è che un d e l i n q u e n te. Il vero g a l a n t u o m o , p e r r e s t a r e tale, n o n ha bisogno di c r e d e r e né al p a r a d i s o né all'inferno, che infatti n o n ci sono. Ciò n o n vuol d i r e che le religioni siano infondate. Esse assolvono il prezioso compito di d a r e agli u o m i n i u n a regola di c o n d o t t a m o r a l e , ma nulla di più. E questa proposizione riassume il p e n s i e r o degli scettici in rivolta c o n t r o gli opposti fanatismi. Essi n e g a n o il Cristianesimo come verità rivelata, sia nella sua i n t e r p r e t a z i o n e cattolica c h e in quella p r o t e s t a n t e . L o a c c e t t a n o s o l t a n t o c o m e g u i d a ideale d i 193
u m a n a convivenza. C h e e r a il m o d o più diretto ed efficace di sottolinearne la incompatibilità con le barbarie che in suo n o m e si stavano p e r p e t r a n d o . A o r d i n a r e questo o r i e n t a m e n t o del pensiero in un sistema filosofico coerente fu Descartes, o Cartesio. Lo avevano chiamato Renato, cioè rinato p e r c h é sua mad r e , tubercolosa, lo mise al m o n d o in tali condizioni da far d i s p e r a r e che ci restasse. Solo verso gli otto a n n i la sua salute si normalizzò, tanto che lo misero in un collegio di gesuiti, d o v e tuttavia gli concessero c u r e speciali, fra cui l u n g h i s u p p l e m e n t i di s o n n o la mattina. Si sdebitò di queste indulgenze con lo zelo negli studi. A Poitiers si l a u r e ò in diritto canonico, conobbe l'amore, ci p r o v ò poco gusto; ma frattanto aveva acquistato u n a tale fiducia nelle p r o p r i e forze che si a r r u o l ò nell'esercito olandese p e r la G u e r r a dei T r e n t ' a n ni. Ma a n c h e l'esperienza militare gli p r o c u r ò scarse soddisfazioni, e quasi subito l ' a b b a n d o n ò p e r i n t r a p r e n d e r e un l u n g o viaggio in Italia. In quel m o m e n t o egli si e r a già orientato verso gli studi matematici, o p e r meglio d i r e gli e r a b a l e n a t a l'idea di a p plicare alla filosofia il m e t o d o matematico. A suggerirgliela, egli dice, fu un s o g n o fatto da soldato, m e n t r e d o r m i v a in u n a c a p a n n a della Baviera: lo spirito divino gli a p p a r v e , e gli suggerì la geometria analitica come strada p e r la ricerca del vero. Curioso avvìo p e r un filosofo che doveva affermare i diritti assoluti della R a g i o n e e tacciare di superstizioso pregiudizio tutto ciò che con essa e r a incompatibile. Altrettanto curioso è che, p u r con quella vocazione p e r la matematica, nel passare da Firenze m e n t r e scendeva da Venezia a Roma, n o n andasse a visitare Galileo, di cui n o n poteva i g n o r a r e il n o m e , r e s o o r m a i famoso n o n solo dalle g r a n d i scoperte ad esso legate, ma a n c h e dal processo che aveva fatto sensazione in tutta E u r o p a . Il fatto è c h e il coraggio di Cartesio n o n era p a r i al suo talento. L'uomo n o n voleva storie con la Chiesa, p e r tutta la vita m a n t e n n e un att e g g i a m e n t o filiale verso i gesuiti. E ad ogni m o d o , p e r met194
tersi del tutto al sicuro, n o n solo decise di stabilirsi nella calvinista O l a n d a , ma p e r v e n t i q u a t t r o volte in v e n t ' a n n i vi cambiò domicilio. Problemi di d e n a r o n o n ne aveva, grazie alle cospicue r e n d i t e lasciategli dal p a d r e . Visse s e m p r e com o d a m e n t e in belle case, ma «isolato in mezzo a questo p o p o l o g r a n d e e attivissimo, c o m e n e l p i ù r e m o t o d e s e r t o » . N o n aveva bisogno di c o m p a g n i a : gli bastava quella del suo l i m p i d o cervello i n t e s o a tessere la tela di u n a logica che escludeva tutto ciò che n o n avesse un f o n d a m e n t o razionale, a c o m i n c i a r e dai s e n t i m e n t i . Q u e s t o n o n g l ' i m p e d ì di avere u n ' a m a n t e , m a n o n l a sposò n e m m e n o q u a n d o essa gli d i e d e u n a figlia. A p p r e n d i a m o con un p o ' di s o r p r e s a , ma a n c h e con un c e r t o sollievo, che q u a n d o la b a m b i n a a cinque a n n i morì, egli pianse come un p a d r e qualsiasi, senza chiedersi se le lacrime fossero razionali o n o . Aveva deciso di d a r f o n d o a l l ' u m a n o s a p e r e in t u t t e le sue discipline. Era un t r a g u a r d o irraggiungibile, ma Cartesio fu il p e n s a t o r e che più vi si avvicinò grazie n o n soltanto alla sua forza di lavoro, ma a n c h e al suo o r d i n e . Nel culto dell'orario e c o m e b u r o c r a t e della scrivania, n o n fu da m e no di Aristotele e di Kant. Si rifece dall'inizio con un Discorso sul metodo in cui con meravigliosa chiarezza e in un francese intelligibile a tutti disse cosa voleva fare e c o m e intendeva farlo. Voleva cancellare, disse, dalla lavagna della m e moria tutto ciò che vi avevano scritto gli altri, a cominciare a p p u n t o da Aristotele, c o n s i d e r a t o l'infallibile, la fonte di ogni verità; e p a r t i r e dal d u b b i o su tutto. Subito p e r ò si rese conto che il d u b b i o n o n offre un ubi consistimi su cui si possa costruire qualcosa. Per r a g g i u n g e r e delle certezze, bisogna p u r partire da alcunché di certo. Cartesio, d o p o lungo annaspare, Io trovò nel pensiero. La famosa formula Cogito ergo sum, penso d u n q u e sono, diventò la sua base di partenza, il p u n t o fermo del suo sistema. Gl'intenditori dicono ch'esso n o n aveva nulla di originale p e r c h é è già in Sant'Agostino. C e r t a m e n t e era già implicito in Montaigne, che Cartesio conosceva a fondo. Ma lasciamo queste discus195
sioni da specialisti. La cosa i m p o r t a n t e è che Cartesio affermò quel suo principio n o n come u n a «idea», ma come u n a «esperienza», cioè disse in parole p o v e r e : «Sono sicuro che esisto p e r c h é il fatto che p e n s o me ne dà la dimostrazione». E qui sta l'essenza del suo m e t o d o , che consiste a p p u n t o nel sottop o r r e tutto alla verifica dell'esperimento. N o n seguiremo lo sviluppo del suo p e n s i e r o p e r c h é questo fa p a r t e della storia della filosofia. Ci basta di sottolineare la sua i m p o s t a z i o n e , cioè il rifiuto di o g n i fideismo. Dic e n d o : «Io n o n accetto altre verità che quelle sperimentabili e dimostrabili», Cartesio infligge un colpo mortale al d o g m a e q u i n d i al fanatismo. A l m e n o f o r m a l m e n t e , egli n o n n e g a Dio. Anzi. «Come potrei concepire Dio, se Dio n o n esistesse v e r a m e n t e ? » dice a un c e r t o p u n t o . Ma c'è da chiedersi se queste p a r o l e gli fossero suggerite dalla convinzione o dalla p r u d e n z a . Un eroe, lo a b b i a m o già d e t t o , n o n era; e l'aver p r e s o domicilio in un Paese c o m e l ' O l a n d a n o n lo metteva al r i p a r o dalla persecuzione p e r c h é a n c h e i calvinisti la praticavano. Infatti l'attacco p i ù a s p r o gli v e n n e p r o p r i o da lor o . Un teologo di U t r e c h t lo d e n u n c i ò ai magistrati, i quali lo c o n v o c a r o n o a discolparsi. Cartesio n o n si p r e s e n t ò , ma alcuni suoi amici i n t e r v e n n e r o , e la faccenda si chiuse con un ostracismo alle sue o p e r e . N o n s e n t e n d o s i p i ù a b b a s t a n z a sicuro i n q u e l Paese, t o r n ò in Francia per v e d e r e c o m e vi si mettevano le cose. Il n u o v o re Luigi XIV gli assegnò u n a pensione, che forse l'av r e b b e i n d o t t o a r e s t a r e , se p r o p r i o in quel m o m e n t o n o n fosse scoppiata la g u e r r a civile della Fronda. Cartesio rifece precipitosamente fagotto, e d o p o u n a breve sosta in O l a n d a p r o s e g u ì p e r Stoccolma, dove l'aveva invitato la regina Cristina, la g r a n d e p a t r o n e s s a della c u l t u r a , che voleva le sue lezioni. C a r t e s i o fu o n o r a t o di d a r g l i e n e , ma i m b a r a z z a t o d a l l ' o r a r i o i m p o s t o g l i d a l l ' i m p e r i o s a e i n s o n n e allieva: le cinque del mattino, il che significava p e r lui - che a n c h e in collegio aveva u s u f r u i t o di un s u p p l e m e n t o di s o n n o e di letto - alzarsi alle q u a t t r o e attraversare la città sepolta nella 196
neve. C o m e già e r a successo a Grozio, i suoi fragili p o l m o n i n o n resistettero alla p r o v a , e u n a b r o n c h i t e lo stroncò nell'inverno del 1650. Negli ultimi dieci a n n i egli si e r a dedicato esclusivamente alla scienza, che offriva un t e r r e n o molto p i ù congeniale al suo s p e r i m e n t a l i s m o , e s o p r a t t u t t o alla geometria. Portò a f o n d o i calcoli p e r il r a d d o p p i o del c u b o e la trisezione dell'angolo, e dette avvìo a quelli del calcolo infinitesimale. Aveva trasformato la casa in un laboratorio p i e n o di aggeggi - pule, r u o t e , m o r s e , torni - costruiti con le p r o p r i e mani. Studiava l'angolo di rifrazione della luce, operava dissezioni di animali p e r r e n d e r s i conto della loro anatomia, e a un visitatore che gli chiedeva d o v ' e r a la sua biblioteca m o strò un q u a r t o di b u e a p p e s o alla p a r e t e p e r dire che la sua c u l t u r a e r a negli e s p e r i m e n t i , n o n nei libri. Diceva a n c h e delle sciocchezze, c o m e q u a n d o n e g ò l'esistenza del vuoto, s o s t e n e n d o ch'esso era solo nella testa del suo p i ù giovane rivale Pascal. Ma molte sue scoperte r i m a n g o n o f o n d a m e n tali, a n c h e n e l c a m p o della fisica e della fisiologia. T u t t o s o m m a t o , c'è qualcosa di v e r o nel giudizio che di lui, d o p o morto, diede Fontenelle: «Proprio applicando le regole ch'egli ci ha fornito possiamo v e d e r e q u a n t o di falso o arbitrario ci sia nella sua filosofia, molto m e n o valida della sua g e o m e t r i a . Ma Cartesio ci ha i n s e g n a t o un m e t o d o , anzi il m e t o d o del r a g i o n a m e n t o » . È p r o p r i o così. Cartesio n o n conta t a n t o p e r le sue scoperte, q u a n t o p e r quelle ch'egli ha p e r m e s s o di fare ai suoi successori, indicandogliene la strada. Egli v e r a m e n t e liberò la filosofia da quella specie di t e r r o r i s m o aristotelico che fin lì l'aveva paralizzata. D'allora in poi fu m o l t o p i ù diffìcile i m p o r r e c e r t e a s s u r d i t à sulla base dell'Ipse dixit, cioè solo p e r c h é le aveva dette Aristotele o - c o m e p i ù f r e q u e n t e m e n te avveniva - a lui e r a n o attribuite. O r a la ragione affermava i suoi diritti a n c h e su di lui.
CAPITOLO DICIOTTESIMO
LA RIVOLTA DELLA SCIENZA
A b b i a m o visto Cartesio a l m a n a c c a r e n e l suo d o m e s t i c o laboratorio con lenti, torni e bisturi. C o n quegli aggeggi, aveva fatto molte scoperte, e n o n trascurabili, nel c a m p o della Scienza. E p p u r e , m a l g r a d o il giudizio di F o n t e n e l l e , egli n o n era stato un vero u o m o di Scienza. Di essa si era servito soltanto p e r sviluppare il p r o p r i o m e t o d o ; ma il fine p e r lui restava la filosofia. E in questo, egli era a n c o r a un u o m o del Rinascimento, che alla Scienza riconosceva soltanto un rango subalterno. Infatti il p i ù g r a n d e cultore della Scienza rinascimentale era stato L e o n a r d o che p u r con tutte le sue illuminazioni, faceva della Scienza un hobby. Solo nella s e c o n d a m e t à d e l C i n q u e c e n t o la Scienza comincia a ribellarsi a q u e s t a squalifica. A n c h e qui la spinta v e n n e d a u n a r e a z i o n e : l a r e a z i o n e alle s u p e r s t i z i o n i c h e p u l l u l a v a n o in t u t t o il m o n d o . Il t e r r o r e delle s t r e g h e e r a soltanto la più diffusa e pericolosa. Ma ce n ' e r a di o g n i gen e r e , forse di p i ù che nei p i ù b u i secoli del M e d i o Evo. In I n g h i l t e r r a il B r o w n e ne r i e m p ì un elenco di 6 5 0 p a g i n e , m o s t r a n d o c i in q u a l e g i u n g l a di t e r r o r i e di esorcismi si svolgeva la vita di q u e i n o s t r i p r o g e n i t o r i . Essi d o v e v a n o passare g r a n p a r t e delle loro giornate a difendersi dai diavoli, fantasmi, spiriti, j e t t a t o r i , «untori» dai quali si sentivan o p e r p e t u a m e n t e insidiati r i c o r r e n d o a s c a r a m a n z i e , astrologi, c a r t o e c h i r o m a n t i , a m u l e t i , m i n e r a l i , p i a n t e . E tutto questo n o n era prerogativa solo della gente semplice e i g n o r a n t e . Lo stesso re G i a c o m o I pubblicò u n a Demonologia, in cui con la massima serietà si attribuiva a certe persone il p o t e r e di s e m i n a r e il malocchio, di trasferire le malat198
rie da un c o r p o all'altro, di p r o v o c a r e t e m p e s t e , e si affermava il diritto di c o n d a n n a r e a m o r t e questi agenti del demonio. L ' I n g h i l t e r r a e r a forse u n o dei casi-limite di q u e s t o van e g g i a m e n t o , e quindi è n a t u r a l e che p r o p r i o lì la reazione si manifestasse con più vigore. Ma vi c o n c o r r e v a a n c h e un altro m o t i v o : lo s v i l u p p o della c u l t u r a sotto gli stimoli e gl'impulsi che aveva ricevuto dalla g r a n d e Elisabetta. Q u e sta c u l t u r a p r o g r e d i v a in tutti i c a m p i , ma r e s t a n d o fedele alle caratteristiche che la stessa situazione economica e politica del Paese esigeva: la concretezza e la praticità. L'Inghilt e r r a e r a i m p e g n a t a in u n a lotta p e r la vita e p e r la m o r t e . Doveva difendersi da d u e Potenze molto più forti di essa, la S p a g n a e la Francia. Le sue e n e r g i e creative n o n p o t e v a n o q u i n d i distrarsi nel Bello, c o m e q u e l l e degl'italiani d e l Rinascimento che non avevano u n a nazione da difendere p e r c h é n o n lo e r a n o . Dovevano concentrarsi sull'Utile: istallare industrie, costruire flotte, fabbricare cannoni. E quindi e r a n o attirate soprattutto dalla Scienza. L'uomo che riassume nel suo n o m e il genio inglese fra il Cinque e il Seicento, e lo illumina, è u n a di quelle figure che s e m b r a n o confezionate apposta dal b u o n Dio p e r gettare lo scompiglio nelle n o s t r e idee p r e c o n c e t t e . R a r a m e n t e il talento e la canaglieria si sono così felicemente sposati c o m e in Francesco B a c o n e . Dei vizi che lastricano l'inferno n o n gliene m a n c a v a n e s s u n o , dalla omosessualità all'arrivismo alla l a d r o n e r i a . Ma n o n gli m a n c a v a n e m m e n o n e s s u n a di quelle virtù che s p i a n a n o la s t r a d a alla g r a n d e z z a . Si servì dei d e n a r i della moglie p e r far carriera e u n a volta r a g g i u n to il vertice di P r i m o Ministro, si servì della carica p e r fare altri d e n a r i . V e n d e v a le s e n t e n z e , accettava b u s t a r e l l e da c h i u n q u e e in m a n i e r a così sfacciata che alla fine il Parlam e n t o si ribellò e lo mise sotto processo. Bacone riconobbe tutte le p r o p r i e malversazioni e peculati, ma se ne giustificò dicendo che, a n c h e d o p o aver intascato le bustarelle, aveva colpito c o l o r o c h e gliele a v e v a n o d a t e . A c o m m e n t o della 199
c o n d a n n a al carcere che il tribunale gli aveva inflitto, scrisse p i ù tardi: «E stata la p i ù giusta sentenza che il P a r l a m e n t o abbia e m e s s o negli u l t i m i d u e c e n t o a n n i . E p p u r e i o sono stato il p i ù giusto m a g i s t r a t o c h e l ' I n g h i l t e r r a abbia avuto negli ultimi cinquanta». La p e n a gli fu a b b u o n a t a dal Re che aveva un debole per questo suo ministro mariuolo. «Se dovessi p u n i r e tutti quelli che p r e n d o n o mance, non mi rimarrebbe n e m m e n o un suddito» disse quel s o v r a n o che p r e n d e v a le m a n c e a n c h e lui. E mai indulgenza si d i m o s t r ò così b e n e investita. Ricco e libero da i m p e g n i di lavoro e ambizioni di carriera, Bacone p o t è d e d i c a r s i i n t e r a m e n t e allo s t u d i o . N o n gli m a n c a v a nulla p e r grandeggiarvi, n e m m e n o l'immodestia. Nella p r e fazione alla sua p r i m a o p e r a , La grande Restaurazione, scriveva: «Bacone di Verulamio ritiene che sia nell'interesse della p r e s e n t e e delle future generazioni ch'esse siano e d o t t e dei suoi pensieri». E p e r u n a volta tanto la p r e s u n z i o n e n o n fu la m a d r e di un i n g a n n o . Il suo dichiarato p r o p o s i t o e r a di «provare tutto di n u o v o p e r d a r e inizio a u n a ricostruzione totale delle scienze e di t u t t o il s a p e r e u m a n o » . A n c h e lui d u n q u e , c o m e Cartesio, avrebbe fatto tabula rasa di tutte le c r e d e n z e fin allora accettate p e r sostituirle c o n quelle dimostrabili p e r via di e s p e r i m e n t o , e da q u e s t e risalire alle verità generali ed e t e r n e della Filosofia. Noi possiamo s o r r i d e r e di questa p r e t e s a di abbracciare tutto lo scibile. Ma, a p a r t e il fatto che lo scibile di allora n o n e r a così vasto e a p p r o f o n d i t o c o m e quello d ' o g g i c h e costringe alla specializzazione, ciò che di Bacone conta c o m e di Cartesio, è il m e t o d o ch'egli i n t r o d u c e . C o n t r o il sistema aristotelico invalso fin allora, Bacone insegna agli u o m i n i a p r o c e d e r e n o n dall'idea al f e n o m e n o , ma dal f e n o m e n o all'idea. Egli dice: «Se voglio avere u n ' i d e a dell'aria, devo prima sapere come e di cosa l'aria è fatta. E p e r questo il sillogismo astratto di Aristotele n o n mi serve. Mi serve solo l'es p e r i m e n t o c o n c r e t o N o n è la filosofia che mi p e r m e t t e di capire le cose. E lo studio e la c o m p r e n s i o n e delle cose che 200
in seguito mi p e r m e t t e r a n n o di f a r m e n e u n a r a p p r e s e n t a zione filosofica». Noi oggi s a p p i a m o quale illusione sia alla base di u n a simile i m p o s t a z i o n e e quali insidie essa n a s c o n d a . Ma p e r i nostri a n t e n a t i del Seicento si trattava di u n a conquista ass o l u t a m e n t e rivoluzionaria p e r c h é , l i b e r a n d o l a dal vassallaggio alla filosofia, conferiva alla Scienza u n a sua i n d i p e n d e n t e d i g n i t à . E infatti Dignità e progresso delle Scienze intitolò Bacone u n a delle sue successive o p e r e . Era un b a n do di mobilitazione, un appello agl'intellettuali per u n a crociata del s a p e r e n o n p i ù a t t r a v e r s o i libri e s e c o n d o le f o r m u l e e i d e t t a m i di Ille Philosophus, c o m e a n c o r a si seguitava a c h i a m a r e Aristotele s o t t i n t e n d e n d o c h e l'unico depositario della verità era lui; ma attraverso la s p e r i m e n tazione. G u a r d a t e v i i n t o r n o , dice Bacone. «L'uomo, essendo il servitore e l ' i n t e r p r e t e della N a t u r a , p u ò fare e comp r e n d e r e solo in r a p p o r t o e l i m i t a t a m e n t e a q u a n t o abbia o s s e r v a t o n e l c o r s o della N a t u r a . O l t r e d i esso, n é s a n é p u ò fare alcunché.» In p a r o l e p o v e r e : lo scienziato è u n a p e r s o n a seria; il filosofo, che dalla scienza n o n p r o c e d a , è u n ciarlatano. Polemicamente, in c o n t r a p p o s t o all'Organon di Aristotele, egli c h i a m ò Novum Organon la sua o p e r a p r i n c i p a l e . E a n n u n z i a n d o l a agli amici, disse con la sua solita modestia: «Ho l'impressione che questo libro d u r e r à finché d u r a n o i libri». Ma n e a n c h e stavolta la p r e s u n z i o n e fu m a d r e d'ing a n n o . Più che d a r e all'umanità un p e n s i e r o n u o v o , Bacone disintossica quello vecchio di tutti i t a b ù e idoli e feticci che lo impacciavano e paralizzavano. Ma n o n c'è d u b b i o che da lui p r e n d o n o avvìo t u t t e le scuole filosofiche m o d e r n e , anche quelle che poi g i u n g e r a n n o a conclusioni antitetiche alle sue. Egli sottrae l'uomo alle tentazioni della metafisica e gli dice: «Il t u o r e g n o è la n a t u r a . C o n t e n t a t i di c a p i r e le leggi che la r e g o l a n o » . A n c h e lui, c o m e Socrate e M o n t a i gne, ritrasferisce sulla t e r r a la saggezza che si e r a così a lungo persa nel cielo. 201
Lavorò fino all'ultimo giorno nella sua lussuosa villa circ o n d a t a da u n o s t u p e n d o parco e accudita da u n o stuolo di servi e s e g r e t a r i . Fra q u e s t i ultimi c'era un c e r t o T h o m a s Hobbes, di cui u d r e m o riparlare. A chi gli diceva che quella vita da g r a n signore n o n s'intonava alla sua attività di filosofo, r i s p o n d e v a : «Non capisco p e r c h é il talento d e b b a indossare vesti sdrucite». Era un u o m o felice. N o n aveva d u b bi su nulla, n e a n c h e sui suoi vizi che seguitò a praticare senza scrupoli né rimorsi, e tanto m e n o sulla sua priorità nella scala dei geni passati e presenti. Forse s e g r e t a m e n t e credeva di essere esente dalla fatalità biologica della m o r t e sicché n o n si a l l a r m ò q u a n d o , a s e s s a n t a c i n q u e a n n i , fu colto da u n a b r o n c h i t e . Laveva presa p e r r i e m p i r e di neve un pollo e v e d e r e q u a n t o il ghiaccio ne avrebbe ritardato la putrefazione. «L'esperimento è riuscito perfettamente» scrisse a un amico: «il pollo è rimasto fresco e conto di m a n g i a r l o d o m a ni.» Ma l'indomani era m o r t o . Il suo c o m p a t r i o t a P o p e lo definì «il più sapiente, il più geniale, il p i ù m e s c h i n o degli uomini». Meschino, n o . N o n lo e r a n o stati n e m m e n o i suoi difetti. Anche c o m e canaglia, era stato un colosso. Per c o r r e r dietro a Bacone - personalità t r o p p o p o t e n t e p e r poterle resistere - abbiamo un po' p e r s o il filo del nostro discorso. R i p r e n d i a m o l o , d u n q u e . Montaigne col suo scetticismo, Cartesio col suo razionalismo, Bacone col suo e m p i r i s m o (anche se questo t e r m i n e fu c o n i a t o p i ù tardi) p o r t a v a n o un attacco c o n c e n t r i c o sia al d o g m a t i s m o cattolico che a quello p r o t e s t a n t e p r o p r i o nel m o m e n t o in cui la G u e r r a dei T r e n t ' a n n i ne d o c u m e n t a v a le t r a g i c h e c o n s e g u e n z e . Ciò n o n vuol d i r e ch'essi e b b e r o subito partita vinta, e che di colpo tutto il pensiero e u r o p e o si o r i e n t ò sul loro i n s e g n a m e n t o ed e s e m p i o . N o n ci stanc h e r e m o mai di m e t t e r e in g u a r d i a il l e t t o r e dalle n o s t r e stesse schematizzazioni. Noi ce ne s e r v i a m o solo p e r p e r m e t t e r g l i di c a p i r e le p i ù i m p o r t a n t i direttrici di m a r c i a 202
ideologica di quel p e r i o d o . Chi voglia più a fondo indagarne la complicata matassa, si rivolga a qualche storia della filosofia c o m e quella del Russell. Ma il senso f o n d a m e n t a l e è quello che a b b i a m o d e t t o : la crisi di stanchezza e q u i n d i la reazione d e l l ' E u r o p a ai «sacri macelli» di cui è stata vittima p e r quasi un secolo. Questi macelli sono stati p e r p e t r a t i in n o m e di Dio, o p e r meglio d i r e di d u e diverse i n t e r p r e t a zioni di Dio, e h a n n o trovato alimento nel furore teologico. Per p o r v i fine e p r e v e n i r n e degli altri, b i s o g n a b a t t e r e in breccia la teologia d i s t r a e n d o l ' u o m o dalla c o n t e m p l a z i o n e del cielo, dove esso n o n sembra trovare altra ispirazione che a g u e r r e e persecuzioni, p e r r i p o r t a r n e l'attenzione sul suo r e g n o : la N a t u r a . Q u e s t o è il t e m a che p r o p o n g o n o ai loro c o n t e m p o r a n e i l e d u e più g r a n d i voci del t e m p o , specialm e n t e Bacone. E questo tema è l'invito alla Scienza p e r c h é la Scienza è a p p u n t o lo studio della N a t u r a . Si capisce che di voci ce ne sono a n c h e altre, e discordanti. Ma quelle che meglio i n t e r p r e t a n o il m o m e n t o storico sono q u e s t e . Esse s u s c i t a r o n o u n ' e c o p r o f o n d a a n c h e i n Italia, m a p e r altri motivi. E l t a l i a e r a stata il principale t e a t r o dei g r a n d i conflitti di p o t e n z a fra Asburgo s p a g n o l i e Valois francesi. Ma dal trattato di Cateau-Cambrésis, cioè dal 1559 in poi, il dominio spagnolo l'aveva t e n u t a al r i p a r o dalle lotte di religione e s t e r n e e i n t e r n e . All'esterno, solo le flotte di Venezia e di Genova e r a n o state i m p e g n a t e a L e p a n t o . All'interno, la m a n c a n z a d i sostanziosi m o v i m e n t i p r o t e s t a n t i n o n aveva offerto p r e t e s t o a massicce persecuzioni. C ' e r a stato il m o struoso massacro dei d u e m i l a valdesi di Calabria. C ' e r a n o stati altri processi e roghi. Ma in confronto a q u a n t o accadeva in Francia e G e r m a n i a , l'Italia sembrava un'oasi di pace: a n c h e l a G u e r r a dei T r e n t ' a n n i n o n l'aveva c h e m a r g i n a l m e n t e sfiorata. Da noi quindi la fuga dalla teologia n o n derivava dall'abuso che se n'era fatto e dagli eccessi che aveva provocato. Veniva soltanto dai rigori inquisitoriali della Controriforma. Ann u s a n d o p u z z o di eresia in ogni speculazione filosofica che 203
n o n fosse s c r u p o l o s a m e n t e ortodossa, il T r i b u n a l e del Sant'Uffizio dirottava le menti verso la Scienza sperimentale, ma p o n e n d o loro un limite b e n preciso. Sia nella fisica che nella matematica, nella meccanica, nell'astronomia, gl'italiani furono i più g r a n d i «specialisti» di questo periodo. Ma i loro studi restavano delle costruzioni senza tetto, p e r c h é dalle leggi che via via scoprivano essi n o n p o t e v a n o risalire all'idea generale cioè all'idea filosofica, che p e r forza di cose li avrebbe messi in contrasto col d o g m a e fatti cadere sotto le grinfie dell'Inquisizione. Lo d i m o s t r e r à Galileo. Ma p r i m a di lui lo d i m o s t r a r o n o a n c h e degli altri che, p u r n o n v e n e n d o dalla Scienza, c e r c a r o n o di battere in breccia tutta la tradizionale impalcatura su cui la Chiesa sorreggeva il suo castello di verità rivelate a furia di Aristotele e di terrorismo persecutorio. Il p r i m o era stato B e r n a r d i n o Telesio, a u t o r e di u n a De rerum natura, di cui il titolo basta a chiarire gli orientamenti. Telesio era un calabrese di Cosenza che, d o p o aver insegnato a Padova p e r dieci a n n i , t o r n ò nella sua città natale e vi fondò u n a scuola destinata a d a r e b u o n i frutti. Lo dimostra il fatto che meridionali e più o m e n o influenzati da lui sono tutti i pochi pensatori italiani di questo p e r i o d o . Telesio ebbe u n a vita tribolata da mille guai. Per lo studio trascurò il p a t r i m o n i o lasciatogli dal p a d r e , fu s e m p r e a corto di soldi, ebbe un figlio assassinato. Ma gli toccò a n c h e la fortuna di restare al r i p a r o dai furori inquisitoriali. Anzi, Pio IV gli offrì a d d i r i t t u r a l'Arcivescovato di Cosenza. Telesio, ch'era un g a l a n t u o m o , lo p r e g ò di darlo a suo fratello. Telesio d ' a l t r o n d e si g u a r d ò b e n e dal disturbare la Chiesa. N o n discusse l'autorità sovrana di Aristotele nel c a m p o delle idee, anzi le rese o m a g g i o i n c o n d i z i o n a t o . Si limitò a dire che la N a t u r a è regolata da leggi che h a n n o in se stesse il loro principio e il loro fine e che p e r t a n t o v a n n o indagate senza r i f e r i m e n t i al t r a s c e n d e n t e . Q u e s t a discriminazione gli permise di c a m p a r e p o v e r o , sì, ma indisturbato fino agli o t t a n t ' a n n i facendo dell'«Accademia Cosentina» u n centro culturale di g r a n richiamo p e r tutto il Sud Italia. 204
Non sappiamo se il B r u n o lo conobbe p e r c h é q u a n d o a n d ò a Padova, Telesio l'aveva già lasciata da parecchi anni. Ma c e r t a m e n t e vi trovò i semi del suo i n s e g n a m e n t o e se ne alimentò, sebbene la personalità di B r u n o fosse t r o p p o p r e p o t e n t e e disordinata p e r accettare u n a scuola e i n q u a d r a r visi. Di lui abbiamo già detto ne L'Italia della Controriforma, e n o n v o g l i a m o r i p e t e r c i . R i c o r d e r e m o solo che il Seicento s'inaugurò a p p u n t o col r o g o di B r u n o , eloquente a m m o n i m e n t o agl'intellettuali italiani. Si c o n v e r t i s s e r o p u r e alla Scienza, diceva l'Inquisizione. Ma n o n p r e t e n d e s s e r o d'ind u r n e u n a n u o v a filosofia in contrasto con quella tradizionale di Aristotele e dei Padri della Chiesa. Guai a chi avesse violato questo offlimits. Giulio C e s a r e Vanini lo fece forse senza a c c o r g e r s e n e . Aveva quindici a n n i q u a n d o B r u n o salì sul patibolo, e a n che lui era un meridionale di Taurisano in quel di Lecce. Si era laureato in medicina, ma poi era e n t r a t o nei carmelitani e aveva g i r o v a g a t o n e i Paesi r i f o r m a t i del N o r d - E u r o p a . Convinzioni molto salde n o n doveva a v e r n e p e r c h é i n I n ghilterra si convertì alì'anglicanismo, ma d o p o t o r n ò al cattolicesimo. Forse, c o m ' e r a stato a n c h e p e r B r u n o , gli u m o r i in lui e r a n o più forti delle idee e lo p o r t a v a n o a litigare con tutti. Lo p u n g o l a v a n o delle ambizioni molto più g r a n d i del suo i n g e g n o , c h ' e r a in realtà assai modesto. Accanto a qualche s o r p r e n d e n t e i n t u i z i o n e c o m e quella che l ' u o m o i n origine era stato un q u a d r u p e d e , i suoi libri sono u n a cattiva antologia d'idee raccattate un po' d a p p e r t u t t o . A Praga, una delle tante t a p p e del suo inquieto e rissoso vagabondare, Vanini suscitò i sospetti dell'Inquisizione, e p e r sottrarvisi si rifugiò a Tolosa sotto falso n o m e . Per un p a i o d'aniri riuscì a viverci abbastanza t r a n q u i l l a m e n t e i n s e g n a n d o . Ma uno dei suoi allievi riferì c h e nelle sue lezioni egli n e g a v a non soltanto la divinità di Cristo, ma a n c h e l'esistenza di un Dio individuato. Gli misero accanto un provocatore p e r ind a g a r n e il p e n s i e r o e gli o r i e n t a m e n t i . Era difficile v e n i r n e capo p e r c h é Vanini n o n e r a i n q u a d r a b i l e in n e s s u n coea
205
r e n t e sistema. Egli riecheggiava soltanto, e confusamente, la g r a n d e rivolta dello scetticismo e dello scientismo, c h ' e r a nell'aria d o v u n q u e , c o n t r o la teologia. Ma in quei t e m p i di furori persecutori ce n ' e r a d'avanzo p e r incriminarlo. Convocato davanti al tribunale p e r ateismo e bestemmia, Vanini d a p p r i m a cercò di r e s p i n g e r e gli addebiti protestando la p r o p r i a fede in Dio e nei d o g m i della Chiesa. Ma q u a n d o si vide p e r d u t o , accettò con coraggio la p r o p r i a sorte. E al m o m e n t o di avviarsi al patibolo dove gli a v r e b b e r o tagliato la lingua p r i m a di strangolarlo e bruciarlo, p a r e che abbia d e t t o : «Andiamo a l l e g r a m e n t e a m o r i r e da filosofo». Aveva ragione p e r c h é , a n c h e se filosofo n o n era, lo diventò grazie a quel supplizio che fece di q u e s t ' u o m o di pochi pensieri un m a r t i r e della libertà di pensiero.
CAPITOLO DICIANNOVESIMO
GALILEO
Il C i n q u e c e n t o , lo abbiamo già detto, era stato più il secolo degli artisti e dei letterati che degli scienziati, specialmente in Italia. Ma fu p r o p r i o in questo p e r i o d o che fra le m a n i di L e o n e X, il g r a n d e Medici, capitò un libriccino intitolato Piccolo commentario che p r e a n n u n c i a v a u n a delle p i ù g r a n d i scoperte scientifiche di tutti i tempi, e forse la più g r a n d e di tutte: la scoperta cioè che il centro dell'Universo n o n e r a la Terra, ma il Sole. N o n si trattava di u n a novità assoluta. Già nell'antichità alcuni a s t r o n o m i greci c o m e Filolao e Aristarco di S a m o avevano avanzato ipotesi a n a l o g h e . Ma n o n si trattava a p p u n t o che d'ipotesi senz'appoggio di dati che le convalidassero. Esse n o n a v e v a n o resistito alle confutazioni di Tolomeo d'Alessandria, che nel secondo secolo d o p o Cristo aveva formulato la cosiddetta teoria «geocentrica» che restituiva alla T e r r a la sua posizione di fulcro dell'Universo c o m e dice la Bibbia: teoria che, a p p u n t o dal n o m e del suo a u t o r e , si chiamò «tolemaica». E p e r più d ' u n millennio n e s s u n o l'aveva più rimessa in discussione. Solo nel Q u a t t r o c e n t o q u a l c u n o ricominciò ad a v a n z a r e dei d u b b i . Nicola da Cusa disse che, s e c o n d o lui, la T e r r a n o n stava ferma, ma si m u o v e v a insieme a tutti gli altri astri del firmamento. E il solito L e o n a r d o , che con le sue intuizioni anticipava s e m p r e le scoperte degli altri, aggiunse che a star fermo e r a il Sole, m e n t r e la T e r r a n o n e r a il c e n t r o di nessun sistema. Tutto questo p e r ò era detto c o m e lo dicevano i greci, cioè sempre c o m e ipotesi basate più su impressioni che su osser207
vazioni ed e s p e r i m e n t i . M e n t r e il Commentario a d d u c e v a a s o s t e g n o della teoria «eliocentrica», cioè quella c h e fa del Sole il c e n t r o d e l l ' U n i v e r s o , calcoli, dati, rilievi, i n s o m m a un vero e p r o p r i o c o r r e d o scientifico. Il suo a u t o r e , Nicola Copernico, era un polacco che aveva fatto studi seri a Bologna sotto la g u i d a d ' u n maestro italiano, Domenico da Novara. P u r senza sostenere la dottrina eliocentrica, costui criticava quella geocentrica t r o v a n d o l a d e l t u t t o insoddisfacente. C o p e r n i c o aveva fatto t e s o r o di quegli i n s e g n a m e n t i e li aveva a p p r o f o n d i t i p e r suo conto a n c h e d o p o esser t o r n a t o nei Paesi suoi a fare il p r e t e . Quel p r o b l e m a lo turbava p r o f o n d a m e n t e p e r c h é capiva q u a n t o l'eliocentrismo fosse incompatibile con le Sacre Scritture. E infatti q u a n d o L u t e r o e Calvino videro il suo Commentario, r e a g i r o n o con furore tacciandolo di «follia» e di «empio attentato contro il Verbo di Dio». Papa Leone invece vi si era vivamente interessato perché a lui delle Sacre Scritture importava poco. L'incredulità lo rendeva molto più tollerante dei d u e capi della Riforma. E forse, se n o n si fosse trovato coinvolto nel turbine dello scisma, avrebbe fornito aiuti e incoraggiamenti a Copernico che ne aveva urgente bisogno. Era rimasto infatti amareggiato dagli anatemi protestanti, aveva deciso di abbandonare gli studi, e solo le insistenze di un suo amico matematico glieli fecero r i p r e n d e r e . Così compose il Primo libro delle rivoluzioni, che vide la luce proprio lo stesso giorno (24 maggio 1543) in cui l'autore entrava nel buio della morte. Ebbe a p p e n a il t e m p o di palparne la copertina, e chiuse gli occhi contento. Ne aveva di che. Il libro e r a z e p p o di e r r o r i , a n c h e m a r c h i a n i : fra cui quello che il Sole è il centro di tutto l'Universo e sta fermo. Conserva, di Tolomeo, u n a cervellotica e macchinosa farragine di «sfere», «cicli», «epicicli», eccetera. Ma p e r la p r i m a volta, n o n p i ù c o m e ipotesi basata solo sull'intuizione, ma c o m e teoria poggiata sull'osservazione e il calcolo, d e g r a d a la T e r r a da c e n t r o del C r e a t o a suo periferico f r a m m e n t o , con tutte le conseguenze che ne derivano. 208
E le c o n s e g u e n z e e r a n o catastrofiche, s p e c i a l m e n t e p e r la teologia. Cattolica o protestante, essa p o n e a f o n d a m e n t o della sua costruzione la p r e m e s s a che tutto è stato creato in funzione d e l l ' u o m o . L'unico p u n t o sul quale tutte le Chiese sono d'accordo è il conferimento all'uomo di questa s u p r e ma dignità. Tutto ciò che l ' O n n i p o t e n t e ha fatto, lo ha fatto per l'uomo, dandogli in appalto il centro immobile di un Cosmo che r u o t a i n t o r n o a lui. Q u e s t a è l'architrave di ogni religione cristiana, anzi di ogni religione allora nota p e r c h é a n c h e quella e b r a i c a e m u s s u l m a n a p a r t o n o dalla stessa pregiudiziale. Sopra l ' u o m o c'è il paradiso, sotto l ' u o m o c'è l'inferno: tutto, confezionato p e r lui. Il crollo di questo sistema p o n e alla m e n t e d o m a n d e terribili. Se il suo abitacolo n o n è c h e un f r a m m e n t o relegato alla periferia del Creato, che f o n d a m e n t o ha la pretesa dell ' u o m o di c o n s i d e r a r s e n e il c e n t r o ? E p e r c h é il S i g n o r e a v r e b b e m a n d a t o suo Figlio a m o r i r e p r o p r i o su q u e s t a scheggia p e r s a tra le tante che p o p o l a n o l'infinito? E il Cielo dove sta, in questa n u o v a concezione che abolisce il criterio stesso di sopra e di sotto, lasciando il nostro pianeta a r u o t a r e in u n o sterminato vuoto i n t o r n o a se stesso e ad altri corpi? Tutte le p i ù radicate certezze su cui l ' u o m o ha costruito la p r o p r i a vita e c r e d u t o d ' i n t e r p r e t a r e la p r o p r i a missione e il p r o p r i o d e s t i n o , e s c o n o sconvolte dalla n u o v a t e o r i a . Scrisse G e r o l a m o Wolf, i n o r r i d i t o : « L ' i n t e r p r e t a z i o n e cristiana del m o n d o n o n ha mai subito un attacco più pericoloso di questo». Ma a r e n d e r s e n e c o n t o , lì p e r lì, f u r o n o in p o c h i . E fra questi n o n ci fu p e r esempio n e a n c h e il p a p a Paolo I I I , cui C o p e r n i c o aveva dedicato il suo libro, e v i d e n t e m e n t e nella s p e r a n z a di m e t t e r s i al r i p a r o da accuse di eresia. E c'era, per il m o m e n t o , riuscito. Ancora q u a r a n t a n n i d o p o la m o r te dell'astronomo, il vescovo K r o m e r fece elevare un m o n u m e n t o sulla sua t o m b a nella c a t t e d r a l e di F r a u e n b u r g . La Chiesa n o n aveva afferrato le implicazioni e le c o n s e g u e n z e d i quella r i v o l u z i o n a r i a s c o p e r t a p e r c h é , t u t t o s o m m a t o , 209
n o n ci credeva: seguitava a considerarla u n a semplice congettura, u n a specie di balocco p e r intellettuali in vena di originalità. N o n c'è da stupirsene p e r c h é n o n ci c r e d e v a n o n e a n c h e gli a s t r o n o m i . Il l o r o p i ù a u t o r e v o l e e s p o n e n t e , Tycho B r a h e , e r a un nobile d a n e s e nato tre a n n i d o p o la m o r t e di C o p e r n i c o , e p i e n o di soldi e di bizzarrìe. Portava un naso artificiale d ' o r o p e r c h é quello vero l'aveva p e r s o in un duello. Aveva sposato u n a c o n t a d i n e l l a c o n g r a n s c a n d a l o dei suoi p a r i , e aveva investito tutto il p a t r i m o n i o nella costruzione di un o s s e r v a t o r i o . Ci r i m a s e v e n t ' a n n i a s c r u t a r e il cielo. Lo scrutava come poteva p e r c h é il telescopio n o n era stato a n c o r a i n v e n t a t o . M a q u e s t o n o n g l ' i m p e d ì d i raccogliere un materiale che batteva ogni p r i m a t o p e r ricchezza e precisione di dati. Scoprì le variazioni del m o t o della luna, la n a t u r a delle comete e i loro tracciati orbitali, la rifrazione della luce. I n s o m m a era, m a l g r a d o il naso, u n o studioso serio che lasciò alla Scienza un prezioso p a t r i m o n i o di accert a m e n t i e le a p r ì molte s t r a d e . Ma rifiutava C o p e r n i c o . La terra, p e r lui, restava il centro del Creato. Fra gli allievi che gli s'erano r a d u n a t i i n t o r n o , c'era anc h e un giovane p r o t e s t a n t e tedesco che si e r a cacciato nei guai coi suoi correligionari p e r c h é in un libriccino aveva sostenuto la d o t t r i n a di Copernico. Si chiamava Giovanni Kep l e r o . N o n o s t a n t e l a sua d i v e r g e n z a dalle p r o p r i e i d e e , B r a h e , c h e f r a t t a n t o si e r a trasferito a P r a g a , capì c h e in quel ragazzo c'era qualcosa, e ne fece p r i m a il suo assistente e poi il p r o p r i o successore. L'eredità consisteva soltanto negli studi e nei calcoli del m a e s t r o . K e p l e r o , che n o n era ricco, anzi e r a poverissimo, n o n p o t è c o m p r a r e gli s t r u m e n t i p e r a p p r o f o n d i r l i . E dovette c o n t e n t a r s i di m e d i t a r c i s o p r a . Ma lo fece così a fond o , c h e d a q u e i dati riuscì a r i c a v a r e u n a s c o p e r t a fondam e n t a l e : la s c o p e r t a c h e l'orbita di M a r t e a t t o r n o al Sole n o n è u n c e r c h i o , c o m e aveva c r e d u t o C o p e r n i c o , m a un'ellissi. Subito si chiese se n o n fossero ellittiche t u t t e le 210
orbite p l a n e t a r i e , c o m p r e s a quella della T e r r a . Si p r o v ò a fare i calcoli sui dati di B r a h e . T o r n a v a n o . E allora e n u n c i ò le t r e f a m o s e «leggi di K e p l e r o » . P r i m o : o g n i p i a n e t a si m u o v e s e g u e n d o u n ' o r b i t a ellittica di cui u n o dei fuochi è il Sole. S e c o n d o : il m o v i m e n t o è p i ù r a p i d o q u a n d o il pian e t a è vicino al Sole, p i ù lento q u a n d o è l o n t a n o . Terzo: il q u a d r a t o del t e m p o di rivoluzione di un p i a n e t a i n t o r n o al Sole è p r o p o r z i o n a l e al c u b o del g r a n d e asse dell'ellissi da lui descritta. Q u e s t e tre leggi r a p p r e s e n t a n o u n a t a p p a f o n d a m e n t a l e nella storia d e l l ' a s t r o n o m i a , e il fatto che K e p l e r o le abbia s c o p e r t e senza n e a n c h e l'aiuto del telescopio ha del m i r a coloso. Il s e g r e t o d e l s u o successo stava nella forza di c o n c e n t r a z i o n e . K e p l e r o aveva avuto u n a vita p i e n a di triboli. La m o g l i e gli s'era a m m a l a t a di epilessia: egli aveva d o v u t o p r e n d e r s i c u r a di lei e d e i sette figli c h e ne aveva avuto. La m a d r e e r a stata a r r e s t a t a e processata c o m e «strega», e K e p l e r o aveva d o v u t o l o t t a r e p e r salvarla dal r o g o . Unica evasione e consolazione a queste t r a g e d i e e difficoltà era stato lo studio. La scoperta che il cosmo e r a regolato da leggi che gli d a v a n o un o r d i n e assoluto e i m m u t a b i l e lo ripagava dei suoi guai i m m e r g e n d o l o in u n a specie di mistica e s a l t a z i o n e , di cui si v e d e la traccia nella p r e f a z i o n e al suo libro L'armonia del Mondo: «Nulla mi t r a t t i e n e , mi a b b a n d o n e r ò a l mio sacro f u r o r e . S e sarò p e r d o n a t o , m e n e rallegro. Se sarò c o n d a n n a t o , lo s o p p o r t e r ò . Il d a d o è tratto, il libro è c o m p o s t o . C h e lo l e g g a n o i c o n t e m p o r a n e i o i p o s t e r i , n o n m ' i n t e r e s s a . S e Dio h a a s p e t t a t o p e r seimila anni u n o scopritore, io posso b e n aspettare p e r cent'anni un lettore». Perché in Dio seguitava a crederci. «Il mio solo desiderio» disse «è di p o t e r p e r c e p i r e Dio d e n t r o di me con la stessa chiarezza e certezza con cui mi si rivela nella struttura del Creato.» M o r ì p o v e r o i n c a n n a nel 1630, m e n t r e infuriava l a G u e r r a dei T r e n t ' a n n i che sembrava dover spazzar via ogni traccia di cultura e cancellò perfino la sua tomba. Ma se i li211
b r i di K e p l e r o a v e v a n o effettivamente avuto p o c h i lettori, fra di essi ce n ' e r a u n o c h e bastava da solo a g a r a n t i r n e la continuazione e l'immortalità. Fin d a l 1597 K e p l e r o aveva r i c e v u t o u n a l e t t e r a d i u n professore italiano, che gli diceva di rallegrarsi moltissimo p e r aver trovato «un così g r a n d e alleato nella ricerca della verità, e t a n t o più in q u a n t o già da molti a n n i fui dell'opin i o n e di C o p e r n i c o , il q u a l e , b e n c h é abbia o t t e n u t o fama i m m o r t a l e presso pochi, fu posto in ridicolo e c o n d a n n a t o da g e n t e infinita (poiché grandissimo è il n u m e r o degli stupidi)». La lettera era firmata: Galileo Galilei. Galilei aveva sette a n n i p i ù di K e p l e r o , ma c o m e astron o m o e r a più giovane di lui p e r c h é a questi studi si era convertito da poco. N a t o a Pisa di p a d r e fiorentino e cresciuto nel p i e n o meriggio del Rinascimento, avrebbe voluto essere un L e o n a r d o , di cui p e r tutta la vita invidiò la completezza. Il suo p r i m o interesse era stato p e r la pittura, il secondo p e r la musica. Disegnava abbastanza b e n e e i m p a r ò l'organo e il liuto, c h e p o i d i v e n t e r a n n o l'unica c o n s o l a z i o n e nella sua vecchiaia di cieco proscritto. Alla fine si e r a deciso p e r la filosofia, ma p e r assumervi subito atteggiamenti n o n conformisti e polemici. Galilei accusava i suoi professori di essersi a d d o r m e n t a t i in braccio ad Aristotele, le cui astratte categorie rischiavano di paralizzare ogni progresso scientifico. Occ o r r e liberarsene, diceva, e restituire al p e n s i e r o u n a maggiore concretezza s o t t o p o n e n d o l o alle verifiche dell'esperimento. Fu questo che lo condusse alla p r i m a scoperta. Misurando sul p r o p r i o polso le oscillazioni del p e n d o l o , accertò ch'esse i m p i e g a n o u n t e m p o u g u a l e i n d i p e n d e n t e m e n t e dalla loro ampiezza. N o n era g r a n c h é . Ma e r a la scelta di un c e r t o m e t o d o : il m e t o d o i n d u t t i v o della scienza, che p a r t e dall'osservazione del f e n o m e n o particolare p e r risalire alla formulazione di u n a legge generale. Quell'attività l'occupò al p u n t o che t r a s c u r ò gli s t u d i accademici e n o n riuscì a p r e n d e r e n e m m e n o la laurea. Per cui, q u a n d o il p a d r e morì 212
lasciandolo senza mezzi, dovette accontentarsi di un incarico di s u p p l e n t e nella c a t t e d r a di m a t e m a t i c a con u n o stip e n d i o di fame. Alla m a t e m a t i c a si e r a convertito grazie a un p r e c e t t o r e dei paggi del G r a n d u c a che gli aveva dato da leggere gli Elementi di Euclide. Galilei trovò che in quel libriccino c'erano più verità che nei q u a r a n t a volumi della Stimma di San Tommaso, fin allora considerata l'architrave del pensiero filosofico. E q u i n d i si p u ò capire c o m e le sue lezioni facessero un c e r t o s c a n d a l o . Fra l'altro, egli s'era d a t o a s m o n t a r e u n o dei postulati della fisica di Aristotele, secondo cui la velocità di c a d u t a nel vuoto di un c o r p o cresce p r o p o r z i o n a l m e n t e alle sue dimensioni. Secondo il suo amico e biografo Viviani, Galileo convocò professori e s t u d e n t i davanti alla t o r r e p e n d e n t e , dalla cui cima lanciò oggetti di varie d i m e n s i o n i p e r d i m o s t r a r e che la loro velocità di c a d u t a era uguale. «E questo» dice Viviani, «fece sì che molti filosofastri suoi rivali, spronati dall'invidia, si levarono c o n t r o di lui.» Gli storici h a n n o rifiutato questo episodio, di cui lo stesso Galileo n o n fa m e n z i o n e . Ma n o n ci sembra che il particolare abbia molta importanza. Ne ha di più il fatto, c o m u n q u e accertato c h e Galileo aveva nel c o r p o a c c a d e m i c o p i ù n e mici che amici. A procurarglieli n o n era solo la spregiudicatezza e novità dei suoi metodi, ma a n c h e il suo carattere. Fin d'allora Galileo sapeva di essere Galileo, e mal s o p p o r t a v a che gli altri lo ignorassero. Aveva il disprezzo facile e la p o lemica r o v e n t e . A c h i u n q u e lo c o n t r a d d i c e v a a p p i o p p a v a con disinvoltura la qualifica di s o m a r o , cretino e perfino eun u c o . E q u i n d i n o n c'è da stupirsi che molti lo t r o v a s s e r o insopportabilmente p r e s u n t u o s o e insolente. Fatto sta che nel '92 lasciò Pisa p e r trasferirsi a Padova a insegnarvi meccanica. Ebbe subito un g r a n successo con gli studenti p e r c h é invece di limitarsi a lezioni teoriche, li faceva p a r t e c i p a r e ai suoi esperimenti. Col loro aiuto riuscì a dim o s t r a r e c h e la c u r v a di un proiettile è la r i s u l t a n t e delle forze d ' i m p u l s o e di gravità, e formulò la legge dell'inerzia 213
p r e p a r a n d o così la strada a Newton. Ma fra i colleghi dovette trovare p r e s s a p p o c o la stessa ostilità che a Pisa, p e r c h é in u n ' a l t r a lettera a K e p l e r o si l a m e n t a ch'essi si rifiutassero n o n solo di a m m e t t e r e le sue scoperte, ma perfino di g u a r d a r e il cielo col telescopio ch'egli aveva costruito. A quell'invenzione di decisiva i m p o r t a n z a Galileo era arrivato grazie agli studi di d u e ottici olandesi, L i p p e r s h e y e Metius, che a l l ' i n s a p u t a l ' u n o dell'altro a v e v a n o costruito u n r u d i m e n t a l e cannocchiale a p p l i c a n d o u n a d o p p i a lente convessa a un capo di un t u b o e u n a d o p p i a lente concava all'altro c a p o . L'episodio d i m o s t r a q u a n t o Galileo fosse informato e seguisse i progressi tecnologici in tutto il m o n d o . Subito si a p p r o p r i ò q u e l l ' e s p e r i e n z a e l'applicò ai suoi fini. Il suo telescopio i n g r a n d i v a gli oggetti solo di p o c h i d i a m e t r i . M a gli b a s t ò p e r s c o p r i r e nel f i r m a m e n t o u n a quantità di stelle che n e s s u n o fin allora aveva mai catalogato. Egli rivelò che le Pleiadi n o n e r a n o sette, come finora si e r a c r e d u t o , m a t r e n t a s e i , c h e l a Via L a t t e a n o n e r a u n a massa di vapori, ma u n a s t e r m i n a t a foresta di stelle, che la luce della L u n a n o n era che quella del Sole riverberata sulla T e r r a , che la sua superficie e r a increspata di valli e m o n t a gne, e che anche Giove e r a un pianeta coi suoi satelliti. Infine u n ' a t t e n t a osservazione gli rivelò che anche Venere girava i n t o r n o al Sole, c o m e C o p e r n i c o aveva intuito ma senza riuscire a dimostrarlo, e infatti aveva anch'essa le sue «fasi» c o m e la T e r r a . E questa era la conferma della teoria eliocentrica. Galileo a n n u n z i ò le sue scoperte in un libro, Sidereus nuncius, dedicato al G r a n d u c a di Toscana Cosimo I I , e diede il n o m e di Medìcei ai q u a t t r o satelliti di Giove da lui scoperti. N o n ne poteva più di Padova. E il G r a n d u c a , lusingato dall'omaggio, lo richiamò in patria n o m i n a n d o l o «Primo Matematico» all'Università di Pisa e filosofo di Corte. A quest'ult i m a qualifica Galileo t e n e v a i n m o d o p a r t i c o l a r e p e r c h é , c o m e Bacone, più che a singole scoperte, egli si sentiva vocato a rivoluzionare il m e t o d o della conoscenza. Si lamenta214
va anzi di dover p r o v a r e le sue verità con tanti e s p e r i m e n t i p e r c h é , diceva, «per soddisfare soltanto me stesso, mai avrei sentito il bisogno di compierne». La scoperta p e r lui era soltanto u n ' a r m a contro l'ordine costituito delle verità rivelate. E q u e s t o lo p o n e v a f a t a l m e n t e in c o n t r a s t o c o n la Chiesa che di quelle verità era la g r a n d e depositaria e g a r a n t e . Q u e s t o c o n t r a s t o n o n esplose subito. D a p p r i n c i p i o anzi egli m a n t e n n e i migliori r a p p o r t i coi gesuiti. U n a loro commissione riferì al cardinale Bellarmino che gli studi di Galileo r a p p r e s e n t a v a n o q u a n t o si e r a fatto di meglio nel campo d e l l ' a s t r o n o m i a e n o n p r e s t a v a n o il fianco a n e s s u n a obiezione. E q u a n d o nel 1611 Galileo a n d ò a R o m a , lo stesso p a p a Paolo V lo accolse con tutti i r i g u a r d i . L'idillio n o n poteva d u r a r e : p r i m a o poi l'incompatibilità fra le teorie eliocentriche di Galileo e il d o g m a della Chiesa sarebbe emersa. Ma d o b b i a m o riconoscere che a fornirgliene il p r e t e s t o m o l t o c o n t r i b u ì la vanità dello scienziato. In u n a conferenza tenuta a Roma, Galileo si e r a vantato di avere p e r p r i m o scoperto le macchie solari. Forse era in b u o n a fede. Ma quella s c o p e r t a p r e t e n d e v a di a v e r l a fatta p o c o p r i m a di lui un gesuita, Scheiner, che insegnava matematica a I n g o l s t a d t . C o s t u i r i v e n d i c ò la p r e c e d e n z a c o n t a n t o di d o c u m e n t i . E Galileo gli rispose nel suo brusco stile polemico, cioè d a n d o g l i a l l ' i n a r c a dell'imbroglione e affermando che quella scoperta lui l'aveva fatta sin dal 1610 a Padova: il che p a r e che n o n fosse vero. C o m u n q u e , ne seguì u n a polemica piuttosto arroventata, nella quale i gesuiti si schierarono col loro confratello. E q u e s t o ferì a m o r t e l'orgoglio di Galileo. Fin allora egli si era sempre riferito a quelle di Copernico e di Keplero come a semplici ipotesi. D'allora in poi cominciò a citarle c o m e teorie e leggi. I gesuiti gii rivolsero q u a l c h e blando a m m o n i m e n t o . Lo stesso Scheiner, s u p e r a n d o i r a n cori della p r e c e d e n t e polemica, gli scrisse in t e r m i n i concilianti. «Se desiderate e s p o r r e le vostre tesi, n o n ce ne offend e r e m o affatto, anzi e s a m i n e r e m o volentieri i vostri argo215
m e n t i nella speranza che tutto questo aiuti a illustrare la verità.» Era un richiamo a quella specie di sottinteso Gentlemen's agreement che rie! Rinascimento si era stabilito fra la Chiesa e gl'intellettuali. «Sviluppate pure» aveva detto quella a questi «una cultura e u n a filosofia profane. Ma fatelo in latino e dentro le Accademie, in m o d o che resti tra noi e n o n turbi la fede delle masse.» Tale era stato il senso di quell'alleanza, anche se n o n lo si trova scritto in nessun d o c u m e n t o . Galileo n o n raccolse l'invito. Gliel'impediva n o n soltanto l ' i m p e t u o s o t e m p e r a m e n t o , ma a n c h e lo s c o p o c h e si e r a prefisso. V o l e n d o i n s e g n a r e agli u o m i n i a r a g i o n a r e p e r esperienze invece che p e r astrazioni e superstizioni, n o n gli restava c h e b a t t e r e in breccia q u e s t e u l t i m e , e s c o p e r t a m e n t e . Scrisse a p a d r e Castelli: «Io c r e d o che i processi naturali che p e r c e p i a m o attraverso a t t e n t e osservazioni o d e d u c i a m o da dimostrazioni coerenti n o n possono essere confutati da b r a n i della Bibbia». Era u n a dichiarazione di guerra, e il Bellarmino se ne allarmò. N o n volle tuttavia interven i r e d i r e t t a m e n t e e si limitò a d a r e qualche consiglio di p r u denza a u n o degli allievi dell'astronomo: «Contentatevi» gli diceva «di p a r l a r e ex suppositione, c o m e io ho s e m p r e creduto c h e abbia p a r l a t o il C o p e r n i c o » . Si rifiutò di a d o t t a r e provvedimenti anche quando un predicatore domenicano, il Caccini, d e n u n z i ò Galileo al t r i b u n a l e d e l l ' I n q u i s i z i o n e . Anzi si affrettò a far s a p e r e a Galileo che, se inseriva nei suoi testi qualche frase che li riaccreditasse c o m e semplici ipotesi, la d e n u n z i a s a r e b b e stata archiviata. Ma Galileo rispose che n o n i n t e n d e v a «moderare» Copernico. A n c h e il G r a n d u c a ne fu spaventato e gli consigliò di and a r e a chiarire le cose con quelli del Sant'Uffizio. Galileo accettò e scese a R o m a con lettere di r a c c o m a n d a z i o n e di Cosimo p e r l ' a m b a s c i a t o r e di F i r e n z e e p e r a l c u n i influenti p r e l a t i di Curia. Si c o m p o r t ò da u o m o sicuro del fatto suo s o s t e n e n d o con s p a v a l d e r i a , in pubblici dibattiti e in conversazioni p r i v a t e , le tesi di C o p e r n i c o . Il 26 febbraio il Sant'Uffizio incaricò il c a r d i n a l e B e l l a r m i n o di c o n v o c a r e 216
Galileo e d'intimargli l ' a b b a n d o n o di quelle teorie. «Se n o n acconsente, sia imprigionato.» Dal m o d o c o m e sin lì si e r a c o m p o r t a t o , s e m b r a v a c h e Galileo dovesse c o n d u r r e la battaglia fino in fondo. Viceversa si a r r e s e quasi senza resistenza, e firmò. Egli n o n e r a affatto il c o d a r d o mollaccione che Bertolt B r e c h t ha r a p p r e sentato in un suo d r a m m a famoso (e tendenzioso); ma n o n era n e m m e n o l'eroe che in b u o n a fede credeva di essere. In lui c'era p i ù spavalderia c h e coraggio. Si cacciava i m p e t u o s a m e n t e nella lotta; ma q u a n d o si trovava a tu p e r tu col pericolo, si smarriva. Bisogna a n c h e dire che aveva di fronte un avversario da far raggelare il s a n g u e a c h i u n q u e . Bell a r m i n o n o n e r a soltanto il p i ù g r a n d e controversista della Chiesa di q u e i tempi, e forse di tutt'i tempi, m e n t e lucida e o r d i n a t a , a r g o m e n t a t o r e d'inesauribili risorse. E r a l'incarnazione della C o n t r o r i f o r m a in tutto il suo rigore. Gli storici protestanti e laici ne h a n n o poi fatto un m o s t r o della persecuzione poliziesca, u n a specie di H i m m l e r dell'Inquisizion e . N o n è così, e a n c h e il suo c o n t e g n o con Galileo lo dimostra. Lo a m m o n ì , cercò di p e r s u a d e r l o ; ma siamo sicuri che n o n rinunciò a n e s s u n a minaccia p u r di r i d u r l o alla rag i o n e . E le m i n a c c e , nelle p a r o l e e nello s g u a r d o di q u e l l ' u o m o inflessibile, dovevano esser tali da spezzare qualsiasi resistenza. Se d o p o lo fecero Santo, n o n fu certo p e r le sue doti di carità. Bellarmino somigliava più a Ignazio di Loyola, dal cui O r d i n e del resto veniva, che a Francesco d'Assisi. Il 5 m a r z o ( s e m p r e del 1616) il Sant'Uffizio pubblicava il suo storico E d i t t o : «L'opinione c h e il Sole stia i m m o b i l e al c e n t r o d e l l ' U n i v e r s o è a s s u r d a , falsa filosoficamente, e p r o f o n d a m e n t e ereticale p e r c h é c o n t r a r i a alla Sacra Scrittura. L'opinione che la T e r r a n o n è il c e n t r o dell'Universo e anche che ha u n a rotazione quotidiana, è filosoficamente falsa, e p e r lo m e n o u n a c r e d e n z a e r r o n e a » . La Chiesa credeva così di aver seppellito Galileo; e invece aveva solo d a t o un colpo di z a p p a a se stessa. II m i t o della sua infallibilità n o n se n'è mai più riavuto. 217
Galileo e r a t o r n a t o a F i r e n z e , nella sua villa di Bellos g u a r d o . Vi conduceva vita ritiratissima, sembrava deciso a tenersi fuori dalla polemica, e forse lo era. Ma nel '22 il suo allievo Guiducci mosse u n a confutazione a u n a teoria sulle c o m e t e f o r m u l a t a d a u n altro gesuita, Grassi. I n c o l l e r i t o , costui rispose d a n d o di s o m a r o e di eretico n o n solo a Guiducci, ma a n c h e al suo m a e s t r o . Galileo, cui col t e m p o la p a u r a e r a u n po' passata, m a n d ò all'Accademia dei Lincei, p e r c h é Io pubblicasse, u n o scritto di replica, II saggiatore. E forse il più bel c o m p o n i m e n t o di prosa italiana del Seicento p e r c h é Galileo era a n c h e un g r a n d e , un grandissimo scrittore. Ma negava o g n i autorità, in fatto di Scienza, che n o n fosse quella della ragione, dell'osservazione e dell'esperienza. C o m e dire che la verità n o n si confuta con gli editti, anche se v e n g o n o dalla Chiesa. Più p r u d e n t e dell'autore, l'Accademia a t t e n u ò questo ed altri passi pericolosi. E così p u r g a t a , Galileo p o t è d e d i c a r e l ' o p e r a a U r b a n o V i l i che la lesse con c o m p i a c i m e n t o e l'approvò. Ma questo n o n fu di g r a n d e giovamento all'autore p e r c h é , lungi dal disamarli, irritò i gesuiti più che mai all'agguato di un'occasione p e r fargliela p a g a r e . A fornirgliela provvide lo stesso Galileo. F i d a n d o sulla simpatia del Papa, t o r n ò a R o m a p e r convincerlo delle verità di C o p e r n i c o . Il Papa gli accordò sei l u n g h i colloqui e, p u r n o n revocando il divieto dell'Inquisizione, lo r i m a n d ò a Firenze con u n a lettera al G r a n d u c a p i e n a di elogi p e r «questo g r a n d e u o m o , la cui fama brilla nel cielo e p r o c e d e sulla terra». Imbaldanzito da quell'accredito, Galileo si affrettò a completare la g r a n d e o p e r a cui in tutti quegli a n n i di ritiro aveva atteso, Dialogo sopra ? due massimi sistemi del Mondo (i sistemi cui si riferiva e r a n o , si capisce, quello tolemaico e quello c o p e r n i c a n o ) , e lo p o r t ò a R o m a p e r sottoporlo al Papa. Il Papa lesse anche quello e gli rilasciò l'imprimatur, cioè l'autorizzazione a pubblicare, ma alla solita condizione: che la teoria di Copernico fosse p r e s e n t a t a c o m e ipotesi. Galileo s'imp e g n ò e t e n n e parola. Ma il livore verso i gesuiti e l'uzzolo 218
di rivincita che covavano in lui lo indussero a strafare. Premise al lavoro u n a prefazione in cui si faceva c h i a r a m e n t e capire al lettore ch'egli aveva scelto la forma del dialogo p e r sfuggire all'Inquisizione. E n o n basta. Il dialogo è fra d u e sostenitori del sistema c o p e r n i c a n o e un p a l a d i n o di quello tolemaico. Ma costui Galileo lo chiama Simplicio, ch'è sinonimo di sempliciotto o imbecillotto, e gli mette in bocca tutti gli a r g o m e n t i che i suoi avversari gesuiti avevano svolto contro di lui, facendoli a p p a r i r e c o m e sofismi (quali del resto e r a n o ) . Simplicio alla fine vince in forza di un assioma che taglia la testa al toro: la ragione di Dio, dice, ha delle ragioni che l a r a g i o n e d e l l ' u o m o n o n p u ò c o m p r e n d e r e . Q u i n d i è inutile cercar di capire che cosa ha fatto e come lo h a fatto: n o n resta c h e accettarlo nel suo i m p e r s c r u t a b i l e mistero. Ma questo era in realtà ciò che in p r e c e d e n z a aveva d e t t o il Papa. E u n o degli altri d u e i n t e r l o c u t o r i così lo c o m m e n t a con e v i d e n t e s a r c a s m o : «Mirabile e v e r a m e n t e angelica dottrina». I gesuiti, che n o n a s p e t t a v a n o altro, m o s t r a r o n o il passaggio a U r b a n o facendogli rilevare che Galileo aveva posto le sue parole in bocca a u n o stolto. E il Papa, sentendosi (con qualche ragione) tradito e corbellato dal suo p r o t e t t o , lo abb a n d o n ò alla furia del Sant'Uffizio. Nell'agosto del '32, il Dialogo fu messo all'Indice e il suo a u t o r e invitato a p r e s e n t a r s i a R o m a . Aveva quasi sett a n t a n n i , e gli amici c e r c a r o n o d ' i n d u r r e il G r a n d u c a a p r e n d e r l o sotto la sua protezione. Ma il G r a n d u c a n o n osò: dietro l'Inquisizione n o n c'era soltanto la Chiesa, ma a n c h e la Spagna, e n e s s u n o Stato italiano era in condizione di sfid a r n e i fulmini. Galileo si p r e s e n t ò il 12 aprile 1633, e fu subito dichiarato in stato d'arresto. Solo q u a n d o c a d d e ammalato, gli consentirono di alloggiarsi in casa dell'ambasciatore fiorentino, ma sotto sorveglianza. Al p r i m o i n t e r r o g a torio gli chiesero se si riconosceva colpevole. Rispose di no. Ma alcuni g i o r n i d o p o a m m i s e di aver esposto la d o t t r i n a copernicana con p i ù vigore di quella tolemaica, e si offrì di 219
p u r g a r e il testo e di fare penitenza. N e g l ' i n t e r r o g a t o r i successivi dichiarò che dall'editto del 1616 aveva smesso di dubitare della validità del sistema tolemaico, e o r m a i a n c h e lui e r a arciconvinto c h ' e r a il Sole a g i r a r e i n t o r n o alla T e r r a , n o n viceversa. Q u a l c u n o dice che gli a v e v a n o s t r a p p a t o questa m e n z o g n a con la t o r t u r a . C o n la tortura, n o . Ma con la minaccia della t o r t u r a - ch'è già di p e r se stessa u n a tortura -, è probabile. Il Papa aveva s e m p r e voluto essere informato sugl'interr o g a t o r i , ma n o n ci aveva p a r t e c i p a t o , e molti s p e r a v a n o che all'ultimo m o m e n t o sarebbe i n t e r v e n u t o in favore dello scienziato. N o n fu così. L'Inquisizione p r o c l a m ò Galileo colpevole di eresia e gl'impose di r i n n e g a r e le sue teorie. Per q u e l l ' u o m o orgoglioso dovett'essere terribile p r o n u n c i a r e , inginocchiato, l'atto di ritrattazione: «Con cuor sincero e fede n o n finta abiuro, maledico e detesto li suddetti e r r o r i et heresie... e giuro che p e r l'avvenire n o n dirò mai p i ù né asserirò, in voce o p e r scritto, cose tali p e r le quali si possa riaver di me simil sospitione, ma se conoscerò alcun heretico o che sia sospetto d'heresia, lo d e n u n t i a r ò a questo Santo Offizio...». D o p o d i c h é il T r i b u n a l e gl'inflisse la p r i g i o n e «per un p e r i o d o da d e t e r m i n a r s i a nostro piacere», e come penitenza, p e r tre anni, la recitazione quotidiana dei sette salmi p e n i t e n z i a l i . Il P a p a n o n volle f i r m a r e la s e n t e n z a . Forse aveva tentato di addolcirla, ma i gesuiti gliel'avevano impedito. La l e g g e n d a vuole che, nel lasciare il t r i b u n a l e , Galileo m o r m o r a s s e a l l u d e n d o alla T e r r a : « E p p u r si muove!» Ma n o n è che u n a leggenda. L'uomo era distrutto. D o p o pochi g i o r n i gli p e r m i s e r o d i t o r n a r e nella r e s i d e n z a d e l l ' a m basciatore di Firenze, e p p o i di trasferirsi a Siena, nel palazzo del vescovo Piccolomini, suo amico e allievo. Di lì rientrò alla sua villa di Arcetri, a Firenze. N o n p o t e v a uscirne, ma gli consentirono di ricevere qualche visitatore, fra cui ci fu il p o e t a inglese Milton. U n a figlia s u o r a e r a v e n u t a a vivere con lui e si era accollata la penitenza dei salmi. 220
L'unico ritratto che p o s s e d i a m o di lui - ch'io sappia - è quello che gli fece Sustermans e che oggi si trova alla Galleria Pitti. S e b b e n e già vecchio, Galileo vi a p p a r e in t u t t a la sua i m p o n e n z a e nobiltà. N o n doveva essere stato un u o m o facile, e qualche volta aveva deluso chi vedeva in lui un irriducibile g l a d i a t o r e . La sua m e n t e e r a c e r t a m e n t e p i ù alta del suo c a r a t t e r e : «la più g r a n d e m e n t e di tutti i tempi» la definì il Grozio. N o n ebbe il coraggio del martirio; ma ebbe la forza di c o n t i n u a r e ad essere se stesso anche d o p o l'umiliazione. N o n p o t e n d o più occuparsi di astronomia, t o r n ò ai suoi studi di meccanica facendovi scoperte decisive e d a n d o n e notizia al m o n d o in altri Discorsi e Dialoghi. Siccome in Italia n o n poteva pubblicarli p e r via della c o n d a n n a , li faceva s t a m p a r e a L e i d a dalla casa o l a n d e s e Elzevir. Il Dialogo, tradotto in tutte le lingue, correva il m o n d o , suscitava polem i c h e e a m m i r a z i o n e , s p i a n a v a la s t r a d a a N e w t o n . O g n i tanto il g r a n vecchio alzava lo s g u a r d o al cielo, ma n o n lo vedeva p i ù p e r c h é le c a t e r a t t e e r a n o calate sui suoi occhi c o n d a n n a n d o l o al buio; e diceva: «Questo Universo che io ho i n g r a n d i t o mille volte si è o r a ristretto al mio stesso cosmo. Così è piaciuto a Dio, così deve piacere a me». Soffriva d'insonnia, e r i e m p i v a le notti col liuto, sua unica consolazione fin q u a n d o n o n p e r s e anche l'udito. Q u a n d o s'accorse di esser vicino alla fine, chiese e o t t e n n e il p e r m e s s o di visitare a n c o r a u n a volta F i r e n z e . A n d ò b r a n c o l a n d o p e r l e strade sorretto dalla figlia, e n o n vide nulla p e r c h é era comp l e t a m e n t e cieco. Pochi giorni d o p o - aveva settantotto anni - m o r ì fra le braccia dei suoi allievi. A c o s t o r o lasciava u n a scuola e un e s e m p i o . La scuola p r o d u s s e a n c o r a dei g r a n d i maestri: Torricelli, Redi, Morgagni, Malpighi, Cassini, Borelli, che p e r m i s e r o alla Scienza italiana di p r i m e g g i a r e ancora p e r un pezzo in E u r o p a . Ma l'esempio del Maestro scoraggiò questi u o m i n i dal t e n t a r e l'elaborazione di veri e p r o p r i sistemi e forse g l ' i m p e d ì di r a g g i u n g e r e la s t a t u r a del loro iniziatore. N e s s u n o voleva seguirne la sorte. E così, grazie all'Inquisizione, il p e n s i e r o 221
scientifico trasmigrò dall'Italia, e in g e n e r e dai Paesi cattolici, p e r diventare a p p a n n a g g i o di quelli protestanti. U n ' a l t r a cosa che di Galileo n o n riuscì a fare scuola è la sua p r o s a . Se i nostri letterati si fossero formati su quella sua, così asciutta e concreta, n o n a v r e m m o allevato tante gen e r a z i o n i d ' i n s o p p o r t a b i l i retori^ m a r c i di c o n v e n z i o n a l i s m o e d ' a c c a d e m i a . Ma il fatto è c h e asciuttezza e concretezza sono lo stile della sincerità. E di sincerità, d o p o la Controriforma, gl'Italiani n o n sono stati mai più capaci.
CAPITOLO VENTESIMO
LA RIVOLTA DELLA C O S C I E N Z A
Il p r o c e s s o di Galileo n o n d o c u m e n t a soltanto il s o p r u s o della Chiesa sul p e n s i e r o italiano, ma anche il suo anacronismo. Esso infatti si svolge p r o p r i o nel m o m e n t o in cui d o v u n q u e altrove il fanatismo, colpevole dei massacri che ha p r o v o c a t o , è b a t t u t o in breccia e costretto a q u a l c h e r e visione. Così l'intransigenza inquisitoriale aggrava il divorzio dell'Italia n o n solo d a l l ' E u r o p a p r o t e s t a n t e , m a a n c h e da quella che, p u r rimasta cattolica, si avvia ad esserlo in un m o d o diverso che d a noi, p i ù r i g o r o s o nel c a m p o m o r a l e , più libero e fecondo in quello intellettuale. E logico che q u e sto processo p r e n d a avvìo in O l a n d a e si sviluppi in Francia: sono i Paesi c h e più p r o f o n d a m e n t e h a n n o sentito la lotta religiosa, e che q u i n d i più a c u t a m e n t e avvertono il bisogno di conciliarne i termini, come la Chiesa di R o m a n o n ha mai saputo o voluto fare. La scintilla p a r t ì d a l l ' U n i v e r s i t à di L o v a n i o d o v e insegnava J a n s e n , o G i a n s e n i o , un teologo di U t r e c h t r i m a s t o fedele al cattolicismo, ma che aveva vissuto gomito a gomito coi calvinisti. Per polemizzare con loro, aveva d o v u t o a p p r o f o n d i r n e i temi, e specialmente quello della p r e d e s t i n a z i o ne, su cui si basa la loro teologia. Risalendo p e r questa strada a Sant'Agostino e a San Paolo, che della predestinazione sono i veri p a d r i , ne rimase p r i g i o n i e r o . E si convinse che p e r c o m b a t t e r e il calvinismo la Chiesa doveva s t r a p p a r g l i l'esclusiva di questa tesi e a d o t t a r n e il s u p e r i o r e codice morale. Cioè si convinse che p e r vincere i calvinisti, bisognava diventare più calvinisti di loro. Egli espose il suo pensiero in un libro, Augustinus, che fu pubblicato d u e a n n i d o p o la sua 223
m o r t e , e che i gesuiti i m m e d i a t a m e n t e d e n u n z i a r o n o a papa U r b a n o V i l i . Questi si limitò a u n a generica c o n d a n n a . Ma v e n t a n n i d o p o il caso t o r n ò a e s p l o d e r e c l a m o r o s a m e n t e : i professori della Sorbona si e r a n o accorti che gli studenti avevano fatto di Giansenio il loro Marcuse, e ne reclam a r o n o la solenne sconfessione. P a p a I n n o c e n z o X li contentò con la bolla Cavi occasione, che proclamava eretiche le proposizioni di Giansenio. Giansenio aveva incontrato tanta fortuna in Francia, grazie al suo vecchio amico e condiscepolo Duvergier che frattanto era diventato abate di Saint-Cyran, di cui aveva preso a n c h e il n o m e . Egli condivideva in p i e n o la d o t t r i n a dell'olandese e aveva trovato un uditorio p a r t i c o l a r m e n t e fervido fra le s u o r e del m o n a s t e r o di Port-Royal, d e s t i n a t o a u n a p a r t e di p r i m o p i a n o nella storia del pensiero religioso transalpino. Era un antico convento cistercense, situato a dieci chilometri da Versailles in u n a triste vallata paludosa e nebbiosa. Da t e m p o era in completo a b b a n d o n o , q u a n d o vi giunse u n a recluta di eccezione, sebbene avesse solo sette anni: Jacqueline A r n a u l d . Suo p a d r e Antonio, magistrato dell'Afvernia, sebbene cattolico, a p p a r t e n e v a a quella g r a n d e borghesia colta, i n t r a p r e n d e n t e e severa che aveva fornito al calvinismo i suoi migliori q u a d r i . D e p u t a t o al p a r l a m e n t o , d o p o il p r i m o a t t e n t a t o a Enrico IV, egli p r o n u n c i ò un violento discorso c o n t r o i gesuiti d e n u n z i a n d o n e la r e s p o n s a b i l i t à m o r a l e e c h i e d e n d o n e l'espulsione. Forse fu p e r r i p a g a r e tanta lealtà, che il Re n o m i n ò la piccola J a c q u e l i n e badessa di Port-Royal e sua sorella J e a n n e , che aveva un a n n o m e n o di lei, badessa di Saint-Cyr. Per o t t e n e r e l'approvazione del Papa, l'atto di nascita delle d u e b a m b i n e fu falsificato. Per A n t o n i o , o b e r a t o da oltre venti figli, quelle n o m i n e r a p p r e s e n t a v a n o un s u c c e d a n e o della d o t e . E così dovette c o n s i d e r a r l a a n c h e J a c q u e l i n e , che aveva p r e s o il n o m e di M a d r e Angelica, e c h e d a p p r i n c i p i o n o n m o s t r ò n e s s u n a vocazione. Via via che cresceva anzi si mostrava s e m p r e più 224
insofferente della disciplina monastica, sebbene fosse molto allentata, e n o n fece nulla p e r restaurarla. Approfittò di u n a malattia p e r t o r n a r e a casa, e solo p e r le insistenze del pad r e r i e n t r ò in convento. Fu d u r a n t e le p r e d i c h e di un m o naco cappuccino che la Grazia la toccò. Insieme al richiamo del S i g n o r e , essa sentì la v e r g o g n a di servirlo così m a l e in quel m o n a s t e r o dove si passava la g i o r n a t a p i ù a far uso di cosmetici e sfoggio di vestiti che a m e d i t a r e e p r e g a r e . Per istaurare u n a n u o v a regola n o n volle tuttavia r i c o r r e r e alla p r o p r i a autorità, e l'applicò solo a se stessa. Ma si vede che le altre suore avevano p e r lei stima e affetto p e r c h é spontan e a m e n t e la i m i t a r o n o e a c c e t t a r o n o a n c h e la p i ù d u r a di tutte le p e n i t e n z e : la reclusione dal m o n d o . Q u a n d o Antonio e la moglie v e n n e r o a visitare la figlia, questa si rifiutò di riceverli e gli p a r l ò di dietro u n a grata. L'esempio fece impressione sulle altre sei giovani A r n a u l d rimaste a casa. U n a d o p o l'altra esse chiesero di e n t r a r e a Port-Royal, che in tal m o d o diventò un m o n a s t e r o di famiglia. Sainte-Beuve insin u a ch'esse si d e c i s e r o a q u e l passo p e r c h é r e d u c i da un vaiòlo che aveva sfigurato il loro volto. Ma q u e s t o basterebbe a spiegare la loro e n t r a t a in convento, n o n il fervore e l'abnegazione che vi spiegarono. Q u a n d o rimase vedova, anche la m a m m a chiese e o t t e n n e di essere accolta come novizia, e c h i a m ò s e m p r e «Madre» la figlia. Infine, a n c h e un fratello e alcuni nipoti si ritirarono a Port-Royal e vi fond a r o n o la piccola c o m u n i t à dei «Solitari». U n o di essi, Antonio A r n a u l d junior, ne diventò l'ideologo e il portavoce alla Sorbona. Molti storici n e g a n o o g n i p a r e n t e l a fra questi allievi di Giansenio e i calvinisti. Ed effettivamente alcune differenze ci sono. Essi n o n fanno della Bibbia un p u n t o di riferimento altrettanto p e r e n t o r i o e assoluto, n o n fanno del c r e d e n t e il sacerdote di se stesso, n o n fanno del dovere verso la società il massimo i m p e g n o . Però dei calvinisti condividono la dottrina f o n d a m e n t a l e , la predestinazione, e l'etica severa. Vivono e l a v o r a n o da contadini p r o s c i u g a n d o le p a l u d i , can225
t a n o , d i g i u n a n o e p r e g a n o , ma a n c h e i n s e g n a n o e conv e r t o n o . Le «piccole scuole» d e i «Solitari» s p r i g i o n a v a n o u n a tale forza di c o n t a g i o c h e Richelieu se ne a l l a r m ò e spedì Saint-Cyran in prigione. Anche di lì l'irriducibile abate seguitò a c o r r i s p o n d e r e coi suoi, e specialmente con Antonio Jr. detto «il g r a n d e Arnauld». Costui, q u a n d o i gesuiti i m p o s e r o a I n n o c e n z o la c o n d a n n a di Giansenio, insorse acc u s a n d o l i di aver alterato il p e n s i e r o del M a e s t r o . S e m b r a infatti che il Papa n o n ne avesse letto le o p e r e e si fosse fidato del tendenzioso riassunto fattone da loro. La Sorbona decise di espellere A r n a u l d . Questi p r e p a r ò la p r o p r i a difesa e ne d i e d e lettura agli amici di Port-Royal. U n o di costoro, un giovanottello di vent'anni, se ne dichiarò insoddisfatto, tanto che A r n a u l d lo sfidò a scrivere lui qualcosa di meglio. Il giovane si ritirò nella sua cella e compose la p r i m a di quelle Lettere provinciali c h e a t u t t ' o g g i r i m a n g o n o u n o d e i più g r a n d i testi francesi, forse il più g r a n d e , di stile letterario e di p e n s i e r o filosofico. L'autore si chiamava Blaise Pascal. E r a a l v e r n i a t e a n c h e lui, c o m e gli A r n a u l d , e a n c h e lui veniva d a u n a famiglia della g r a n d e b o r g h e s i a «di toga», cioè di magistrati. Aveva respirato il risveglio scientifico della sua epoca, vi s ' i m m e r s e fin da b a m b i n o , e a u n d i c i a n n i c o m p o s e u n trattatello sulle vibrazioni del s u o n o . Suo pad r e , l u n g i dal c o m p i a c e r s e n e , se ne a l l a r m ò , e gli p r o i b ì quegli studi. Ma d o v e t t e a r r e n d e r s i q u a n d o il ragazzo, disubbidendogli, scrisse un altro trattato sulle sezioni coniche c h e suscitò l ' a m m i r a z i o n e d i u n i n t e n d i t o r e d e l calibro d i Cartesio. Da allora Blaise n o n si e r a stancato di scavallare in tutti i c a m p i della Scienza. Aveva costruito delle macchine calcolatrici, fra cui un r u d i m e n t a l e computer che poi aveva m a n d a to in d o n o a Cristina di Svezia e, sull'esempio di Torricelli, un b a r o m e t r o a m e r c u r i o p e r m i s u r a r e la p r e s s i o n e a t m o sferica. Per s p e r i m e n t a r l o , si a r r a m p i c ò fin sulla vetta del P u y - d e - D ò m e , d o v ' e b b e c o n f e r m a della sua i n t u i z i o n e fra gli a p p l a u s i di t u t t a E u r o p a . Si c i m e n t ò nel calcolo delle 226
probabilità g e t t a n d o le f o n d a m e n t a della statistica. E infine, sotto u n n o m e d'accatto, b a n d ì u n c o n c o r s o a p r e m i o p e r chi trovasse la q u a d r a t u r a di u n a cicloide. Anche lui m a n d ò la p r o p r i a soluzione, e n a t u r a l m e n t e vinse. I rivali si accorsero della corbellatura, e ne v e n n e fuori un litigio da lavandaie, cui a n c h e Pascal contribuì con scampoli polemici, che n o n facevano d i c e r t o p r e s a g i r e l'impeccabile p r o s a delle Lettere provinciali. A d a r e u n a svolta alla sua vita fu anzitutto u n a di quelle malattie n e r v o s e c h e m e t t o n o i n i m b a r a z z o a n c h e l a p r o g r e d i t a m e d i c i n a d'oggi. C e r t o si trattava d ' u n a forte crisi depressiva con sconcertanti manifestazioni psico-somatiche: emicranie violente, colite, arresti di circolazione che l'obbligavano a p o r t a r e calze intrise di cognac p e r scaldare i piedi, e u n a emiplegia che p e r un pezzo lo inchiodò alle grucce. Si affidò al m e d i c o che curava a n c h e suo p a d r e . E r a un giansenista, che fra un salasso e un impiastro parlava ai suoi pazienti di Port-Royal. Q u a n d o la famiglia si trasferì a Parigi, Blaise cominciò a frequentare quel m o n a s t e r o , e sua sorella J a c q u e l i n e ne rimase t a l m e n t e colpita che decise di e n t r a r vi. Il fratello fece il possibile, ma inutilmente, p e r dissuaderla. Poi, rimasto solo e c r e d e n d o s i guarito, si tuffò nella dolce vita della capitale, nel giuoco, nelle d o n n e , nella m o n d a n i t à . J a c q u e l i n e lo s e p p e , se ne accorò, e un g i o r n o a n d ò a t r o varlo p e r r i c o n d u r l o sulla retta strada. Probabilmente Blaise n o n l'avrebbe ascoltata, se p r o p r i o in quel m o m e n t o n o n fosse s o p r a v v e n u t o un e p i s o d i o in cui, i m p r e s s i o n a b i l e com'era, egli vide un a m m o n i m e n t o e un richiamo. M e n t r e a t t r a v e r s a v a un p o n t e in c a r r o z z a , i cavalli s'imbizzirono, scavalcarono la paratìa e p r e c i p i t a r o n o nel fiume lasciando la vettura miracolosamente in bilico. Blaise svenne, e q u a n do r i p r e s e i sensi ebbe l'impressione di essere stato visitato da Dio. Cercò di fissarne il ricordo in alcune frasi mozze scarabocchiate s u u n a p e r g a m e n a c h e d ' a l l o r a i n p o i p o r t ò s e m p r e cucita nella fodera della giacca. E corse a n c h e lui a Port-Royal. 227
Questo era l'uomo che, su invito di A r n a u l d aveva assunto la difesa del giansenismo e ne diventerà il g r a n d e dottrinario. Il titolo v e r o delle Provinciali e r a Lettere scritte da Luigi di Montalto ( n o m e di c o m o d o di Pascal) a un suo amico provinciale e ai Reverendi Padri Gesuiti sulla morale e la politica di costoro . II p r i m o scopo che si p r o p o n e v a n o era la difesa di Arn a u l d dalle accuse della S o r b o n a e lo fallirono: A r n a u l d fu espulso. Ma il secondo obiettivo, il contrattacco ai gesuiti, fu c e n t r a t o in p i e n o grazie alla p r o n t e z z a con cui Pascal s'imp a d r o n ì di quella materia, che fin lì gli era rimasta del tutto estranea, e al vigore e al nitore di quella requisitoria che tutta la Francia intellettuale lesse c o n a m m i r a z i o n e , a n c h e q u a n d o la disapprovava. F i n g e n d o di p a r l a r e a u n o sprovveduto - l'amico provinciale - e m e t t e n d o s i sul suo livello con quel t o n o discorsivo di cui M o n t a i g n e , suo a u t o r e preferito, gli forniva l'esempio, Pascal si avventa c o n t r o tutte le deformazioni impresse dai gesuiti alla d o t t r i n a cristiana p e r farne un instrumentum regni, u n o s t r u m e n t o di p o t e r e . Si capisce che a reggergli la m a n o era A r n a u l d , r o t t o a quei p r o b l e m i . Ma Pascal ci aggiunse l'acutezza di a r g o m e n t a z i o n e , la tersità della lingua, e a n c h e (non b u t t i a m o l a via) quella collera che, se va a discapito dell'anima, spesso innalza lo stile d a n d o g l i r i t m o e calore. C o m e tutti i polemisti, Pascal è ingiusto. M e n t r e r i m p r o vera ai gesuiti di aver alterato il pensiero di Giansenio dand o n e riassunti tendenziosi e isolandone dei b r a n i che fuori del l o r o c o n t e s t o a c q u i s t a n o altro significato, egli a d o t t a contro di loro lo stesso p r o c e d i m e n t o . Però nei p u n t i essenziali la sua contestazione va a bersaglio: c o m e p e r esempio q u a n d o r i m p r o v e r a agli e s p e r t i d i teologia m o r a l e della C o m p a g n i a , e specialmente a Escobar, di aver elaborato col probabilismo u n a d o t t r i n a che si presta a tutti gli usi e applicazioni. Ed è lui a i n v e n t a r e la p a r o l a casuistica, o meglio a 228
darle il significato che poi ha conservato di s t r a t a g e m m a cavilloso p e r rifiutare ciò che imbarazza e avallare ciò che fa c o m o d o : o p e r a z i o n e nella quale effettivamente i gesuiti sono maestri. Lo sono anche nel vendicarsi, e lo d i m o s t r a r o n o p e r s u a d e n d o il Papa a c o n d a n n a r e le Lettere (che d'allora in poi, si capisce, f u r o n o a n c o r a più ricercate e a p p r e z z a t e dal p u b blico) e la Regina m a d r e (Luigi X I V e r a a n c o r a un bambino) a c h i u d e r e le «piccole scuole» e a n o n a m m e t t e r e altri conversi a Port-Royal. M a d r e Angelica e le altre suore d e p o sero sull'altare u n a s p i n a c h e si diceva p a r t e della c o r o n a che aveva t o r t u r a t o Cristo, o g n u n a di esse la baciò, e q u a n do fu la volta di u n a n i p o t i n a di Pascal, mezzo accecata da u n a f i s t o l a , questa g u a r ì i m p r o v v i s a m e n t e . Q u e s t o a l m e n o fu riferito, e questo a n c h e Pascal sostenne con convinzione. L'impressione suscitata dal miracolo i n d u s s e la R e g i n a ad atteggiamenti più concilianti. Ma Luigi XIV, a p p e n a assunto il p o t e r e , impose ai ribelli un'abiura, a p p e n a mitigata da u n a formula conciliante. I Solìtaires si p i e g a r o n o e sottoscrissero. M a d r e Angelica persistette fino alla m o r t e nel rifiuto, che fu condiviso a n c h e da J e a n n e , q u a n d o p r e s e il suo p o sto. «Poiché i Vescovi», disse, « h a n n o un coraggio da d o n n e , le d o n n e d e v o n o avere un coraggio da Vescovi.» Pascal e r a m o r t o , a q u a r a n t u n a n n i . L'ultimo p e r i o d o lo aveva passato a scrivere i Pensieri, che p e r quasi d u e c e n t ' a n ni rimasero inediti. L'opera r a p p r e s e n t a il più alto tentativo, c o m p i u t o da un u o m o di fede, p e r a d e g u a r e il Cristianesimo al m o n d o m o d e r n o , cioè alle sue rivoluzionarie scoperte, c h e a v e v a n o ribaltato m o l t e delle tradizionali certezze. Non c'è n e s s u n r a p p o r t o , egli dice, fra la religione da u n a parte, la r a g i o n e e la scienza dall'altra; e chi cerca di mescolarle è vittima e r e s p o n s a b i l e di un i m b r o g l i o . N e l r e g n o della N a t u r a l ' u o m o p o t r à scoprire molte cose, forse tutte; ma n o n p o t r à scoprire la ragione di Dio. N e a n c h e la Bibbia p u ò aiutarci, poiché attraverso essa Dio parla p e r immagini e p a r a b o l e che h a n n o un significato diverso da quello che 229
l ' u o m o con la sua p o v e r a r a g i o n e gli ha dato. Q u e s t o «verme imbecille» che è l'uomo, si rassegni d u n q u e al mistero, o cerchi di p e n e t r a r l o con l'estasi mistica, cioè col cuore, perché con la m e n t e n o n p o t r à mai. Più che i suoi infantili sillogismi p o t r à soccorrerlo la certezza f o n d a m e n t a l e che l'uomo conobbe la Grazia divina, la p e r s e c o m m e t t e n d o il peccato originale e ne fu r e d e n t o solo dal m a r t i r i o del Cristo crocefisso. Chi n o n c r e d e a questo, vuol dire che Dio n o n lo ha prescelto p e r la salvezza. P u n t a sulla fede, dice Pascal: è la scommessa più vantaggiosa. «Se Dio c'è, avrai g u a d a g n a to il paradiso. Se n o n c'è, n o n avrai p e r s o nulla.» Si p u ò s o r r i d e r e di questa fede i n t e r p r e t a t a e p r e s e n t a t a come un «affare». Ma il fascino e la m o d e r n i t à di Pascal, più che nella fede, stanno nella inquieta ricerca della fede, cioè nel d u b b i o . E l ' u o m o m o d e r n o che vuol c r e d e r e , m a n o n p u ò p i ù farlo c o m e quello m e d i e v a l e . R i c o n o s c e n d o che n o n c'è speranza di salvezza senza quella fede che solo Dio p u ò d a r e , egli accetta la dottrina p r o t e s t a n t e della predestinazione, e nello stesso t e m p o toglie ogni significato alla sua disperata «scommessa». Ecco un u o m o di scienza che ha già capito i limiti della Scienza e u n a coscienza cristiana che n o n si riconosce più in n e s s u n a Chiesa. Alle soglie del g r a n Mistero, volle m o r i r e tuttavia da cattolico, c h i a m ò un p r e t e , si confessò, chiese il viatico, e lasciò quasi t u t t a la sua f o r t u n a ai p o v e r i . Se ne avesse avuto coscienza, avrebbe c e r t a m e n t e sorriso dei m e dici che dissezionarono il suo cadavere. Essi scoprirono che il fegato e r a in decomposizione, l'intestino in c a n c r e n a e la massa c e r e b r a l e i n s o l i t a m e n t e grossa e i n d u r i t a ; e dissero che da questo d i p e n d e v a n o le sue malattie. Ma Pascal avrebbe voluto sapere da cosa questo a sua volta d i p e n d e v a . Nello stesso m o m e n t o in cui q u e s t e revisioni si o p e r a v a n o n e l p e n s i e r o cattolico, se ne manifestavano di a n a l o g h e in quello p r o t e s t a n t e . N o n ci a d d e n t r e r e m o nelle loro diatribe. Basti r i c o r d a r e la loro ispirazione, s e m p r e e d o v u n q u e 230
la stessa: la ribellione ai d o g m a t i s m i , fonte di t u t t e le intolleranze che avevano insanguinato l'Europa. In Inghilterra sono Milton e B u n y a n c h e vi d a n n o avvìo, in Francia è un ex-gesuita convertito al calvinismo, Labadie; in O l a n d a e in I n g h i l t e r r a sono i m e n n o n i t i , i battisti, i quaccheri (che letteralmente vuol dire «i tremanti», cioè coloro che t r e m a no al cospetto di Dio). Ma, c o m e s e m p r e avviene in questi movimenti spirituali, in essi c'è a n c h e u n a c o m p o n e n t e p o litica e utilitaria. Ciò che ha reso possibile la G u e r r a dei T r e n t ' a n n i è stata la c o m m i s t i o n e del p o t e r e politico con quello religioso. La fede è diventata persecutrice p e r c h é ha avuto a disposizione la spada dello Stato. Bisogna d u n q u e s e p a r a r e u n a volta p e r tutte le d u e sfere. Il sacrario di Dio è la coscienza, dove ogni intromissione dello Stato è sacrilegio. Su questo p r i n c i p i o c o n c o r d a n o con e n t u s i a s m o le borghesie mercantili e i m p r e n d i t o r i a l i di L o n d r a , di Ginevra, di A m s t e r d a m , t r u p p e scelte del calvinismo, che in esso ved o n o u n a garanzia di liberismo. Escludere lo Stato dalle coscienze è il p r i m o passo p e r escluderlo a n c h e dall'industria, dal c o m m e r c i o , i n s o m m a da t u t t o il c a m p o e c o n o m i c o , in cui esso continua a interferire p e s a n t e m e n t e coi suoi balzelli, i suoi pedaggi, le sue corvées, le sue d o g a n e . La tolleranza è la p a c e . E la p a c e significa sicurezza di traffici e d'investimenti, accumulo di capitali, benessere, progresso. Ecco a cosa c o n d u c e u n o Stato sdivinizzato, c o m e o r a lo vogliono questi revisionisti della Riforma. Dio è u n ' a l t r a faccenda, che n o n ha bisogno né di eserciti né di tribunali, con cui anzi è i n c o m p a t i b i l e : o g n u n o se lo cerchi d e n t r o di sé. Per i quaccheri anzi questo dentro è così p r o f o n d o e r e m o t o ch'essi rifiutano a d d i r i t t u r a qualsiasi forma di Chiesa e la riducono a u n a «società di amici» senza s a c r a m e n t i né c e r i m o n i e liturgiche. Tutto questo n o n è che un riassunto molto schematico e s o m m a r i o di tutto un travaglio che avrebbe bisogno di b e n altra disamina. Ma ci p r e m e g i u n g e r e alla conclusione. Nel231
l ' E u r o p a che si r i c o m p o n e d o p o il g r a n b a g n o di s a n g u e della G u e r r a dei T r e n t ' a n n i , né il protestantesimo né il cattolicesimo s o n o p i ù gli stessi. D o v u n q u e q u e s t e d u e forze sono p e r c o r s e d a fremiti revisionistici c h e l e n t a m e n t e n e s c a r d i n a n o le i m p a l c a t u r e d o g m a t i c h e e ne p r o p i z i a n o l'ap e r t u r a all'esigenze del m o n d o m o d e r n o . D o v u n q u e , m e n o che in S p a g n a e in Italia. Legati m a n i e piedi a u n a Chiesa che ha fisicamente a n n i e n t a t o ogni cont r a d d i t t o r e tacciando di eresia qualsiasi dissenso, questi d u e Paesi sono tagliati fuori n o n solo dal pensiero dell'Occidente, ma a n c h e dal suo riassetto economico e sociale. Q u a n d o finalmente cadrà la cortina di ferro che li isola, essi si trover a n n o proiettati in u n ' E u r o p a che ha tre secoli di vantaggio su di loro. E ancora n e s s u n o sa se riusciranno ad adeguarvi le p r o p r i e strutture.
CAPITOLO VENTUNESIMO LE ACCADEMIE
Nel seguire le vicende di Galileo, abbiamo a un certo p u n t o i n c i a m p a t o nell'Accademia dei Lincei. L e A c c a d e m i e n o n e r a n o istituzioni n u o v e . Ce n ' e r a n o già state nell'antica Grecia, e nel Q u a t t r o c e n t o la Firenze medicea aveva restaurato quella platonica, che tanto aveva contribuito al r i n n o v a m e n to del p e n s i e r o filosofico rinascimentale. Ma è nel Seicento che il f e n o m e n o si s v i l u p p a in t u t t ' E u r o p a , sollecitato da motivi di varia n a t u r a . Il p r i m o è quello che abbiamo chiamato «la rivolta della scienza». La scienza, a differenza dell'arte, n o n è un p o r t a t o del t a l e n t o e dell'iniziativa i n d i v i d u a l e . E frutto di lavoro collettivo. Raffaello e M i c h e l a n g e l o p o s s o n o d i p i n g e r e e scolpire in assoluta solitudine, a t t i n g e n d o solo alla p r o p r i a ispirazione. Galileo ha bisogno di confrontare i p r o p r i esper i m e n t i c o n quelli a l t r u i e t e n e r s e n e al c o r r e n t e : scambia lettere c o n C o p e r n i c o , nel q u a l e t r o v a il p r o p e l l e n t e alle p r o p r i e fondamentali scoperte, e g i u n g e al telescopio attraverso gli studi di L i p p e r s h e y e Metius. L'Accademia nàsce anzitutto p e r facilitare questi scambi. Il Seicento n o n conosce quelli c h e oggi si c h i a m a n o i «mezzi di comunicazione di massa»: radio, televisione, cinema, eccetera. Nelle nazioni più p r o g r e d i t e sono nati i giornali. Ma n o n c o n t e n g o n o che b a n d i e avvisi commerciali, e la loro circolazione è limitata alle città in cui si pubblicano. Piano p i a n o si avverte l'esigenza di «centrali» che provvedano a stabilire e m a n t e n e r e contatti p e r m a n e n t i fra gli uomini di scienza, in m o d o che ciascuno di essi possa giovarsi del lavoro dell'altro. In un certo senso, l'Accademia assolve con 233
lo scienziato il compito che il m e c e n a t e assolveva con l'artista: gli fornisce i mezzi di ricerca, gli p r o c u r a i libri, glieli stampa. Ma a r e n d e r l a necessaria c o n t r i b u i s c o n o a n c h e le gravi deficienze del sistema scolastico, e s p e c i a l m e n t e di quello universitario. Università ce ne sono; anzi in questo p e r i o d o si sono moltiplicate. Ma quasi d a p p e r t u t t o sono m o n o p o l i o della Chiesa. E la Chiesa, ferma ai suoi schemi e metodi aristotelici, rifiuta quella libertà di discussione e di critica, ch'è l'ossigeno della cultura e soprattutto della scienza. Essa n o n ha n e s s u n interesse a d a r e a l l ' u o m o gli s t r u m e n t i p e r r e n dersi conto con la sua testa del m o n d o in cui vive e dei suoi fenomeni p e r c h é ci vede u n a minaccia alla verità rivelata di cui essa d e t i e n e l'esclusiva. N o n p e r nulla la c a r r i e r a u n i versitaria di Galileo fu così tribolata anche p r i m a ch'egli fosse dichiarato eretico. Eretici e r a n o già considerati i suoi metodi che miravano a stimolare l'attiva partecipazione dei discepoli alla ricerca e alla continua revisione critica dei risultati. La Chiesa, dal suo p u n t o di vista, aveva ragione di detestarli: i giovani che si formavano a questo tirocinio avrebb e r o finito col r i m e t t e r e in discussione n o n soltanto Tolom e o e la sua dottrina geocentrica, ma a n c h e Aristotele e San T o m m a s o , considerati le intangibili architravi del «sistema»; n o n avrebbero più riconosciuto «unti del Signore», si sarebb e r o ribellati a qualsiasi autorità r e s p i n g e n d o n e il principio stesso. Ma a questi motivi se ne a g g i u n g e v a un altro, forse anche più decisivo: quella involuzione del costume a cui abbiamo già dedicato un capitolo di questo libro, coi suoi riflessi sull'assetto c u l t u r a l e . La C o n t r o r i f o r m a riservava al sacerd o t e la l e t t u r a e l ' i n t e r p r e t a z i o n e delle Scritture. E questa privativa, su cui il clero fondava i p r o p r i titoli di privilegio, in pratica si t r a d u c e v a n e l l ' i n c o r a g g i a m e n t o all'analfabetismo. Le scuole, limitate a u n a ristrettissima m i n o r a n z a , dov e v a n o servire u n i c a m e n t e a p r e p a r a r e gli s t r u m e n t i del p o t e r e , laico ed ecclesiastico. La massa ne era esclusa. Essa 234
n o n doveva i m p a r a r e a leggere p e r c h é , i m p a r a n d o a leggere, a v r e b b e i m p a r a t o a p e n s a r e . E questo i m p e d i v a la formazione di un «pubblico» in g r a d o di a p p r e z z a r e i p r o d o t t i della cultura. Nell'Italia del Seicento lo scrittore e lo scienziato n o n avevano altri lettori e ascoltatori che il Principe o il Prelato che lo p r o t e g g e v a n o , e i colleghi. Per reazione all'isolamento, cui l'ignoranza del p o p o l o li c o n d a n n a v a , erano portati a fare g r u p p o tra loro. Ecco p e r c h é l'Italia è, e r i m a n e , la p a t r i a delle Accademie. Ce l'ha spinta il carattere asfittico della sua cultura, che in esse poi ha c o r r o b o r a t o tutti i suoi vizi. L'Accademia aveva bisogno del mecenate finanziatore, sempre legato d i r e t t a m e n t e o i n d i r e t t a m e n t e al p o t e r e , di cui p e r t a n t o essa diventava complice. Di qui i suoi rituali cortigianeschi, le formule ampollose di ossequio «a Sua Signoria l'Eccellentissimo e munifico» eccetera eccetera. E di qui la sua t e n d e n z a al circolo chiuso degli «eletti», che si manifesta anche in un particolare linguaggio p e r «addetti ai lavori», avvezzi a parlarsi solo tra loro con allusioni e strizzatine d'occhi che solo loro capiscono. La Chiesa aveva s e m p r e favorito questo andazzo. Anche nella g r a n d e fioritura umanistica e rinascimentale, la cultura in Italia n o n era mai stata «popolare». Era rimasta un privilegio di pochi, e la Chiesa l'aveva p r o t e t t a p r o p r i o a q u e sta condizione: che restasse un privilegio di pochi, legati al potere, cioè agli altri pochi che lo d e t e n e v a n o , dal fatto stesso che ne e r a n o m a n t e n u t i . D e n t r o questi ristretti circoli, si era tollerata u n a certa libertà. T a n t o , a limitarne gli effetti p r o v v e d e v a l'analfabetismo della massa. M a o r a n a t u r a l m e n t e la C o n t r o r i f o r m a aveva esasperato queste t e n d e n z e . Di Accademie, in questo p e r i o d o , ne n a c q u e r o in tutta Europa. Ma solo in Italia esse monopolizzarono la cultura che n o n aveva altri circuiti in cui diffondersi; e se da u n a p a r t e la c o n t a m i n a r o n o dei suoi vizi, dall'altra le p r o c u r a r o n o alm e n o un «focolare». Il poco che restava del genio italiano, soprattutto scientifico, si salvò d e n t r o di esse. 235
Alla più gloriosa d i e d e avvìo un nobile r o m a n o , il principe Federico Cesi, che in famiglia e r a c o n s i d e r a t o u n a p e c o r a n e r a p e r le sue i d e e p e r i c o l o s a m e n t e p r o g r e s s i s t e e anticonformiste. N o n era un genio. Ma aveva u n a passione per gli u o m i n i di g e n i o e li sapeva scovare e s t i m o l a r e . Eccellente suscitatore e impresario di talenti, rimase p e r ò semp r e un dilettante della cultura p e r c h é la varietà dei suoi interessi n o n gli p e r m i s e d ' a p p r o f o n d i r n e alcuno. Alla comp a g n i a della g e n t e del suo r a n g o , aveva f i n d a ragazzo preferito quella d'intellettuali italiani e stranieri con cui teneva circolo in un clima quasi di complotto. Il p a d r e , quando se n'accorse, provvide subito a sfrattare gl'intrusi e, p e r disintossicare il figlio dai loro veleni, lo m a n d ò a Napoli. Fu un d o p p i o e r r o r e . Anzitutto p e r c h é a Napoli viveva u n o dei p o c h i autentici scienziati italiani, il n a t u r a l i s t a Porta, col q u a l e i m m e d i a t a m e n t e F e d e r i c o strinse amicizia. E p p o i p e r c h é quell'ostracismo, lungi dallo s p e g n e r e gli entusiasmi di Federico, li trasformò in u n a sorta di spirito crociato che fece di lui un m i s s i o n a r i o laico della scienza. T a n t ' è vero che, m o r t o il p a d r e ed ereditatone il p a t r i m o n i o , Federico si d i e d e a n i m a , c o r p o e q u a t t r i n i a t r a d u r r e i suoi sogni in azione concreta. L'Accademia, chiamata dei Lincei p e r c h é i suoi soci si piccavano di osservare la n a t u r a e i suoi fenomeni con l'occhio acuto e infallibile della lince, aveva la funzione di stimolo e collettore d'esperienze e ricerche. Nelle intenzioni del fond a t o r e , alla «centrale» d o v e v a n o far capo «filiali» sparse in tutto il m o n d o , dotate di musei, biblioteche, tipografie, specole, orti botanici, l a b o r a t o r i . O g n i i n v e n z i o n e o scoperta doveva i m m e d i a t a m e n t e essere riferita a R o m a e sottoposta al vaglio degli accademici. All'inizio costoro e r a n o facilmente riconoscibili p e r c h é p o r t a v a n o u n a collana da cui p e n d e va a ino' di ciondolo u n a lince, e si facevano c h i a m a r e con u n o p s e u d o n i m o . Il Cesi era noto c o m e il Cerivago, lo Stellila' c o m e il T a r d i g r a d o , l'Heckio c o m e l'Illuminato. L'Accad e m i a fu i n a u g u r a t a il 17 agosto 1603 dal Cesi, alla presen236
za di tutti i soci, che alla fine della cerimonia i n t o n a r o n o un Te Deum. In quella stessa r i u n i o n e decisero d ' a p r i r e le successive con la recita d ' u n salmo di Davide e di p o r r e il sodalizio sotto la protezione di San Giovanni. D o p o d i c h é si recar o n o in L a t e r a n o a r e n d e r e omaggio al novello p a t r o n o . Ma solo nel 1610 l'attività del cenacolo diventò regolare. Le sedute si t e n e v a n o nel palazzo di Federico in via della M a s c h e r a d ' o r o e si p r o t r a e v a n o spesso fino all'alba. O g n i r a m o dello scibile veniva messo sul t a p p e t o e sviscerato. L'as t r o n o m o illustrava la sua ultima scoperta, il fisico o il matematico la sua più recente invenzione, il filosofo dissertava su Platone, Aristotele, San T o m m a s o , il p o e t a d e c l a m a v a i suoi versi, il medico esponeva u n a n u o v a teoria sulla circolazione del s a n g u e o sulla lue. L u n g h e o r e e r a n o d e d i c a t e alla l e t t u r a di manoscritti e alla scelta di quelli da d a r e alle stampe. L'attività dell'Accademia fu fervida e intensa finché visse il suo fondatore e a n i m a t o r e . Q u a n d o il Cesi morì, v e n n e r o m e n o n o n solo i fondi, ma a n c h e lo slancio e l'entusiasmo dei soci. L'istituzione d e c a d d e , p e r s e i m p e g n o e a u t o r i t à e, verso la m e t à del Seicento, la sua fama fu eclissata dall'Accademia fiorentina del C i m e n t o , che del resto anagraficamente l'aveva p r e c e d u t a . La città medicea e r a stata la culla dei p r i m i cenacoli culturali. Q u i - come abbiamo tentato di spiegare ne\Y Italia dei Secoli d'oro - grazie al m e c e n a t i s m o di Cosimo e r a nata, nel Q u a t t r o c e n t o , l'Accademia platonica, c h e d i v e n t ò u n attivissimo centro di studi filosofici e attirò il fior fiore dell'mtellighenzia e u r o p e a . Un secolo d o p o , nel 1540, un farmacista, A n t o n Francesco Grazzini, che aveva l'hobby della filologia, aveva fondato con alcuni amici l'Accademia degli Umidi p e r d i f e n d e r e il volgare dagli attacchi di coloro che volevano i m m e r g e r l o in un «bucato» di latino a tutto scapito della sua vivezza e naturalezza. Anche gli Umidi, come i Lincei, si r i b a t t e z z a r o n o , affibbiandosi n o m i acquatici, e Grazzini scelse quello di Lasca, un pesce di fiume agile, veloce e guiz237
zante. Il g i o r n o d e l l ' i n a u g u r a z i o n e si lanciò c o n t r o l'imitazione dei classici e in favore dei m o d e r n i e della lingua parlata. Ma la sua c a r r i e r a d ' a c c a d e m i c o fu di b r e v e d u r a t a . U n a violenta polemica coi colleghi che volevano farsi assorbire dai Platonici lo riportò dietro i banchi della farmacia, di d o v e p e r v e n t ' a n n i seguitò a scagliare feroci e p i g r a m m i c o n t r o gli U m i d i . Nel 1582 t o r n ò all'ovile c h e , f r a t t a n t o , aveva m u t a t o n o m e in Accademia della Crusca. La Crusca aveva p e r e m b l e m a il frullone, u n a specie di setaccio, e p e r motto: «Il più bel fior ne colsi», e si p r o p o n e va di purificare e r i g e n e r a r e la lingua italiana. La sua sede s ' a d o r n ò di suppellettili b i z z a r r e : le librerie, p e r e s e m p i o , e r a n o di legno a forma di sacco, dipinte di grigio ad imitazione della tela grezza, e s'aprivano n o n sul davanti ma da un lato. Le «tornate», cioè le sedute, si c h i a m a v a n o «sollazzi» p e r c h é d o v e v a n o svolgersi in u n ' a t m o s f e r a festosa e cameratesca. I Cruscanti si d i e d e r o anche u n a gerarchia e dei gradi: il p i ù alto era quello di Arciconsole. Fra coloro c h e ne furono insigniti ci fu a n c h e un calzolaio, Giovan Battista Gelli, un autodidatta che q u a n d o s'alzava dallo scagno si profondava nello studio di Dante, del Boccaccio, del Machiavelli, e compilava dotte o p e r e sul volgare, di cui era a n c h e lui un accanito fautore contro i nostalgici del latino. Rivendicava il prim a t o del toscano p o p o l a r e s c o schietto e colorito sugli altri dialetti italiani, e si batteva p e r c h é assurgesse a i d i o m a nazionale. Era un patito di D a n t e , citava a m e m o r i a la Divina Commedia e proclamava il suo a u t o r e il massimo p o e t a di tutti i tempi. Il prestigio di cui il Gelli godeva presso i colleghi, che v a n t a v a n o p o m p o s i titoli accademici, e r a i m m e n s o . N e s s u n o ne eguagliava l'eloquenza, l'erudizione e l'acutezza di giudizio. Gli annali di questo glorioso sodalizio fanno rivivere l'atmosfera in cui si svolgevano le sue riunioni, alle quali si diceva che partecipassero a n c h e i fantasmi di D a n t e , Boccaccio e Petrarca. Il n o m e della Crusca è legato alla compilazio238
ne dei g r a n d i vocabolari della lingua italiana. Il p r i m o vide la luce nel 1612, ma le revisioni, gli a g g i o r n a m e n t i , le riedizioni n o n si c o n t a n o . Q u e s t ' A c c a d e m i a servì da m o d e l l o a molti Paesi d ' E u r o p a , t r a cui Francia, S p a g n a e G e r m a n i a , che ne assimilarono lo spirito e ne a d o t t a r o n o i metodi. L'Accademia del C i m e n t o n a c q u e q u a n d o quella della Crusca e r a già all'apice della fama. A fondarla fu, nel 1657, il p r i n c i p e L e o p o l d o , fratello del g r a n d u c a F e r d i n a n d o II. Era u n o degli u o m i n i più colti del suo t e m p o , sapeva di tutto: la filosofia, la g r a m m a t i c a e la poesia n o n l'entusiasmav a n o m e n o della m a t e m a t i c a , della geologia, d e l l ' a s t r o n o mia. Ma la sua passione e r a la fisica e il suo dio Galileo, al cui m e t o d o dovevano ispirarsi tutti gli scienziati. Fu p e r difendei"e e d i f f o n d e r e q u e s t o m e t o d o c h e L e o p o l d o istituì l'Accademia del C i m e n t o . C o m e insegna le d i e d e un fornello acceso con t r e crogioli, e c o m e m o t t o il d e t t o d a n t e s c o : « P r o v a n d o e r i p r o v a n d o » , invito e m o n i t o a p e n e t r a r e la n a t u r a e scoprirne i segreti attraverso la ricerca diretta, l'osservazione attenta, la sperimentazione. La p r i m a s e d u t a si svolse a Palazzo Pitti il 19 g i u g n o (1657) al cospetto dell'Arciduca, che ne divenne il munifico finanziatore. Dapprincipio i soci dell'Accademia furono dieci, oltre L e o p o l d o che assunse la carica di Presidente: Viviani, Borelli, Oliva, Dati, Rinaldini, Marsili, Paolo e C a n d i d o del B u o n o , Magalotti e Redi. Francesco Redi era u n o studioso di g r a n d e i n g e g n o e di versatile talento. Di professione faceva il medico, ma i suoi interessi e r a n o infiniti. C o m e L e o p o l d o , s'occupava di tutto, e con la stessa facilità e c o m p e t e n z a disquisiva di botanica e di teologia, di astrologia e di storia. Era un o r a t o r e n a t o e possedeva straordinarie doti di divulgatore, che pose al servizio d ' u n a spietata c a m p a g n a c o n t r o le s u p e r s t i z i o n i c h e affli* g e v a n o la scienza ufficiale e ne impacciavano l'evoluzione. Si mise a c o n f u t a r e in m o d o sistematico m o l t e scoperte degli antichi accettate c o m e o r o colato dagli scienziati contemporanei. Rilevò, ad esempio, le contraddizioni di Pli239
nio che in un passo diceva che le api n o n m a n g i a n o carne e in un altro consigliava di nutrirle con polpette di pollo crud o . Ridicolizzò le p i ù bislacche ipotesi sull'origine di questi insetti g e n e r a t i , s e c o n d o alcuni, dalle viscere p u t r e f a t t e d ' u n toro; secondo altri, dalle sue corna; secondo altri ancora dal cervello o dal midollo spinale. Anche le vipere, sulle quali scrisse un d o t t o trattato, furono oggetto delle sue ricerche. Gli antichi sostenevano che questi serpentelli avevano o r r o r e p e r i frassini e le foglie di betonica. Il Redi, prove alla m a n o , d i m o s t r ò che le vipere, lungi dall'averne p a u r a , p r e d i l i g e v a n o q u e s t e p i a n t e . G a l e n o aveva scritto c h e chi mangiava vipere sarebbe m o r t o di sete. Il Redi convinse un amico pieno d'acciacchi a b e r e il b r o d o di vipera e a mescol a r n e la c a r n e col p a n e . N o n gli v e n n e p i ù sete di q u a n t a n o n ne avesse p r i m a di sottoporsi a questo disgustoso esper i m e n t o . Per Avicenna u n a goccia di s a n g u e di vipera bastava a fulminare un u o m o . Un certo J a c o p o Sozzi, su istigazione s e m p r e del Redi, diluì in un bicchier d'acqua u n a piccola quantità di veleno, lo t r a n g u g i ò e ne uscì incolume. In tutte queste sperimentazioni, n o n sappiamo se a m m i r a r e di più il talento del Redi o l'abnegazione dei suoi amici che così d o c i l m e n t e si p r e s t a v a n o a fare da cavia. C o m u n q u e , il celebre medico n o n si limitò a m e t t e r e alla berlina le opinion i degli antichi. I m p u g n ò a n c h e quelle dei m o d e r n i , boll a n d o la loro fede nelle più esotiche e strampalate panacee, i m p o r t a t e dai missionari in O r i e n t e . U n o di costoro raccom a n d a v a l'uso delle setole di coda d'elefante contro le vertigini, un altro suggeriva di c u r a r e le emicranie a p p o g g i a n d o sulla fronte certi sassolini del Malabar. E Redi s m o n t ò ad u n a a d u n a tutte queste corbellerie. I n t e n d i a m o c i : gli accademici n o n dedicavano le loro sed u t e solo alla confutazione delle stravaganze. Dibattevano anche p r o b l e m i più impegnativi e facevano n u m e r o s i esperimenti. Questi tuttavia e r a n o r a r a m e n t e frutto d ' u n lavoro di équipe p e r c h é i soci, divisi da invidie, gelosie e b e g h e personali, n o n a n d a r o n o mai m o l t o d ' a c c o r d o . Solo l'autorità 240
di L e o p o l d o e il rispetto che incuteva riuscirono, finché egli fu alla g u i d a del sodalizio, a t e n e r l i u n i t i . Ma q u a n d o nel 1667 il principe diventò cardinale e si trasferì a Roma, le rivalità si s c a t e n a r o n o e il cenacolo, r i m a s t o o r f a n o del suo fondatore e m o d e r a t o r e , dovette c h i u d e r e i battenti. Quella del C i m e n t o fu l'ultima g r a n d e Accademia del secolo. L'Arcadia, i n a u g u r a t a alla fine del 1690, a p p a r t i e n e infatti a quello successivo e n a c q u e p r o p r i o c o m e reazione al Seicento e al suo m a g g i o r e e p i ù discusso poeta: il cavalier Giambattista Marino.
CAPITOLO VENTIDUESIMO
IL CAVALIER M A R I N O
Giambattista M a r i n o e r a n a t o a N a p o l i nel 1569 p r i m o di sette t r a fratelli e sorelle. Il p a d r e e r a avvocato e a v r e b b e voluto fare di Giambattista il p r o p r i o successore. Ma il figlio seguì svogliatamente gli studi di legge e n o n riuscì a conseguire la laurea. N o n e r a fatto p e r i codici e le p a n d e t t e . Sang u i g n o , e s u b e r a n t e , focoso, a m a v a la bella vita, le belle donn e , la b u o n a tavola, il gioco. Era un f r e q u e n t a t o r e accanito di t a v e r n e e bordelli, gli piaceva far bisboccia con gli amici fino all'alba e ficcarsi in t u t t e le zuffe. F i s i c a m e n t e e r a un bel ragazzo, di s t a t u r a s u p e r i o r e alla m e d i a , aitante, la faccia allungata, la fronte ampia, gli occhi celesti e brillanti, la bocca g r a n d e , le labbra carnose e sensuali. Da b u o n napoletano teneva molto all'esteriorità. Si vestiva con ricercata eleganza ed era s e m p r e à la page, sebbene il p a d r e lo tenesse a stecchetto. Per raggranellare qualche soldo scriveva versi su o r d i n a z i o n e . Ne b u t t a v a giù a migliaia c o n incredibile facilità e su q u a l u n q u e t e m a . L'amore e r a p e r ò l ' a r g o m e n t o che più lo ispirava e ne sollecitava la vena. Il suo n o m e cominciò a circolare nei salotti alla m o d a di Napoli. Le d a m e lo c o l m a v a n o di favori e t e n e r e z z e , e lui, oltre a dedicargli i suoi c o m p o n i m e n t i , le riempiva di doni. N o n a v e n d o g r a n d i risorse, fece molti debiti. Dapprincipio il p a d r e glieli p a g ò , p o i lo cacciò di casa. A v e n t u n a n n i , Giambattista lasciò N a p o l i e a n d ò in cerca d ' u n m e c e n a t e . Ló trovò p r i m a nel d u c a di Bovino, poi in altri nobilotti che in cambio d'elogi e panegirici gli fornivano vitto e alloggio. Ma il M a r i n o n o n e r a tipo d'accontentarsi d ' u n piatto di m i n e s t r a e d ' u n b u o n letto. Voleva riconoscimenti e onori. 242
Nel 1592 ebbe questi e quelli alla corte di d o n Matteo di Capua, principe di Conca, dove si d a v a n o convegno il fior fiore dell'intellighenzia n a p o l e t a n a e le più belle d o n n e del Regno. Don Matteo era u n o splendido p a t r o n o , aveva le m a n i b u c a t e , a m a v a la c u l t u r a e s'intendeva d ' a r t e . Giambattista restò p r e s s o di lui alcuni a n n i , riverito e t r a t t a t o da p a r i a pari. Ma un bel giorno, improvvisamente, fu i m p r i g i o n a t o , secondo alcuni p e r sodomia, secondo altri p e r aver sedotto la figlia d ' u n notabile locale. Essendo costei m o r t a in seguito a un a b o r t o , il p a d r e avrebbe chiesto e o t t e n u t o da d o n Matteo la p u n i z i o n e del poeta, che fu rinchiuso nel carcere della città. Ci r e s t ò l u n g h i mesi l a m e n t a n d o s i , s c r i v e n d o versi e invocando clemenza. Finalmente fu liberato. Il p r i n c i p e lo p e r d o n ò , lo r e i n t e g r ò nel suo r a n g o e nel 1600 se lo p o r t ò con sé a R o m a p e r il giubileo di C l e m e n t e V i l i . Ma p o i lo fece di n u o v o i m p r i g i o n a r e sotto l'accusa d'aver tentato di s o t t r a r r e alla giustizia un amico che in un eccesso d'ira aveva ucciso un servo. D i s p e r a n d o di o t t e n e r e u n a seconda grazia, Marino preferì evadere, e male in a r n e se e senza il becco d ' u n quattrino, si rifugiò a Roma. U n c e r t o m o n s i g n o r M e l c h i o r r e C r e s c e n z i o , c h e aveva letto i suoi versi, l'ospitò nel p r o p r i o palazzo, lo rifocillò e r i m p a n n u c c i ò . Nell'Urbe Giambattista si sentì subito a p r o prio agio. D o n n e , letterati e p r o t e t t o r i ce n ' e r a n o a j o s a e, n o n o s t a n t e la C o n t r o r i f o r m a , si viveva a l l e g r a m e n t e . O g n i tanto il Crescenzio gli pagava a n c h e un viaggetto a Siena, a Firenze, a Padova, a Venezia. Nel luglio 1602, p e r ragioni che i g n o r i a m o m a che n o n ci è difficile i m m a g i n a r e , cambiò p a d r o n e , m e t t e n d o s i alle d i p e n d e n z e d e l c a r d i n a l e P i e t r o Aldobrandino n i p o t e d i C l e m e n t e V i l i . I l C a r d i n a l e e r a u n o degli u o m i n i p i ù p o tenti della città e il M a r i n o diventò il poeta più in vista e più conteso. Tutti gli chiedevano versi e n e s s u n o se li vedeva rif i u t a r e . G i a m b a t t i s t a c o m p o n e v a c a n z o n i , o t t a v e , sonetti, e p i g r a m m i . Le d e d i c h e che li a c c o m p a g n a v a n o p u z z a v a n o d'incenso e rigurgitavano di lodi. Q u a n d o n o n e r a al tavoli243
no il poeta intratteneva le belle signore nei salotti e nelle alcove, p a r t e c i p a v a a feste, si faceva v e d e r e in c o m p a g n i a di prelati, declamava in pubblico i p r o p r i versi, interveniva a dibattiti letterari e filosofici, diventava m e m b r o dell'Accademia degli U m o r i s t i , s p e n d e v a e s p a n d e v a , sfoggiava vesti s o n t u o s e , faceva vita da pascià: i n s o m m a i n c a r n a v a il modello dell'intellettuale italiano del Seicento, cortigiano e parassita. Nel 1605, la s c o m p a r s a dello zio assestò un d u r o colpo alle fortune del cardinale Pietro, a cui il Marino aveva legato le p r o p r i e . L'Aldobrandini l'aveva t e n u t o s e m p r e come un figlio e p e r questo Giambattista si rassegnò, con la morte nel c u o r e , a seguire il suo p a t r o n o q u a n d o questi si trasferì a Ravenna. La città e r a u m i d a , malsana, noiosa. Al calar delle t e n e b r e le vie si svuotavano, la gente si rintanava nelle case, d ' u n a società n e m m e n o l'ombra. Per fortuna, ogni tanto il p o e t a riusciva a farsi m a n d a r e dal C a r d i n a l e a R o m a , a Bologna, a Venezia. Alla fine, col p e r m e s s o del suo p r o t e t t o r e , si accasò a Tor i n o , su invito di Carlo E m a n u e l e I. Conquistò immediatam e n t e il Duca d a n d o fiato alle t r o m b e d e l l ' a d u l a z i o n e . In poco t e m p o si g u a d a g n ò i galloni di p r i m o poeta di corte, il che gli valse l'ostilità dei colleghi, capeggiati dal segretario del Duca, il genovese G a s p a r e Murtola, che l'accusò d'empietà e d'altri turpi vizi. Il Marino riuscì a o t t e n e r e dal Duca il l i c e n z i a m e n t o del suo d e n i g r a t o r e . E costui, p e r vendicarsi, s'appostò in p i e n a notte in piazza Castello, e q u a n d o vide passare il rivale gli sparò cinque pistolettate. Ma fallì il bersaglio e i colpi f e r i r o n o un amico di Giambattista. L'attentatore fu c o n d a n n a t o a m o r t e ; ma, p e r intercessione dello stesso Marino, Carlo E m a n u e l e gli concesse la grazia. L'episodio fece sensazione, e la fama del poeta napoletano salì alle stelle. Il suo n o m e era sulla bocca di tutti. I nobili facevano a gara nell'accaparrarselo. Giambattista assaporava con voluttà gli a r o m i della gloria, p r e n d e v a p a r t e a caroselli, balli in m a s c h e r a , n o n p e r d e v a u n a prima. Ma ogni 244
tanto faceva u n a capatina a R o m a o a R a v e n n a a trovare il suo vecchio C a r d i n a l e . Veleggiava o r m a i verso la q u a r a n t i na, era ricco, conteso, adulato, i colleghi ne t e m e v a n o il giudizio e ne ricercavano le lodi. U n a sua parola poteva fare la loro fortuna o rovinarli. Era diventato l'arbitro intellettuale della piccola corte sabauda, e il Duca ne aveva fatto u n o dei p r o p r i favoriti. Ma dietro le q u i n t e le malelingue seguitavano a s e m i n a r e zizzania e a spargere voci calunniose sul suo conto. U n a di queste, n o n s a p p i a m o quale, giunse all'orecchio del sospettosissimo Carlo E m a n u e l e , che fece a r r e s t a r e e c h i u d e r e in c a r c e r e il poeta. Alla liberazione, M a r i n o ottenne in risarcimento u n a forte s o m m a di d e n a r o e riebbe i m a n o s c r i t t i c h e gli e r a n o stati s e q u e s t r a t i , fra cui l'Adone, l'opera sua più famosa, a cui lavorava da a n n i . Cercò di rig u a d a g n a r s i la fiducia del Duca s o s t e n e n d o le sue rivendicazioni al titolo di Re e celebrandolo c o m e il r e d e n t o r e d'Italia. Ma tutti questi tentativi, a n c h e se a p p a r e n t e m e n t e lo rimisero in a u g e c o m e p o e t a e cortigiano, n o n servirono a smobilitare la diffidenza di Carlo E m a n u e l e . Q u a n d o questi gli ridusse lo s t i p e n d i o , il M a r i n o capì c h ' e r a meglio cambiar aria e cercarsi un altro mecenate. N o n gli fu difficile t r o v a r l o . Da a n n i dalla Francia gli g i u n g e v a n o inviti a trasferirsi a Parigi, la capitale e u r o p e a più ricca, colta, g a u d e n t e e cosmopolita del t e m p o . Giambattista vi g i u n s e nel 1615, ricevuto c o n o n o r i d e g n i d ' u n sovrano. Il n u n z i o apostolico, m o n s i g n o r Ubaldini, gli mise a disposizione il p r o p r i o a p p a r t a m e n t o , dove Giambattista provvisoriamente s'istallò. In poco t e m p o conquistò la città e questa conquistò lui. N e a n c h e a R o m a era stato così b e n e . Si lanciò nel vortice della vita m o n d a n a e si mise a studiare il francese, ma l'unica parola che i m p a r ò fu oui. E lui stesso a confessarlo in u n a delle i n n u m e r e v o l i lettere che q u o t i d i a n a m e n t e m a n d a v a agli amici italiani, e che sono i migliori scampoli della sua prosa p e r c h é scritte senza artificio. In una definisce la Francia «paese mirabile p e r le sue stravaganze e p e r le sue mutazioni c o n t i n u e , g u e r r e civili p e r p e 245
tue», in un'altra d e r i d e gli abiti effeminati degli u o m i n i e si fa beffa delle d o n n e che «per essere t e n u t e belle sogliono mettersi degli empiastri e d e ' bullettini in sul viso, si spruzzano le c h i o m e di certa polvere di zanni, che le fa diventar c a n u t e , talché da principio io stimavo che tutte fossero vecchie... Usano p o r t a r e a t t o r n o semicerchi di botte a guisa di pergole». Ma la gioia di vivere, lo spirito gaio, scanzonato e festaiolo dei parigini l'entusiasmano: «Le signore n o n fanno scrupolo di lasciarsi baciare in pubblico; si tratta con tanta libertà che o g n i p a s t o r e p u ò d i r e alla sua ninfa c o m m o d a m e n t e il fatto suo. Circa il resto... giuochi, festini, con balletti e con banchetti continovi». Ma la cosa che più lo strabilia è la l i n g u a : «L'oro si a p p e l l a a r g e n t o ; il far colazione si dice digiunare, le città son dette ville, il b r o d o buglione come se fosse della schiatta di Goffredo!» A p a r t e c o m u n q u e le bizzarrie della m o d a , la pioggia, la lingua, è felice di trovarsi qui. La Regina lo colma d'attenzioni, i nobili sono gentili con lui, g u a d a g n a tremila scudi l'anno, fa quello che vuole, si concede ogni sorta di svaghi, viaggia, tiene conferenze, c o m p o n e versi, fa strage di cuori femminili e - s e c o n d o i maligni - a n c h e di quelli maschili. «Mi pare» scrive «che importi assai vivere all'ombra di u n a corona così grande.» Si disobbliga sciogliendo encomi e ditirambi ai suoi benefattori. Il loro successo è strepitoso: «Le maitre des maìtres», il «maestro dei maestri» lo definiscono i colleghi francesi, p o n e n d o l o a d d i r i t t u r a al di s o p r a del Tasso. Molti poeti lo p r e n d o n o a modello, lo traducono, lo copiano. Giambattista, gongolante, si vanta di «aver portato le Muse toscane al di qua da l'Alpi e introdottele nelle camere reali». I suoi libri si v e n d o n o a migliaia di copie. Il poeta sovrintende person a l m e n t e alla loro s t a m p a in francese, ma c'è p e r s i n o chi si mette a studiare l'italiano p e r leggerli nell'originale. G r a n p a r t e del t e m p o lo dedica p e r ò alla rifinitura dell'adone, alla cui p u b b l i c a z i o n e ha p r o m e s s o di c o n t r i b u i r e con un sussidio la C o r o n a stessa. O g n i t a n t o fa circolare qualche scampolo del p o e m a p e r saggiare e stuzzicare la cu246
riosità del pubblico. Tutti si d o m a n d a n o q u a n d o lo finirà. Il poeta nicchia, fiuta il m o m e n t o favorevole, vuol essere sicuro che i p e r s o n a g g i della corte che ha rivestito di p a n n i favolosi e mitologici n o n c a d a n o in disgrazia trascinando con sé il loro a e d o . Finalmente il lavoro vede la luce, m u n i t o di tutti i crismi e viatici. È dedicato al Re e trabocca di lodi p e r b e n q u a r a n t a c i n q u e m i l a versi, divisi in venti interminabili canti. L'ispirazione è idillico-mitologica c o m e Y'Aminta del Tasso, il Postar Fido del G u a r i n i , YArcadia del S a n n a z a r o . Il p o e m a s ' a p r e c o n un p r o l o g o enfatico e u n ' i n v o c a z i o n e a Venere. La vicenda, trita e ritrita, è di s t a m p o ovidiano, e trae l o s p u n t o dall'infelice a m o r e d'Afrodite p e r A d o n e , propiziato dal figlio della dea, C u p i d o . Ci m a n c a lo spazio per riassumere l'intera t r a m a che richiederebbe un altro lib r o e a n n o i e r e b b e il lettore d'oggi nella stessa m i s u r a in cui esaltò il c o n t e m p o r a n e o . I suoi arzigogoli e riboboli n o n riescono a m a s c h e r a r e la povertà dell'ispirazione. Si sente che il p o e t a n o n sente. Si limita, con sbalorditiva abilità e v e n a fecondissima, a c o m p o r r e rime. Ma n o n c'è partecipazione, n o n ci sono emozioni. Le immagini, le metafore, le similitudini m i r a n o solo all'effetto. C o l p i s c o n o la fantasia, stordiscono, d a n n o le vertigini, ma n o n c o m m u o v o n o : «E del poeta il fin la meraviglia», p r o c l a m a il Marino. Il suo virtuosismo tocca vette eccelse, i versi r i d o n d a n o e r i m b o m b a n o . Sono enfatici, ampollosi, iperbolici. Il poeta n o n conosce la misura, t e n d e all'eccesso, trabocca, si scrive addosso, e se ne compiace. I caratteri n o n h a n n o anima, sono manichini addobbati con vesti sontuose e bizzarre dai colori sgargianti, m a n o v r a t i con g r a n d e maestria ma senza pathos. Il M a r i n o si rivela artefice geniale, ma n o n artista. Possiede u n a tecnica perfetta, n e s s u n o meglio di lui sa p a d r o n e g g i a r e il verso, trovare la rima, costruire l'ottava, girarla, rigirarla, cesellarla, darle un r i t m o e u n a musica, ma n o n u n ' a n i m a . Le d e scrizioni migliori sono quelle amorose, nelle quali il Marino s'abbandona alla sua vena più autentica e felice: quella erotica. «Poema della voluttà» fu p e r questo definito YAdone. 247
L'eco che suscitò fu i m m e n s a , e n o n solo in Francia e in Italia. La m a g g i o r p a r t e dei critici parlò di capolavoro, e l'op e r a a n d ò a r u b a . Il p o e t a r a g g i u n s e l ' a p o g e o della fama. Ma gli acciacchi che avevano cominciato ad affliggerlo gl'imp e d i r o n o di g o d e r s e l a . A c i n q u a n t ' a n n i s e m b r a v a un vecchio, era diventato un p o ' sordo, e n o n o s t a n t e gli allori mietuti si sentiva solo e scontento. N e m m e n o le d o n n e , che aveva tanto a m a t o , riuscivano p i ù a consolarlo. La stessa Parigi cominciava a venirgli a noia. Per la p r i m a volta, da q u a n d o vi e r a a p p r o d a t o , aveva nostalgia dell'Italia. Da Torino, da R o m a , da Napoli riceveva o g n i g i o r n o lettere di amici che l'invitavano a t o r n a r e . Egli r i s p o n d e v a che n o n ne vedeva l'ora. Q u e s t a g i u n s e n e l l ' a p r i l e d e l 1623. Si c o n g e d ò dal Re con le lacrime agli occhi e le tasche piene di scudi, e con un piccolo seguito rivalicò le Alpi. Fece u n a breve t a p p a a Torir n o , dove ricevette dalle m a n i di T o m m a s o di Savoia u n a collana d ' o r o . Poi si mise in c a m m i n o alla volta d e l l ' U r b e , che gli aveva p r e p a r a t o g r a n d i festeggiamenti. Un p o e t a romano invitò i colleghi ad andargli incontro e a salutarlo «unico cigno». Principi e prelati gli s p a l a n c a r o n o le p o r t e dei loro palazzi. Giambattista scelse quello dei Crescenzi e, lì p e r lì, s e m b r ò ritrovare la vecchia gioia di vivere. In Francia aveva accumulato un bel gruzzolo. U n a p a r t e se l'era p o r t a t a con sé, un'altra - circa seimila scudi - l'aveva chiusa in un baule e affidata a u n a galera diretta a R o m a . D u r a n t e la traversata i pirati avevano assalito la nave spogliandola di tutto il bottin o . Per il p o e t a fu un colpo terribile, c h e gli p r o c u r ò u n a crisi d'ipocondria. O g n i piccola cosa l'infastidiva, usciva pesco di casa, passava l u n g h i p e r i o d i a letto, lavorava a fatica, lo scirocco r o m a n o lo stremava. ? Decise di trasferirsi a N a p o l i , c h e n o n v e d e v a da quasi c i n q u e lustri. Il Viceré gli m a n d ò i n c o n t r o la sua carrozza* i p a d r i Teatini l'ospitarono nel loro c o n v e n t o in attesa che la casa che il p o e t a aveva affittato in via T o l e d o fosse p r o n ta, le Accademie degl'Infuriati e degli Oziosi se lo disputa*248
vano, l'Università voleva a d d i r i t t u r a innalzargli u n m o n u m e n t o con t a n t o d'epitaffio, m a i l M a r i n o rifiutò. N i e n t e riusciva p i ù a rallegrarlo. Voleva a n d a r s e n e , t o r n a r e a Parigi, ma i medici lo sconsigliarono: le sue condizioni di salute infatti p e g g i o r a v a n o , ai vecchi acciacchi s ' e r a n o a g giunti acuti d o l o r i alla vescica. U n a m a t t i n a si sparse la voce che il p o e t a e r a m o r t o . Era vera solo a metà: Giambattista viveva a n c o r a , ma aveva i giorni contati. «Da un t e m p o in qua» confidò all'amico B r u n i «non posso cacare un m a ledetto verso; il m e s t i e r o d e ' versi n o n è p e r quelli che s'inc a m m i n a n o verso l'occaso. Apollo è giovine e le Muse sono pulzelle v e r g i n i , e c o m e n o n p r a t i c a n o v o l e n t i e r i co' vecchi, così si m a r i t a r e b b e r o l i e t a m e n t e a giovani senza b a r ba.» Ad a g g r a v a r e il suo stato gli g i u n s e da R o m a la notizia che l'Inquisizione aveva giudicato Y Adone i m m o r a l e ed esigeva u n a revisione dei passi p i ù scabrosi. «Se il libro m e r i ta il fuoco» e s c l a m ò r a s s e g n a t o l ' a u t o r e «che s'abbruci.» L'editore si limitò invece a p u r g a r l o , e il p o e m a v e n n e ristampato. A q u e s t o p u n t o l'assalì la p a u r a di finire all'inferno p e r via di quell'opera licenziosa, decise di far a m m e n d a dei p r o pri peccati, e supplicò i Teatini di seppellirlo nel loro convento, p r o m e t t e n d o loro in cambio la sua biblioteca e i suoi q u a d r i p i ù belli. N e l m a r z o (1625) v e n n e s o t t o p o s t o a u n difficile i n t e r v e n t o c h i r u r g i c o . L'operazione n o n riuscì e il giorno 25 spirò. Aveva cinquantasei a n n i . Il cordoglio, n o n solo a Napoli e in Italia, ma a n c h e all'estero, f u i m m e n s o . L e e s e q u i e f u r o n o c e l e b r a t e c o n g r a n p o m p a , gli elogi funebri si s p r e c a r o n o . Gli amici lo p i a n s e r o c o m e il «massimo p o e t a del secolo», e forse - p u r t r o p p o avevano r a g i o n e . I nemici attaccarono con i n a u d i t a violenza la sua o p e r a , r i e s u m a r o n o le vecchie accuse di sodomia, trasformarono il poeta erotico in p o r n o g r a f o e fecero circolare certi suoi c o m p o n i m e n t i lascivi, fin allora inediti, m e scolandoli a t u r p i e oscene poesie apocrife. C o n t r o questi d e t r a t t o r i si l e v a r o n o g l ' i n n u m e r e v o l i e p i g o n i del poeta, o 249
marinisti. F u r i b o n d a e senza q u a r t i e r e fu la p o l e m i c a che ne seguì e che d i v a m p ò p e r decenni. Il M a r i n o ne uscì piuttosto malconcio. Molte delle critiche che gli e r a n o state mosse e r a n o sacrosante. Giambattista n o n e r a stato u n p o e t a , m a u n verseggiatore d'eccezionale b r a v u r a . Più che u n o stile aveva creato u n a m a n i e r a , artificiosa e lambiccata, ma che tuttavia rispecchiava perfettam e n t e lo spirito del Seicento: gonfio, ampolloso, prezioso e p i e n o solo di vuoto. N e s s u n o meglio di lui s e p p e incarnarlo. In questo fu v e r a m e n t e il genio del secolo.
CAPITOLO VENTITREESIMO B E R N I N I E IL B A R O C C O
Sul barocco si sono sparsi fiumi d'inchiostro, a cui n o n vorr e m m o a g g i u n g e r n e altri. R i m a n d e r e m m o anzi senz'altro il lettore ai trattati di storia dell'arte, se solo a questa il barocco avesse d a t o la sua i m p r o n t a . In realtà esso r a p p r e s e n t a un f e n o m e n o c u l t u r a l e e di c o s t u m e , che ha lasciato il suo sigillo n o n soltanto nella p i t t u r a , nella scultura, nell'architettura, ma a n c h e nella società, nella politica, nelle ideologie, nei r a p p o r t i u m a n i . Ed è perciò che n o n possiano p r e scinderne. Secondo qualcuno, la parola viene dal p o r t o g h e s e barroco, ed è il n o m e che in questa lingua si dà a certe perle n o n sferiche irregolari e bizzarre. Secondo altri, viene invece da baroco: un t e r m i n e dispregiativo coniato nell'Italia del Cinq u e c e n t o c o n t r o il m o d o di r a g i o n a r e p e d a n t e s c o e artificioso dei filosofi di scuola aristotelica. Il guaio è che a m b e d u e le ascendenze sono plausibili. E forse il barocco r a p p r e senta a p p u n t o il loro incrocio. Nel c a m p o plastico e figurativo, p e r barocco s'intende la f i n e dell'arte rinascimentale. U n a f i n e logica, p e r n a t u r a l e e s a u r i m e n t o . Raffaello, Michelangelo e gli altri g r a n d i dei secoli d ' o r o a v e v a n o r a g g i u n t o l'equilibrio, l ' a r m o n i a , la perfezione assoluta. Su quella strada i loro epigoni del Seicento n o n avevano più t r a g u a r d i da conquistare. Il barocco nasce anzitutto da quest'ansia di n u o v e forme ed esperienze al di fuori delle regole tradizionali, c o m u n e a tutti i periodi cosiddetti di «transizione». Ma p e r c a p i r e p e r quali motivi infilò quella strada, bisogna rifarsi al m o m e n t o storico. Il barocco è il tipico p r o d o t t o della C o n t r o r i f o r m a , e in251
fatti nasce e si sviluppa quasi esclusivamente nei Paesi cattolici: quelli p r o t e s t a n t i ne sono toccati solo p e r contagio. Il p e r c h é è facile da c a p i r e . Nei Paesi p r o t e s t a n t i , e specialm e n t e in quelli calvinisti, l'arte è p r o f a n a p e r c h é le chiese h a n n o messo al b a n d o gli elementi decorativi, e g o d e di u n a libertà g a r a n t i t a dal «mercato». Il p i t t o r e e lo scultore n o n l a v o r a n o p e r il m e c e n a t e che li m a n t i e n e e di cui d e v o n o s e c o n d a r e i gusti. L a v o r a n o p e r u n a clientela a n o n i m a di artigiani, di m e r c a n t i , d ' i m p r e n d i t o r i , di professionisti, ins o m m a di borghesi arricchiti, che agli abbellimenti conced o n o poco, e quel poco lo vogliono in t o n o col loro m o d o di vivere p a r s i m o n i o s o e l a b o r i o s o . Nelle l o r o case solide e confortevoli, ma aliene da ogni solennità, c'è posto solo per u n a p i t t u r a e u n a scultura realistiche e a d e r e n t i alla verità. Q u e s t a è la g r a n d e arte fiamminga, con la sua d i s a d o r n a ed essenziale ritrattistica senza ruffianeggiamenti apologetici, con le s u e corali scene di villaggio, con le sue meticolose anatomie. L'arbitrario, il bizzarro, l'esclamativo, il compiacim e n t o stilistico n o n vi attecchiscono p e r c h é in quella clientela, intesa al sodo e al soldo, n o n trovano amatori. Nei Paesi cattolici, e s o p r a t t u t t o in Italia, la situazione è diversa, anzi opposta. L'arte n o n ha mercato p e r c h é manca un ceto b o r g h e s e in g r a d o di a c q u i s t a r n e i p r o d o t t i . La principale c o m m i t t e n t e è la Chiesa, di cui gli artisti sono al soldo e d e b b o n o s e c o n d a r e i voleri. Q u e s t a Chiesa, nel Q u a t t r o e nel C i n q u e c e n t o , n o n ha abusato del suo m o n o polio p e r d u e motivi. P r i m a d i t u t t o p e r c h é n o n l o aveva: l'Italia del Rinascimento e r a piena a n c h e di mecenati laici, e un Raffaello, se fosse stato licenziato dal Papa, n o n avrebbe p e n a t o a trovar lavoro p r e s s o un Medici, o un Doge, o un M o n t e f e l t r o , o un Este, o un G o n z a g a . E p p o i p e r c h é la Chiesa di allora era intrisa di un u m a n e s i m o che la rendeva e s t r e m a m e n t e liberale e t o l l e r a n t e . Essa n o n r i m p r o v e r ò mai ai suoi pittori di attribuire alle loro M a d o n n e u n a carnalità e sensualità sfacciatamente t e r r e s t r i . Di sacro, q u e st'arte aveva solo l'etichetta. In realtà e r a profana. E fu ap252
p u n t o q u e s t o c h e le c o n s e n t ì di toccare i più alti livelli di perfezione. Ma il Concilio di T r e n t o pose fine a questa tolleranza. Esso p r o c l a m ò che l'arte n o n aveva altra ragione di essere che quella di s t r u m e n t o propagandistico della Fede. Doveva essere edificante e apologetica, in funzione del n u o v o o r d i n e costituito. Per gli artisti n o n ci fu scampo. La Chiesa, p u n tellata dai g e n d a r m i spagnoli, esercitava la sua rigida censura in tutti gli Stati italiani. Ed essa n o n era più amministrata da dei L e o n e X o Paolo I I I , g e n t e di p o c o zelo e di m o l t o gusto; ma dai Carafa, dai Ghislieri, dagli Odescalchi, gente di p u n t o gusto e implacabile zelo. Per m a n g i a r e , bisognava g u a d a g n a r s e n e i favori. Per g u a d a g n a r s e n e i favori, bisognava seguirne le direttive. E queste direttive e r a n o : enfasi e declamazione. Checché ne dicano i suoi esaltatori, il barocco è aria fritta. Fritta - qualche volta - benissimo, con g r a n d e maestria, ma s e m p r e inficiata dal virtuosismo di mestiere. Le m a n c a l'anima. Ed anzi è p r o p r i o p e r n a s c o n d e r e questo vuoto che si a b b a n d o n a a quell'orgia di forme e di colori, a quella teatralità di sfondi, a quei contorsionismi muscolari nella scultura, a quella s o l e n n i t à scenografica n e l l ' a r c h i t e t t u r a . A questo piatto conformismo che mira a gonfiare e ingigantire n o n c'è altra evasione che la bizzarria decorativa. Ed ecco perché tutta l'inventiva si sfoga lì, fino alla farneticazione. Ma c'è a n c h e un altro motivo che spinge in questo senso: le m o s t r u o s e d i s u g u a g l i a n z e e c o n o m i c h e . Il b a r o c c o è u n ' a r t e ricca che nasce nei Paesi p o v e r i . N o n a caso la sua culla sono l'Italia e la Spagna. Q u i la Controriforma - lo abbiamo già d e t t o - ricrea u n a società di tipo feudale, su cui torreggia la casta chiusa dei privilegiati ecclesiastici e laici. Come d e t e n g o n o tutto il p o t e r e politico, così costoro detengono tutto il p o t e r e e c o n o m i c o . La s u p e r s t i t e ricchezza di questi Paesi n o n circola. R i m a n e accentrata in p o c h e satrapie che n o n si c o m p o r t a n o d i v e r s a m e n t e da c o m e si comp o r t a n o quelle che a b b i a m o sotto gli occhi nei Paesi arabi. 253
Esentate da o g n i tassa e c o n t r i b u z i o n e , moltiplicano i loro p a t r i m o n i - quasi tutti t e r r i e r i - alle spalle dei c o n t a d i n i e degli altri ceti spolpati all'osso dal fisco. N o n u s a n o la loro ricchezza p e r c r e a r e altra ricchezza c o m e la b o r g h e s i a imp r e n d i t o r i a l e delle nazioni r i f o r m a t e . L a u s a n o p e r degli sfarzi che accrescano il loro prestigio in u n a società dove il prestigio s'identifica con la potenza. Il barocco, con le sue dovizie e teatralità, è insieme il p r o dotto e il d o c u m e n t o di questa mentalità. Basta fare un giro nella vecchia R o m a p e r r e n d e r s e n e c o n t o . I l palazzo del Seicento sorge, solenne e s u p e r b o , g r o n d a n t e di fontane e costellato di statue, in mezzo ai t u g u r i in cui si accatasta il p o p o l i n o . Q u e s t o è torchiato e ridotto allo stremo a p p u n t o p e r c o n s e n t i r e a i signori q u e s t e ostentazioni, c h e t r o v a n o nel barocco la loro ideale espressione. Il pittore sulla tela e lo scultore nel m a r m o d e v o n o celebrare il signore che li paga, e che li p a g a a p p u n t o p e r c h é lo celebrino in tutta la magnificenza delle s u e u n i f o r m i e d e c o r a z i o n i , simbolo della sua p o t e n z a . S o n o p e r s o n a g g i p o m p o s i r i t r a t t i d a artisti p o m p i e r i . Le loro case n o n sono fatte p e r l'intimità, ma per la « r a p p r e s e n t a n z a » : gli architetti sono chiamati a p r o g e t tarle in m o d o che facciano il più spicco possibile sulla miseria d e l q u a r t i e r e c i r c o s t a n t e , n e t e n g a n o i n s o g g e z i o n e l a plebe, stupiscano e impressionino il visitatore. Q u e s t o è, a g r a n d i linee, il barocco. E ripetiamo: ha dato a n c h e dei capolavori. Ma nel suo insieme esso n o n testimonia c h e il v u o t o s p i r i t u a l e c r e a t o dalla C o n t r o r i f o r m a col suo a u t o r i t a r i s m o i n t o l l e r a n t e di o g n i libera ricerca e inventiva, e le m o s t r u o s e d i s u g u a g l i a n z e sociali c h e consentivano ai privilegiati di p r o f o n d e r e in chiese e palazzi dei tesori a c c u m u l a t i sulla fame della massa. In terricci sociali così malformati, n e s s u n a g r a n d e arte è mai nata. Nel c a m p o dell'architettura, il p r i m o e s e m p i o di questo «nuovo corso» fu la chiesa r o m a n a del Gesù c o m m e s s a nel 1568 dal cardinale Alessandro Farnese all'architetto J a c o p o Barozzi, detto il Vignola, e condotta a t e r m i n e , alla sua mor254
te, da Giacomo Della Porta. È innalzata secondo schemi dic h i a r a t a m e n t e antirinascimentali su u n a pianta a croce latina a l l u n g a t a , tipica delle basiliche m e d i e v a l i . Sul braccio longitudinale s'innesta u n a vasta navata, su cui s'affacciano u n a teoria di cappelle, che invitano al raccoglimento e alla m e d i t a z i o n e . Dal l u c e r n a r i o p o s t o al c u l m i n e della c u p o l a piove sull'altare u n a luce fioca e senza toni. La navata è invece a b b o n d a n t e m e n t e illuminata da alte e a m p i e finestre, c o n t o r n a t e da stucchi, fregi e affreschi. L'ambiente mistico e severo i n c a r n a c o m p i u t a m e n t e lo spirito e gli aneliti della reazione cattolica. N o n p e r nulla la Chiesa del Gesù diventò il c u o r e di q u e l l ' o r d i n e di Sant'Ignazio c h e tanto contribuì alla riscossa dell'ortodossia, di cui il barocco costituì la plastica e m o n u m e n t a l e testimonianza. Per tutto il Seicento R o m a fu il fulcro e la Mecca di questo stile. N o n si c o n t a n o i pittori, gli scultori, gli architetti che v a r c a r o n o le sue m u r a p e r mettersi al servizio di p o n t e fici e c a r d i n a l i . C o s t o r o p r o f u s e r o tesori i m m e n s i p e r costruire e d e c o r a r e chiese, chiostri, oratori e celebrare, attraverso queste o p e r e , la Fede e i suoi rinnovati ideali. Ci m a n ca lo spazio p e r elencare tutti gli artisti che s'avvicendarono nell'Urbe d u r a n t e il X V I I secolo. Ci limiteremo a colui che ne fu il m a e s t r o : Giovanni L o r e n z o Bernini. Era nato a Napoli nel 1598, figlio di un pittore fiorentino d ' u n certo n o m e trasferitosi con la famiglia nella città p a r t e n o p e a in cerca di fortuna. A sette a n n i fu c o n d o t t o a Roma, dove il p a d r e e r a stato c h i a m a t o dal P a p a a scolpire la facciata della c a p p e l l a Paolina. Il piccolo L o r e n z o n o n seguì regolari corsi scolastici. Alle lezioni di g r a m m a t i c a e di retorica preferiva quelle che il p a d r e gl'impartiva col martello e il bulino. Stava s e m p r e al suo fianco, lo seguiva d o v u n q u e , e a ogni colpo di scalpello la sua fantasia s'accendeva e le sue mani fremevano. N o n si mescolava ai coetanei e n o n partecipava ai loro giochi. Stava ore e o r e a c o n t e m p l a r e u n a statua o un edifìcio classico, c h e p o i r i p r o d u c e v a su un q u a d e r n o che portava s e m p r e con sé. 255
A dieci a n n i modellò u n a testina di m a r m o p e r la chiesa di Santa Potenziana. Q u a n d o Paolo V la vide, volle conoscere l'autore. Il giovinetto fu c o n d o t t o al cospetto del Pontefice che gli o r d i n ò , seduta stante, il ritratto di San Paolo. Lor e n z o prese carta e p e n n a e b u t t ò giù u n a testina dell'apostolo. I l Papa l a trovò bellissima e r i c o m p e n s ò l'imberbe a r tista con dodici medaglie d ' o r o . Poi c h i a m ò il cardinale Maffeo Barberini e affidò L o r e n z o alle sue cure. «Speriamo che diventi il Michelangelo del suo secolo», disse. B e r n i n i n o n d i v e n t ò Michelangelo p e r c h é n e a n c h e Michelangelo, se fosse nato allora, sarebbe diventato Michelangelo. Ma c o m e lui era un lavoratore infaticabile ed esigentissimo, mai soddisfatto di quel che faceva, e infatti lo disfaceva e rifaceva c o n t i n u a m e n t e . Passava notti i n t e r e a c o r r e g g e r e un naso, a limare u n a fronte, a scavare u n a ruga. Le sue opere cominciarono presto ad a n d a r e letteralmente a ruba, spec i a l m e n t e fra i ricchi c a r d i n a l i , dei quali L o r e n z o ci ha lasciato, scolpita nel m a r m o , l'effigie. Anche Paolo V si fece f a i re il ritratto, che teneva sul c o m o d i n o accanto al breviario. Il suo successore G r e g o r i o XV n o n volle essere d a m m e n o e commissionò a L o r e n z o il p r o p r i o busto. L'opera riuscì b e n e e il Papa ne fu talmente entusiasta che, da quel giorno, ammise l'artista alla p r o p r i a mensa. Q u a n d o , col n o m e d'Urbano V i l i , cinse la tiara il c a r d i n a l e B a r b e r i n i , il B e r n i n i esultò: «Siete stato davvero fortunato» gli disse il n u o v o Pontefice d o p o l'elezione «a v e d e r m i salire sul Soglio; ma ancora p i ù fortunato sarò io a vedervi o p e r a r e sotto il mio regno/* L o r e n z o si sdebitò s o m m e r g e n d o di ritratti il suo munifico p a t r o n o . S e b b e n e amasse s o p r a t t u t t o l a scultura, m a n e g giava con g r a n d e abilità a n c h e il p e n n e l l o , aveva un senso innato del colore e possedeva doti n o n c o m u n i di disegnator re. Era insomma, come tutti i veri artisti, un artista completo, anche se i dipinti che ci ha lasciato n o n eguagliano le star tue. Moltissimi ne eseguì d u r a n t e il pontificato del Barberi^ ni, e tutti facevano infatti a g a r a neh"accaparrarseli poiché e r a n o di m o d a , com'era di m o d a il loro autore. 256
Un g i o r n o il P a p a lo c o n v o c ò n e l suo s t u d i o e gli disse c h ' e r a o r a di sposarsi e m e t t e r su famiglia. L o r e n z o , c h e n o n aveva mai nascosto la p r o p r i a allergia al m a t r i m o n i o , d a p p r i n c i p i o fece orecchio da m e r c a n t e e siccome U r b a n o s'ostinava a ripetergli che un g r a n d e artista n o n poteva m o rire senza lasciare eredi, rispose che la sua vera prole e r a n o i q u a d r i che aveva d i p i n t o e le statue che aveva scolpito. Il Pontefice a d d u s s e allora motivi d ' o r d i n e p r a t i c o : o b e r a t o com'era di lavoro, L o r e n z o aveva bisogno d ' u n a d o n n a che accudisse alla sua p e r s o n a e gli m a n d a s s e avanti la casa. Alla fine, p e r c o m p i a c e r e a U r b a n o , l'artista s'arrese e i m p a l m ò la figlia d ' u n certo Paolo Tazio, segretario della C o n g r e g a zione della SS. N u n z i a t a . S e b b e n e c o n t r a t t o senza entusiasmo, o forse p r o p r i o p e r questo, fu un m a t r i m o n i o quasi felice, che u n a n u m e r o s a figliolanza allietò. Q u a n d o d i e d e l'addio al celibato, il B e r n i n i aveva q u a r a n t a n n i suonati. E r a piuttosto u n bell'uomo, d i m e d i a statura, vigoroso, b r u n o di c a r n a g i o n e e n e r o di capelli, occhi vivaci e p e n e t r a n t i , ciglia l u n g h e e folte, f r o n t e spaziosa, narici dilatate, gote un p o ' cascanti. C o m e tutti gli uomini di carattere aveva un caratteraccio, che le frequenti emicranie vieppiù incupivano. Si adirava p e r un n o n n u l l a e faceva scenate terribili. Era di gusti semplici e d'abitudini s p a r t a n e . I suoi pasti e r a n o limitati a u n a fetta di c a r n e e a un p o ' di frutta. Dormiva poco, di g i o r n o n o n si concedeva un attimo di t r e g u a , p o n e v a m a n o e a t t e n d e v a c o n t e m p o r a n e a m e n t e a più o p e r e , a n d a v a ogni m a t t i n a a messa, faceva d u e volte la settimana la c o m u n i o n e e la sera, p r i m a di coricarsi, leggeva i Padri della Chiesa. Ma n o n e r a un b a c c h e t t o n e . Era - a n c h e lui c o m e M i c h e l a n g e l o - a u t e n t i c a m e n t e t u r b a t o dal p r o b l e m a di Dio, cui cercava scampo rifugiandosi nel lavoro. Vi era t a l m e n t e sprofondato e i m m e r s o che d o v e t t e r o m e t t e r g l i u n g a r z o n e alle costole p e r i m p e d i r g l i c h e s e l e r o m p e s s e p r e c i p i t a n d o da u n ' i m p a l c a t u r a o i n c i a m p a n d o in un blocco di m a r m o . Q u a n d o lavorava, guai se q u a l c u n o gli rivolgeva la p a r o l a o l ' i n t e r r o m p e v a . Gli stessi c o m 257
mittenti che avevano libero accesso al suo studio n o n potevano fiatare. In p o c h i a n n i il suo n o m e diventò di d o m i n i o e u r o p e o . N o n c'era r e , n o n c'era p r i n c i p e che n o n spasimasse p e r il possesso d ' u n a sua statua, d ' u n suo q u a d r o , d ' u n suo semplice d i s e g n o . C a r l o I d ' I n g h i l t e r r a l'invitò a L o n d r a p e r farsene r i t r a r r e i n m a r m o . N o n volendo L o r e n z o muoversi da R o m a , il sovrano gli m a n d ò tre q u a d r i del Van Dyck con la p r o p r i a effigie affinché ne traesse il m o d e l l o . C o m p i u t a l'opera, il Bernini l'affidò a un messo che la recapitò a Carlo, il quale, d o p o averla veduta, si sfilò dal dito un d i a m a n t e di seimila scudi e lo c o n s e g n ò al c o r r i e r e p e r c h é coronasse la m a n o dell'artista. Luigi X I I I Io supplicò di trasferirsi a Parigi, ma n o n fu e s a u d i t o . E r a a n c o r a vivo U r b a n o , e il B e r n i n i n o n si s a r e b b e staccato da lui p e r t u t t o l'oro del m o n d o . Il Papa gli aveva spalancato le p o r t e dei palazzi apostolici, aveva fatto di lui il p r o p r i o confidente e, p r i m a d'and a r e a letto, voleva che fosse L o r e n z o ad abbassare gli scuri e a c h i u d e r e le finestre della sua c a m e r a . Un g i o r n o , p e r attestargli la sua benevolenza, si recò a casa sua, seguito da u n codazzo d i sedici c a r d i n a l i scandalizzatissimi. Q u a n d o calò nella t o m b a , l'artista lo p i a n s e c o m e un p a d r e . I suoi successori n o n gli l e s i n a r o n o o r d i n a z i o n i e o n o r i , ma n o n eguagliarono l'amore che gli aveva p o r t a t o U r b a n o . Nel 1664 Colbert, l ' o n n i p o t e n t e m i n i s t r o di Luigi XI gli sottopose i disegni del palazzo del L o u v r e , che il Re Sole voleva i n g r a n d i r e . L o r e n z o studiò i progetti, li corresse, ne eseguì alcuni di sua m a n o e rispedì il tutto al m o n a r c a francese. Da t e m p o costui carezzava il s o g n o d ' a v e r e presso di sé il Bernini, il quale, sebbene il suo g r a n d e p r o t e t t o r e fosse m o r t o , seguitava a n o n volersi m u o v e r e da R o m a . Aveva ormai sessantott'anni, e il viaggio lo spaventava. Ma alla fine cedette alle insistenze, e il 25 aprile 1665 partì alla volta dejr la Francia, a c c o m p a g n a t o dal figlio Paolo, da d u e allievi e da u n o stuolo di servi, m a g g i o r d o m i e cavalieri inviatigli dal Re Sole, cui piaceva far le cose in g r a n d e . Fu u n a m a r c i a 258
trionfale. D o v u n q u e l'artista fu accolto con onori d e g n i d ' u n sovrano. A Firenze, dove sostò alcuni giorni, il G r a n d u c a lo festeggiò c o n balli, concerti, fuochi d'artificio e lo fece acc o m p a g n a r e sino al confine a l p i n o dal p r o p r i o cocchiere. A n c h e sul s u o l o francese le manifestazioni d ' o m a g g i o si s p r e c a r o n o . A Lione tutti i pittori, scultori e i n g e g n e r i della città gli a n d a r o n o incontro, e a t r e giorni da Parigi lo attendeva la lettiga r e a l e . L'ingresso nella capitale fu u n a v e r a apoteosi. L o r e n z o v e n n e alloggiato in un bellissimo a p p a r t a m e n t o al L o u v r e , ed ebbe un posto alla m e n s a del Re. Il Bernini si fermò a Parigi sei mesi. Lavorava dalla mattina alla sera, e qualche volta a n c h e la notte: fece altri disegni d e l L o u v r e , p o s e m a n o a l r i t r a t t o d i Luigi, e s e g u ì u n n u m e r o imprecisato di p i t t u r e e sculture. Il suo s t u d i o diventò m e t a d ' u n incessante pellegrinaggio di nobili, d a m e , p r e l a t i c h e v o l e v a n o v e d e r e d a vicino i l g r a n d e m a e s t r o , l'artista conteso e a d u l a t o dai p o t e n t i della t e r r a . Allergico, a differenza del M a r i n o , a ogni forma di m o n d a n i t à , n o n si fece travolgere dalla vita parigina. Si t e n n e in disparte, n o n frequentò salotti, allacciò p o c h e amicizie, i n t e n t o u n i c a m e n te alla p r o p r i a arte. Ma il successo che le sue o p e r e riscuotevano a corte e le lodi di cui il Re lo colmava finirono p e r aizzargli l'invidia d e i colleghi francesi, c h e lo c o n s i d e r a v a n o un intruso e n o n gli r i s p a r m i a v a n o le critiche. A ottobre dello stesso a n n o , l'artista, a m a r e g g i a t o , decise di rivalicare le Alpi. Chiese il consenso al Re, che gliel'accordò con un p r e mio di ventimila scudi e un vitalizio a n n u o di duemila. M e n t r e si trovava a Parigi, a n c h e nell'Urbe avevano p r e so a circolare voci calunniose sul suo conto. La p i ù insistente attribuiva a certi suoi lavori nella basilica di San Pietro le c r e p e a p e r t e s i nella c u p o l a . Già in p a s s a t o la sua attività d'architetto e r a stata oggetto d ' a s p r e censure, di cui L o r e n zo aveva r e g o l a r m e n t e d i m o s t r a t o l'infondatezza. A n c h e stavolta s e p p e rintuzzarle, ma ne fu p r o f o n d a m e n t e turbato. C i o n o n o s t a n t e seguitò a l a v o r a r e con infaticabile lena, distratto solo dalle p r a t i c h e di d e v o z i o n e e dalle o p e r e di 259
carità. Negli u l t i m i t e m p i usciva r a r a m e n t e di casa e solo p e r a n d a r e a messa e fare la c o m u n i o n e . La sera, q u a n d o d e p o n e v a la matita o il b u l i n o , si s p r o f o n d a v a nella lettura della Bibbia o s'intratteneva con q u a l c h e teologo a p a r l a r e della m o r t e . Q u e s t a lo colse il 28 n o v e m b r e 1680, a ottantad u e anni. Lasciò molti r i m p i a n t i e moltissime o p e r e . I suoi q u a d r i a m m o n t a n o a un c e n t i n a i o . N o n tutti sono riusciti, alcuni d i f e t t a n o d ' i s p i r a z i o n e , altri m a n c a n o d ' o r i g i n a l i t à . I migliori sono quello raffigurante i santi A n d r e a e T o m m a s o e l'autoritratto, che si trova agli Uffizi. Più vasta fu la sua attività d'architetto e soprattutto di scultore. C o m p l e t ò palazzo B a r b e r i n i p e r il c a r d i n a l e Maffeo, il f u t u r o p a p a U r b a n o V i l i . Progettò il celebre colonnato, all'interno della basilica eresse il Baldacchino, c h e costò al Pontefice d u e c e n t o m i l a scudi e all'artista nove a n n i di lavoro. Nell'abside innalzò la cattedra di San Pietro, c o n t e n e n t e la sedia di legno che, sec o n d o la tradizione, a p p a r t e n n e all'apostolo. Accanto vi edificò la t o m b a di U r b a n o . Ma le sue o p e r e forse p i ù famose sono la fontana del Tritone e quella dei Q u a t t r o Fiumi, che campeggia al centro di piazza Navona. Il Bernini cercò di fondere scultura e architettura, in u n o stile m o s s o , r i d o n d a n t e e talvolta b i z z a r r o . «Scambiò» ha scritto il D u r a n t «il teatrale p e r il d r a m m a t i c o , la grazia per la bellezza, il s e n t i m e n t o p e r la simpatia, la grandezza p e r la grandiosità.» Ma è un giudizio che sbaglia bersaglio. Questi equivoci n o n furono di Bernini, ma di un secolo di cui Bernini resta c o m u n q u e la più g r a n d e e c o m p i u t a testimonianza. Nessuno riuscì a dargli o m b r a . La sua fama offuscò tutti i rivali, c o m p r e s o il B o r r o m i n i . Il B o r r o m i n i si c h i a m a v a in r e a l t à Francesco Castelli, e r a n a t o nel 1599 a Bissone, figlio d ' u n architetto dei Visconti, A quindici a n n i e r a fuggito di casa p e r a n d a r e a R o m a , dove aveva trovato lavoro c o m e scalpellino nella bottega d ' u n m a e s t r o l o m b a r d o . Scontroso, timido, taciturno, i suoi unici 260
c o m p a g n i e r a n o il m a r m o , il b u l i n o e il m a r t e l l o . N o n si concedeva svaghi e passava tutto il t e m p o fra cornici e scalini, stipi e b a l a u s t r e , statue e c o l o n n e . D o p o un p e r i o d o di tirocinio c o m e a p p r e n d i s t a , o t t e n n e un posto d ' o p e r a i o nella fabbrica di San Pietro, diretta da Carlo M a d e r n o che, colpito dal p r e c o c e t a l e n t o d e l g i o v a n e , gli a s s e g n ò incarichi s e m p r e più i m p o r t a n t i . Q u a n d o il M a d e r n o morì, il B o r r o mini passò alla d i p e n d e n z e del Bernini, p e r il quale eseguì g l ' i n g r a n d i m e n t i dei disegni del Baldacchino. Ma la collaborazione fra i d u e artisti d u r ò poco, e col passare degli a n n i il malinteso d e g e n e r ò in a p e r t a inimicizia. Ne i g n o r i a m o i motivi. Forse il c a r a t t e r a c c i o del m a e s t r o , forse l'ipersensibilità dell'allievo, forse q u a l c h e divergenza artistica, forse u n a incompatibilità di c a r a t t e r e d o v u t a p i ù alle loro somiglianze che alle loro dissonanze: n o n ci si odia - si sa - che tra fratelli. Forse la gelosia. Fatto sta che il Borr o m i n i p i a n t ò la fabbrica di San P i e t r o e a n d ò a l a v o r a r e presso i p a d r i Filippini, che gli affidarono la costruzione del loro O r a t o r i o . Francesco impresse all'edificio caratteri n u o vi e p e r s o n a l i s s i m i , e l i m i n ò o g n i d e c o r a z i o n e pittorica, b a n d ì la policromia, e rivestì colonne e pareti d ' u n a bianca p a t i n a di calce. L'opera p i a c q u e e d i e d e al B o r r o m i n i u n a certa r i n o m a n z a . Le ordinazioni si fecero da quel m o m e n t o s e m p r e p i ù n u m e r o s e : l'oratorio e la facciata del collegio di P r o p a g a n d a F i d e , la t r a s f o r m a z i o n e della Basilica l a t e r a n e n s e e, finalmente, la chiesa di Sant'Agnese, il suo capolavoro e u n o dei capolavori dell'arte barocca. Fu q u e s t a l'impresa che più i m p e g n ò il B o r r o m i n i e ne consacrò la fama. D a p p r i n c i p i o essa era stata affidata a Girolamo e Carlo Rainaldi, i quali, p e r ragioni che i g n o r i a m o , e r a n o stati p o i licenziati e sostituiti da Francesco, c h e d e molì il l a v o r o già fatto e c o n c e p ì un n u o v o p r o g e t t o : u n a chiesa a p i a n t a greca con facciata lievemente concava, fiancheggiata da d u e campanili su cui incombe u n a cupola alta, a u d a c e e m a e s t o s a . L ' i n t e r n o , vasto, s o l e n n e , o p u l e n t o , scandito da c o l o n n e e fiammeggiante d'ori, s p r i g i o n a u n a 261
p o t e n t e suggestione che riecheggia le inquietudini dell'artista, fin da ragazzo t o r m e n t a t o da d u b b i religiosi e dall'angoscia dell'aldilà. F u r o n o questi travagli, a g g r a v a t i da r i c o r r e n t i crisi depressive e da m a n i a di p e r s e c u z i o n e , a c o n d u r r e il B o r r o mini alla tomba. U n a notte d'estate del 1667, n o n riuscendo a p r e n d e r e s o n n o , Francesco afferrò la s p a d a e si trapassò da p a r t e a p a r t e come un samurai. Vani furono i tentativi di salvarlo. Il g i o r n o d o p o m o r ì d i s s a n g u a t o , e con lui scomp a r v e u n o dei g r a n d i m a e s t r i del b a r o c c o . I l p i ù g r a n d e , forse, d o p o il grandissimo Bernini.
CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO LA R E G I N A C R I S T I N A
Nel 1668 v e n n e ad accasarsi a Roma un singolare p e r s o n a g gio, destinato a svolgervi u n a p a r t e di p r i m o piano fra politica, m o n d a n i t à e cultura: la regina Cristina di Svezia. Era figlia di quel Gustavo Adolfo, l'invincibile condottiero protestante della G u e r r a dei T r e n t ' a n n i , che abbiamo lasciato c a d a v e r e a L ù t z e n nel 1632. Q u a n d o e r a v e n u t a al m o n d o , l a levatrice l'aveva p r e s a p e r u n m a s c h i o : u n p o ' p e r c h é così gli astrologi a v e v a n o p r e d e t t o , u n p o ' p e r c h é questo sperava il Re, smanioso di un e r e d e al t r o n o , un po' p e r c h é il corpicino era inguainato nella placenta che gli nascondeva il sesso e si d i m e n a v a con virile protervia. Gustavo accolse il d i s i n g a n n o con filosofia. Sollevando la c r e a t u r i n a fra le braccia, disse: «Dev'essere in g a m b a , visto che ci ha imbrogliato così bene». Cristina aveva sei a n n i , q u a n d o rimase orfana. Più che sua m a d r e Eleonora - u n a principessa H o h e n z o l l e r n di Prussia, frivola e isterica -, alla sua educazione sovrintese il cancelliere Axel Oxenstierna, u n o statista fra i più g r a n d i del Seicento, imbevuto di Tacito e di Seneca. Era s e m p r e stato l'uomo di fiducia di Gustavo che p r i m a di m o r i r e lo aveva n o m i n a t o r e g g e n t e e t u t o r e della figlia. La scelta n o n p o t e v a rivelarsi p i ù giudiziosa. O x e n s t i e r n a assunse il c o m a n d o dell'esercito r i m a s t o o r f a n o del suo g r a n d e c o n d o t t i e r o , lo g u i d ò in altre vittoriose battaglie, e q u a n d o Cristina raggiunse la m a g g i o r e età, cioè i diciott'anni, le c o n s e g n ò u n o Stato p o t e n t e e m a g n i f i c a m e n t e organizzato. C h e c c h é d i c a n o certi memorialisti in vena di piaggeria, Cristina n o n e r a bella, né faceva nulla p e r sembrarlo. Aveva 263
un c o r p o fragile, ma le g i u n t u r e massicce, la f r o n t e alta e p r o m i n e n t e , naso imperioso, bocca larga. Si lavava poco, vestiva c o m e un b ù t t e r o , cacciava con passione, e bestemmiava a b b o n d a n t e m e n t e . Alcuni biografi dicono che si c o m p o r tava così, da maschio, p e r c h é sua m a d r e n o n faceva che rinfacciarle di essere n a t a femmina. C o m u n q u e dava p r o p r i o l ' i m p r e s s i o n e di aver sbagliato sesso. Prediligeva infatti la c o m p a g n i a degli u o m i n i , e si dice che ne abbia a m a t o u n o : M a g n u s de la G a r d i e . Ma n o n s e m b r a c h e la relazione sia uscita d a l c a m p o d e i s e n t i m e n t i . Il gesuita c h e d o p o la c o n v e r s i o n e essa si p r e s e c o m e confessore riferì all'ambasciatore d i S p a g n a c h e C r i s t i n a e r a allergica all'amplesso p e r c h é ci vedeva u n a forma di sottomissione c h e il suo car a t t e r e i n d i p e n d e n t e n o n poteva accettare. Detto in parole p o v e r e , e r a lesbica, e n e m m e n o la ragion di Stato che le imp o n e v a di d a r e un e r e d e al t r o n o riuscì a farle s u p e r a r e la repulsione al m a t r i m o n i o . Rimase ostinatamente zitella, e le u n i c h e l e t t e r e d ' a m o r e le scrisse a u n a damigella di corte» Ebba S p a r r e , c h e u n g i o r n o p r e s e n t ò a l l ' a m b a s c i a t o r e inglese d i c e n d o g l i c o n la sua abituale sfrontatezza: «Ecco la mia c o m p a g n a di letto». Anche p e r c h é dormiva poco, aveva studiato furiosamenite, conosceva il latino, il greco e l'ebraico, oltre a q u a t t r o ling u e m o d e r n e fra cui l'italiano, e teneva un'attiva corrispond e n z a con tutti i «notabili» della c u l t u r a e u r o p e a . Ne attirò alcuni alla sua C o r t e , da G r o z i o a C a r t e s i o , e a molti altri d i e d e m o d o di p r o s e g u i r e i loro studi con g e n e r o s i finanziamenti. La sua passione mecenatesca e r a di s t a m p o rinascimentale. Vuotò le casse del Tesoro p e r fare di Uppsala là più g r a n d e Università del N o r d , altre d u e ne creò a Turku in Finlandia e a T a r t u in Estonia, che allora facevano parte dei suoi possedimenti, i m p i a n t ò u n a casa editrice i m p o r t a n do s t a m p a t o r i d a l l ' O l a n d a , e i n g a g g i ò C o m e n i o c o m e riformatore del sistema scolastico. Q u e s t o la mise spesso in u r t o con Oxenstierna, l'integro e fedele Cancelliere che aveva a c u o r e il bilancio. Ma n o n c'è d u b b i o che la Svezia fece 264
con Cristina il salto che l ' I n g h i l t e r r a aveva fatto con Elisabetta. Attività e successi n o n b a s t a v a n o tuttavia a r i e m p i r l e la vita. Cercò un c o m p e n s o alla p r o p r i a irrequietezza nella filosofia, e si mise in r e l a z i o n e c o n Pascal, c h e le m a n d ò in d o n o , c o m e abbiamo detto, u n a specie di computer avanti lett e r a di sua i n v e n z i o n e . C h e fosse travagliata da un v e r o e p r o p r i o p r o b l e m a religioso, molti lo m e t t o n o in d u b b i o , e a n c h e noi ci c r e d i a m o poco. I dignitari della Chiesa luterana cui la Svezia si e r a massicciamente convertita, accusavano anzi Cristina di ateismo, e ne d a v a n o la colpa al suo m e dico francese Bourdelot, ch'era a n c h e suo consulente spirituale. Secondo Voltaire, essa si e r a convinta, a furia di bazzicar filosofi, che la verità è p e r l ' u o m o un t r a g u a r d o i r r a g giungibile, e che perciò meglio valeva contentarsi di quella rivelata dalla Chiesa cattolica, c h e a l m e n o aveva dalla sua l'autorità dei secoli e di R o m a . Forse è così. Ma forse, sulla sua inclinazione, influirono a n c h e altri motivi. I l u t e r a n i , cui e r a stata affidata la sua educazione religiosa, avevano seguito il precetto dei gesuiti: «Impadronitevi di u n ' a n i m a di sette a n n i , e sarà vostra p e r tutta la vita». Ma qualche volta succede il c o n t r a r i o . E q u e sto c r e d i a m o che sia stato il caso di Cristina. Essa aveva detestato i minacciosi s e r m o n i e il severo rituale di q u e i suoi p r e c e t t o r i , che c e r c a v a n o d'istillarle i n s i e m e l ' a m o r e della Bibbia e l'odio p e r la cultura umanistica e rinascimentale di cui il cattolicesimo è intriso. E forse e r a stato p r o p r i o p e r reazione a questa severa p e d a g o g i a c h e la giovanetta si era tuffata in quella c u l t u r a e se n ' e r a imbevuta. Se vi cercasse u n a consolazione dell'anima, n o n s a p p i a m o . C e r t a m e n t e vi trovò un a p p a g a m e n t o dell'intelletto e dei sensi. Ciò c h e l'attirava delle c a t t e d r a l i e basiliche r o m a n e n o n e r a Dio, ma Raffaello e Michelangelo. La regina di Svezia n o n amava la Svezia, e cercava di trasformarla in un'altra Italia. C o n t r o la conversione militava la r a g i o n di Stato. C o m e poteva la figlia del g r a n d e c a m p i o n e della causa p r o t e s t a n 265
te r i n n e g a r e la fede del p a d r e e restare r e g i n a di un Paese l u t e r a n o ? M a d ' a l t r a p a r t e p e r c h é r e s t a r l o , visto c h e n o n poteva d a r e un e r e d e al trono? Per a n n i essa covò la sua irresolutezza, ma senza del tutto riuscire a n a s c o n d e r l a . Nel Paese c o m i n c i a r o n o a s e r p e g g i a r e i n q u i e t u d i n i e sospetti, di cui alcuni nobili si avvalsero p e r t e n t a r e u n a rivolta. Cristina la soffocò alla m a n i e r a d e l p a d r e , cioè col s o m m a r i o massacro dei responsabili. Ma era scontenta della Svezia, e la Svezia di lei. C o n la sua prodigalità, aveva a p e r t o grosse falle nel suo p a t r i m o n i o p r i v a t o , e il f e r r e o O x e n s t i e r n a , a p p o g g i a t o dal p a r l a m e n t o , le impediva di stender la m a n o su quello dello Stato. I n o l t r e la salute aveva smesso di assisterla, il r i g i d o clima le p r o c u r a v a c o n t i n u e b r o n c h i t i , e questo le impediva di trovare sfogo nelle cavalcate e cacciate di un t e m p o . Nel '51 (aveva venticinqu'anni), essa scoprì che un interp r e t e dell'Ambasciata p o r t o g h e s e , un certo Macedo, era in realtà un gesuita a d d e t t o allo spionaggio. Invece di espellerlo, se lo prese come confidente, ebbe con lui varie discussioni sui p r o b l e m a religioso, e un g i o r n o gli c o n s e g n ò u n a lettera p e r il Generale d e l l ' O r d i n e a Roma, in cui essa chiedeva di m a n d a r l e - travestiti, s'intende, e con falso n o m e d u e teologi che la p r e p a r a s s e r o alla conversione. L'invito suscitò g r a n d e sensazione in Curia, dove lì p e r lì si p e n s ò che l'abiura di Cristina, oltre a r a p p r e s e n t a r e un grosso colpo propagandistico p e r la Chiesa, le avrebbe p e r m e s s o di recup e r a r e l'intera Svezia, o r m a i tra le più forti p o t e n z e e u r o p e e . Ma i d u e messi, inviati subito a Stoccolma, furono presto disingannati. Essi t r o v a r o n o u n ' i n t e r l o c u t r i c e in p r e d a più a preoccupazioni politiche che a crisi mistiche. Cristina n o n voleva discutere di teologia; voleva soltanto sapere quale r a n g o le avrebbero riconosciuto a Roma se vi si fosse stabilita, e intanto p r e p a r a v a con O x e n s t i e r n a u n a successione al t r o n o che garantisse alla Svezia la continuità dinastica e a lei p e r s o n a l m e n t e u n a liquidazione di tutto favore. Malgrado le sue turbe spirituali, essa i n s o m m a restava u n a d o n n a 266
coi piedi b e n piantati p e r t e r r a , e Io dimostrò c o n t r a t t a n d o puntigliosamente titoli, a p p a n n a g g i o e p r e b e n d e . C o m e e r e d e si era scelto il cugino Carlo Gustavo, che già le aveva i n u t i l m e n t e p r o p o s t o di sposarla e che aveva d a t o b u o n e p r o v e di soldato e di statista. Il p a r l a m e n t o espresse il suo g r a d i m e n t o , e nel g i u g n o del '54 Cristina disse addio al suo t r o n o e al suo p o p o l o . La cerimonia fu solenne e comm o v e n t e . Cristina d e p o s e su un cuscino la s p a d a e lo scettro, svestì il rosso m a n t o regale r e s t a n d o in un semplice abito di seta bianca, e p r o n u n c i ò un b r e v e discorso, patetico ma senza retorica, che i n u m i d ì gli occhi di tutti gli astanti. Q u a n d o curvò la testa p e r c h é le togliessero la corona, ness u n o volle farlo, ed essa dovette r i c o r r e r e a un o r d i n e . Fu i'ultimo che dette c o m e regina, ma n o n come d o n n a . Poi fece, da suddita a sovrano, u n a riverenza a Carlo Gustavo, che reciprocò la cortesia r e g g e n d o a Cristina le redini del cavallo. Era un gesto i m p o r t a n t e , nell'etichetta di allora: p e r secoli, Papi e I m p e r a t o r i si e r a n o f u r i o s a m e n t e contesi il diritto di esigerlo gli u n i dagli altri. Esso riassumeva i cavallereschi sentimenti del n u o v o Re, coronato col n o m e di Carlo X, verso Cristina. Per la traversata del Baltico, egli le offrì u n a i n t e r a flotta, ch'essa d e c l i n ò ; e p p o i la r i n c o r s e fino a Halmstad in G e r m a n i a con un messaggio in cui ancora u n a volta le p r o p o n e v a di sposarlo e di dividere il t r o n o con lui. Ma Cristina, m e t t e n d o piede sul continente, aveva esclamato con t r i p u d i o : «Eccomi finalmente libera e l o n t a n a dalla Svezia, dove s p e r o di n o n t o r n a r e mai più!» Il seguito delle sue a v v e n t u r e d i m o s t r a q u a n t o essa ne fosse avida. Vestita da u o m o e con un falso n o m e , si divertì a beffare i Reali di Danimarca c h ' e r a n o venuti ad accoglierla alla frontiera e che v i d e r o a r r i v a r e soltanto il suo bagaglio. Scandalizzò la G e r m a n i a razzista facendosi ospitare ad A m b u r g o dal suo b a n c h i e r e e b r e o . Attraversò in incognito la p r o t e s t a n t e O l a n d a . Ma in Belgio, Paese cattolico, si p r e sentò da Regina, e c o m e tale volle essere trattata. L'atto di abiura alla fede l u t e r a n a n o n lo aveva ancora c o m p i u t o . In267
t e n d e v a farlo a R o m a , un p o ' p e r d a r e al gesto la solennità di cui e r a s e m p r e avida e che solo i d r a m m a t i c i scenari dell'Urbe p o t e v a n o conferirgli, un po' p e r c h é voleva risolvere le s u e p e n d e n z e finanziarie c o n la Svezia p r i m a d'in i m i c a r s e n e con quel gesto la pubblica o p i n i o n e . S'era infatti accorta che le vaste p r o p r i e t à immobiliari lasciate lassù le r e n d e v a n o poco, p r e t e n d e v a r i v e n d e r l e allo Stato, e sicc o m e Carlo nicchiava, cominciò a spargere calunnie contro di lui. Arrivò perfino a dire che n o n riusciva a m o n t a r e a cavallo t a n t ' e r a grasso: il che, riferito a un condottiero che tra poco avrebbe offuscato perfino il ricordo del g r a n d e Gustavo Adolfo q u a n t o a rapidità di m a n o v r e , diventava ridicolo. Il Papa le fece p e r ò sapere che a R o m a doveva presentar^ si già convertita. E questo la costrinse ad anticipare la cerim o n i a a I n n s b r u c k . L'Urbe tuttavia gliene p r e p a r ò un'altra in cui rifulse tutto il suo genio teatrale e pubblicitario. Cristina fu accolta come se nelle sue valige portasse, p e r restituirle alla Chiesa, le province che L u t e r o le aveva tolto. Tutto il clero in p a r a m e n t i , capeggiato da u n a t r e n t i n a di cardinali, e t u t t o il p o p o l o g u i d a t o dai suoi nobili in alta u n i f o r m e la scortarono fino a San Pietro, dove Alessandro V I I l'attendeva. Ci furono parate, feste, luminarie a n o n finire. L'illustre ospite si accasò d a p p r i m a in palazzo Farnese, ed ebbe R o m a ai suoi piedi. D o p o aver tanto almanaccato per disfarsi del suo titolo di Regina, teneva moltissimo a essere considerata ancora tale, e i r o m a n i la c o n t e n t a r o n o facendo di lei la loro first lady. Prima di fissarsi definitivamente fra lor o , volle fare un viaggio in Francia p e r incontrare n o n tanto Luigi XIV, a p p e n a d i c i o t t e n n e , q u a n t o gli scrittori e gli scienziati, di cui le era giunta la fama. Voltaire dice che volle vedere anche N i n o n de Lenclos, t e m p o r a n e a m e n t e rinchiu<sa in convento da tante ne aveva fatte, p e r c h é l'attiravano i suoi peccati, il suo spirito e la sua spregiudicatezza. Parigi fu piuttosto scandalizzata dai m o d i di quella strana d o n n a che parlava e rideva a voce t r o p p o alta e contravveniva continuam e n t e all'etichetta, p u r e s i g e n d o n e dagli altri il più scrupo268
Ioso rispetto. Ma fu a d d i r i t t u r a orripilata q u a n d o Cristina, accortasi c h e u n g e n t i l u o m o del suo seguito, Monaldeschi, faceva dello spionaggio contro di lei, lo c o n d a n n ò a m o r t e e lo fece giustiziare negli a p p a r t a m e n t i in cui il Re la teneva ospite. Tutti trassero un respiro di sollievo q u a n d o quell'ing o m b r a n t e personaggio ripartì p e r l'Italia. Rientrata a Roma, lasciò palazzo Farnese, t r o p p o costoso p e r le s u e m a l c e r t e finanze, e si trasferì in quello Corsini, che allora p o r t a v a il n o m e dei Riario. Glielo aveva trovato il cardinale Decio Azzolino, diventato il suo u o m o di fiducia e forse qualcosa di più. Q u i siamo di fronte allo stesso mistero che seguita ad avvolgere i trascorsi con M a g n u s . Le inclinazioni d i C r i s t i n a n o n e r a n o c e r t a m e n t e c a m b i a t e . P u r p r e d i l i g e n d o la c o m p a g n i a degli u o m i n i , essa continuava a n u t r i r e p e r il loro a m p l e s s o la p i ù p r o f o n d a avversione, e della p e r d i t a di Ebba si era consolata p r e n d e n d o sotto la sua p r o t e z i o n e u n a certa Angelica Giorgini, eccellente s o p r a n o e g r a n bella figliola. Per di più Azzolino n o n aveva n i e n t e di efebico. E nulla di lui, se n o n l'intelligenza, p o t e v a attirare Cristina. E p p u r e , a n c h e se n o n s a p p i a m o fino a che p u n t o , un idillio fra loro ci fu. «Voglio vivere e m o r i r e c o m e vostra schiava» essa gli dice in u n a lettera. Tutta R o m a parlava di quella r e l a z i o n e . E il C a r d i n a l e d o v e t t e giustificarsene di fronte al P a p a , g i u r a n d o g l i c h e in essa n o n c ' e r a n u l l a di peccaminoso. Il Papa n o n era p i ù Alessandro V I I , ma C l e m e n t e IX, un Rospigliosi g r a n s i g n o r e , c h e c o n d i v i d e v a la p a s s i o n e festaiola di Cristina. Insieme essi organizzarono nel '69 il p i ù bel carnevale di tutti i t e m p i con accecanti l u m i n a r i e e chilometriche sfilate di carri. Su u n o di essi troneggiava, in vesti di A r m i d a , M a r i a M a n c i n i C o l o n n a , la n u o v a bellissima «stella» d e l g r a n m o n d o r o m a n o . S e m b r a c h e fra l e d u e d o n n e covasse u n a s o t t e r r a n e a rivalità. M a C r i s t i n a e b b e l'avvertenza di nasconderla, e dal suo palco regale ricambiò la r i v e r e n z a della bellissima trionfatrice col gesto con cui i sovrani in carica d e s i g n a n o l ' e r e d e al t r o n o . Essa si p r e s e 269
c o m u n q u e u n a specie di rivincita intellettuale finanziando u n o spettacolo teatrale p e r i n t e n d i t o r i , Eempio punito di Fil i p p o Acciajoli, affidato a l l ' i n t e r p r e t a z i o n e del p i ù g r a n d e a t t o r e dell'epoca: T i b e r i o Fiorirli, d e t t o Scaramuccia. C o n t u t t i gli e s p o n e n t i dell'aristocrazia e della c u l t u r a , p r e senziavano ventisei cardinali e, nascosta in un palco p e r c h é n o n invitata, Maria Mancini. Cristina era o r m a i la g l a n d e p a t r o n e s s a della vita r o m a n a , c h e gravitava quasi e s c l u s i v a m e n t e su palazzo Riario. Q u i essa aveva fondato u n a Accademia reale, che fu il nucleo originario della famosa Arcadia, e di cui essa stessa aveva red a t t o statuto e r e g o l e . I suoi interessi e r a n o l e o n a r d e s c h i . C o m e archeologa, i n t r a p r e s e degli scavi e ne fu c o m p e n s a t a dal r i n v e n i m e n t o di u n a s t u p e n d a Venere del p r i m o secolo avanti Cristo. C o m e collezionista, riuscì a i n c e t t a r e tele di T i z i a n o , R u b e n s e Raffaello. A d o r a v a B e r n i n i , a n d a v a sov e n t e nel suo studio a g u a r d a r l o scolpire, gli commissionò u n o specchio, e q u a n d o il m a e s t r o m o r ì lasciando u n a modesta f o r t u n a di q u a r a n t a m i l a scudi, Cristina esclamò: «Se fosse stato al mio servizio, sarebbe stato molto p i ù ricco». L a sua p a s s i o n e f o n d a m e n t a l e p e r ò r e s t a v a i l t e a t r o . Avrebbe voluto a v e r n e u n o p e r conto suo c o m e i Colonna e i Barberini, ma n o n a v e n d o abbastanza soldi p e r m a n t e n e r lo, si c o n t e n t ò di a i u t a r e l'Acciajoli a f o n d a r e quello di Tor di N o n a , che fu i n a u g u r a t o nel '71 con u n ' o p e r a lirica,.Scipione Africano, dedicata a lei, e fu un g r a n d e successo. Da allora essa lo diresse quasi da impresaria scritturando di persona i cantanti. Ne ebbe alle sue d i p e n d e n z e di famosi, e ne e r a così gelosa che q u a n d o il D u c a di Savoia le p o r t ò via il castrato Antonio Rivani detto Cicciolino, il C a r u s o del temp o , essa scrisse a un suo agente: «Fate sapere a tutti c h e Cicciolino è r o b a mia, e se n o n c a n t a p e r me n o n c a n t e r à p e r nessun altro. Se ha p e r s o la voce, c o m e vogliono farmi cred e r e , n o n i m p o r t a : lo rivoglio com'è, e guai a lui se n o n torr na al mio servizio». Cicciolino, c h e conosceva la storia del Monaldeschi, si affrettò a obbedire. 270
Un'altra passione di Cristina, condivisa da Azzolino, e r a l'alchimia. Aveva istallato a palazzo Riario u n a «distilleria» cui aveva p r e p o s t o il p i ù a c c r e d i t a t o «mago» del t e m p o , il B a n d e r a , di cui seguiva con t r e p i d a z i o n e gli e s p e r i m e n t i . Diceva di farlo p e r a m o r e della scienza, di cui p u r e si considerava patronessa, fino a m e t t e r e a disposizione i suoi saloni all''Accademia di Esperienza fondata in quegli a n n i dal Campini. In realtà - ed e r a q u e s t o u n o d e i suoi p o c h i caratteri femminili -, e r a il lato stregonesco e fattucchiero di quegli a l m a n a c c a m e n t i fra s t o r t e e alambicchi, c h e sollecitava la sua fantasia. P e r c h é di fantasia ne aveva m o l t a , e la sfogava in o g n i sorta di tresche, a n c h e politiche. D o p o aver rinunziato a un t r o n o , n o n aveva m a i smesso d i b r i g a r e p e r p r o c u r a r s e n e un a l t r o : o r a quello di Polonia, o r a quello di F i a n d r e , o r a quello di N a p o l i . O g n i t a n t o s t u d i a v a p r o g e t t i e avanzava p r o p o s t e fantapolitiche, c o m e quella che Cromwell, il dittatore p u r i t a n o d ' I n g h i l t e r r a , abbracciasse la fede cattolica r i n n e g a n d o quella calvinista, e ottenesse dalla Chiesa l'investitura a Re. N o n rinunziò mai al sogno di c o m b i n a r e un'alleanza fra i sovrani d ' E u r o p a p e r u n a crociata c o n t r o i turchi, di cui sperava che le affidassero il s u p r e m o c o m a n d o : e qui e r a il s a n g u e p a t e r n o che lé ricicciava nelle vene. Ma e r a s o p r a t t u t t o nei Conclavi che si sbrigliavano le sue risorse d'intrigo, p e r c h é questa devota figlia della Chiesa si c o m p o r t a v a c o m e se ne fosse stata la m a d r e . N a t u r a l m e n t e essa avrebbe voluto v e d e r e sul Soglio il prediletto Azzolino. Ma siccome costui n o n e r a «papabile», e n t r a m b i si battevano p e r il successo di q u a l c u n o della loro clientela. E p e r ten e r e Cristina al c o r r e n t e di c o m e a n d a v a n o le cose, Azzolino violava a n c h e il segreto del Conclave, inviandole di nascosto delle lettere in cui alle previsioni sulle scelte dello Spirito Santo si mescolavano s p u n t i di galanteria. Ma il giuoco era più grosso di loro, e quasi s e m p r e li deluse. Lo smacco più c o c e n t e l ' e b b e r o alla m o r t e di C l e m e n t e X, q u a n d o al Soglio salì, c o m e I n n o c e n z o XI, l'austero Odescalchi, che i 271
r o m a n i ribattezzarono subito Papa minga p e r la sua p r o p e n sione a r i s p o n d e r e a tutto e a tutti di no nel suo dialetto milanese. Lo disse subito a n c h e al teatro di Tor di N o n a ordin a n d o n e l a c o n v e r s i o n e i n u n g r a n a i o . Cristina r e a g ì con tali bestemmie, che perfino i suoi stallieri ne furono scandalizzati. Per un pezzo essa covò a d d i r i t t u r a il proposito di lasciare Roma, o r a che quel Pontefice p u r i t a n o la stava trasformando in u n a q u a r e s i m a da farle r i m p i a n g e r e la Stoccolma lut e r a n a , e scrisse a suo c u g i n o Carlo c h i e d e n d o g l i l'investit u r a al Ducato di B r e m a . Ma anche quella m a n o v r a a n d ò a m o n t e , e l'inacidita Cristina si sfogò in calunnie e provocazioni contro I n n o c e n z o . Un giorno un servo dell'Ambasciata di Francia fu arrestato p e r furto, ma riuscì a scappare e si rifugiò in palazzo Riario. Le g u a r d i e p a p a l i n e cercarono di riacciuffarlo, ma Cristina le fece scacciare, e q u a n d o seppe che il tribunale aveva c o n d a n n a t o in contumacia il transfuga alla p e n a capitale, scrisse al magistrato: «Avete disonorato voi stesso e il vostro p a d r o n e . Ma io vi g i u r o che i vostri c o n d a n n a t i a m o r t e v i v r a n n o . E se d o v e s s e r o m o r i r e di m o r t e violenta, altri farà la stessa fine». Q u a n d o glielo rifer i r o n o , il Papa c o m m e n t ò con un sospiro: «Eh, le donne!...» C o n gli anni, la sua protervia un p o ' si addolcì. Aveva cominciato a scrivere la p r o p r i a biografia. Ma, essendo b u o n giudice di p r o s a , capì che la sua n o n valeva g r a n c h é , e ripiegò sulla confezione di certi aforismi in cui c'è un p o ' di La Rochefoucauld, un po' di Molière, ma parecchio anche di Cristina. Un turista francese che v e n n e a visitarla nell"88 così la descrive: «A s e s s a n t a n n i s u o n a t i , è quasi p i ù larga che l u n g a , vestita c o m e u n a c o n t a d i n a , con u n g r a n naso, g r a n d i occhi blu e un d o p p i o m e n t o da cui spruzzano isolati peli di barba». Seguitava a interessarsi di tutto, ma cominciava ad accorgersi che viveva in un Paese in piena decadenza. Scriveva al suo vecchio amico B o u r d e l o t : «Qui, di vivo, ci sono soltanto i morti, e solo con loro si p u ò parlare...» Un g i o r n o , alla fine di quello stesso a n n o , stava provan272
d o u n abito d a c e r i m o n i a , q u a n d o e n t r ò u n a c a r t o m a n t e che aveva libero accesso alle sue stanze. Cristina le disse: «Sento c h e q u e s t o abito l o i n d o s s e r ò p e r u n a c e r i m o n i a molto i m p o r t a n t e . Riesci, sibilla, a v e d e r e quale?» «Sì,» rispose la d o n n a «il vostro funerale, che n o n è m o l t o lontano.» «Hai detto il vero, ma lo sapevo digià» c o m m e n t ò Cristina, i m p e r t u r b a b i l e . S i a m m a l ò p o c o d o p o , d u r a n t e u n viaggio nel Mezzogiorno. N o n e r a u n a novità: p e r tutta la vita aveva sofferto, a p e r i o d i , di febbri e svenimenti, di cui n e s s u n m e d i c o e r a riuscito a c a p i r e l'origine. Molto p r o b a b i l m e n t e si trattava di manifestazioni p s i c o s o m a t i c h e p e r c h é si a c c o m p a gnavano a coliti, depressioni e insonnie. Ma stavolta la crisi fu più grave e seguita da u n a tale prostrazione che disperar o n o di salvarla. Invece poi migliorò. E forse si sarebbe del tutto rimessa, se n o n le fosse occorso un i n c i d e n t e che agì su di lei c o m e un t r a u m a . La sua diletta Angelica viveva confinata nel palazzo da q u a n d o il Papa, che nel suo odio p e r ogni m o n d a n i t à e specialmente p e r il t e a t r o considerava le cantanti c o m e d o n n e p e r d u t e , aveva o r d i n a t o di r i n c h i u d e r l a in convento. Cristina n a t u r a l m e n t e se la teneva in casa n o n solo p e r a m o r e di lei, ma a n c h e p e r dispetto al Pontefice. Bella com'era, la ragazza faceva gola a molti uomini. E fra questi c'era un abate Vanini, n o t o l i b e r t i n o , che con u n a m a n c i a d i mille scudi riuscì a c o r r o m p e r e la m a d r e di Angelica e si fece int r o d u r r e nel suo a p p a r t a m e n t o . Ma la ragazza o p p o s e resistenza e lanciò tali urla che i servi accorsero e costrinsero il ribaldo alla fuga. Q u a n d o Cristina, tuttora a letto convalescente, lo s e p p e , in un accesso di furore o r d i n ò al capitano delle sue g u a r d i e di acciuffare l'abate e di p o r t a r g l i e l o vivo o m o r t o , e p p o i svenne. N o n si r i p r e s e più. Per alcuni giorni rimase senza coscienza, c o s t a n t e m e n t e vegliata dal fedele Azzolino e dalle p r e g h i e r e del Papa che, d i m e n t i c o dei vecchi dissapori, le m a n d ò la sua speciale b e n e d i z i o n e . E all'alba del 19 aprile 273
(1689) spirò. Nel t e s t a m e n t o n o m i n a v a Azzolino suo e r e d e universale ed esprimeva il desiderio di essere sepolta senza alcuna p o m p a nel P a n t h e o n , accanto al suo prediletto Raffaello. S e b b e n e Azzolino lottasse fino all'ultimo p e r far ris p e t t a r e le s u e v o l o n t à , esse f u r o n o sacrificate alle conven i e n z e pubblicitarie. Per q u a t t r o g i o r n i t e n n e r o esposto il c a d a v e r e i n u n a s o n t u o s a c a p p e l l a a r d e n t e , e p p o i l o cond u s s e r o in s o l e n n e p r o c e s s i o n e fino à San P i e t r o , d o v e lo s o t t e r r a r o n o . Ma - fosse p e r sbaglio o con malizia - la corona che le avevano d e p o s t o sulla b a r a n o n era quella vera di Regina, ma quella ch'essa aveva p o r t a t o nel suo p r i m o carnevale r o m a n o del '69. Azzolino p e n s ò d i elevarle u n mon u m e n t o , ma n o n fece in t e m p o p e r c h é a n c h e lui m o r ì poc o d o p o . Solo alla f i n e del secolo p a p a C l e m e n t e X I , u n o dei p o c h i sopravvissuti f r e q u e n t a t o r i di palazzo Riario, ne affidò l'incarico allo scultore Fontana. L'opera è p r e g e v o l e . Ma il suo stile agiografico e declam a t o r i o , lungi dal rivelarlo, tradisce in p i e n o il carattere di Cristina: questa figlia del r e g g i m e n t o dal sesso sbagliato, pop o i a n a , selvatica e a u t o r i t a r i a , c h e a n c h e senza t r o n o era riuscita a restare regina, ma mai a diventare quello che pi$ di ogni altra cosa avrebbe voluto essere: u n a d o n n a .
\ y '
CAPITOLO VENTICINQUESIMO
M O N T E V E R D I E IL M E L O D R A M M A
Nel 1598, in u n a sala di palazzo Corsi a Firenze, fu r a p p r e sentato p e r la p r i m a volta un d r a m m a i n t e r a m e n t e cantato. L'avevano messo in scena i soci d ' u n cenacolo musicale che, dal n o m e del suo m e c e n a t e , si chiamava «Camerata d e ' Bardi». Agli occhi e agli orecchi dei profani l'avvenimento passò del tutto inosservato. E p p u r e esso segnò la d a t a di nascita del m e l o d r a m m a , un g e n e r e musicale destinato a r a p p r e sentare p e r oltre d u e secoli il più g r a n d e e forse l'unico originale c o n t r i b u t o della civiltà artistica italiana a quella occidentale. N o n è facile far la storia della sua l u n g a e lenta gestazione, cioè fissare le t a p p e che d i e d e r o vita a questa n u o v a forma espressiva, n a t a dal c o n n u b i o di p a r o l e e m u s i c a . La «Camerata d e ' Bardi» p o r t ò a c o m p i m e n t o un processo che già da t e m p o era nell'aria e che aveva c o m e obiettivo di mettere in n o t e un testo d r a m m a t i c o , t r a s f o r m a n d o gli attori in cantanti. A n c h e la scelta del soggetto fu un'innovazione. L'opera r a p p r e s e n t a t a a palazzo Corsi s'ispirava al mito di Dafne, cioè a un t e m a profano al posto di quelli sacri rimasti fin allora in voga. C e r t a m e n t e a n c h e le c o n d i z i o n i sociali e a m b i e n t a l i e i p r e c e d e n t i storici c o n t r i b u i r o n o a fare dell'Italia la culla dell'opera. N e s s u n Paese d ' E u r o p a vantava u n a tradizione musicale p i ù antica e feconda. Essa risaliva al cristianesimo primitivo delle catacombe, dove le c o m u n i t à dei fedeli si davano convegno a l t e r n a n d o la p r e g h i e r a al canto, considerato n o n solo un e l e m e n t o di coesione, ma a n c h e u n a p o t e n t e arma di proselitismo p e r c h é , più della predicazione, colpiva 275
la fantasia e commuoveva. Q u a n d o il cristianesimo uscì dalla clandestinità e d i v e n n e religione di Stato, la musica entrò nelle chiese. D u e secoli d o p o , G r e g o r i o M a g n o le d i e d e un c a n o n e e ne fece p a r t e i n t e g r a n t e della liturgia. Per tutto il Medio Evo i canti gregoriani, senza a c c o m p a g n a m e n t o strum e n t a l e e senza c o n t r a p p u n t o , e c h e g g i a r o n o fra le navate delle g r a n d i cattedrali, rafforzando con le loro mistiche suggestioni la Fede. D o p o G r e g o r i o , i progressi furono lenti e scarsi, finché, i n t o r n o al Mille, un aretino di n o m e Guittone, d o p o l u n g h e ricerche, diede alla musica il suo alfabeto, cioè le note, allarg a n d o n e il c a m p o d ' a z i o n e e p o r t a n d o l a fuori d e i confini e n t r o i quali sin allora e r a r i m a s t a p r a t i c a m e n t e chiusa: le chiese e i conventi. A n c h e lo sviluppo della cavalleria favorì la mondanizzazione della musica e la sua diffusione. Fu infatti nei turriti castelli, s p e c i a l m e n t e in P r o v e n z a , c h e n a c q u e r o le n u o v e melodie, m o d u l a t e sulla lira da b a r d i erranti, che n a r r a v a n o a v v e n t u r e d ' a m o r e , di g u e r r a e di m o r t e d ' e r o i veri o immaginari, di cavalieri senza macchia e senza p a u r a che avevano solcato i m a r i p e r liberare il Santo Sepolcro o messo a repentaglio la p r o p r i a vita p e r il c u o r e d ' u n a d o n n a . Il canto cavalleresco contagiò l'Europa. Il testo, concepito all'inizio in latino, finì p e r piegarsi agl'idiomi nazionali. Il troubadour francese diventò minstrel in I n g h i l t e r r a , trobador in Spagna, minnesanger in G e r m a n i a e trovatore in Italia. Anche gli s t r u m e n t i si m o l t i p l i c a r o n o : c o m p a r v e r o la viola, il violino, l'arpa; si raffinò la scienza degli accordi, o armonia. Il r e p e r t o r i o s'articolò, e ciascun Paese vi c o n t r i b u ì con le sue saghe e le sue l e g g e n d e : quella g e r m a n i c a dei Nibelunghi, quella scandinava dell'Edda, quella spagnola del Cid. La musica trovadorica assestò un d u r o colpo a quella tradizionale d'ispirazione liturgica, e spezzò il m o n o p o l i o della Chiesa in questo c a m p o . Successivamente, la rinascita delle città e la formazione delle borghesie mercantili e laiche coop e r a r o n o a m e t t e r e in crisi gl'ideali religiosi c h e avevano 276
d o m i n a t o l'alto M e d i o Evo. Le arti, musica c o m p r e s a , acc e n t u a r o n o il loro anelito verso forme p r o f a n e . A n c h e la tecnica p r o g r e d ì . La m o n o d i a , il canto cioè a u n a sola voce, tipico del trovatore, cedette il passo a u n a più evoluta e complessa polifonia, combinazione simultanea di più voci e strumenti. I principali centri della n u o v a musica sorsero nelle Fiand r e , c h e f o r n i r o n o c o m p o s i t o r i e c a n t a n t i a t u t t o il C o n t i nente. Le corti e u r o p e e fecero a g a r a nell'accaparrarseli. I circoli filarmonici s p u n t a r o n o come funghi, specialmente in G e r m a n i a . A N o r i m b e r g a , un g r u p p o di cittadini di vario ceto e c e n s o (notai, sarti, p a n e t t i e r i , calzolai) si r i u n i v a n o ogni sera ad ascoltare ed e s e g u i r e musica. Ad essi W a g n e r dedicherà u n a delle sue o p e r e più celebri: I maestri cantori. II mecenatismo dei nuovi ricchi e l'entusiasmo p o p o l a r e favorirono la p r o m o z i o n e sociale dei musici professionisti, trattati fin allora alla stregua dei vagabondi, dei mendicanti, dei d o m a t o r i d'animali. I Signori cominciarono a sollecitarne i servigi e a ricompensarli l a u t a m e n t e , i consigli c o m u n a li ad assoldarne in pianta stabile intere formazioni. Nel 1426 l'orchestra cittadina di B e r n a vantava tre pifferi, d u e t r o m bettieri, un c a n t o r e e un organista. I vecchi s t r u m e n t i si p e r fezionarono e se n ' i n v e n t a r o n o di nuovi. I musicisti s'associarono in corporazioni e si d i e d e r o o r d i n a m e n t i e statuti. A Vienna fu istituita la «fratellanza di San Nicola», che restò in vita c i n q u e secoli, in Francia acquistò fama la «Ménestrandie». Contesi al p a r i dei poeti, dei letterati, dei pittori, i musicisti d i v e n t a r o n o i pupilli, gli amici, i confidenti di papi, principi, i m p e r a t o r i . Ma la vera culla della musica fu, c o m e di tutte le altre arti, l'Italia del Rinascimento. Venezia, che all'inizio del Q u a t trocento era la città più m o d e r n a d ' E u r o p a e, coi suoi d u e centomila a b i t a n t i , u n a delle p i ù p o p o l o s e , s t r a p p ò alle Fiandre il p r i m a t o musicale. All'organo di San Marco s'avvic e n d a r o n o i p i ù famosi m a e s t r i del t e m p o , fra cui il fiammingo A d r i a n Willaert, le cui teorie esercitarono un influs277
so i m m e n s o sui c o n t e m p o r a n e i . A n c h e a R o m a la musica t r o v ò , s p e c i a l m e n t e n e i Papi, d e i p a t r o n i munifici e d e gl'intenditori squisiti. Il p r i m o «maestro» d e g n o di q u e s t o n o m e fu G i o v a n n i Pierluigi da Palestrina, d o v ' e r a n a t o i n t o r n o al 1525. A u n dici a n n i e n t r ò a far p a r t e del coro di Santa Maria Maggior e . P a p a Giulio I I I gli affidò la C a p p e l l a Giulia, d o v e venivano addestrati i cantori della Sistina. In segno di gratitudin e , Pierluigi dedicò al Pontefice il suo p r i m o libro di Messe. M e n o f o r t u n a t o fu coi successori. P a p a Marcello, suo p r o t e t t o r e , m o r ì t r e s e t t i m a n e d o p o aver cinto l a tiara. Paolo IV, c h e ne p r e s e il p o s t o , l ' a l l o n t a n ò dal Vaticano p e r c h é aveva p r e s o moglie e l'assegnò al coro di San Giovanni Lat e r a n o . T o r n ò in a u g e con Pio IV che lo colmò d ' o n o r i e favori. Ma fu il Concilio di T r e n t o c h e lo rese immortale. I fulmini della C o n t r o r i f o r m a a v e v a n o colpito a n c h e la musica sacra, fatta eccezione p e r i canti gregoriani. A Trento t u t t i i teologi s ' e r a n o trovati d ' a c c o r d o nell'«escludere dalle chiese t u t t a quella m u s i c a c h e i n t r o d u c e qualcosa d ' i m p u r o e lascivo, così che la Casa di Dio possa v e r a m e n t e essere c o n s i d e r a t a la casa della p r e g h i e r a » . Ma q u a n d o un c a r d i n a l e p r o p o s e d'abolire in blocco la musica polifonica; C a r l o B o r r o m e o i n s o r s e e c o m m i s s i o n ò al Palestrina u n a Messa p e r d i m o s t r a r e c h e polifonia e F e d e n o n e r a n o i n c o m p a t i b i l i . S e c o n d o u n a l e g g e n d a , f u r o n o gli angeli à d e t t a r e al musicista le n o t e della s u b l i m e Messa di p a p a Marcello. Il successo d e l l ' o p e r a d i s a r m ò a n c h e i critici più accaniti, e la polifonia fu salva. Pierluigi, elevato al r a n g o di musicista ufficiale della Chiesa, s ' a b b a n d o n ò alla p r o p r i a v e | na e scodellò un profluvio di messe, antifone, offertori, sai-mi, m a d r i g a l i . N e l 1592 i colleghi lo a c c l a m a r o n o « p a d r e c o m u n e di tutti i musicisti». » I suoi epigoni lo fecero r i m p i a n g e r e , c e d e n d o al virtuosismo e sacrificando l'arte alla tecnica. La polifonia, divenuta m a n i e r a e lenocinlo, d e c a d d e e riacquistò voga la m o n o d i a con a c c o m p a g n a m e n t o s t r u m e n t a l e . L'interesse dei compor 278
sitori, in altre parole, t o r n ò a concentrarsi sul c a n t a n t e singolo, o m e g l i o sui solisti c h e s ' a v v i c e n d a v a n o sulla scena, d o v e m u s i c a e recitazione s e g u i t a v a n o ad a l t e r n a r s i senza riuscire a fondersi. Bisognerà - come abbiamo visto - aspettare la «Camerata d e ' Bardi» p e r v e d e r i n t e r a m e n t e tradotto in n o t e un testo d r a m m a t i c o . Ma fu Claudio M o n t e v e r d i a far assurgere ad arte questa trasposizione e a d e t t a r n e u n a volta p e r tutte le regole. M o n t e v e r d i e r a n a t o a C r e m o n a n e l 1567, figlio d ' u n m o d e s t o cerusico. La sua vocazione musicale si manifestò p r e c o c e m e n t e , q u a n d o v e n n e c h i a m a t o a far p a r t e della cantoria della cattedrale. Aveva u n a bella voce e possedeva straordinarie doti d'esecutore. A quindici anni compose canzoni e m a d r i g a l i c h e lasciarono di stucco i suoi m a e s t r i ed e n t u s i a s m a r o n o i cremonesi. A v e n t i d u e si trasferì a Milano. C o n u n a c o m m e n d a t i z i a si p r e s e n t ò al p r e s i d e n t e del senato Ricardi e gli fece ascoltare, a c c o m p a g n a n d o s i sulla viola, alcuni m a d r i g a l i . Il Ricardi li trovò belli, l o d ò il loro autore, m a n o n mosse u n dito p e r aiutarlo. Claudio, sconsolato, rifece fagotto e p r e s e la via di Mantova, dove gli avevano a s s i c u r a t o c h e i G o n z a g a l ' a v r e b b e r o accolto a braccia aperte. O t t e n n e infatti il p o s t o di viola n e l l ' o r c h e s t r a di c o r t e , con u n o stipendio mensile di dodici scudi; il d u c a Vincenzo lo p r e s e subito a benvolere, lo p r o m o s s e maestro di cappella e se lo p o r t ò con sé p e r sei mesi in giro p e r l ' E u r o p a . Fu p e r lui u n ' e s p e r i e n z a i n d i m e n t i c a b i l e n o n solo p e r c h é conobbe gente n u o v a e v e n n e a contatto con musicisti famosi, ma a n c h e p e r c h é , a causa della tirchieria del Duca, d i e d e fondo ai p r o p r i r i s p a r m i e r i m p a t r i ò p i e n o di debiti. N e l 1599, col «particolare consenso» - c o m e dice un biografo del suo Signore, sposò la figlia d ' u n collega, Claudia Cattaneo, d o n n a d i g r a n d e bellezza, c h e oltre tutto g u a d a g n a v a fior di quattrini c o m e c a n t a n t e di corte. Il m a t r i m o n i o infatti - secondo i maligni - più che dall'amore, fu dettato dal bisogno d ' a r r o t o n d a r e con gli introiti della m o g l i e il m a g r o 279
stipendio che gli passava il Duca. Più che avido, Monteverdi e r a un ansioso. L'incubo di n o n riuscire a m e t t e r e d'accordo il desinare con la cena l'assillerà tutta la vita. L'importanza della carica che ricopriva, il successo delle sue composizioni, e s o p r a t t u t t o la p r e d i l e z i o n e del suo Sig n o r e gli attiravano l'invidia di molti cortigiani, che fecero a g a r a p e r screditarlo agli occhi del Duca. Un p o ' queste maldicenze, un p o ' il r i t a r d o nel p a g a m e n t o degli stipendi, un p o ' il sovraccarico di l a v o r o s p i n s e r o C l a u d i o a lasciare Mantova e rifugiarsi a C r e m o n a . Ma n o n passò m o l t o tempo che il Duca lo richiamò a corte. Q u i Claudio aveva conosciuto il p o e t a Alessandro Striggio e n'aveva fatto il p r o p r i o librettista. Da q u e s t o sodalizio n a c q u e r o le o p e r e p i ù belle del Monteverdi, fra cui VOrfeo, il suo capolavoro, che fu rapp r e s e n t a t o la p r i m a volta nel febbraio del 1607, l'anno stesv so in cui il musicista restò vedovo. \ L a m o r t e della m o g l i e , c h e a d o r a v a , l o p i o m b ò i n u n o sconforto m a g g i o r a t o a n c h e da gravi difficoltà economiche p e r la p e r d i t a dello stipendio di Claudia. C o n quello che lo s p a r a g n i n o Gonzaga passava a lui, c o m e avrebbe p o t u t o sfa* m a r e e m a n t e n e r e agli studi i d u e figli? N e m m e n o la trionr fale accoglienza tributata l'anno d o p o alla sua n u o v a o p e r a Arianna lo liberò dai crucci. Le malelingue n o n cessavano di calunniarlo e mettergli i bastoni fra le r u o t e , e il Duca seguis tava a tenerlo a stecchetto e a r i t a r d a r e i p a g a m e n t i . U n bei g i o r n o C l a u d i o p e r s e la pazienza e decise di c a m b i a r ariai Al suo S i g n o r e disse c h e quella di M a n t o v a gli p r o c u r a v i r e u m a t i s m i ed emicranie, e che d o p o tanto lavoro aveva bi* s o g n o d ' u n l u n g o p e r i o d o d i r i p o s o i n u n a città d a l clima p i ù mite. Il Duca lo supplicò di r e s t a r e , ma Claudio si raòistrò irremovibile. Solo q u a n d o il suo p r o t e t t o r e gli fece saf < p e r e c h e gli a v r e b b e a u m e n t a t o lo s t i p e n d i o e accordato u n a p e n s i o n e a n n u a di c e n t o scudi, il m a e s t r o dimenticò!? p r o p r i acciacchi e t o r n ò all'ovile. Ma n o n vi restò a lungo) Nel 1612 il duca Vincenzo m o r ì e il figlio Francesco, che raccolse i titoli e i debiti, licenziò quasi tutti gli artisti di cui*M il
280
1
p a d r e s'era c i r c o n d a t o . N o n o s t a n t e la fama di cui g o d e v a , anche Claudio dovette sloggiare. Se ne t o r n ò a C r e m o n a , poi a n d ò a Milano a cercarsi un posto nel D u o m o . N o n lo trovò, e allora decise di trasferirsi a Venezia, d o v e fu accolto t r i o n f a l m e n t e , o t t e n n e la carica di m a e s t r o della cappella ducale di San Marco e un anticipo di c i n q u a n t a scudi, che in quel m o m e n t o gli facevano partic o l a r m e n t e c o m o d o p e r c h é d u r a n t e il viaggio e r a stato d e r u b a t o dei bagagli. Nella Repubblica la musica e r a t e n u t a in g r a n d e o n o r e , e o r c h e s t r e e teatri g o d e v a n o di larghe sovvenzioni pubbliche. Un complesso d'oltre t r e n t a coristi, fra cui n u m e r o s i castrati, u n a schola di «putti cantori», u n ' o r chestra di p i ù di venti strumentisti e d u e eccellenti organisti furono messi a disposizione di C l a u d i o . La m e d i o c r i t à dei maestri che l'avevano p r e c e d u t o aveva c o m p r o m e s s o il primato musicale di San Marco e della sua cappella. Monteverdi glielo restituì, e Venezia riacquistò grazie a lui il suo antico r a n g o musicale. In nessun'altra città i teatri e r a n o così affollati e gli spettacoli così ricchi e vari. La vigilia della recita i «provveditori di c o m u n e » o r d i n a v a n o un sopralluogo alla sala p e r accert a r n e l'agibilità, cioè la t e n u t a dei m u r i e d e l soffitto. Se il collaudo e r a positivo, veniva affisso il c a r t e l l o n e c o n l'ora d'inizio e di fine della r a p p r e s e n t a z i o n e . Il battage v e r o e p r o p r i o era affidato agli «imbonidori», che strillavano p e r la città il titolo d e l l ' o p e r a e i n o m i dei c a n t a n t i . Alla «prima» p o t e v a n o assistere solo gl'invitati: il D o g e , la D o g a r e s s a , i m e m b r i del Maggior Consiglio, i cittadini più r a g g u a r d e v o li, gli ambasciatori stranieri. D o p o d i c h é le p o r t e si a p r i v a n o al g r a n d e pubblico, che faceva le «code». I posti e r a n o unici e ciascuno si s e d e v a d o v e voleva: sulle p o l t r o n e di platea, sulle g r a d i n a t e di l e g n o , nelle gallerie. La sala e r a scarsamente illuminata e i s u o n a t o r i d o v e v a n o accontentarsi d'una p u z z o l e n t e c a n d e l a di sego. N o n c'era un b o t t e g h i n o , e lo s p e t t a t o r e acquistava il biglietto d a l c u s t o d e d e l t e a t r o . Negl'intervalli, giravano p e r la sala venditori di p e r e cotte, 281
ciambelle, brustolini, c a r r u b e e caffè. Se il sipario tardava a levarsi gli s p e t t a t o r i m u g u g n a v a n o , b a t t e v a n o i p i e d i p e r terra, e i più impazienti smoccolavano contro gl'impresari. Un boato d'applausi salutava l'inizio dello spettacolo, cui il pubblico p a r t e c i p a v a nel m o d o p i ù scomposto: u r l a n d o , fischiando, b e s t e m m i a n d o , lanciando p e t a r d i , sberleffando. Nel loggione le d o n n e cicalavano i n i n t e r r o t t a m e n t e e i giovani s ' a b b a n d o n a v a n o a o g n i s o r t a d ' i n t e m p e r a n z e . I più maleducati s'affacciavano alla balaustra e b o m b a r d a v a n o di sputi chi stava sotto. I cantanti n o n e r a n o migliori degli spettatori. S'infischiavano degli orari, c o m p a r i v a n o in scena a n c h e con u n ' o r a di ritardo, improvvisamente s'interrompevano, bevevano un caffè, a n n u s a v a n o tabacco, chiacchieravano col buttafuori, a m m i c c a v a n o alle d a m e . Se r i t e n e v a n o di n o n essere stati p a g a t i a b b a s t a n z a , sul p i ù bello s m e t t e v a n o di c a n t a r e e p i a n t a v a n o tutti in asso. G u a d a g n a v a n o s o m m e favolose e c o n d u c e v a n o vita da nababbi, idolatrati dai pubblico, contesi e o n o r a t i da p a p i , p r i n c i p i e sovrani. I p i ù esigenti, capricciosi e ricercati e r a n o i castrati. Q u e l l a dei semiviri e r a u n a c a r r i e r a m o l t o redditizia. C ' e r a n o dei genitori che facevano mutilare i figli al solo scopo di lucro. Ma c'erano a n c h e quelli che li c o n d a n n a v a n o a q u e s t o sacrificio p e r p a s s i o n e di bel c a n t o . Il «tifo» n o n è e v i d e n t e m e n t e f e n o m e n o esclusivo del nostro secolo. Ma la cosa più strana è che di solito i castrati n o n d e l u d e v a n o i calcoli e le s p e r a n z e dei loro carnefici, gli si m o s t r a v a n o riconoscenti e li m a n t e n e v a n o . La legge proibiva queste b a r b a r e mutilazioni, ma p e r perseguirle ci voleva la d e n u n z i a , e n e s s u n o la faceva. A Roma c'era perfino la scomunica p e r chi sottoponeva i p r o p r i figli allo scempio, ma ciò n o n impediva che ci fossero botteghe su cui stava scritto a c h i a r e lettere: «Qui si c a s t r a n o ragazzi»Q u a n d o costoro si presentavano al Conservatorio dove veniv a n o raccolti e istruiti, ci si asteneva dal p o r r e ai loro a c c o m p a g n a t o r i d o m a n d e imbarazzanti. Gli «incomodati», 282
c o m e venivano chiamati con vezzosa ipocrisia, ricevevano un trattamento di favore, gli s'insegnava n o n soltanto a cantare, ma anche a muoversi e a gestire come d o n n e . N o n s e m b r a che i castrati rimpiangessero i loro attributi virili; o s m e t t e v a n o di r i m p i a n g e r l i d o p o i p r i m i successi. Elites e masse, corti e loggioni, c o n d i v i d e v a n o l'entusiasmo p e r questi «urlatori», facevano di essi i loro idoli e se li disputavano con accanimento. In queste frenesie i castrati si crogiolavano, e ciò che n o n p o t e v a n o sfogare in virilità lo sfogavano in vanità, facendosi tra loro concorrenza, n o n soltanto in vocalizzi, ma a n c h e in capricci, bizzarrie e spavalderie. E r a n o avidi, b u g i a r d i , insolenti e s p e n d a c c i o n i . P i a n o piano s'abituavano al successo come a u n a d r o g a e ne facevano, c o m e oggi certe dive dello s c h e r m o , l'esclusiva ragione della loro vita. C a p i t a v a a n c h e c h e s ' i n n a m o r a s s e r o . E s e b b e n e la C h i e s a cattolica proibisse l o r o il m a t r i m o n i o , molte d o n n e li r i c a m b i a r o n o , e ci f u r o n o veri e p r o p r i r o manzi, c o m e quello di B a r t o l o m e o De Sorlisi, che sposò seg r e t a m e n t e Dorotea Lichtwer, tutta la vita lottò p e r restarle accanto e alla fine, n o n riuscendovi, m o r ì di c r e p a c u o r e . Finazzi e b b e più f o r t u n a p e r c h é s ' i n n a m o r ò d ' u n a r a g a z z a p r o t e s t a n t e che, n o n e s s e n d o colpita da divieti p o t è fargli da m o g l i e . Ma di solito i castrati p r e n d e v a n o a l t r e s t r a d e sentimentali e, a furia di comportarsi da femmine in teatro, lo d i v e n t a v a n o a n c h e nella vita. La fioritura d e i castrati d u r ò finché d u r ò l'interdizione alle d o n n e di salire sulla scena. A R o m a essa fu revocata solo nel 1795. Sicché se Tosca fosse r e a l m e n t e esistita, sarebbe stata un castrato a n c h e lei. In questo bizzarro e bizzoso m o n d o si rigirava Monteverdi. C o m e m a e s t r o della cappella d u c a l e di San M a r c o egli aveva il compito d'istruire i cantori e i musici, di c o m p o r r e messe, inni, litanie e dirigere le p r o p r i e o p e r e . Ma, oltre al lavoro, c ' e r a n o i figli e l'eterne p r e o c c u p a z i o n i finanziarie. Lo spettro della miseria n o n cessava di t o r m e n t a r l o , sebbene fra s t i p e n d i o e p e n s i o n e g u a d a g n a s s e a b b a s t a n z a p e r sbarcare c o m o d a m e n t e il lunario. Si lamentava che a Vene283
zia la vita era t r o p p o cara e che il peso della famiglia si faceva o g n i g i o r n o p i ù gravoso. Il suo n o m e aveva varcato da un pezzo i confini della Penisola, e le sue o p e r e v e n i v a n o stampate, r a p p r e s e n t a t e e acclamate in t u t t ' E u r o p a . Gl'inviti gli fioccavano da ogni p a r t e , i poeti gli dedicavano versi, i veneziani avevano fatto di lui il loro idolo e q u a n d o , alla fine del 1 6 3 1 , cessò l'epidemia di peste che aveva falciato la p o p o l a z i o n e , i superstiti si r i t r o v a r o n o tutti in San Marco p e r assistere alla messa d i r i n g r a z i a m e n t o , c o m p o s t a p e r l'occasione dal Monteverdi. In q u e l l ' a n n o il m a e s t r o era e n t r a t o nei sessantacinque, ma ne dimostrava parecchi di più. Si sentiva vecchio e stanco, p r o f o n d e r u g h e gii solcavano il volto affusolato e intenso, le spalle s'erano incurvate, emicranie e r e u m a t i s m i n o n gli d a v a n o t r e g u a . La l u n g a vedovanza, la c u r a dei figli e il t e r r o r e patologico di finire sul lastrico avevano aggravato la sua i p o c o n d r i a . C e r c ò e trovò c o n f o r t o nella F e d e e nelle pratiche di devozione. Nel 1643 le sue condizioni di salute p e g g i o r a r o n o e nel n o v e m b r e morì fra le braccia della Chiesa. I funerali furono celebrati, in forma solenne, a spese dello Stato. In un commosso panegirico, Paolo Piazza lo definì «il m a g g i o r musico d ' E u r o p a » . C o n lui il m e l o d r a m m a p e r s e il suo p r i m o grande m a e s t r o , e la Serenissima lo scettro di capitale dell'opera. Ma la nostra e g e m o n i a in questo c a m p o e r a o r m a i irreversibile. P e r c h é l'Italia n o n «faceva» il m e l o d r a m m a . Lo era. E diffìcile stabilire se il m e l o d r a m m a n a c q u e in Italia p e r c h é gli italiani sono melodrammatici, o se gl'italiani sono m e l o d r a m m a t i c i g r a z i e a l m e l o d r a m m a . C o m u n q u e mai identificazione, fra u n a forma di teatro e un costume di vita, fu p i ù perfetta. T r a quei fondali di c a r t a p e s t a il nostro p o p o l o riviveva gli unici eroismi di cui fosse ancora capace. Sull'esempio dei loro protagonisti i m p a r ò o ribadì la sua vocazione a urlare le p r o p r i e sventure, a piangersi addosso, a farla da «mattatore» in mezzo alla scena. Ciò n o n toglie nulla alla g r a n d e z z a di certi suoi capolavori. Ma nel suo insie284
me il m e l o d r a m m a è stato la d a n n a z i o n e degl'italiani, u n a c o r r u z i o n e del loro gusto, un a d e s c a m e n t o a q u a n t o c'è in noi di più retorico, falso, teatrale e g r a n d i l o q u e n t e . Esso diventò u n a seconda n a t u r a dell'italiano. E t u t t o r a fa p a r t e di un certo nostro bagaglio di gesti, di atteggiamenti e di m e n talità.
PARTE QUARTA CREPUSCOLO DEL SEICENTO
CAPITOLO VENTISEIESIMO L'EUROPA
Le vicende italiane della seconda m e t à del Seicento n o n sono c h e p o c h e e p o v e r e c r o n a c h e , i cui p r o t a g o n i s t i h a n n o statura di c o m p r i m a r i . C o m u n q u e , p r i m a di r i p r e n d e r n e il racconto, conviene v e d e r e in quale q u a d r o e u r o p e o si svolsero, a n c h e p e r c h é è dal di fuori ch'esse sono dettate e condizionate. L'Italia, a b b i a m o già detto, è oggetto di Storia. Il soggetto va ricercato altrove. In S p a g n a s o p r a t t u t t o , m a l g r a d o il suo declino. Q u e s t o Paese ha p a g a t o caro l'eroico e insensato tentativo di ricostruire l'unità e u r o p e a sotto la s p a d a degli Asburgo e la ben e d i z i o n e del Papa. Fu l'ultimo d e i suoi Filippi, il IV, che dovette p r e n d e r e atto del fallimento. La S p a g n a era ancora detentrice dell'immenso impero latino-americano. Ma per la p r i m a volta, d o p o un secolo d'imbattibilità, i suoi eserciti e r a n o stati sconfitti d a i francesi a Rocroi, il P o r t o g a l l o ne aveva approfittato p e r r e c u p e r a r e la p r o p r i a i n d i p e n d e n z a , la Catalogna tentò di fare altrettanto e p e r diciannove a n n i ci riuscì, l ' O l a n d a c o r o n ò la sua epica lotta s o t t r a e n d o s i definitivamente al giogo di Madrid c o n i a pace di Westfalia. In E u r o p a , alla S p a g n a restavano soltanto il Belgio e la docile Italia. Tutte le responsabilità di questa bancarotta furono gettate sul valido Olivares, che in realtà ne aveva molte. Q u e s t o g r a n d e servitore dello Stato ascetico e spietato si e r a rifiutato, da b u o n s p a g n o l o , di s c e n d e r e a c o m p r o m e s s i c o n la realtà. C o n t i n u ò a i g n o r a r l a a n c h e d o p o essere stato licenziato, e sprofondò nella follia. Il soave Filippo, che n o n s'era mai occupato d'altro che di pittura, di libri, di teatro, di cac289
eia e di d o n n e , si trovò a disagio in quel disastro e, se n o n ebbe la forza di r i p a r a r l o , ebbe a l m e n o il b u o n senso di riconoscerlo. La sorte, che gli aveva d i s p e n s a t o tanti favori, glieli fece ripagare p o r t a n d o g l i via i figli che adorava, m e n o M a r i a Teresa, e p o i a n c h e la m o g l i e , la d e v o t a Isabella di B o r b o n e . Maria Teresa a n d ò sposa a Luigi XIV, e Filippo, p e r p r o c u r a r s i un e r e d e , risposò a q u a r a n t a q u a t t r ' a n n i la n i p o t e M a r i a d ' A u s t r i a c h e ne aveva q u a t t o r d i c i . Essa gli d i e d e d u e bambini. Il p r i m o morì. L'altro successe al p a d r e nel 1665 col titolo di Carlo I I , e n o n aveva che q u a t t r o anni. Finché n o n ebbe r a g g i u n t o i sedici, a g o v e r n a r e fu la regina Maria, o p e r meglio dire furono il suo confessore gesuita N i t h a r d t e il suo a m a n t e Valenzuela. G o v e r n a r o n o male, ma c'è da chiedersi se avrebbero p o t u t o farlo meglio. Quali fossero i motivi della decadenza spagnola, l'abbiamo già detto. Le g u e r r e a v e v a n o fatto della Castiglia un d e s e r t o . Le flotte e r a n o state d i s t r u t t e p r i m a dagl'inglesi e poi dagli olandesi. N o n c'erano iniziative, da q u a n d o gli ebrei e i moriscos, uniche m i n o r a n z e produttive, e r a n o stati scacciati. Con la loro mentalità di uomini di spada, gli spagnoli n o n concepivano altra fonte di ricchezza che la terra, cioè il latifondo. Ma il latifondo mancava di braccia, sicché la Spagna, oltre a tutti i manufatti, doveva i m p o r t a r e a n c h e molti g e n e r i alimentari. La sua bilancia si reggeva solo sull'afflusso dell'oro americano, i cui carichi venivano spesso intercettati dalla pir a t e r i a a n g l o - o l a n d e s e . N o n c ' e r a n o p i ù s t r a d e , l'amministrazione era un caos. La popolazione di Madrid era scesa da quattrocento a duecentomila abitanti fra cui ventimila accattoni, e il suo t e n o r e di vita e r a fra i p i ù bassi d ' E u r o p a . A questa miseria facevano contrasto le favolose ricchezze dei pochi oligarchi, laici ed ecclesiastici. Il Duca d'Alba possedeva diecimila vasi d'oro, il Vescovo di Santiago s'era fatto costruire u n a cappella d ' a r g e n t o , e l'Inquisizione considerava eretico c h i u n q u e protestasse c o n t r o q u e s t e mostruosità. Il p o p o l i n o si divertiva ai roghi. Ci si divertivano a n c h e i Sovrani, i quali sovente vi assistevano in p o m p a m a g n a . 290
C'era ancora u n a g r a n d e Spagna nel c a m p o dell'arte. Ma barocca, c o m e si conveniva a u n a società in cui la ricchezza restava c o n c e n t r a t a nelle m a n i di p o c h i privilegiati, che la concepivano solo come s t r u m e n t o di fasto e di potenza personale. La generazione dei Murillo, dei C a r r e n o , dei Coello, dei Valdés n o n vale quella degli El Greco, Z u r b a r à n e Velàzquez che l'aveva p r e c e d u t a , ma ne m a n t i e n e la tradizione. Sono invece scaduti, dai t e m p i di Cervantes e di L o p e de Vega, il teatro e la letteratura, anche se Calderón de la Barca è ancora in attività di servizio grazie alla sua longevità. Ma i n s o m m a il declino era inarrestabile, e Carlo II ne fu l'incarnazione. Era il tipico p r o d o t t o di u n a dinastia stremata dai m a t r i m o n i fra consanguinei. Il suo volto caricaturava i lineamenti degli Asburgo, u n a deformazione m a n d i b o l a r e e la lingua ingrossata gli r e n d e v a n o difficile la masticazione e la parola. L'avevano t e n u t o in collo fino ai dieci a n n i p e r ché le g a m b e stortignàccole n o n r e g g e v a n o il c o r p o , p e r q u a n t o meschinello; era epilettico, e sapeva a p p e n a leggere e scrivere. Gli d e t t e r o d u e mogli, ma n o n riuscì a m e t t e r e al m o n d o un figlio. Così, alle tante afflizioni che già tribolavano il Paese, si a g g i u n s e quella della successione. C a r l o si trovò fra l ' i n c u d i n e della m a d r e , la quale m a n o v r a v a p e r ché il t r o n o restasse alla casa Asburgo, cioè andasse a quelli d'Austria, e l'ambasciatore di Francia che gli minacciava la g u e r r a se n o n si p r o n u n c i a v a in favore della sorellastra Maria Teresa, a n d a t a sposa a Luigi XIV. Carlo spirò col secolo. N o n si sa se p e r p a u r a di Luigi o per dispetto alla m a d r e , aveva n o m i n a t o suo e r e d e Filippo d'Angiò, nipote del Re di Francia, c o m e costui a p p u n t o voleva. Così finì il r a m o asburgico spagnolo, p e r lasciare il trono a un r a m o cadetto dei B o r b o n e di Parigi. Era la Francia, ora, che aveva p r e s o il posto di potenza e g e m o n e d ' E u r o p a . La sua ricostruzione e r a il frutto d e l l ' o p e r a unificatrice iniziata da Enrico IV, l ' u g o n o t t o convertito alla causa cattolica p e r r a g i o n i politiche, e di d u e g r a n d i ministri: p r i m a il 291
Sully, poi il C a r d i n a l e di Richelieu. Costui volle essere utile al p r o p r i o Paese a n c h e in p u n t o di m o r t e , d e s i g n a n d o come p r o p r i o successore e f a c e n d o accettare al docile Luigi X I I I u n p r e l a t o italiano, Giulio Mazarino. Mazarino e r a un p r e t e abruzzese e d u c a t o dai gesuiti, che aveva fatto u n a bella c a r r i e r a i n C u r i a c o m e d i p l o m a t i c o . Q u a n d o il Papa lo m a n d ò c o m e N u n z i o a Parigi, capì subito che nella lotta p e r il p o t e r e a quella Corte il cavallo vincente e r a l'imperioso Cardinale, e a lui legò le p r o p r i e sorti. I d u e u o m i n i n o n si somigliavano. Richelieu e r a d'acciaio, Mazarino di g o m m a . Ma c o m e g o m m a n o n ce n ' e r a di p i ù elastic h e . Si rese c o n t o c h e la Francia n o n a v r e b b e tollerato da u n o straniero c o m e lui ciò che aveva accettato da Richelieu: Per cui n o n si mise avanti n e m m e n o q u a n d o il Re m o r ì , lasciando e r e d e un b a m b i n o di cinque a n n i , e si r i p a r ò dietro le spalle della R e g i n a - m a d r e , A n n a d'Austria, n o m i n a t a reggente. Se essa sia stata a n c h e la sua a m a n t e , n o n si sa. Certo; era c o m p l e t a m e n t e sotto il fascino di questo bell'italiano elegante e galante, latin lover avanti lettera, che sapeva esserle indispensabile. I francesi n o n lo a m a v a n o , n o n lo h a n n o mai a m a t o , né d u r a n t e né d o p o . Il c a r d i n a l e De Retz lo definisce «un avv e n t u r i e r o i m b r o g l i o n e senza scrupoli né carattere». Ma è u n t e s t i m o n e s o s p e t t o p e r c h é M a z a r i n o aveva o c c u p a t o i l p o s t o cui a s p i r a v a lui, e riuscì a m a n t e n e r l o p e r d e c e n n i ; m a l g r a d o diffidenze e ostilità, r e n d e n d o allo Stato segnalati servigi. Ne rese a n c h e a se stesso a c c u m u l a n d o un i m m e n s o p a t r i m o n i o e «sistemando», da b u o n italiano, t o r m e di parenti. Ma il t i m o n e lo resse da g r a n d e navigatore. L'indomani della sua n o m i n a , le t r u p p e francesi schiacciavano quelle spagnole a Rocroi, e questo n o n e r a m e r i t o di Mazarino. Ma fu merito suo il g r a n partito che la diplomazia francese seppe t r a r r e da quella vittoria alla pace di Westfalia, che sancì il p r i m a t o di Parigi in E u r o p a . Q u e s t o n o n i m p e d ì al P a r l a m e n t o di ribellarglisi, e fu la cosiddetta «prima Fronda», che costrinse alla fuga la Regina 292
e il Principino. Ma l'abile ministro, sebbene fosse il vero bersaglio della rivolta, riuscì a d i v i d e r e gli avversari e a g i u o carli gli u n i c o n t r o gli altri. D u e a n n i d o p o , la Fronda si r i f o r m ò , e stavolta e b b e l ' a p p o g g i o a n c h e del p i ù g r a n d e g e n e r a l e francese, il T u r e n n e . Il M a z a r i n o p r e f e r ì la fuga alla lotta, c o n t a n d o sulle discordie dei p r o p r i nemici. Il calcolo si d i m o s t r ò fondato. «Tutti i partiti» dice Voltaire «non facevano c h e allearsi e t r a d i r s i fra loro.» Sul p i ù bello di questa complicata quadriglia, il Principino, a v e n d o r a g g i u n to i tredici a n n i , p r o c l a m ò la fine della r e g g e n z a e assunse p e r s o n a l m e n t e il p o t e r e . D a p p r i m a , p e r amicarsi il Parlam e n t o , confermò il b a n d o al Mazarino, ma poi lo richiamò. Stavolta e r a p r o p r i o la g u e r r a civile, con tanto di eserciti in c a m p o : quello lealista c o m a n d a t o dal riconvertito T u r e n n e , quello ribelle c o m a n d a t o dal C o n d é . Ci fu u n a battaglia alle p o r t e di Parigi, che si concluse senza vincitori, ma con u n a vincitrice: la « G r a n d e Mademoiselle», figlia di G a s t o n e d ' O r l é a n s , il fratello di Luigi X I I I che già si era ribellato al Richelieu. Essa a m m u t i n ò gli artiglieri della Bastiglia, rimase p a d r o n a della città e a p r ì le p o r t e al C o n d é . Ma fu u n a vittoria di Pirro. D o p o qualche g i o r n o Parigi si ribellò ai ribelli e tributò g r a n d i accoglienze al Re, che rientrava con la m a d r e e il Mazarino. Costui ridiventò il p a d r o n e della Francia, stavolta con l'avallo di un giovanissimo ma prestigioso Sovrano: Luigi XIV, il futuro «Re Sole». N o n a n c o r a affezionato al p o t e r e , Luigi lo lasciò in a p palto al C a r d i n a l e , che seguitò a farne l'uso p i ù assennato. Per venire a capo della S p a g n a con cui la g u e r r a seguitava a trascinarsi d a v e n t ' a n n i , e d e l C o n d é c h e n o n voleva a r r e n d e r s i , si alleò con l ' I n g h i l t e r r a di Cromwell. Lo scandalo f u e n o r m e : u n u o m o d i Chiesa, p r i m o ministro d i u n Paese m o n a r c h i c o e cattolico, a braccetto del dittatore calvinista che aveva fatto decapitare il suo Re. Ma Mazarino n o n aveva di questi scrupoli: a lui p r e m e v a soltanto farla finita col nemico e s t e r n o e col ribelle i n t e r n o . L'uno e l'altro, con l'aiuto inglese, f u r o n o liquidati alla battaglia delle D u n e . 293
C o n la pace dei Pirenei (1659), la S p a g n a dovette rinunziare alle province francesi ancora in suo possesso, l'Artois e il Rossillon, e ad ogni pretesa sull'Alsazia. C o m e spesso accad e v a a quei t e m p i , la p a c e fu c o n s a c r a t a con un m a t r i m o nio: il re Filippo IV d e t t e la p r o p r i a figlia Maria Teresa in moglie a Luigi i m p e g n a n d o s i a versarle u n a dote di 500.000 c o r o n e , p u r c h é Luigi a sua volta s'impegnasse a r i n u n z i a r e a ogni pretesa sul t r o n o di Spagna. La dote n o n fu mai pagata, e fu questo il pretesto di cui Luigi si avvalse p e r avanzare diritti alla successione q u a n d o , alla fine del secolo, il fratellastro di Maria Teresa, Carlo I I , m o r ì senza eredi. Q u a n t o al C o n d é , n o n solo fu p e r d o n a t o , ma anche reintegrato in tutti i suoi diritti, titoli e a p p a n n a g g i . Ma tanta indulgenza n o n disarmò i suoi rancori verso il Cardinale. Non smise mai di trescare c o n t r o di lui e di discreditarlo, dicendo che n o n riusciva a capire come mai il Re lasciasse d e p r e d a r e la Francia da quel l a d r o n e . Lo c o m p r e s e solo all'indom a n i della m o r t e del suo n e m i c o , q u a n d o Luigi i n c a m e r ò tutto il p a t r i m o n i o accumulato dal Mazarino - circa 200 milioni di franchi, s t a n d o a Voltaire -, il che fece di lui il monarca più ricco d ' E u r o p a . Ecco p e r c h é Io aveva lasciato così i m p u n e m e n t e r u b a r e : sapeva che la refurtiva sarebbe finita nelle sue tasche. A q u e l l a confisca seguì da p a r t e d e l Re un a l t r o gesto n o n m e n o autoritario. Il P a r l a m e n t o mosse obiezioni a u n o d e i suoi decreti. Luigi si p r e s e n t ò all'assemblea in abito da caccia, con gli stivaloni e il frustino in m a n o . «Voi con le vostre chiacchiere» disse, «avete già fatto abbastanza male alla Francia. Vi o r d i n o di sciogliervi e vi proibisco di t o r n a r e a riunirvi.» L'assolutismo aveva trovato in lui la sua più perfetta incarnazione. Luigi n o n p r o n u n z i ò mai la frase che gli è stata attribuita: Ilétat c'est mot, lo Stato sono io, ma si comp o r t ò c o m e se questa fosse la sua più incrollabile convinzion e . Ne aveva d e l r e s t o tutti i requisiti fisici e m o r a l i : u n a bella p r e s e n z a , u n a n a t u r a l e a u t o r e v o l e z z a c h e l o faceva a p p a r i r e più i m p o n e n t e di q u a n t o fosse in realtà, un carat294
tere imperioso, un'insolenza m a s c h e r a t a dalle m a n i e r e più signorili, e u n a b u o n a dose di cinismo. N o n e r a colto, ma lo s e m b r ò p e r il fatto di essere il Re della nazione p i ù colta d ' E u r o p a . L a m a g g i o r p a r t e delle sue famose b a t t u t e d i spirito e r a n o in realtà dei suoi cortigiani, ma v e n i v a n o accreditate a lui p e r c h é gli somigliavano. Lo smisurato orgoglio lo i n d u s s e in parecchi e r r o r i . Ma ebbe il m e r i t o di con o s c e r e gli u o m i n i e di s a p e r n e s f r u t t a r e sia le d e b o l e z z e che le virtù. Pare che Mazarino, s p i r a n d o , gli dicesse: «Maestà vi devo tutto, ma p a g o il mio debito d a n d o v i Colbert». Colbert e r a un piccolo ianaiolo, c h e il C a r d i n a l e si e r a p r e s o c o m e amministratore privato. La gratitudine n o n doveva essere il suo forte p e r c h é si sdebitò di quella designazione rivelando a Luigi d o v ' e r a nascosto il tesoro del suo benefattore. Il primo successore di Mazarino era stato F o u q u e t che, q u a n t o a furti, n o n fu da m e n o . Ma siccome e r a francese, i francesi ne f u r o n o m e n o i n d i g n a t i . Luigi lo lasciò i n g r a s s a r e . Poi, come al solito, gli confiscò tutto, lo mise in prigione, e al suo posto n o m i n ò il Colbert, l ' u o m o che ha d a t o alla Francia il suo definitivo assetto di Stato f o r t e m e n t e a c c e n t r a t o sia in campo politico che amministrativo ed economico. Fu lo Stato, sotto la spinta di Colbert, a fare la rivoluzione industriale che nei Paesi protestanti veniva invece fatta dai privati, e così l'industria francese è s e m p r e rimasta u n ' i n d u s t r i a condizionata e p r o t e t t a dallo Stato. N o n è compito nostro a d d e n t r a r c i in questi temi. Veniamo al consuntivo. Nello spazio di pochi decenni, la Francia diventò il Paese p i ù c o m p a t t o , meglio o r g a n i z z a t o e p i ù c u l t u r a l m e n t e avanzato d ' E u r o p a . I n questa ricostruzione la personalità di Luigi ebbe la sua i m p o r t a n z a : i francesi ritrovarono in lui quel modello di Re insolente e libertino che già avevano a m a t o in suo n o n n o Enrico IV. Nel suo assolutismo si a n n i d a v a n o i vizi che tutti gli assolutismi c o m portano, e che i suoi discendenti avrebbero p a g a t o di lì a un secolo. Ma p e r il m o m e n t o n o n se ne videro che i benefici: 295
un Paese p u r g a t o di tutte le dissidenze che lo avevano diviso, e unito i n t o r n o al suo Sovrano. Costui aveva ora in mano t u t t e le carte p e r u n a politica di g r a n d e Potenza, a cominciare dall'esercito, ricostruito da g r a n d i generali come il C o n d é , il T u r e n n e , il Louvois, il Vauban. E Luigi, che aveva u n d e b o l e p e r l a gloria, s p e c i a l m e n t e quella militare, n o n e r a u o m o da lasciarlo inoperoso. Le sue g u e r r e n o n si c o n t a n o . La p r i m a la mosse alle F i a n d r e meridionali, cioè al Belgio, d o m i n i o spagnolo. Vinse facilmente, e si avventò s u l l ' O l a n d a p e r toglierle il controllo delle foci del R e n o . I coraggiosi olandesi si b a t t e r o n o c o n t r o i francesi c o m e si e r a n o battuti c o n t r o gli spagnoli: a p r e n d o le d i g h e e t r a s f o r m a n d o in m a r e le p r o p r i e terre, m e n t r e la loro diplomazia tesseva le fila di u n a «Grande coalizione» antifrancese. E inutile s e g u i r e il groviglio di q u e s t e v i c e n d e belliche i n t e r r o t t e da effimere paci. Sulla fine del secolo l'esercito francese era diventato ciò che ai giorni nostri è stato quello tedesco: il t e r r o r e d ' E u r o p a n o n soltanto p e r le sue vittorie, ma anche p e r i suoi saccheggi. O l a n d a , Spagna, Inghilterra, I m p e r o s'unirono. Tutti i c o n t e n d e n t i si s t r e m a r o n o inutilm e n t e in u n a g u e r r a che vide i generali di Luigi quasi semp r e trionfatori, m a c h e s i rivelò n o n m e n o disastrosa d i quella dei t r e n t ' a n n i a n c h e p e r la Francia. Dei suoi riflessi italiani p a r l e r e m o a p r o p o s i t o del Piemonte, che vi fu coinvolto. La p a c e di Rijswijk d e l 1697 con O l a n d a , S p a g n a e I n g h i l t e r r a fu in realtà solo u n a tregua. Tutti sapevano che c o n la v a c a n z a del t r o n o s p a g n o l o , c h e o r m a i si profilava all'orizzonte, quell'effimero equilibrio si sarebbe r o t t o perché mai gli Asburgo di Vienna avrebbero rinunziato a quella corona. Abbiamo lasciato l ' I n g h i l t e r r a nelle m a n i del suo re Giacomo I Stuart, che le aveva p o r t a t o in d o t e la c o r o n a di Scozia, unificando così tutta l'isola sotto il suo scettro. N o n fu, tutto sommato, un cattivo sovrano. Ma, sebbene facesse p r o 296
fessione di fede anglicana, e r a d'educazione e mentalità cattolica, e q u i n d i p o r t a t o a u n a c o n c e z i o n e assolutistica d e l p r o p r i o p o t e r e , in un Paese dove invece il P a r l a m e n t o aveva o r m a i acquisito u n a coscienza abbastanza p r o f o n d a delle p r o p r i e prerogative. Il contrasto e r a stato evitato a furia di c o m p r o m e s s i , ma restava nel s o t t o f o n d o , e s c o p p i ò fra le mani di Carlo I, successo al p a d r e nel 1625. O l t r e al t r o n o , Carlo aveva e r e d i t a t o a n c h e il p r i m o ministro B u c k i n g h a m , il brillante ma spregiudicato e sventato favorito di Giacomo. Carlo, suo coetaneo, era cresciuto con lui in un c a m e r a t i s m o che n o n gli consentiva di v a l u t a r n e meriti e difetti. Malaticcio, timido e balbuziente, il giovane principe nutriva u n a p r o f o n d a a m m i r a z i o n e p e r la sicumera e spavalderia del suo amico, e ne era c o m p l e t a m e n t e succubo. Lo difese c o n t r o il P a r l a m e n t o c h e d i s a p p r o v a v a la g u e r r a contro la S p a g n a voluta da B u c k i n g h a m e gli lesinava i crediti p e r gli a r m a m e n t i . «Non p e r m e t t o alla C a m e r a di discutere i miei servitoli, e m e n o che mai quello che mi è più caro» disse. Il P a r l a m e n t o rispose c h i e d e n d o l'incriminazione del Primo Ministro. Il Re lo sciolse, ma i fondi n o n li ebbe, e alla fine dovette riconvocarlo. Alla s e d u t a i n a u g u r a l e , C a r l o t o r n ò ad a v a n z a r e le sue richieste, a g g i u n g e n d o v i u n a malaccorta conclusione: «Non p r e n d e t e le mie parole p e r u n a minaccia. N o n mi abbasso a minacciare che i miei pari», come a dire che i d e p u t a t i li disprezzava. Fra costoro c'era un certo Oliviero Cromwell, un piccolo nobile t e r r i e r o allevato nella religione calvinista, che aveva reso a n c o r a più a d a m a n t i n o il suo carattere. Ispirato da lui, il P a r l a m e n t o si dichiarò disposto ad accordare i fondi, p u r c h é il Re firmasse u n a «petizione di diritti» con cui si riconosceva in esclusiva alla C a m e r a quello d ' i m p o r r e tasse e tributi. E r a un diritto già sancito dalla Magna Charta del 1215, ma i Re n o n lo avevano quasi mai osservato. Il Parlam e n t o ne chiedeva il ripristino definitivo, in più r i n n o v a n do le sue richieste contro B u c k i n g h a m . M e n t r e si discuteva, un p o p o l a n o accoltellò il P r i m o Ministro e si c o n s e g n ò alle 297
a u t o r i t à , che lo giustiziarono, ma senza t o r t u r a r l o . Carlo, furibondo, sciolse di n u o v o il Parlamento e p e r undici anni, fino al 1640, g o v e r n ò da S o v r a n o assoluto. A s p i n g e r l o su questa via e r a a n c h e sua moglie, la francese Enrichetta Maria, figlia di Enrico IV e sorella di Luigi X I I I . Carlo n o n fu un cattivo Re. Perseguì t e n a c e m e n t e la pace, cercò di r i m e t t e r e un p o ' d ' o r d i n e nella dissestata macchina amministrativa e d'istaurare u n a certa giustizia sociale. Ma n o n c o m p r e s e l'aspirazione p r o f o n d a del Paese, mor a l m e n t e d o m i n a t o dalla m i n o r a n z a calvinista, a un regime r a p p r e s e n t a t i v o , cioè limitativo d e i p o t e r i della C o r o n a . Carlo dovette convocare un q u a r t o P a r l a m e n t o , scioglierlo di n u o v o p e r c h é gli t e n e v a testa, e a c c e t t a r n e un altro che fu detto «lungo Parlamento» p e r c h é stavolta rifiutò di sciogliersi, mise sotto p r o c e s s o il P r i m o M i n i s t r o Strafford, e c o n t r o la volontà del Re Io giustiziò. Fu in questa e m e r g e n z a che Cromwell v e n n e alla ribalta. Egli intimò alcune decisive riforme, fra cui il diritto del Parl a m e n t o a bocciare le n o m i n e del Re alle p i ù alte cariche dello Stato e alla direzione dell'esercito. Carlo, anticipando il gesto di Luigi XIV, fece i r r u z i o n e nella C a m e r a alla testa di t r e c e n t o soldati p e r a r r e s t a r e i riottosi. Costoro avevano già p r e s o il largo, e la m a g g i o r a n z a dei loro colleghi li ragg i u n s e in un altro edificio m e n t r e C r o m w e l l t o r n a v a nelle sue t e r r e a raccogliervi un esercito. Era la g u e r r a civile. D a p p r i n c i p i o questa fu favorevole al Re, a n c h e p e r c h é i capi p a r l a m e n t a r i e r a n o divisi e i n e s p e r t i di a r m i . Ma le sorti c a m b i a r o n o , q u a n d o Cromwell riuscì a i m p o r r e la sua a u t o r i t à di capo s u p r e m o e rivelò sul c a m p o s o r p r e n d e n t i q u a l i t à militari. Alla testa d i u n c o r p o d i cavalleria a d d e strato p e r s o n a l m e n t e da lui con ferrea disciplina, gli Ironsides, a n n i e n t ò le t r u p p e di Carlo che dovette a r r e n d e r s i dopo aver messo in salvo in Francia la moglie incinta e l'erede al t r o n o . Le p a r t i si r o v e s c i a r o n o . S e n t e n d o s i alla m e r c é di Cromwell e delle sue milizie, il P a r l a m e n t o cominciò a ne298
goziare col Re prigioniero. C o m e s e m p r e avviene in queste convulsioni, gli estremisti stavano p r e n d e n d o il sopravvento in tutto il Paese, e l ' a t t e g g i a m e n t o di Cromwell nei loro confronti e r a a dir p o c o a m b i g u o . Ma q u a n d o Carlo fuggì dalla sua prigione e reclutò milizie fra gli scozzesi p e r tentar e u n a rivincita, a l P a r l a m e n t o n o n r i m a s e c h e affidarsi n u o v a m e n t e a Cromwell. Questi v e n n e , vide e vìnse, com'era o r m a i nel suo stile. Forse fin allora n o n aveva accarezzato propositi dittatoriali. Ma q u a n d o vide che il P a r l a m e n t o ricominciava a trescare col Re c o n t r o di lui, r u p p e gl'indugi. Fece a r r e s t a r e i p a r l a m e n t a r i , e in n o m e del p o p o l o «che, d o p o Dio, è l'origine di ogni giusto potere», incriminò il Re di t r a d i m e n t o . Alcuni suoi l u o g o t e n e n t i , s p a v e n t a t i dall'idea del regicidio, offrirono a Carlo la salvezza e il m a n t e n i m e n t o del t r o n o se accettava u n a forma di m o n a r c h i a costituzionale, cioè soggetta ai voleri del Parlamento. Carlo, m o strando p i ù coraggio che lungimiranza, preferì il processo, lo affrontò con g r a n d e dignità, disse c h e quel P a r l a m e n t o d o m i n a t o dall'esercito era m e n o libero e più oppressivo della C o r o n a , fu acclamato dalla folla al g r i d o di «Dio salvi il Re!», e i m p e r t u r b a b i l m e n t e p o r s e la testa al boia s e b b e n e q u a t t r o nobili, p e r salvargliela, avessero offerto la loro. Un t e s t i m o n e o c u l a r e d e l supplizio scrisse: «Fra gli astanti si levò un grido d ' o r r o r e quale mai avevo u d i t o e quale mi aug u r o di n o n u d i r e mai più». «D'ora in poi l ' I n g h i l t e r r a sarà g o v e r n a t a c o m e Stato lib e r o dai r a p p r e s e n t a n t i d e l p o p o l o i n n o m e d e l popolo» aveva detto Cromwell nel firmare senza un trasalimento la sentenza di m o r t e . In realtà la g o v e r n ò lui in n o m e di u n a minoranza tanto p i ù risoluta q u a n t o più sapeva d'essere esigua. Ma a Cromwell questo n o n i m p o r t a v a p e r c h é , a n c h e se non aveva dalla sua il p o p o l o , e r a convinto di avere Dio che, com'egli stesso aveva detto, veniva p r i m a del p o p o l o . Il credo calvinista l'aveva abituato a p r e n d e r e gli o r d i n i direttamente da Lui, che fra gli altri gli dette anche quello di ripristinare l'ordine nella ribelle I r l a n d a con massacri sommari. 299
Cromwell li c o n s u m ò «a gloria del Signore, al quale spetta la lode di questa misericordia»: u n a misericordia che costò a l l ' I r l a n d a u n a b u o n a m e t à della sua p o p o l a z i o n e . C o n l o stesso p u g n o schiacciò la rivolta scozzese. E alla fine, impaziente delle critiche e o p p o s i z i o n i c h e seguitava a fargli il P a r l a m e n t o , lo chiuse, fece affiggere sulla p o r t a il cartello: «Da affittare», e d ' a l l o r a in p o i , col titolo di Protettore, gov e r n ò c o m e il più assoluto di tutti i m o n a r c h i . Ma s e m p r e in n o m e di Dio e del p o p o l o . F u u n d e s p o t a , m a n o n u n s a t r a p o . O l t r e che p r e d i c a r e , egli a n c h e praticava u n a severa m o r a l e p u r i t a n a . Vestiva con semplicità, m a n g i a v a s o b r i a m e n t e , n o n aveva vizi. Q u a n d o lo i n v i t a r o n o ad a s s u m e r e il titolo di Re declinò, ma riservandosi il diritto di n o m i n a r e il p r o p r i o successore e d e s i g n a n d o l o , in p u n t o di m o r t e (1658), nel figlio Riccardo. C o m e spesso capita ai g r a n d i u o m i n i , l'affetto gli aveva a p p a n n a t o il giudizio. Riccardo e r a un u o m o civile e cortese, ma n o n aveva la stoffa p e r t e n e r e in p u g n o un Paese così p r o f o n d a m e n t e diviso. Se n'accorse subito egli stesso, ebbe il b u o n senso di d i m e t t e r s i , si ritirò in Francia sotto un altro n o m e , e solo v e n t ' a n n i d o p o t o r n ò a m o r i r e in Inghilt e r r a . Ci fu un seguito di colpi di Stato da p a r t e dei vecchi l u o g o t e n e n t i del dittatore. Ma n o n si trovò un capo che potesse sostituirlo. Fu alla fine u n o di loro che, i n t e r p r e t a n d o il generale desiderio di pace, prese contatti col figlio del Re decapitato. Si chiamava Carlo a n c h e lui, e aveva vissuto da esule in Francia in dignitosa povertà. Q u a n d o Mazarino s'era alleato con Cromwell, era emigrato nelle F i a n d r e . Lì Io raggiunsero gli emissari inglesi che gli offrirono il r i t o r n o sul trono a condizione di ragionevoli limitazioni costituzionali. Carlo n o n mosse obiezioni, e r i e n t r a n d o a L o n d r a trovò il popolo inginocchiato al suo passaggio m e n t r e le c a m p a n e stormivano a festa. Questa festa continuò p e r quasi tutto il r e g n o di Carlo IL 300
Questi aveva capito il d e s i d e r i o di o r d i n e e di legalità che aveva s p i n t o l ' I n g h i l t e r r a a r i c h i a m a r l o e vi s ' a d e g u ò c o n molto giudizio. Aveva t r e n t ' a n n i q u a n d o risalì sul t r o n o , ci rimase p e r altri venticinque e, l u n g i dal c h i e d e r e v e n d e t t e c o n t r o i regicidi, r a c c o m a n d ò al P a r l a m e n t o la p i ù g r a n d e indulgenza. Il P a r l a m e n t o gli obbedì (dati i tempi) con m o d e r a z i o n e . Dei firmatari della c o n d a n n a a m o r t e p r o n u n ciata c o n t r o Carlo I, solo quindici furono impiccati e squartati, e il cadavere di Cromwell v e n n e r i e s u m a t o e attaccato a un gancio. Carlo lasciò fare un p o ' p e r il rispetto a cui si e r a i m p e g n a t o verso il P a r l a m e n t o , un p o ' p e r c h é agli atti di forza aveva u n a fisiologica allergia. Era c o n t e n t o che a g o v e r n a r e fossero altri, coloro che il Parlamento designava a quei compiti. I p r o b l e m i da risolvere e r a n o gravi. Q u a n d o gli m o strarono il bilancio, Carlo si avvide che il tesoro dello Stato a m m o n t a v a a undici sterline, m e n t r e il debito pubblico superava i d u e milioni. E fu felice di lavarsene le m a n i , anche p e r c h é le aveva s e m p r e occupate in esercizi molto più piacevoli. Nelle sue vene il sangue franco-italiano della m a d r e - figlia di u n a Medici - aveva avuto la prevalenza su quello scozzese, e faceva di lui, n o n un vizioso, ma un libertino. Ebbe un'infinità d ' a m a n t i e figli naturali, e seguitò a praticare quest'allegra poligamia a n c h e d o p o aver sposato C a t e r i n a di B r a g a n z a , figlia del Re di Portogallo, che gli p o r t ò u n a bellissima d o t e , ma n o n riuscì a dargli un e r e d e . E curioso che, sebbene il P a r l a m e n t o l'autorizzasse a divorziare, Carlo rifiutò. N o n era fedele alla moglie, ma al m a t r i m o n i o sì: un tratto a n c h e questo molto latino. Alla sua spensieratezza m i s e r o fine le difficoltà i n t e r n e ed esterne, che frattanto s'erano aggravate. C o m e p r i m a s'era stancato della g u e r r a , il Paese o r a s'era stancato della pace e r e c l a m a v a u n a politica p i ù risoluta s o p r a t t u t t o v e r s o l'Olanda, che con le sue potenti flotte stava c r e a n d o un impero transoceanico in c o n c o r r e n z a con quello inglese. C'erano già stati vari scontri risoltisi quasi s e m p r e a favore de301
gli olandesi. Carlo cercò un accordo. M e n t r e lo stava p r e p a r a n d o , l'ammiraglio olandese De Ruyter p e n e t r ò di s o r p r e sa nel T a m i g i e d i s t r u s s e quasi t u t t a la flotta inglese. Per Carlo fu un colpo t r e m e n d o , aggravato dal fatto che, essendo senza figli, aveva d e s i g n a t o c o m e successore al t r o n o il fratello Giacomo, c h ' e r a cattolico. La diatriba religiosa s'era violentemente riaccesa, e a p o r t a r l a al parossismo fu la scop e r t a d ' u n c o m p l o t t o d i gesuiti che p r o b a b i l m e n t e e r a inventato di sana pianta. Carlo, p u r r e n d e n d o s e n e conto, non riuscì a salvare gli accusati, e G i a c o m o d o v e t t e r i p a r a r e in Francia p e r sottrarsi al t e r r o r e che dilagava. Questi drammatici avvenimenti avevano p r o f o n d a m e n t e inciso sul carattere del Re che, trascinatovi p e r i capelli, aff r o n t ò la battaglia c o n u n a risolutezza c h e n e s s u n o gli a v r e b b e a c c r e d i t a t o . Nella sua lotta c o n t r o il P a r l a m e n t o , che si rifiutava di ratificare la designazione di Giacomo come successore al t r o n o , rischiò la vita insidiatagli da u n a mezza dozzina di c o n g i u r e e la g u e r r a civile, ma n o n si lasciò mai p r e n d e r la m a n o dai furori della vendetta, e alla fine vinse. Ma e r a s t r e m a t o , e g u a r d a v a al f u t u r o senza illusioni. «Non so cosa farà mio fratello» diceva. «Io gli lascio i miei regni in pace, a u g u r a n d o m i che possa conservarli così. Ma su questo p u n t o ho molti timori e p o c h e speranze.» Q u a n d o Giacomo gli r a c c o m a n d a v a di n o n uscire in carrozza s c o p e r t a sotto il tiro d e i m a l i n t e n z i o n a t i , r i s p o n d e v a : «C'è m o l t a g e n t e c h e n o n m i v o r r e b b e p i ù sul t r o n o , m a n o n c'è n e s s u n o che ci voglia te». Al m o m e n t o del trapasso; nel 1685, gli m a n d a r o n o p e r il viatico un vescovo anglican o , ma il m o r e n t e lo rifiutò e chiese un p r e t e cattolico, finalm e n t e rivelando quale fosse la sua vera religione. Poi chiese p e r d o n o alla moglie dei suoi adulteri, e spirò. Giacomo II aveva c i n q u a n t ' a n n i q u a n d o cinse la corona; e certe qualità n o n gli m a n c a v a n o : e r a coraggioso e frugale* schietto e fedele alla sua p a r o l a di Re. Ma a p p u n t o p e r que* sto n o n e r a d i s p o s t o a t r a n s i g e r e su quelli ch'egli consi: d e r a v a i suoi d u e s u p r e m i i m p e g n i : r e s t a u r a r e il cattolicesi 1
302
mo e l'assolutismo, I p u r i t a n i insorsero. Giacomo gl'inflisse u n castigo d a far i m p a l l i d i r e C r o m w e l l . N e i n o r r i d i r o n o perfino Luigi XIV, che p u r e coi suoi ugonotti a n d a v a p e r le spicce, e lo stesso p a p a I n n o c e n z o X I . Giacomo rimase sordo ai loro richiami e a quelli dei suoi sudditi più m o d e r a t i . Ricominciò la dissidenza del P a r l a m e n t o , che bocciava regol a r m e n t e i d e c r e t i del Re. I tribunali si rifiutavano di cond a n n a r e gli oppositori. La rivolta n o n scoppiò solo p e r c h é Giacomo n o n aveva altro e r e d e che u n a figlia, Mary, di dichiarata fede p r o t e s t a n t e , e p e r di p i ù a n d a t a sposa a G u glielmo d ' O r a n g e , u n o dei g r a n d i c a m p i o n i del calvinismo olandese. Era u n a coppia che dava, p e r il futuro, a m p i e garanzie di laicismo e liberalismo. Ma nell' '88 Giacomo e b b e un figlio maschio, che fu subito battezzato col rito cattolico. Allora i dissidenti invitarono Guglielmo a r o m p e r e gl'indugi e a i n v a d e r e l'Inghilterra. L'esercito con cui Guglielmo sbarcò oltre Manica e r a piccolo, ma fu subito ingrossato dalle t r u p p e che d i s e r t a v a n o Giacomo, e p e r di p i ù G u g l i e l m o e r a un g r a n d e c a p i t a n o . Sconfisse a p i ù r i p r e s e il suocero, lo c a t t u r ò , ma lo mise in condizione di fuggire. Giacomo ne approfittò senza r e n d e r si conto c h ' e r a p r o p r i o questo che Guglielmo voleva p e r discreditarlo e p r e v e n i r e qualsiasi c o m p r o m e s s o . Il trànsfuga riparò in Francia col suo prezioso figlioletto, che di lì a molti a n n i avrebbe tentato, ma invano, di r i p o r t a r e sul t r o n o la dinastia Stuart. Oltre c h e valente soldato, Guglielmo si d i m o s t r ò abilissimo politico. P e r s o n a l m e n t e fedele a un i n t r a n s i g e n t e calvinismo, n o n pretese tuttavia i m p o r l o a un Paese che n o n tollerava l'intolleranza e cercava un c o m p r o m e s s o fra le s u e tre diverse religioni. Egli lo sanzionò insieme con le p r e r o gative del P a r l a m e n t o , che si c o n t e n t ò di d i r i g e r e di d i e t r o le q u i n t e senza mai sovrapporglisi. N o n aveva g r a n d i qualità di s e d u t t o r e . Era assolutamente privo di calore u m a n o , e la sua m a g n a n i m i t à , ispirata soltanto dal calcolo politico e si vedeva - e r a spesso c o n t r a d d e t t a da gesti di gelida spie303
tatezza. Le d o n n e Io c h i a m a v a n o «l'orso olandese» p e r c h é n o n s i c u r a v a d i l o r o . Parlava p o c h i s s i m o a n c h e p e r c h é p r o n u n c i a v a m a l e l'inglese, e p e r gl'inglesi o s t e n t a v a un certo disprezzo. Per di più n o n nascondeva la sua ferma volontà di servirsi della p o t e n z a inglese p e r aiutare l'Olanda a difendersi dalle aggressioni della Francia. Ma gl'inglesi glielo consentirono p e r c h é la Francia e r a anche il loro maggiore p e r i c o l o . E su q u e s t a c o m u n a n z a d'interessi si basò la convivenza tra quel Re straniero e i suoi nuovi sudditi. Costoro c h i e s e r o u n a u t o g o v e r n o s e m p r e p i ù i n d i p e n d e n t e dalla Corona, e Guglielmo glielo concesse in cambio di u n a politica estera s e m p r e p i ù antifrancese. Q u e s t a sfociò nel 1689 nella sua a d e s i o n e ufficiale alla « G r a n d e Alleanza» e nel 1701 nella sua partecipazione attiva alla p r i m a coalizione continentale c o n t r o la successione del B o r b o n e al t r o n o spagnolo, che al t e r m i n e di u n a lunga lotta doveva ridimensionare l'ambizione del Re Sole e castigarne l'insolenza. E veniamo all'Austria, che p r o p r i o al t e r m i n e di questa lunga g u e r r a a v r e b b e d a t o il cambio alla S p a g n a nella s u p r e mazia sull'Italia. L'Austria seguitava a soffrire di ciò di cui i suoi sovrani Asburgo seguitavano a vantarsi: cioè di essere la «centrale» d ' u n I m p e r o che si rifiutava di avere un «centro» e cui ness u n a forza u m a n a sarebbe riuscita a d a r e organica unità. Ci s e m b r a di essere stati a b b a s t a n z a espliciti sul caos che reg n a v a in G e r m a n i a fra tutti q u e g l i Stati e staterelli c h e la frastagliavano e c h e a l l ' I m p e r a t o r e n o n t r i b u t a v a n o che q u a l c h e formale o m a g g i o , m e r c a n t e g g i a n d o n e l a n o m i n a vitalizia volta p e r volta. E n o n vogliamo ripeterci. Diremo soltanto che la p a c e di Westfalia aveva p e g g i o r a t o la situazione politicamente ed e c o n o m i c a m e n t e . Di saldo e solido, agli Asburgo restavano soltanto gli Stati ereditari d'Austria, n o n c h é la B o e m i a e l ' U n g h e r i a di cui o r m a i e r a n o Re di fatto. Nel 1658 questi troni toccarono - insieme col solito alti304
sonante e vuoto titolo imperiale - a L e o p o l d o I che doveva conservarli oltre la fine del secolo, e che cercò finalmente di d a r e u n a s t r u t t u r a di Stato ai suoi p o s s e d i m e n t i . Per cond u r r e a t e r m i n e l'impresa avrebbe avuto bisogno di qualche d e c e n n i o di pace. Ma questa gli fu c o s t a n t e m e n t e insidiata dai t u i c h i e da Luigi XIV il flagello d ' E u r o p a . I turchi, p a d r o n i di tutti i Balcani e di d u e terzi dell'Ungheria, e r a n o attestati a un centinaio di chilometri da Vienna, il che faceva dell'Austria il vero bastione dell'Occidente cristiano. Ma q u e s t ' O c c i d e n t e si ricordava di r a d o d'essere cristiano, di solito p r e f e r e n d o lasciare il suo bastione a sbrigarsela da solo. Così l'antimilitarista L e o p o l d o , più che alle riforme e alla musica - che e r a la sua g r a n d e passione - d o vette dedicarsi alla g u e r r a . Egli trovò un g r a n d e generale in un italiano, il Montecuccoli, che c o n p o c h e forze, nel '64, sbaragliò gli O t t o m a n i . Ma le discordie i m p e d i r o n o all'Eur o p a d i a p p r o f i t t a r n e p e r a n n i e n t a r e q u e s t o suo secolare nemico. Sicché, c o m e già era avvenuto d o p o L e p a n t o , i turchi r i p r e s e r o l'offensiva, r i c o n q u i s t a r o n o il l o r o b o c c o n e d ' U n g h e r i a , e la loro flotta s t r a p p ò Creta ai veneziani e rimase p a d r o n a del M e d i t e r r a n e o . Un solo Re cristiano scese n u o v a m e n t e in c a m p o c o n t r o di loro, Giovanni Sobieski di Polonia. Ma L e o p o l d o , invece d'aiutarlo, istigò i turchi a invadere il suo Paese, m e n t r e Luigi X I V li sobillava ad attaccare L e o p o l d o . Q u e s t a e r a la solidarietà e u r o p e a , e n o n si p u ò dire che col passar dei secoli abbia fatto progressi. I turchi t o r n a r o n o all'offensiva nel 1682 con un esercito d i 250.000 u o m i n i . L e o p o l d o e r a c o n v i n t o che a v r e b b e r o attaccato la Polonia. Essi invece si diressero su V i e n n a e le posero assedio. A n c o r a u n a volta in soccorso del b a l u a r d o della cristianità pochi cristiani si mossero. Ce n ' e r a n o molti di più sotto le b a n d i e r e m u s s u l m a n e . Poco g l o r i o s a m e n t e Leopoldo a b b a n d o n ò la sua capitale affidando il c o m a n d o a Carlo di L o r e n a e l a n c i a n d o un a p p e l l o a Sobieski che accorse con 2 5 . 0 0 0 u o m i n i . S o m m a n d o l i agli austriaci e ai contingenti tedeschi, ne mise insieme 60.000. M a l g r a d o la 305
sua inferiorità, attaccò l'avversario che n o n se l'aspettava, e lo mise in rotta. Vienna l'acclamò come un eroe, m e n t r e accolse f r e d d a m e n t e L e o p o l d o . Le solite rivalità e gelosie r i t a r d a r o n o l'inseguimento delle forze n e m i c h e . Solo a metà settembre esse furono r a g g i u n t e da Sobieski e Carlo di Lor e n a , che n u o v a m e n t e le sconfissero. Stavolta p a p a I n n o c e n z o XI fu p r o n t o a c o m b i n a r e un'alleanza fra Austria, Polonia e Venezia p e r lo sfruttamento del successo. Francesco Morosini riconquistò con la sua flotta A t e n e d o p o u n feroce b o m b a r d a m e n t o c h e provocò i r r e p a r a b i l i guasti a n c h e al P a r t e n o n e , adibito dai turchi a deposito di munizioni; m e n t r e Sobieski e Carlo riportavano sulla t e r r a f e r m a altre decisive vittorie, c h e c o n s e n t i r o n o la r i c o n q u i s t a di tutta l ' U n g h e r i a , c o m p r e s a la Transilvania. Subito d o p o a n c h e l ' a v a m p o s t o m u s s u l m a n o d i B e l g r a d o c a d e v a . S a r e b b e bastata u n ' a l t r a spallata p e r scacciare gli O t t o m a n i d a l l ' E u r o p a e liberare Costantinopoli. Ma a questo p u n t o Luigi X I V t o r n ò alla riscossa. Il «Re cristianissimo», c o m e a m a v a chiamarsi, seguitava a pensare che gli Asburgo e r a n o un n e m i c o molto più pericoloso dei t u r c h i , invase il Palatinato, e L e o p o l d o d o v e t t e d i s t r a r r e p a r t e delle sue forze dai teatri di g u e r r a balcanici p e r far fronte a questa n u o v a aggressione. Tuttavia i suoi eserciti, c h e o r a a v e v a n o t r o v a t o u n altro g r a n d e c o n d o t t i e r o nel p r i n c i p e E u g e n i o di Savoia, inflissero u n a n u o v a m e m o r a bile disfatta al S u l t a n o , c o s t r i n g e n d o l o a c h i e d e r pace. Il trattato di Carlowitz nel 1699 lasciava alla Turchia quasi tutti i Balcani fino alla Dalmazia, ma l'Austria ebbe l'Ungheria con la Transilvania, t r a n n e Temesvàr assegnata alla Turchia, la Polonia i n c a m e r ò l ' i m m e n s a U c r a i n a , e Venezia rimase p a d r o n a del Peloponneso. Da quel m o m e n t o i turchi badar o n o soltanto a c o n s e r v a r e in E u r o p a quello c h e gli era rimasto: la loro minaccia n o n incombeva più sull'Occidente. La p a c e a Est servì soltanto di c o n c i m e p e r la g u e r r a a Ovest c o n t r o la Francia, che doveva a l u n g o prolungarsi nel secolo s e g u e n t e p e r la successione al t r o n o s p a g n o l o . Ma 306
sortì a n c h e un altro effetto. Gli Asburgo s'erano resi ancora meglio conto q u a n t o poco potessero fare affidamento sulla Germania, vocata c o m e si dimostrava al suo rissoso inguaribile p a r t i c o l a r i s m o , e si d i e d e r o a consolidare i loro tradizionali possessi, r e n d e n d o ereditarie le c o r o n e di Boemia e d ' U n g h e r i a e affermandovi il loro assolutismo. C o m e titolo, il Sacro R o m a n o I m p e r o c o n t i n u ò a esistere. Ma solo come tìtolo. La n u o v a realtà politica che o r a p r e n d e v a c o r p o era un altro I m p e r o : quello austro-boemo-ungarico, che p e r oltre d u e c e n t ' a n n i e r a destinato a restare u n o dei g r a n d i pilastri d ' E u r o p a . Q u e s t o I m p e r o , d i cui l'Italia stava p e r d i v e n t a r e u n a succursale c o m e p a r t e dell'eredità spagnola degli Asburgo, n o n e r a il p a r a d i s o della libertà, né mai lo s a r e b b e diventato. La sua stessa n a t u r a di Stato composito, p l u r i n a zionale e p l u r i l i n g u e , lo spingeva a o p p o r r e alle sue forze centrifughe quella c e n t r i p e t a d ' u n a m a r c a t a centralizzazione. In c o m p e n s o p e r ò fu sin d a p p r i n c i p i o un modello di ord i n e a m m i n i s t r a t i v o . T u t t o si d e c i d e v a a V i e n n a , c h e da quel m o m e n t o p r e s e lo slancio d ' u n a g r a n d e capitale in gara con Parigi p e r il p r i m a t o e u r o p e o . E la C o r t e e r a il suo cuore e il suo cervello. Ma a differenza degli Asburgo spagnoli che n o n avevano mai sentito il bisogno d'istituire veri e p r o p r i governi e consideravano i loro Stati e possedimenti come limoni da s p r e m e r e col loro fìsco e serbatoi di reclute per le loro g u e r r e , gli Asburgo austriaci concepivano di solito la loro autorità c o m e quella di un paterfamilias severo, ma sollecito del pubblico benessere. Anch'essi si a p p o g g i a v a n o sulle aristocrazie locali, anch'essi scoraggiarono ogni forma di a u t o n o m i a , anch'essi p r a t i c a r o n o u n o zelante cattolicesimo e fecero del clero un c o a d i u t o r e della loro polizia. Ma costruirono u n a macchina burocratica di g r a n d e efficienza, p r e p o n e n d o v i un p e r s o n a l e molto b e n selezionato, che sapeva applicare con giudiziosa elasticità leggi e o r d i n a n z e , e non soltanto servirsene p e r i p r o p r i personali soprusi. Tutto questo lo v e d r e m o meglio nei volumi che dediche307
r e m o al Sette e a l l ' O t t o c e n t o . Per il m o m e n t o lo si poteva presagire solo dal più accentuato disinteresse degli Asburgo p e r le inestricabili vicende della galassia germanica e dal loro r i p i e g a m e n t o sulle province austro-ungarico-boeme. Ecco p r e s s a p p o c o c o m e s'era v e n u t a configurando l'Europa nella seconda m e t à del secolo. Quello che ne abbiamo fornito n o n è n e a n c h e un s o m m a r i o riassunto. E solo l'indicazione, limitata alle maggiori Potenze, di certe fondamentali vic e n d e i n t e r n a z i o n a l i : necessario p u n t o d i r i f e r i m e n t o p e r c h i u n q u e voglia c a p i r e la storia d ' u n Paese c o m e il nostro che s t r e t t a m e n t e n e d i p e n d e , p e r c h é d i suo n o n n e h a più nessuna. L'Italia è c o m e gli stranieri decidono che sia: la posta d ' u n giuoco in cui n o n ha voce e n e m m e n o cerca d'avern e . Vediamo o r a da vicino i principali Stati, anzi stateremo che la c o m p o n g o n o .
<
ti
CAPITOLO VENTISETTESIMO IL PIEMONTE
Anche nella seconda m e t à del Seicento l'unico Stato italiano politicamente vivo rimase il Piemonte. La riconciliazione fra m a d a m i s t i e principisti, suggellata d a l l ' a c c o r d o di T o r i n o del 1642, aveva c o m p o s t o , a l m e n o in a p p a r e n z a , le b e g h e i n t e r n e , ma n o n aveva eliminato lo z a m p i n o francese a Corte, d o v e g r a n p a r t e della nobiltà seguitava a n u t r i r e sentimenti gallicani e ad a d o t t a r e fogge e pose parigine. Le donne - scrive un cronista dell'epoca - si vestono «alla franzesa», m o s t r a n o sfacciatamente il seno, baciano gli u o m i n i in pubblico. Q u a n t o a M a d a m a Reale, nelle cui vene scorre il s a n g u e dei Borboni, il suo c u o r e batte p i ù di là che di qua delle Alpi. I francesi m a n t e n g o n o a Torino un presidio con tre r e g g i m e n t i al cui s o s t e n t a m e n t o d e v o n o p r o v v e d e r e i suoi abitanti. Nel 1645 la g u a r n i g i o n e si restringe nella cittadella, ma solo dodici a n n i d o p o si decide a sloggiare. Nel n o v e m b r e 1659 la pace dei Pirenei pose ufficialmente fine alla g u e r r a franco-spagnola, di cui il P i e m o n t e era stato u n o dei principali teatri, r e i n t e g r ò il D u c a di Savoia nelle t e r r e che il t r a t t a t o di C h e r a s c o gli aveva assegnato, ma ribadì la presenza francese a Pinerolo. Q u a t t r o a n n i dopo, M a d a m a Reale calò nella tomba. F u r o n o in molti a trarre un sospiro di sollievo, ma il p i ù p r o f o n d o lo tirò senza d u b b i o il figlio Carlo E m a n u e l e II. Nel 1663 il Duca aveva ventinove a n n i , da quindici era m a g g i o r e n n e , cioè legittimo s o v r a n o , ma di fatto le redini del p o t e r e le aveva s e m p r e t e n u t e la m a d r e . Essa lo aveva circondato d'allegre c o m p a g n i e e di belle d o n n e nella sper a n z a , forse, di svogliarlo p e r s e m p r e dalle c u r e dello Sta310
to. Tuttavia, p e r a s s i c u r a r e u n e r e d e alla d i n a s t i a , decise d ' a m m o g l i a r l o a u n a l o n t a n a n i p o t e , G i o v a n n a Battista di Savoia N e m o u r s , d o n n a di g r a n d e bellezza e di r a r a intelligenza. A p p e n a il Duca la vide, se ne i n n a m o r ò contravven e n d o ai patti, o a l m e n o ai calcoli della m a d r e . La q u a l e , t e m e n d o c h e il figlio d i v e n t a s s e s u c c u b o della m o g l i e , m a n d ò a m o n t e il m a t r i m o n i o . Poco d o p o capitò a T o r i n o u n a nobile francese, Giovanna Maria di Trécesson. Il Duca, che aveva e v i d e n t e m e n t e la cotta facile, d i m e n t i c ò la cugin a e s'invaghì della n u o v a v e n u t a , c h e n o n i m p a l m ò , m a dalla q u a l e e b b e t r e f i g l i . N e l 1663, f i n a l m e n t e , c o n d u s s e all'altare la n i p o t e del Re di Francia, Francesca d ' O r l é a n s , passata alla storia col vezzeggiativo di «Colombina d ' a m o re». M a l ' u n i o n e d u r ò solo u n a n n o , p e r c h é n e l g e n n a i o 1664 Francesca m o r ì . Rimasto nello spazio di pochi mesi orfano e vedovo, Carlo accantonò p e r il m o m e n t o l'idea di n u o v e nozze e si diede a n i m a e c o r p o al mestiere di sovrano. Dalla m a d r e e dagli a n t e n a t i aveva e r e d i t a t o la m a n i a di g r a n d e z z a e il mal della pietra. Voleva fare del P i e m o n t e un g r a n d e Stato e di Torino u n a m e t r o p o l i d i r a n g o e u r o p e o . Q u a n d ' e r a ancora in vita M a d a m a Reale aveva speso s o m m e favolose p e r abbellire la Capitale, d i s s e m i n a n d o l a di ville e palazzi e chiamandovi artisti di grido da ogni p a r t e della Penisola, di cui il p i ù illustre fu il t e a t i n o G u a r i n o G u a r i n i , che C a r l o n o minò i n g e g n e r e ducale e che p r o g e t t ò la cappella della Sind o n e , la chiesa di San L o r e n z o e quella d e l l ' I m m a c o l a t a . Grazie a lui, Torino diventò un i m m e n s o cantiere, brulicante di muratori, sterratori, capimastri, decoratori, pittori, stuccatori. La città, che la p e s t e del 1630 aveva s p o p o l a t o , riprese n u o v o slancio demografico. E fu il boom, d o p o i lunghi e sanguinosi a n n i di g u e r r a . Vi c o n t r i b u i r o n o molte cose, ma soprattutto il fatto che il P i e m o n t e aveva o r m a i u n o Stato, cioè qualcosa c h e si sov r a p p o n e v a agl'interessi particolari, e riusciva a t e n e r l i in freno. I nobili ne formavano il n e r b o . Essi vi g o d e v a n o mol311
ti privilegi, ma li r i p a g a v a n o col «pubblico servizio». L'aristocrazia s a b a u d a si sentiva m o r a l m e n t e i m p e g n a t a a m a n t e n e r e l e cariche d i «vertice» a n c h e p e r c h é n o n e r a abbastanza ricca p e r p o t e r s e n e e s e n t a r e . I p a t r i m o n i e r a n o soltanto terrieri e n o n molto vasti. I p o d e r i n o n r e n d e v a n o abbastanza p e r m a n t e n e r e il castello che s'ergeva sul cucuzzolo della collina o il p a l a z z o t t o in città. Q u i n d i ci voleva l'impiego che obbligava il nobile p i e m o n t e s e a indossare la divisa d'ufficiale o la feluca di diplomatico. A questa nobiltà, d'origine g u e r r i e r a e. feudale, se n ' a n d a v a g i u s t a p p o n e n d o u n a n u o v a d'estrazione borghese. E r a n o stati i Duchi stessi a c r e a r l a p e r b i l a n c i a r e e t e n e r e in r i s p e t t o quella di sang u e . Nelle sue file militavano avvocati, magistrati, notai, m e dici. La borghesia vera e p r o p r i a , priva di blasone, ma laboriosa, agiata e socialmente evoluta, era un altro solido p u n tello dello Stato s a b a u d o . Q u a n t o a l p o p o l o , g o d e v a d ' u n b e n e s s e r e s u p e r i o r e a quello del resto della Penisola, fatta eccezione forse p e r Venezia. Anche nelle c a m p a g n e , che più avevano subito gli orrori della g u e r r a e le devastazioni delle soldatesche, la vita aveva r i p r e s o il suo r i t m o n o r m a l e . Il Duca n o n aveva lesinato ih provvidenze, sovvenzioni e m u t u i ai contadini p i ù bisognosi. Sotto di lui a n c h e il c o m m e r c i o e r a rifiorito e gli scambi con gli altri Stati italiani e stranieri s'erano infittiti. La mort te improvvisa a soli q u a r a n t u n a n n i g l ' i m p e d ì di p o r t a r e a t e r m i n e q u e s t ' o p e r a di ricostruzione. Fu stroncato nel 1675 da u n a febbre violenta, d o v u t a p r o b a b i l m e n t e alla malaria e n o n - c o m e h a n n o i n s i n u a t o alcuni storici - agli strapazzi sessuali. P r e s a g e n d o la fine convocò al capezzale la moglie; quella G i o v a n n a Battista c h ' e r a stato il suo p r i m o a m o r e e che poi aveva finito p e r sposare, e il figlioletto Vittorio Ame* deo. Q u i n d i chiese il viatico. M e n t r e il p r e t e glielo porgeva* u d ì un vocìo di folla levarsi da d i e t r o la p o r t a della sua cam e r a . «Fatela entrare» disse «perché veda che a n c h e i prinìcipi muoiono.» Vittorio A m e d e o aveva nove a n n i e doveva a s p e t t a r n e al* 312
tri cinque p e r diventare m a g g i o r e n n e e assumere personalm e n t e il p o t e r e , ma a C o r t e molti s c o m m e t t e v a n o c h e sarebbe m o r t o p r i m a . Pallido, fragile, m i n g h e r l i n o , n o n poteva sottoporsi ad alcuno sforzo, passava lunghi p e r i o d i a letto, c i r c o n d a t o d a medici, infermieri, stregoni. Q u a l e m a l e l'affliggesse con precisione n e s s u n o lo sapeva. Le diagnosi e r a n o c o n t r a d d i t t o r i e , le t e r a p i e g e n e r i c h e e bislacche. Per a n n i gli f u r o n o p r o p i n a t i g l ' i n t r u g l i p i ù s t r a n i , finché u n giorno un m e d i c o di n o m e Petecchia consigliò la Duchessa d i d a r g l i d a m a n g i a r e certi b a s t o n c i n i d i farina c h i a m a t i grissini. Abbiamo qualche d u b b i o sulle qualità t e r a p e u t i c h e dei grissini. Ma i m e m o r i a l i s t i a s s i c u r a n o c h e in p o c h e settimane il piccolo Vittorio rifiorì. G i o v a n n a Battista ne fu felice c o m e m a d r e , ma n o n come r e g g e n t e . L'idea che il figlio, r a g g i u n t a la m a g g i o r e età, rivendicasse i p r o p r i diritti, sottraendoli a lei, p o c o le garbava. Per s c o n g i u r a r e q u e s t o p e r i c o l o fece con Vittorio quello c h e la s u o c e r a aveva fatto col m a r i t o . L'allevò nella b a m b a g i a , l'affidò a g o v e r n a n t i smidollati, a p r e c e t t o r i ignoranti e a d a m e di facili costumi. Ma l'influsso che costoro e s e r c i t a r o n o sul giovane Duca deluse le sue aspettative. D a p p r i n c i p i o Vittorio s ' a b b a n d o n ò ai piaceri della caccia, della m e n s a e dell'alcova, e frequentò c o m p a g n i e scioperate e dissolute, ma poi finì p e r m e t t e r e la testa a partito. E la Duchessa allora decise di farlo sposare all'Infanta d e l Portogallo, u n i c a e r e d e a l t r o n o del s u o Paese. E r a u n m o d o come u n altro p e r allontanarlo dal P i e m o n t e , nell'illusione di r e s t a r n e l'incontrastata p a d r o n a . Ma la C o r t e insorse inviperita c o n t r o questo p r o g e t t o , che avrebbe messo lo Stato sabaudo alla m e r c é della c o r o n a lusitana, e Giovanna Battista d o v e t t e c e r c a r e al figlio u n ' a l t r a moglie. La trovò nella nipote di Luigi XIV, A n n a d ' O r l é a n s . Nel 1684 v e n n e stipulato a Versailles il c o n t r a t t o di m a t r i m o n i o , che si celebrò in q u e l l o stesso a n n o . Alla vigilia (nel febbraio), c o m e un fulmine a ciel sereno, il Duca d i e d e l ' a n n u n c i o che avrebbe assunto i p i e n i p o t e r i , d e t e n u t i fin allora dalla m a d r e . Co313
stei fece b u o n viso a cattiva sorte e uscì di scena senza colpi di scena. La r e g g e n z a era d u r a t a anche t r o p p o e i suoi effetti erano stati deleteri. G i o v a n n a Battista aveva fatto dello Stato sabaudo un satellite di Parigi, p e r oltre dieci a n n i gli ambasciatori del Re Sole avevano i n t r i g a t o a C o r t e e gli eserciti francesi avevano trattato il suolo p i e m o n t e s e come t e r r a di conquista. Le decisioni p r e s e a Versailles s'erano p u n t u a l m e n t e ripercosse al di q u a delle Alpi. La revoca, ad esempio, d e l l ' e d i t t o di N a n t e s , c o n t r o gli u g o n o t t i , scatenò un terribile pogrom delle p o p o l a z i o n i valdesi, che abitavano il v e r s a n t e orientale delle Alpi Cozie e le sue scoscese e inaccessibili valli. Abbiamo fatto la conoscenza di questa setta ne Eltalia dei Comuni, r i e v o c a n d o n e s o m m a r i a m e n t e la figura del fondatore. Vediamola o r a più da vicino. C a p i r e m o meglio la politica dei Savoia in questo p e r i o d o . Si chiamavano valdesi dal n o m e del loro capostipite Piet r o Valdo, un ricco m e r c a n t e di Lione che nel dodicesimo secolo, in seguito a u n a crisi religiosa, s'era spogliato di tutti i suoi beni, li aveva d o n a t i ai poveri, s'era messo a leggere, anzi a farsi t r a d u r r e dal latino la Bibbia e a spiegarla in pubblico. Il gesto gli aveva attirato l'ostilità del clero ufficiale, che delle Sacre Scritture si riteneva l'esclusivo depositario e l'infallibile i n t e r p r e t e . Ma Valdo n o n s'era limitato a questo. Era a n d a t o più in là. Aveva d e n u n c i a t o gli abusi e la corruzione dei p r e t i e p r o c l a m a t o che solo il r i t o r n o alle fonti evangeliche poteva r e d i m e r e la Chiesa e salvare la fede. Valdo aveva messo il dito sulla piaga e molti concittadini erano diventati suoi seguaci, si facevano c h i a m a r e Poverelli di Lione, s'erano sbarazzati di tutti i loro averi, avevano adottato la regola essenica degli antichi apostoli e messo tutto in com u n e tra loro. Il m o v i m e n t o s'ingrossò r a p i d a m e n t e , i suoi a d e p t i si moltiplicarono al p u n t o che le autorità s'allarmarono e pre314
sero a p e r s e g u i t a r l i . Valdo s'appellò d i r e t t a m e n t e al Papa, che n o n solo lo difese, ma ne benedisse i propositi. L'avallo pontificio n o n intimidì il clero francese, tollerante in fatto di d o t t r i n a , ma i n t r a n s i g e n t e nella difesa dei p r o p r i interessi temporali. Valdo fu messo al b a n d o . N o n passò molto tempo che a n c h e R o m a , di fronte ai p r o g r e s s i dei Poverelli di Lione, prese posizione contro il loro capo, e nel 1183 lo scomunicò. La data è i m p o r t a n t e p e r c h é segna il distacco definitivo di questi dissidenti dalla Chiesa cattolica e l'inizio della loro tribolata diaspora. I valdesi sciamarono in Boemia, dove il fondatore m o r ì , in Austria, in G e r m a n i a , in Francia, ma soprattutto in Italia. Qui si sparsero un p o ' d o v u n q u e : in L o m b a r d i a , nel Veneto, in Toscana, in U m b r i a , in Calabria. Ma la schiera più n u trita e c o m p a t t a a p p r o d ò , come abbiamo visto, sul versante orientale delle Alpi Cozie. Si riconoscevano p e r c h é vestivano con semplicità, e r a n o schivi, modesti, frugali. N o n praticavano il c o m m e r c i o , si rifiutavano di p r e s t a r g i u r a m e n t o , n o n a c c u m u l a v a n o ricchezze, n o n f r e q u e n t a v a n o locali pubblici, d i s d e g n a v a n o i clamori, lavoravano, p r e g a v a n o e si riunivano solo tra loro. Q u a l c u n o li accusò p e r questo di deviazioni sessuali, ma n o n si t r a t t a v a che d'infami calunnie. Sul p i a n o dottrinale n e g a v a n o al sacerdote la funzione di m e d i a t o r e tra l ' u o m o e Dio, c o n d a n n a v a n o le i n d u l g e n z e e rifiutavano l'idea del Purgatorio c o m e anticamera del Paradiso. E r a n o , p e r quei tempi, dei veri e p r o p r i rivoluzionari. Molte l o r o i d e e s a r a n n o r i p r e s e p i ù t a r d i d a i g r a n d i riformatori protestanti. Fin d a p p r i n c i p i o la vita dei valdesi riparati nelle valli del Piemonte fu g r a m a . Nel 1210, l ' i m p e r a t o r e O t t o n e IV ordinò al vescovo di Torino d'espellerli dalla città. Dieci a n n i dopo, a Pinerolo, un b a n d o c o m m i n a v a u n a m u l t a di dieci soldi a chi dava loro ospitalità. Nel 1297 Filippo di Savoia, principe di Acaja, incaricò un inquisitore di cacciarli dalle sue t e r r e . Ma r i n u n z i a m o a elencare le persecuzioni subite dai valdesi nei secoli. Sono t r o p p e . Ci l i m i t e r e m o a quelle 315
più mostruose. Nel 1560 E m a n u e l e Filiberto, d'accordo coi Re di Francia e di Spagna, s ' i m p e g n ò a estirpare dal suolo s a b a u d o l'eresia: d e c i n e di valdesi finirono sul r o g o , molti fuggirono in Svizzera, tutti e b b e r o i b e n i confiscati. Quelli che r i m a s e r o in P i e m o n t e si d i s p o s e r o a u n a resistenza disperata, e nel g i u g n o dell'anno successivo riuscirono a ott e n e r e u n a limitata libertà di culto. Nello stesso 1561 un m a s s a c r o di p r o p o r z i o n i b e n più spaventose fu p e r p e t r a t o in Calabria, dove viveva u n a colonia valdese d'alcune migliaia d ' a n i m e , a g g r u m a t e nei villaggi di La G u a r d i a e San Sisto. L'ordine di s t e r m i n i o partito da M a d r i d fu e s e g u i t o dal g o v e r n a t o r e s p a g n o l o con implacabile zelo. Le testimonianze che i c o n t e m p o r a n e i ci hanno lasciato di q u e s t o genocidio sono agghiaccianti. Eccone u n a di fonte cattolica: «Oggi di b u o n ' o r a s'è ricominciato a fare l ' o r r e n d a giustizia di questi luterani (così si chiamavano a quei tempi tutti i ribelli della Chiesa), che solo il pensarvi è spaventevole. E r a n o tutti s e r r a t i in u n a casa, e veniva il boia e li pigliava a u n o a u n o e gli legava u n a b e n d a davanti agli occhi, e p o i lo m e n a v a in un l u o g o spazioso p o c o distante da quella casa, e lo faceva inginocchiare, e con un coltello gli tagliava la gola e lo lasciava così; di poi pigliava quella b e n d a così i n s a n g u i n a t a e col coltello fumante ritorn a v a a pigliar l'altro e faceva il simile... Ha seguito q u e st'ordine fino al n u m e r o 88... S'è dato o r d i n e , e già son qua le carra, e tutti si s q u a r t e r a n n o e si m e t t e r a n n o di m a n o in m a n o p e r t u t t a la s t r a d a che fa il procaccio fino ai confini della Calabria... S'è d a t o o r d i n e di far v e n i r e oggi cento d o n n e delle più vecchie, e quelle far t o r m e n t a r e e poi farle giustiziare ancor loro, p e r avere la mistura perfetta... In undici giorni s'è fatta esecuzione di duemila anime; e ve ne sono prigioni mille e sei cento c o n d a n n a t i , ed è seguita giustizia di c e n t o e p i ù a m m a z z a t i in c a m p a g n a » . I p o c h i che s c a m p a r o n o alla carneficina furono venduti c o m e schiavi. I protestanti e u r o p e i i n o r r i d i r o n o . I valdesi e r a n o dei loro. T r e n t ' a n n i p r i m a , infatti, avevano aderito alla Riforma e 316
Calvino gli aveva s p a l a n c a t o le p o r t e di G i n e v r a e fornito assistenza m a t e r i a l e e spirituale. Ma q u e s t o n o n t r a t t e n n e Carlo E m a n u e l e II dallo scatenare contro di loro u n a persecuzione in g r a n d e stile, passata alla storia sotto il n o m e di «Pasque piemontesi». Ricorreva il p r i m o centenario di quell'istituzione del culto pubblico, che a v r e b b e d o v u t o assicurare a tutti p i e n a lib e r t à di p r o f e s s i o n e religiosa. Nella r e a l t à i valdesi e r a n o s e m p r e stati g u a r d a t i con sospetto e trattati con disprezzo dalle a u t o r i t à locali e dalla p o p o l a z i o n e cattolica a n c h e q u a n d o n o n e r a n o in atto massacri e stermini. Gli appelli rivolti al Duca p e r c h é facesse rispettare il trattato di tolleranza cadevano nel vuoto. Il 17 aprile u n a delegazione valdese si recò a T o r i n o p e r essere r i c e v u t a dal m i n i s t r o di C a r l o E m a n u e l e , il m a r c h e s e di Pianezza. Il giorno stesso un esercito di quindicimila u o m i n i invase la valle di L u s e r n a al grido di «Viva la Santa Chiesa R o m a n a ! Guai ai Barbetti!» I valdesi, colti di s o r p r e s a , v e n n e r o in g r a n p a r t e t r u c i d a t i nel sonno. I superstiti s ' a r m a r o n o in fretta e furia e s'accinsero alla difesa. Ma le forze e r a n o impari, la superiorità del Pianezza, che aveva a s s u n t o il c o m a n d o della s p e d i z i o n e , schiacciante. I valdesi c a d d e r o c o m e m o s c h e sotto le baionette sabaude. Si r i p e t e r o n o le scene di t e r r o r e , le stragi feroci e indiscriminate di San Sisto e La Guardia. Le vittime n o n si contarono, e lo sterminio sarebbe stato totale c o m e in Calabria se a n c h e in quest'occasione, da tutta l ' E u r o p a p r o t e s t a n t e , non si fossero levate grida di s d e g n o e minacce di r a p p r e s a glie. In I n g h i l t e r r a Oliviero Cromwell b a n d ì un digiuno nazionale e incitò i Paesi riformati a scendere in c a m p o a fianco dei valdesi. A n c h e la Svizzera, i Paesi Bassi, la G e r m a n i a p r o t e s t a r o n o . La stessa Francia, dove r e g n a v a il cattolicissimo Luigi XIV, auspicò la cessazione delle ostilità e l'apertura di negoziati di pace. Questi si svolsero a Pinerolo, d u r a r o n o u n a quindicina di giorni e p o r t a r o n o a un'amnistia generale dei valdesi. 317
Per u n a t r e n t i n a d ' a n n i costoro vissero abbastanza t r a n quilli. Ma la revoca, nel 1685, dell'editto di Nantes li rimise al b a n d o . Vittorio A m e d e o I I , aizzato dal Re Sole, abolì tutti i diritti che aveva loro riconosciuto in passato, gli vietò di riunirsi, gli o r d i n ò di distruggere i templi e d'abiurare alla fede dei p a d r i . Vani furono i tentativi dei governi stranieri d'ind u r r e il Duca a più clementi propositi. Agli «eretici» n o n rimase che scegliere fra l'esilio e la g u e r r a . Scelsero la guerra, m a d o p o n e m m e n o t r e mesi d o v e t t e r o a r r e n d e r s i e consegnarsi al n e m i c o . Dodicimila f u r o n o fatti prigionieri. Poco più d ' u n centinaio, sfuggiti alle soldatesche savoiarde, s'imboscarono e diedero vita a u n a micidiale guerriglia. N o n riuscendo a venirne a capo, il Duca scese a patti coi «ribelli». Acconsentì a liberare i prigionieri ma in cambio pretese che tutti lasciassero il Piemonte. I valdesi presero mestamente la via della Svizzera, dove i calvinisti li accolsero come fratelli. N e l 1689, d o p o d u e a n n i e m e z z o d'esilio, u n migliaio vollero t o r n a r e alle loro valli. La notte tra il 15 e il 16 agosto s i d i e d e r o c o n v e g n o sulle s p o n d e d e l lago L e m a n o , dove q u i n d i c i battelli li t r a g h e t t a r o n o in t e r r i t o r i o s a v o i a r d o . Q u i n d i s ' i n c a m m i n a r o n o verso il Moncenisio, flagellato dal v e n t o e dalla pioggia. Fu u n a m a r c i a m e m o r a b i l e , c h e siconcluse, d o p o i n e n a r r a b i l i t r a v e r s i e , sul contrafforte dei Q u a t t r o Denti, in Val San M a r t i n o . Q u i i circa seicento superstiti s'attestarono in o t t a n t a b a r a c c h e fortificate, da essi stessi costruite e p a s s a r o n o i n d i s t u r b a t i l ' i n v e r n o . Ma alle p r i m e avvisaglie di p r i m a v e r a t r u p p e francesi, al comando, del generale Catinat, c i r c o n d a r o n o il contrafforte e lo sottor. p o s e r o a un n u t r i t o fuoco d'artiglieria. Gli assediati a b b a m ' d o n a r o n o allora le posizioni, invano inseguiti dai francesi, i quali si m u o v e v a n o m a l e fra sentieri, rocce e boscaglie chen o n conoscevano. 'f Nel g i u g n o 1690, i n o p i n a t a m e n t e , giunse ai fuggiaschi lanotizia che il Duca di Savoia aveva a d e r i t o alla Lega d'Au? gusta contro Luigi X I V ed era p r o n t o a riconciliarsi con tetro. La r e i n t e g r a z i o n e dei valdesi nelle valli avite m a n d ò ìft 318
bestia il Papa, che invano cercò di far t o r n a r e sui suoi passi il Duca. Costui, da b u o n Savoia, era s e m p r e p r o n t o a sacrificare agl'interessi dello Stato quelli della fede (che n o n aveva) soprattutto ora ch'era sceso in g u e r r a con la Francia. Negli ultimi t e m p i i r a p p o r t i fra T o r i n o e Parigi s'erano andati d e t e r i o r a n d o . Il Re Sole era diventato il flagello dell'Europa, che si era coalizzata c o n t r o di lui. Il P i e m o n t e era e n t r a t o in questa «grande alleanza», e Luigi lo fece i n v a d e r e dal C a t i n a t . Le t r u p p e s a b a u d e i n g a g g i a r o n o a Staffarda u n a furiosa battaglia, e la p e r s e r o . Vittorio A m e d e o corse ai ripari a r r u o l a n d o in fretta e furia ventimila u o m i n i . Si rituffò nella mischia, ma nulla p o t è di fronte alle schiaccianti forze n e m i c h e . I p i e m o n t e s i s u b i r o n o u n a serie impression a n t e di rovesci, finché il Duca, di nascosto agli alleati, avviò con Parigi trattative segrete, c h e p o r t a r o n o ai trattati di Torino e di Vigevano. Luigi X I V s'impegnò, sebbene vincitore, a s g o m b e r a r e Casale e P i n e r o l o . In c a m b i o Vittorio A m e d e o d i e d e la p r o p r i a figlia Maria A d e l a i d e in sposa al nipote del Re Sole. Così il P i e m o n t e fu finalmente libero da presidi stranieri.
CAPITOLO VENTOTTESIMO
LA SERENISSIMA
Nell'imbelle e s o n n o l e n t a Italia del Seicento un altro Stato, oltre il Piemonte, dà segni di vita, n o n o s t a n t e la crisi che già lo investe: la Repubblica di Venezia. Essa n o n è più la «regina dei mari». Le sue flotte n o n fanno p i ù p a u r a e c o n c o r r e n z a a n e s s u n o . I suoi ammiragli n o n sono p i ù imbattibili. I suoi mercanti n o n d e t e n g o n o più le chiavi del c o m m e r c i o col L e v a n t e . Le sue finanze sono m a l c o n c e . La ricchezza è c o n c e n t r a t a nelle m a n i di pochi nobili, che si g u a r d a n o b e n e dall'investirla in imprese marin a r e d'esito i n c e r t o . I capitali p r e n d o n o la via della terraferma e s'immobilizzano nell'acquisto di latifondi. A questa c r u d a realtà fa da m a s c h e r a e orpello il fasto esteriore della città. Nelle calli, nelle piazze, sul C a n a l g r a n d e , i segni della d e c a d e n z a n o n si colgono. I veneziani n o n h a n n o p e r d u t o la l o r o s p e n s i e r a t e z z a g o d e r e c c i a , anzi vi si a b b a n d o n a n o v i e p p i ù . O g n i p r e t e s t o è b u o n o p e r far baldoria. La Serenissima s'avvia al crepuscolo c o m e a u n a festa. E un declino lento ma fatale p e r c h é n o n ci sono forze né economiche né politiche in g r a d o d'arrestarlo. L'oligarchia che monopolizza il p o t e r e , d i l a n i a t a da gelosie e rivalità personali, ha p e r d u t o la sua antica c o m p a t t e z z a . L'autorità del Senato è scemata. Gli altri organi dello Stato sono passivi. Solo la polizia e i servizi di spionaggio s e m b r a n o funzionare. E p p u r e , la Repubblica riesce a m a n t e n e r e la p r o p r i a ind i p e n d e n z a grazie a un s a p i e n t e d o s a g g i o d'alleanze e a u n ' a c c o r t a politica d ' e q u i d i s t a n z a dai d u e g r a n d i blocchi che d o m i n a n o l'Europa: Francia e Spagna-Austria. Si tratta d ' u n equilibrio assai precario, c o m e ha dimostrato la guerra 320
contro gli Uscocchi, i pirati adriatici al soldo degli Asburgo, che t a n t o f i l o d a t o r c e r e h a n n o d a t o alle flotte v e n e z i a n e ; ma la g r a n d e e s p e r i e n z a a c c u m u l a t a in secoli di politica m o n d i a l e riesce a m a n t e n e r l o . Nella seconda m e t à del Seicento i r a p p o r t i con l'Austria si f a n n o m o l t o tesi. V i e n n a cerca u n o sbocco al m a r e e a p p u n t a i suoi sguardi sul golfo adriatico. Ma il nemico n u m e r o u n o della Serenissima resta s e m p r e l ' I m p e r o o t t o m a n o , c h e d o m i n a i n c o n t r a s t a t o l'Adriatico e il M e d i t e r r a n e o orientale. Le sue galere h a n n o s o p p i a n t a t o quelle veneziane e gettano indisturbate le a n c o r e nei porti in cui un tempo sventolavano le insegne di San Marco. I motivi d'attrito fra la Sublime Porta e la Repubblica sono infiniti e t r a g g o n o pretesto da veri o p r e s u n t i atti di pirateria, imboscate, violazioni di territorio, rettifiche di confini. Sono s e m p r e i turchi a far r i m o s t r a n z e , a m i n a c c i a r e r a p p r e s a g l i e , a c h i e d e r e spiegazioni. Venezia cerca di c o m p o r r e le controversie pacificamente, a s u o n di ducati, a n c h e q u a n d o ha r a g i o n e . L'idea d ' u n a g u e r r a col Sultano la terrorizza. «Dobbiamo» dice A n t o n i o Q u e r i n i «studiarci di conservare il nostro i m p e ro m e d i a n t e l'accortezza politica piuttosto che con il valore militare, e a b o r r i r e la g u e r r a , c h e v o r r e b b e d i r e il n o s t r o a n n i e n t a m e n t o . » E u n a confessione d ' i m p o t e n z a . La Repubblica, r i d o t t a allo s t r e m o , n o n solo n o n ha i mezzi p e r c o m b a t t e r e gli O t t o m a n i , m a n o n p u ò n e m m e n o p e r m e t tersi il lusso di m a n t e n e r e il suo u l t i m o a v a m p o s t o nell'Egeo: l'isola di Creta. Questa, d a t a la sua posizione strategica, faceva molto gola al Sultano. Il pretesto di accaparrarsela glieroffrirono nel 1644 i cavalieri di Malta, i quali, a v e n d o catturato u n a nave turca carica d ' o r o e di schiavi, volevano r i m o r c h i a r l a nella loro isola. A causa dei venti c o n t r a r i a v e v a n o p e r ò d o v u t o dirottare su Creta e rifugiarsi in u n o dei suoi porti in attesa del bel t e m p o . C o s t a n t i n o p o l i p r e s e la palla al balzo e a n n u n c i ò u n a s p e d i z i o n e p u n i t i v a c o n t r o Malta. L'anno successivo u n a flotta di oltre o t t a n t a navi da g u e r r a e d u e c e n 321
t o c i n q u a n t a t r a s p o r t i c o n c i n q u a n t a m i l a u o m i n i salpò d a Costantinopoli, diretta a Navarino, di dove doveva successiv a m e n t e sciogliere le vele in direzione di Malta. Ma questa isola era, in realtà, un falso obiettivo. Quello vero e r a Creta. Q u a n d o i veneziani si resero conto dell'inganno, era ormai t r o p p o t a r d i : le navi n e m i c h e e r a n o già in vista della loro colonia. Q u e s t a e r a difesa da u n a g u a r n i g i o n e scarsa e male in arn e s e , p o s s e d e v a un sistema di fortificazioni a s s o l u t a m e n t e i n a d e g u a t o e, c o m e se ciò n o n bastasse, la popolazione indig e n a nutriva tale scontento verso la d o m i n a z i o n e veneta da v e d e r e un liberatore in c h i u n q u e promettesse di riscattarla: Poco d o p o i t u r c h i s b a r c a r o n o nei pressi di C a n e a , e quasi senza colpo ferire p u n t a r o n o sul forte di San T e o d o r o . Q u e sto e r a p r e s i d i a t o d a u n a sessantina d i u o m i n i , c o m a n d a t i da un certo generale Giuliani, il quale, a p p e n a gli Ottomani si lanciarono all'assalto della rocca, d i e d e fuoco alle polveri p r o v o c a n d o insieme la m o r t e di assaliti e assalitori. Questo gesto da kamikaze, c h e t e s t i m o n i a v a le p e r d u r a n t i virtù g u e r r i e r e dei v e n e z i a n i , c o m m o s s e l ' E u r o p a e i n d u s s e la stessa Serenissima a inviare u n a s q u a d r a navale alla volta di Creta, del Peloponneso e dei Dardanelli, passaggio obbligato delle flotte o t t o m a n e . C o n t e m p o r a n e a m e n t e gli ambasciatori della Repubblica visitavano le principali Corti europ e e sollecitando aiuti. L a F r a n c i a rispose a l l ' a p p e l l o con u n a p r o m e s s a (che n o n m a n t e n n e ) di navi e un d o n o di centomila ducati. Il Papa, il Viceré di N a p o l i e il G r a n d u c a di Toscana, più generosi, c o n t r i b u i r o n o con venti galere. I Turchi c o n t i n u a v a n o i n t a n t o la loro avanzata nell'isola e m a r c i a v a n o su C a n e a , u n a c i t t a d i n a situata nella p u n t a n o r d occidentale. Gli abitanti, sebbene scarseggiassero d'armi e munizioni, si difesero con valore p e r d u e mesi. Poi ca* pitolarono. D o p o u n a settimana g i u n s e r o le venti galere del Papa, del G r a n d u c a e del Viceré, che s'unirono a u n a flotta veneziana. Ma i c o m a n d a n t i cominciarono subito a litigare* alcuni volevano p a r t i r e i m m e d i a t a m e n t e alla riconquista div 322
C a n e a , altri consigliavano d ' a s p e t t a r e l a b u o n a s t a g i o n e . Dopo più d ' u n mese di questi tira e molla il c o m a n d a n t e veneziano decise d ' a b b a n d o n a r e l'impresa e p i a n t a r e in asso i cretesi. Il Senato insorse. Se C a n e a - disse - e r a p e r d u t a , restava il resto dell'isola. A tutti i costi esso a n d a v a difeso. La g u e r r a p e r la sua conservazione si trascinò fra alterne vicende p e r venticinque a n n i . Vani furono i tentativi diplomatici per m e t t e r e d'accordo le parti. Gli O t t o m a n i volevano il d o minio c o m p l e t o di Creta, e d o p o aver o c c u p a t o R e t i m n o e Chissamo, p u n t a r o n o su Candia e la cinsero d'assedio. Q u e s t o d u r ò v e n t i d u e a n n i , e p e r s o s t e n e r n e l ' o n e r e la Repubblica fu costretta a v e n d e r e a privati cittadini titoli nobiliari e p a r t e dei suoi beni di terraferma. Col ricavato a r m ò nuove galere, arruolò nuovi equipaggi, ingaggiò nuovi c o m a n d a n t i . Il Senato decise di n o n limitare le operazioni a Creta e d'estenderle a tutto l'Egeo, fino allo stretto dei Dardanelli, a t t r a v e r s o il q u a l e affluivano al n e m i c o i rifornim e n t i di viveri e m u n i z i o n i . La s u p e r i o r i t à o t t o m a n a e r a schiacciante, i convogli della Serenissima si m u o v e v a n o fra mille insidie e r e p e n t a g l i , ma a C a n d i a gli assediati seguitavano a battersi c o m e leoni, sebbene accerchiati da tutte le parti e tagliati fuori dalle linee di rifornimento. L'eroica resistenza seguitava a suscitare in E u r o p a p i ù ammirazione che slanci di solidarietà. Nel 1660 quattromila volontari salparono dalla Francia alla volta di Creta. G i u n t o nell'isola, l'improvvisato esercito, f o r m a t o da nobili spiantati, avanzi di galera, sfaccendati e a v v e n t u r i e r i d ' o g n i risma, si mise a saccheggiare villaggi, p r o f a n a r e chiese, violentare d o n n e , razziare bestiame. Avanzò fino alle p o r t e della capitale dove si scontrò con quello turco, che lo respinse con gravi p e r d i t e . La dissenteria fece il resto. I superstiti abb a n d o n a r o n o l'isola e si s p a r p a g l i a r o n o nell'arcipelago greco. Poco d o p o d u e m i l a tedeschi r i t e n t a r o n o l'impresa, m a non ebbero miglior fortuna. Il destino di C a n d i a a p p a r i v a o r m a i segnato e a Venezia ci si rese conto che la resistenza n o n avrebbe sortito altro ri323
sultato che quello di s t r e m a r e le residue forze della R e p u b blica. Nell'estate 1669, i difensori di Candia, ridotti o r m a i a p o c h e migliaia e c o m p l e t a m e n t e esauriti, decisero d ' a r r e n dersi. I loro emissari s ' i n c o n t r a r o n o con quelli o t t o m a n i e, d o p o l u n g h e trattative, il 6 s e t t e m b r e , firmarono l'accordo di capitolazione. Esso obbligava la Serenissima a evacuare Creta e cederla alla Turchia, la quale rinunciava a indennità e tributi, concedeva alle t r u p p e veneziane che lasciavano l'isola l'onore delle a r m i e delle b a n d i e r e , e consentiva alle navi della Repubblica il libero accesso ai porti di Suda e Spinalonga. Per u n a quindicina d'anni, Venezia considerò definitivam e n t e p e r d u t o q u e l suo u l t i m o b a s t i o n e n e l L e v a n t e . M a nel 1683 il Sultano pose l'assedio a Vienna e costrinse l'imp e r a t o r e L e o p o l d o a fuggire. Il m o n d o cristiano fu percorso da un brivido di t e r r o r e e solo q u a n d o l'esercito polacco di Giovanni Sobieski respinse l'invasore esso s e m b r ò rianimarsi. Le nazioni cristiane che già avevano fatto lega contro gli O t t o m a n i (Austria, Polonia e Stato pontificio) decisero d'allargare la coalizione ad altre potenze. Fu interpellata anche Venezia, che offrì agli alleati la p r o p r i a marina, in cambio della restituzione di Creta, N e g r o p o n t e e Cipro. A capo della flotta la Signoria pose u n o dei più g r a n d i ammiragli di tutti i tempi: Francesco Morosini. Il Morosini a p p a r t e n e v a a u n a delle cosiddette «duecento famiglie», e un suo a n t e n a t o e r a stato Doge. Aveva semp r e avuto la passione della storia, della nautica e della scienza militare, fin da b a m b i n o n o n faceva che p a r l a r e di guerra, conosceva vita, m o r t e e miracoli dei g r a n d i condottieri v e n e z i a n i e s o g n a v a d ' e m u l a r n e le gesta. Si a r r u o l ò come mozzo sulla galera del c u g i n o , che dava la caccia ai corsari barbareschi. I galloni di ammiraglio se li g u a d a g n ò d u r a n t e la resistenza di Candia, e fu lui a firmare la resa della città e a o r d i n a r e lo s g o m b e r o . Q u a n d o t o r n ò in patria fu accusato d'essersi a r r i c c h i t o a spese della Repubblica, processato e assolto p e r c h é n e s s u n o riuscì a d i m o s t r a r n e la colpevolezza, 324
sebbene molti ne fossero convinti. Si m o r m o r a v a che in p o chi a n n i si fosse messo illecitamente in tasca un milione di ducati, e lui n o n trascurava nulla p e r d a r c r e d i t o a q u e s t e voci. Viveva in un magnifico palazzo, da n a b a b b o , amava il lusso, le o p e r e d ' a r t e e le belle d o n n e . E r a d i v o r a t o da u n ' a m b i z i o n e che sfiorava la m e g a l o m a n i a . Ma e r a a n c h e un abile politico, un sagace diplomatico, un b u o n cristiano e s o p r a t t u t t o un magnifico g e n e r a l e . Sotto la sua g u i d a la flotta veneziana r i p o r t ò un seguito di clamorose vittorie che c o n t r i b u i r o n o g r a n d e m e n t e alla definitiva disfatta degli O t t o m a n i . Costoro si videro finalmente costretti a c h i e d e r e la pace, che fu firmata il 26 gennaio 1699 a Carlowitz. Venezia o t t e n n e il riconoscimento del p r o p r i o dominio sulla Morea, su Egina, Santa M a u r a , L e u c a d e e Zante. La ricostituzione del vecchio i m p e r o coloniale doveva rivelarsi effimera. Ma questo lo v e d r e m o ne Eltalia del Settecento. Q u a n t o a Morosini, che era stato fra i massimi artefici del trionfo, undici anni p r i m a e r a stato eletto Doge all'unanimità e quasi a furor di p o p o l o . N e l l ' a p p r e n d e r e in Morea, dove stava t u t t o r a c o m b a t t e n d o , la notizia della n o m i n a , volle s a p e r e q u a n t o la carica gli avrebbe reso e quali o n o r i gli sarebbero stati tributati. Il suo r i t o r n o in patria, nel '90, fu salutato da salve di c a n n o n e , da fuochi d'artificio e da una popolazione in festa. Il r e d u c e passò sotto un arco alto q u a r a n t a p i e d i e largo in p r o p o r z i o n e , tra ali di soldati in alta uniforme. Il Doge restò a Venezia poco più di tre anni. Nel gennaio 1693, vista la b r u t t a piega che p r e n d e v a n o le operazioni navali n e l l ' E g e o affidate a c o n d o t t i e r i inetti, r i a s s u n s e il com a n d o s u p r e m o della flotta. D e s i g n ò alla r e g g e n z a della Repubblica tre suoi funzionari e salpò n u o v a m e n t e alla volta del L e v a n t e . Fu il suo ultimo viaggio. A N a u p l i a , un attacco del male che da t e m p o l'affliggeva, la calcolosi, l'uccise. Il cadavere fu sottoposto ad autopsia e nella vescica venne trovata u n a pietra di sei once. Venezia celebrò i funerali con g r a n d e p o m p a e p e r alcu325
ni giorni si p a r ò a lutto. Poiché il Doge e r a m o r t o in g u e r r a , i p a r e n t i , ai quali aveva lasciato tutti i suoi beni in cambio di seimila messe in suffragio, n o n i n d o s s a r o n o le g r a m a g l i e . Nel testamento il Morosini si ricordò a n c h e del p r o p r i o nan o , d i a l c u n e schiave c h e aveva r i c e v u t o c o m e b o t t i n o d i g u e r r a e del suo inseparabile gatto, di cui il m u s e o C o r r e r conserva le spoglie imbalsamate. C o n lui la Repubblica perse l'ultimo c o n d o t t i e r o d e g n o di q u e s t o n o m e e d i e d e l'estremo saluto alla p r o p r i a «grandeur».
CAPITOLO VENTINOVESIMO
IL GRANDUCATO DI TOSCANA
i
Q u a n d o , nel 1670, F e r d i n a n d o II m o r ì stroncato da un col• po apoplettico, il figlio Cosimo aveva v e n t o t t o a n n i . Aveva ricevuto dai gesuiti u n ' e d u c a z i o n e bigotta, a m a v a lo studio e aveva un d e b o l e p e r la teologia. F i n o a diciassette a n n i aveva fatto m o l t o sport, s p e c i a l m e n t e e q u i t a z i o n e . Dicono che fu u n a c a d u t a da cavallo a d e t e r i o r a r e il suo c a r a t t e r e . Ne d u b i t i a m o . Ma fatto sta che da quel g i o r n o n e s s u n o ricorda d'averlo più visto sorridere. I suoi m o d i e r a n o garbati, ma alteri e distaccati, s o p r a t t u t t o con le signore, che stentavano a r i c o n o s c e r e in lui il figlio del g a l a n t e e g a u d e n t e F e r d i n a n d o . Partecipava alle feste di C o r t e p e r c h é il r a n g o ve lo impegnava, ma si vedeva che n'avrebbe fatto volentieri a m e n o . Detestava il ballo e la musica p r o f a n a lo scandalizzava. Spasimava invece p e r i canti g r e g o r i a n i , le messe del Palestrina, i madrigali del Monteverdi. Aveva pochi amici, e solo p r e t i , coi quali faceva l u n g h i p e l l e g r i n a g g i ai s a n t u a r i di La Verna, Camaldoli e Vallombrosa, d o v e o g n i volta lasciava il s u o b r a v o obolo. Ascoltava a l m e n o d u e messe al giorno, cantava con grazia gl'inni sacri e, all'occorrenza, sapeva anche c o m m e n t a r e un passo della Bibbia o del Vangel o . La sua biblioteca traboccava di Vite di Santi, b r e v i a r i , edizioni r a r e del Vecchio e N u o v o T e s t a m e n t o . Il suo scrittoio e il suo c o m o d i n o straripavano di rosari, crocifissi, icone, reliquie. Dalle p a r e t i p e n d e v a n o ritratti della Vergine, di Gesù, di santi e di martiri. Sembrava, v a r c a n d o le soglie ideile sue stanze, d ' e n t r a r e in u n a cappella. Le p o c h e volte Phe il p a d r e vi faceva c a p o l i n o , atroci d u b b i sulla salute f r e m a l e di Cosimo l'assalivano. Perché il figlio e r a così bac327
c h e t t o n e ? Perché q u a n d o incrociava u n a d o n n a abbassava gli occhi e affrettava il passo? E r a r e p u l s i o n e o timidezza? Forse gli ci voleva u n a moglie. N o n era facile trovare u n a d o n n a di lombi a d e g u a t i e insieme c a p a c e di risvegliare i sensi t o r p i d i di C o s i m o e distrarlo dagli eccessi di d e v o z i o n e . Decine di ambasciatori, c o r r i e r i , n u n z i , c o r r i s p o n d e n t i c o m m e r c i a l i , spie f u r o n o sguinzagliati in t u t t ' E u r o p a alla caccia d ' u n p a r t i t o d e g n o del futuro G r a n d u c a . D o p o l u n g o vaglio, fu prescelta la nip o t e di Luigi XIV, M a r g h e r i t a Luisa d ' O r l é a n s . Ecco il rit r a t t o che ne fa a F e r d i n a n d o un c e r t o d o n Bonsi, toscano t r a p i a n t a t o a Parigi: «Mademoiselle ha tredici a n n i . E bella di lineamenti, ha i capelli castani, gli occhi color turchese, e s e m b r a e s t r e m a m e n t e dolce e gentile». Q u a n d o il c a r d i n a l e M a z a r i n o fu m e s s o al c o r r e n t e di questi m a n e g g i , n o n nascose il suo c o m p i a c i m e n t o . Se, lui p r o n u b o , la figlia di Gastone d ' O r l é a n s fosse a n d a t a sposa a Cosimo, il suo sogno di diventare Papa coi voti dei cardinali toscani, che tante volte avevano deciso le sorti dei conclavi* si sarebbe forse realizzato. L'onnipotente ministro chiese a l . G r a n d u c a un ritratto del figlio. F e r d i n a n d o gli spedì il più. bello, a c c o m p a g n a n d o l o con alcuni barili d ' u n vino, di cui^ sapeva che il C a r d i n a l e e r a ghiottissimo. M a z a r i n o si sdet bitò m a n d a n d o al G r a n d u c a , a n o m e del Re, u n a coppia di ' palafreni. F e r d i n a n d o replicò con u n a cassetta di centoven tiquattro limoni. ^ Sul tavolo del G r a n d u c a i n t a n t o s e g u i t a v a n o a fio< c are r a p p o r t i confidenziali su Margherita. «Parla bene» scriveva.'; M a d a m e de Gobelin, «ha un t o n o di voce piacevole, cantd g r a d e v o l m e n t e , s u o n a c o n grazia la s p i n e t t a , e balla alla, perfezione. E alta e ha i seni più belli e formosi che ci siano» Ha la pelle bianca, gli occhi scintillanti, i capelli castani e lol ti. E molto affezionata alle sorelle. È stata allattata da un'oi>, tima balia, e fino a oggi n o n è mai stata g r a v e m e n t e maialai Molto t e m p o fa ebbe il vaiolo, ma in forma così leggera eh© quasi n o n si vede. N o n ha mai p r e s o m e d i c i n e p e r conserf i
1
s
328
varsi la salute, ch'è b u o n a di n a t u r a . D u r a n t e il giorno a volte ricama un p o ' , e q u a n d o gioca a carte, a tric-trac o a scacchi, lo fa con g r a n d e abilità.» Il Bonsi rincarò la dose: «Marg h e r i t a o d i a il L o u v r e p e r c h é c'è t a n t a g e n t e : è n a t a p r o p r i o p e r vivere in Toscana, d o v e l'esistenza è r e g o l a t a in m o d o così metodico». Le missive f u r o n o m o s t r a t e a n c h e a Cosimo, che un bel g i o r n o s'accorse d ' e s s e r e i n n a m o r a t o di M a r g h e r i t a . Gli v e n n e i m p r o v v i s a m e n t e u n a g r a n voglia di sposarsi e d'assaporare le gioie, a lui fin allora sconosciute, dell'alcova. Cominciò a d i r a d a r e i pellegrinaggi, ad ascoltare m e n o messe, a farsi v e d e r e m e n o in giro con monaci e preti, e a p r e n d e re p i ù c u r a della p r o p r i a p e r s o n a . R i n n o v ò il g u a r d a r o b a r a c c o m a n d a n d o al s a r t o di confezionargli abiti a l l ' u l t i m o grido e si fece spedire da Parigi e da L o n d r a tutti quei piccoli accessori che « d a n n o il cachet a un gentiluomo». Era ferm a m e n t e deciso a conquistare la principessa, la quale, sebb e n e n o n s m a n i a s s e c o m e C o s i m o , n o n s e m b r a v a affatto scontenta di convolare a nozze col figlio del G r a n d u c a che, stando al ritratto, doveva essere piuttosto un bell'uomo. Fino a q u e s t o m o m e n t o l ' a r g o m e n t o d o t e n o n e r a stato n e p p u r e sfiorato. Ma o r a bisognava affrontarlo. Cosa offriva Margherita in cambio della c o r o n a di Granduchessa? Poco - confidò il M a z a r i n o al Bonsi - q u a n t o a soldi, m o l t o quanto a virtù, di cui la p i ù r a r a e preziosa e r a u n a straordinaria prolificità. M a r g h e r i t a e r a «adatta a fare molti figli». Non s a p p i a m o c o m e il C a r d i n a l e potesse fornire questa garanzia. S a p p i a m o solo che d o p o queste assicurazioni la q u e stione d o t e v e n n e accantonata. Il 24 g e n n a i o 1661 fu firmato il contratto. A questo p u n to a v v e n n e un fatto che né il M a z a r i n o , né Luigi XIV, né F e r d i n a n d o , n é l'interessata a v e v a n o previsto: M a r g h e r i t a s'invaghì del cugino Carlo di L o r e n a , e lui di lei. La p o v e r a principessa cominciò a p i a n g e r e , a disperarsi, a p r o t e s t a r e ehe n o n voleva lasciare Parigi e sposare un u o m o che n o n aveva mai visto. M a n d ò la m a d r e dal Re p e r scongiurarlo di 329
sciogliere il c o n t r a t t o e i m p e d i r e il m a t r i m o n i o . Ma Luigi X I V fu irremovibile. E infatti le nozze furono p u n t u a l m e n te celebrate (per p r o c u r a ) , nella cappella del L o u v r e , il 1? aprile dello stesso 1661. M e n t r e M a r g h e r i t a p r o n u n c i a v a il fatidico sì, lo sposo se ne stava a Firenze a letto col morbillo, allietato dai rintocchi delle c a m p a n e che s u o n a v a n o a festa. Ai p r i m i di maggio la principessa partì p e r l'Italia. Il 12 g i u g n o sbarcò a Livorno, il 15 giunse a Empoli, d o v e Cosim o , sopraffatto forse d a l l ' e m o z i o n e , l'accolse c o n molta freddezza e si dimenticò p e r s i n o di darle il bacio coniugale, fra lo s t u p o r e e la desolazione degli astanti. La tensione e lo s g o m e n t o a u m e n t a r o n o q u a n d o si trattò di m a n d a r e a letto gli sposi. C o s i m o e r a a n c o r a c o n v a l e s c e n t e e il m e d i c o di Margherita temeva che un contatto t r o p p o intimo la contat giasse. D o p o l u n g h e confabulazioni fu deciso che gli sposj" a v r e b b e r o passato la n o t t e in letti separati. M a r g h e r i t a tire un sospiro di sollievo, e forse a n c h e C o s i m o , sia p u r e pe* r a g i o n i diverse, fu felice di q u e l rinvio. Ma si trattava solò; d ' u n rinvio. Il 22 g i u g n o il rito finalmente si compì. Fu me* no l u n g o del previsto, forse p e r c h é Cosimo e r a ancora coni,' valescente. Margherita n o n nascose la p r o p r i a delusione, né il marito tentò di riabilitarsi le notti successive. Il 18 luglio)*^ Bonsi scrisse a Fouquet: «Il p r i n c i p e è a n d a t o a letto con moglie tre volte sole e, o g n i volta che n o n ci va, m a n d a un-; valletto a dire a M a d a m a di n o n aspettarlo. Le d a m e f r a n a g si e le ancelle sono molto sorprese che il Principe faccia oosjl pochi complimenti». La vita coniugale di Cosimo e rita n o n poteva cominciare sotto auspici peggiori. C o s i m o r i p i o m b ò nel suo vecchio spleen, r i p r e s e a fo q u e n t a r e p r e t i e teologi e ridusse al m i n i m o le sue già sca'r| se p r e s t a z i o n i m a r i t a l i . M a r g h e r i t a passava le giornate" p i a n g e r e e a lamentarsi del marito, che trovava s e m p r e odioso e r i p u g n a n t e . II Cosimo che aveva a m m i r a t o in effig gie e r a u n altro u o m o . Q u e l l o che aveva o r a d i fronte .ew u n mostriciattolo pesante, goffo, con u n a p a n c e t t a d a coi^É m e n d a t o r e , le labbra molli, gli occhi bovini, le gote cascanti 330
il naso t r o p p o grosso, i capelli t r o p p o ricci. Anche dal p u n t o di vista u m a n o e r a p i e n o di difetti. N o n aveva comunicativa, e r a incapace di slanci, d'entusiasmi, d'effusioni. Se così Margherita vedeva Cosimo, Cosimo vedeva Margherita c o m e u n a ragazza testarda, capricciosa, i m p e r t i n e n te, c o n le m a n i b u c a t e , c h e r i n n o v a v a c o n t i n u a m e n t e il g u a r d a r o b a , o r d i n a v a sete e broccati in Francia, pizzi e merletti nelle F i a n d r e . E a n c h e in questo c'era del vero. Gli scrigni di M a r g h e r i t a s t r a r i p a v a n o di gioielli, il suo boudoir di profumi, cosmetici e u n g u e n t i rari. Dalla Francia s'era portata il cuoco p e r s o n a l e che c o n s u m a v a da solo p i ù c a r n e e spezie di tutti i colleghi di C o r t e messi assieme. Il G r a n d u c a chiudeva un occhio p e r n o n inasprire la n u o r a , di cui disapprovava la condotta, ma p e r la quale provava u n a certa simpatia abbastanza ricambiata. Alla fine del 1662 si sparse la notizia che la moglie di Cosimo aspettava un figlio. La C o r t e esultò, e M a r g h e r i t a ne fu t a l m e n t e i n d i s p e t t i t a c h e fece di t u t t o p e r m a n d a r l o a m o n t e , c a v a l c a n d o dalla m a t t i n a alla sera e i n e r p i c a n d o s i per sentieri scoscesi. C i o n o n o s t a n t e , d o p o n o v e mesi, scodellò un maschio, che fu chiamato F e r d i n a n d o c o m e il n o n no. Il p a r t o lasciò la p u e r p e r a d e b o l e e di pessimo u m o r e . Essa si chiuse nelle p r o p r i e stanze e p e r alcuni g i o r n i n o n volle v e d e r e n e s s u n o . Q u a n d o le forze le t o r n a r o n o , a b b a n d o n ò il t a l a m o nuziale, e a n d ò a d o r m i r e con la n u trice. Il G r a n d u c a n o n nascose il p r o p r i o d i s a p p u n t o e cercò in tutti i m o d i di r i c o n d u r r e la n u o r a ai suoi doveri di moglie e di m a d r e . Ma Margherita seguitava a r i p e t e r e che odiava il marito, Firenze e i fiorentini, e voleva t o r n a r s e n e a Parigi. A questo p u n t o F e r d i n a n d o si rivolse d i r e t t a m e n t e al - Re di Francia p e r c h é la rabbonisse e mettesse un freno alle sue bizze e ai suoi isterismi. Luigi le fece u n a bella e v a n a : o m a n z i n a . A n c h e la minaccia di F e r d i n a n d o di rinchiuderla in convento n o n scompose Margherita, che diventava ogni g i o r n o p i ù bizzarra e intrattabile. Si mise in testa ^ o forse finse di c r e d e r e - che i Medici volessero avvelenarf
331
la, p e r cui i m p e d ì ai cuochi e ai camerieri del G r a n d u c a di varcare la soglia della sua cucina. A tavola faceva preventU v a m e n t e assaggiare i cibi al p r o p r i o m a g g i o r d o m o . F e r d i n a n d o , n o n s a p e n d o p i ù c o m e m e t t e r e p a c e fra i d u e , spedì Cosimo a Venezia. D u r a n t e la assenza del marito M a r g h e r i t a s e m b r ò r i t r o v a r e il suo equilibrio, e i r a p p o r t i coi suoceri si fecero p i ù cordiali. Q u a n d o il G r a n d u c a giù» dico i t e m p i m a t u r i p e r u n a riconciliazione, r i c h i a m ò a Fi^ r e n z e il figlio. A p p e n a lo rivide, la moglie l'aggredì e gli rispiattellò t u t t o il suo d i s p r e z z o . C o s i m o stavolta p e r s e le staffe, allontanò Margherita da Firenze e la relegò nella vili la di L a p p e g g i di d o v e in un s e c o n d o t e m p o la trasferì in quella di Poggio a Caiano. Q u e s t a specie d ' i s o l a m e n t o , c h e la principessa francese dichiarava di preferire alla vita di Corte, n o n le impedì,,at| traverso i suoi agenti, di restare in contatto col Re. N o n cessava di supplicarlo di richiamarla in patria, di seppellirla in un m o n a s t e r o , di fare di lei quel c h e voleva ma di n o n obV bligarla a vivere con un u o m o che le r i p u g n a v a e del quale: si r i t e n e v a moglie illegittima p o i c h é c o n t r o la sua v o l o n t à l'aveva sposato. L'idea d e l c o n c u b i n a g g i o a t t e r r ì Cosimo che Luigi teneva scrupolosamente al c o r r e n t e del carteggi^ con la moglie: se le nozze davvero n o n e r a n o valide, il figliai F e r d i n a n d o e r a un b a s t a r d o . C o s i m o c o n s u l t ò i p i ù dofl^ teologi, m a n e s s u n o osò p r o n u n c i a r s i i n m o d o n e t t o sull, q u e s t i o n e . I l p o v e r o Principe, roso dai rimorsi, p i o m b ò ^ ' u n o stato d'indicibile prostrazione morale. Il Re di Franci: che dell'infelice m a t r i m o n i o era u n o dei responsabili, pensft di m a n d a r e il confessore Cosme Feillet a fare u n a bella pr$ dica all'irriducibile Principessa. Ma a n c h e questa missioi fallì. N e l l ' o t t o b r e 1665 M a r g h e r i t a si p r e s e n t ò inaspefct t a m e n t e a Corte e supplicò il G r a n d u c a di farla t o r n a r e d„ m a r i t o e dal figlio. F e r d i n a n d o l'accolse a braccia a p e r t e n solo p e r c h é a n e l a v a alla riconciliazione ma a n c h e perete m a n t e n e r e d u e famiglie gli costava t r o p p o . La rappacino! 332
zione liberò Cosimo dall'incubo di finire all'Inferno e gli risvegliò i sensi, che la l u n g a astinenza sembrava aver sopito. I frutti n o n si fecero a t t e n d e r e . D o p o pochi mesi Margherita e r a di n u o v o incinta. La g r a v i d a n z a ne ridestò lo spirito di ribellione. A n c h e stavolta p a r t o r ì m a l e d i c e n d o il m a r i t o . II G r a n d u c a decise allora di s e p a r a r e n u o v a m e n t e gli sposi e rispedì il figlio in giro p e r l'Europa. Cosimo t o r n ò a Firenze d o p o sei mesi p e r subito ripartire. Fu d u r a n t e q u e s t o s e c o n d o t o u r che visitò Parigi, d o v e fu ricevuto dal Re con molti onori e dalla suocera con dissim u l a t a f r e d d e z z a . P a r t e c i p ò a feste, balli, b a n c h e t t i , c o m m e d i e e q u a n d o lasciò la Capitale francese la sorella della moglie scrisse di lui: «Parlava molto b e n e di q u a l u n q u e arg o m e n t o e d e r a p r a t i c o del m o d o d i vivere d ' o g n i c o r t e d ' E u r o p a : in quella di Francia n o n ha mai fatto n e a n c h e un errore... Laverlo visto m ' h a p e r s u a s o che ha torto M a r g h e rita, c h e n o n è m a i a n d a t a d ' a c c o r d o con lui». T o r n ò a Firenze nel n o v e m b r e 1669 p e r assistere agli ultimi mesi di vita del p a d r e , che il m a g g i o successivo calò nella tomba, d o po averlo n o m i n a t o e r e d e . I p r i m i t e m p i g o v e r n ò con sagacia e avvedutezza, p o i il baciapile p r e s e il sopravvento sullo statista e lo fuorviò. Delegò g r a n p a r t e dei p o t e r i alla m a d r e e ai ministri, e si d e dicò con più assiduità alle pratiche religiose. I r a p p o r t i con la moglie si fecero a n c o r a p i ù tesi. M e n t r e infatti il p a d r e aveva s e m p r e cercato d ' a p p i a n a r e i contrasti fra C o s i m o e Margherita, la m a d r e n o n p e r d e v a occasione p e r esasperarli. La vita a C o r t e diventò un inferno. La giovane G r a n d u chessa aveva p e r d u t o o g n i r i t e g n o , diceva peste e c o r n a di tutti, t r a s c u r a v a i figli che nel 1 6 7 1 , c o n la nascita di Gian Gastone, e r a n o saliti a t r e . C o s i m o n o n ne p o t e v a p i ù e q u a n d o M a r g h e r i t a si ritrasferì nella villa di Poggio a Calano, trasse un sospiro di sollievo. Q u i la moglie c o n t i n u ò a lanciare appelli a Luigi p e r c h é la facesse t o r n a r e in patria. Ma il Re Sole seguitava a fare orecchio da m e r c a n t e . Era lui solo o r m a i a n o n volere c h e M a r g h e r i t a lasciasse 333
la Toscana e il m a r i t o , il quale scriveva a M a d a m e du Deffand: «Se ritornasse da m e , quali sentimenti, quale u n i o n e p o t r e b b e esserci fra noi, e q u a l e n o n s a r e b b e il t o r m e n t o della m i a coscienza? Sarei a n c o r a infelice sulla validità di questo m a t r i m o n i o . Da q u a l u n q u e p a r t e mi volga, p e r il fut u r o vedo solo angosce». Finalmente a n c h e Luigi capitolò e la G r a n d u c h e s s a p o t è c o r o n a r e il suo s o g n o . Il 10 g i u g n o 1675 lasciò Poggio a C a i a n o , d i r e t t a al c o n v e n t o di Montm a r t r e , vicino a Parigi, dove ne c o m b i n e r à di tutti i colori, s c a n d a l i z z a n d o p e r s i n o i suoi c o m p a t r i o t i . I fiorentini ne furono molto addolorati, n o n p e r c h é amassero Margherita, m a p e r c h é odiavano Cosimo. N e s s u n o dei suoi predecessori e r a riuscito a r e n d e r s i tanto i m p o p o l a r e . L'indomani della p a r t e n z a della moglie egli stupì i sudditi, che l'avevano s e m p r e tacciato d'avarizia, abb a n d o n a n d o s i a folli spese g a s t r o n o m i c h e . Faceva affluire alla sua m e n s a d a i Paesi p i ù s t r a n i salse e spezie esotiche, o r d i n a v a uva a d i c e m b r e e m a n d a r i n i a luglio, dalle sue cucine uscivano le pietanze p i ù raffinate, gl'intrugli più complicati, serviti da camerieri indiani, calmucchi, g r o e n l a n d e si. Ecco la deliziosa descrizione che H a r o l d Acton, nella eccellente storia d e d i c a t a agli ultimi Medici, ci fa di Cosimo, della sua smodata ingordigia e delle c o n s e g u e n z e della medesima: «Voleva che i suoi c a p p o n i ingrassati venissero pesati a tavola e, se un p a i o di questi n o n arrivava alle venti libbre regolamentari, li faceva p o r t a r via, come se gli avessero fatto un affronto p e r s o n a l e . I suoi dolci esotici venivano innaffiati di liquori ghiacciati nella neve. C o n q u e s t o regim e , divenne presto s p r o p o r z i o n a t a m e n t e grosso e di conseguenza cominciò a soffrirne. Per d i m i n u i r e di peso, gli venn e r o consigliate m e d i c i n e c h e lo m i s e r o in u n o stato peggiore, p e r c h é le g a m b e c o m i n c i a r o n o a c e d e r e sotto la sua mole». La gola era l'unico peccato cui Cosimo indulgesse, e 1 unico che tollerasse nei p r o p r i sudditi. Inesorabile si mostrava invece verso quelle tentazioni della carne, ch'egli n o n era 334
mai riuscito né a p r o v a r e né a suscitare. B a n d ì n u m e r o s e crociate c o n t r o la prostituzione e la pederastia, istituì un Ufficio del d e c o r o p u b b l i c o , d a cui d i p e n d e v a u n c o r p o d i g u a r d i e che s'appostavano la n o t t e agli angoli delle s t r a d e p e r cogliere in flagrante le meretrici e m a n d a r l e in prigione. L'età accentuò in Cosimo la misoginia e il bigottismo. Stava b e n e solo in mezzo ai preti a discutere di teologia, a recitare i salmi, a leggere la Bibbia. Secondo un cronista dell'epoca, alla fine del Seicento, Firenze aveva circa c i n q u a n t a mila abitanti, di cui un q u i n t o e r a n o ecclesiastici che g o d e vano d'infiniti privilegi, benefici, i m m u n i t à . Il G r a n d u c a ne era c o m p l e t a m e n t e succubo. Il suo zelo religioso n o n conosceva limiti. Il suo attaccamento alla Chiesa s'accompagnava a un odio cieco p e r gli ebrei, che p e r s e g u i t ò senza t r e g u a e con stolto fanatismo. Vietò ai cristiani di mettersi al loro servizio e f r e q u e n t a r n e le case, p e n a u n ' a m m e n d a di cinquanta scudi. Multò con trecento gli ebrei colti in c o m p a g n i a di prostitute cristiane, che p e r p u n i z i o n e venivano d e n u d a t e fino alla cintola e frustate a sangue. Se tanto ci siamo dilungati sulle vicende personali e coniugali di Cosimo, è p e r c h é esse costituiscono gli unici avvenimenti di rilievo in quella Firenze che fino a tutto il Rinascimento era stato l'epicentro della vita economica e culturale italiana. Mai d e c a d e n z a fu a l t r e t t a n t o r a p i d a e a l t r e t t a n t o dovuta a l m a l g o v e r n o d i u n u o m o . Per c o s t r u i r e n u o v e chiese e conventi, p e r acquistare reliquie di santi e di martiri, p e r finanziare processioni e pellegrinaggi, Cosimo a p p e santì il fisco. Il fisco distrusse q u a n t o restava della b a n c a , dell'industria, dell'artigianato, del commercio, cioè distrusse q u a n t o restava dei ceti medi, che coi loro capitali e le loro iniziative avevano costituito la forza e lo s p l e n d o r e di Firenze. Lo dimostra, n o n o s t a n t e le sue origini u r b a n e e m e r c a n tili, la conversione in massa del patriziato fiorentino alla terra. A n c h e in Toscana, perfino in Toscana, l'agricoltura di335
venta l'unica fonte di ricchezza. E i paesi u n i c a m e n t e agricoli s p r o f o n d a n o nella miseria n o n soltanto m a t e r i a l e , ma a n c h e spirituale. Q u a n t o gli ultimi Medici abbiano influito su questa deg r a d a z i o n e , lo d i m o s t r a la p r o n t e z z a con cui la Toscana si r i p r e n d e r à d o p o la fine del loro m a l g o v e r n o e il passaggio del G r a n d u c a t o agli Asburgo-Lorena austriaci. P u r t r o p p o il Seicento è un secolo in cui la personalità di un sovrano (e i sovrani del Seicento sono quasi tutti di stoffa deteriore) d e t e r m i n a la sorte del popolo.
CAPITOLO TRENTESIMO L O STATO P O N T I F I C I O
La pace di Westfalia aveva inferto un d u r o colpo al prestigio t e m p o r a l e della Chiesa, che s'era rifiutata di riconoscerla, ma aveva n o n d i m e n o d o v u t o p r e n d e r e atto delle sue decisioni. La G u e r r a dei T r e n t ' a n n i aveva d i m o s t r a t o che lo Stato pontificio, fuori dei suoi confini, n o n aveva p i ù voce in capitolo, c h ' e r a anch'esso u n a p e d i n a del g r a n gioco internazionale i m p e r n i a t o sull'eterna rivalità franco-spagnola e che, p e r sopravvivere, doveva b a r c a m e n a r s i fra Parigi e Madrid e p a r t e g g i a r e , di volta in volta, p e r questa o quella capitale. Fino a U r b a n o V i l i le sue simpatie e r a n o a n d a t e ai Borboni francesi. Coi successori di q u e s t o P a p a si volsero agli Asburgo s p a g n o l i . Fu I n n o c e n z o X, a s s u r t o al Soglio n e l 1644, a farsi p r o m o t o r e d'un'alleanza con la S p a g n a contro la Francia, che aveva osteggiato la sua elezione. I m m e d i a t e furono le r i p e r c u s s i o n i n e l l ' U r b e . Il p a r t i t o s p a g n o l o , che sotto U r b a n o V I I I e r a vissuto n e l l ' o m b r a , rialzò la cresta, m e n t r e quello francese dovette b a t t e r e in ritirata. I Barberini, che lo capeggiavano, si videro costretti ad a b b a n d o n a r e Roma e tutti i loro averi, che il Pontefice fece p r o n t a m e n t e incamerare. I n n o c e n z o X, al secolo Giambattista P a m p h i l i , n o n e r a u n u o m o a v i d o . E r a s e m p l i c e m e n t e u n vecchio d e b o l e e pieno d'acciacchi, s u c c u b o della c o g n a t a O l i m p i a Maidalchini, d o n n a di n o n c o m u n e intelligenza ma intrigante e di sfrenata a m b i z i o n e . Da q u a n d o e r a r i m a s t a vedova, aveva Puntato tutte le sue carte sul fratello del marito, alla cui elezione c e r t a m e n t e contribuì, anche se i g n o r i a m o in quale do337
se. Q u a n d o il conclave p r o c l a m ò P a p a Giambattista, essa s p a l a n c ò p e r s o n a l m e n t e le p o r t e di palazzo P a m p h i l i al p o p o l i n o p e r c h é saccheggiasse, s e c o n d o l'uso, la casa del C a r d i n a l e elevato al Soglio. P r i m a , p e r ò , fece p o r t a r e in quella sua le suppellettili p i ù pregiate. Avrebbe voluto istallarsi in Vaticano p e r stare p i ù vicina al cognato, ma il cardinale Panzirolo s'oppose. Olimpia restò nel p r o p r i o palazzo, m a o t t e n n e d i p o t e r v e d e r e I n n o cenzo in q u a l u n q u e o r a del g i o r n o e della notte. Il Papa fu c o m p l e t a m e n t e alla m e r c é della c o g n a t a , c h e c o n c e d e v a e revocava privilegi, distribuiva cariche e p r e b e n d e , fissava le u d i e n z e del Pontefice, p r e n d e v a decisioni in suo n o m e . Tutto in C u r i a d i p e n d e v a dai suoi u m o r i , m a l u m o r i , capricci. Gli ambasciatori le r e n d e v a n o o m a g g i o , i cardinali riempiv a n o di suoi ritratti le loro stanze, le Corti s t r a n i e r e la coU m a v a n o di doni p e r procacciarsene la benevolenza. Essa fece n o m i n a r e cardinale il figlio Camillo, un bellimbusto ignor a n t e e sventato, ma il giovane rinunziò al galero p e r poter sposare u n a delle più ricche e avvenenti ereditiere r o m a n e , ' Olimpia A l d o b r a n d i n o Era u n magnifico partito m a , come n u o r a , poteva essere u n a pericolosa rivale, p e r c h é il Papa» s e b b e n e d e c r e p i t o e r i m b a m b i t o , o forse p r o p r i o p e r q u e sto, aveva un debole p e r le belle d o n n e . La rissa fra le d u e Olimpie scoppiò al r i t o r n o degli sposi dal viaggio di nozze; e fu d e g n a p i ù di lavandaie che di principesse. Alla fine la: n u o r a fu sconfitta, ma a n c h e la suocera dovette p a g a r e il fio delle sue p r e p o t e n z e e scenate: i cardinali ne i m p o s e r o l'all o n t a n a m e n t o dalla Curia. * Sia p u r e a m a l i n c u o r e , I n n o c e n z o dovette accettare l'o? stracismo della c o g n a t a . Essa e r a stata o g g e t t o di t r o p p e : chiacchiere e lui, il Papa, di t r o p p e corbellature. Un anoni*, mo gli aveva m a n d a t o u n a m e d a g l i a c o n incisa su un lato •' l'effigie della M a i d a l c h i n i a d d o b b a t a da Pontefice e-sul-f l'altro quella sua vestito da d o n n a coi capelli l u n g h i e con 1» ' m a n o u n a conocchia e un fuso. Tuttavia I n n o c e n z o e Olimi pia seguitarono a vedersi, e q u a n d o scomparve il cardinale 338
Panzirolo, c h ' e r a stato l ' a u t o r e del s i l u r a m e n t o , l a d o n n a t o r n ò n u o v a m e n t e alla ribalta e I n n o c e n z o r i d i v e n t ò il suo fantoccio. Essa esercitava un tale p o t e r e in Vaticano c h e q u a n d o il Papa - nel 1655 - m o r ì , Olimpia riuscì a t e n e r n e nascosta p e r d u e giorni la notizia p e r c o n d u r r e a t e r m i n e il saccheggio degli a p p a r t a m e n t i del defunto: mobili, preziosi e o p e r e d'arte. I l c a d a v e r e del P a p a v e n n e a b b a n d o n a t o i n u n a stanza infestata dai topi in attesa d ' u n a sepoltura di cui n e s s u n o in Vaticano, a cominciare dalla Maidalchini, volle sostenere le spese. F i n a l m e n t e un canonico di San Pietro, che e r a stato un t e m p o al servizio del Pontefice, sborsò mezzo scudo p e r le esequie. Q u e s t e furono celebrate alla chetichella, senz'alcuna p o m p a , tra i lazzi e gli sberleffi del p o p o l i n o e la gioia dei cardinali, che nella scomparsa d ' I n n o c e n z o vedevano la fine d e l m a l g o v e r n o della c o g n a t a . Costei sopravvisse un anno, lasciando i figli eredi di u n ' i m m e n s a ricchezza. Al P a m p h i l i successe Fabio Chigi, che p r e s e il n o m e di Alessandro V I I . Era un u o m o di scarsa levatura intellettuale e facilmente influenzabile. D e b u t t ò v a n t a n d o s i di n o n aver mai c e d u t o a tentazioni nepotistiche e v i e t a n d o ai parenti di venire a R o m a . Ma il r e t t o r e del collegio dei gesuiti gli disse c h ' e r a peccato s n o b b a r e i congiunti e tenerli lontani dalla Corte, dove i suoi predecessori li avevano impiegati negli uffici p i ù i m p o r t a n t i . Alessandro sollecitò il p a r e r e dei cardinali, e costoro n a t u r a l m e n t e - tutti c o n g i u n t i di qualche Papa o in attesa di diventarlo a loro volta p e r fare cardinali altri c o n g i u n t i - a v a l l a r o n o con calore il consiglio del rettore. In massa la tribù dei Chigi calò sull'Urbe, razziando cariche e p r e b e n d e . Il fratello Mario o t t e n n e la s o p r i n t e n d e n z a a l l ' a n n o n a e l ' a m m i n i s t r a z i o n e della giustizia d e l Borgo; il n i p o t e Flavio fu n o m i n a t o c a r d i n a l p a d r o n e ; un altro nipote fu scelto c o m e capostipite d ' u n a n u o v a dinastia, ricevette in d o t e il d u c a t o di Ariccia, d o p o i p r i n c i p a t i di Farnese e di C a m p a g n a n o , oltre il palazzo in piazza Colonna, e fu fatto sposare a u n a Borghese. 339
A l e s s a n d r o V I I r e g n ò dodici a n n i senz'infamia e senza lode. Sotto di lui riacquistarono r a n g o e autorità le congregazioni, che Olimpia aveva ridotto a s t r u m e n t i passivi della p r o p r i a volontà. I cardinali che ne facevano p a r t e riconobb e r o al Papa pieni poteri «decisionali» in c a m p o ecclesiastico ma glieli contestarono - e limitarono - in quello politico, riv e n d i c a n d o a se m e d e s i m i la facoltà di d i c h i a r a r e g u e r r e , firmare paci, alienare territori, i n t r o d u r r e tasse. Alessandro V I I n o n solo n o n fece rimostranze, ma se ne rallegrò. Aveva in uggia gli affari di Stato, a m a v a la vita all'aria a p e r t a , in Vaticano si sentiva un pesce fuor d'acqua, e a p p e n a poteva si ritirava a Castelgandolfo. La sua m o r t e , nel 1667, passò del tutto inosservata, come inosservato era passato il suo regno. A raccoglierne l'eredità fu chiamato il segretario di Stato Rospigliosi, C l e m e n t e IX. Scrive di lui il R a n k e : «Era l'uomo migliore e più b u o n o che si potesse trovare. Più che attivo, era pieno di b u o n e intenzioni; lo si p a r a g o n ò a un albero ricco di r a m i che p o r t a in a b b o n d a n z a foglie e forse anc h e f i o r i , m a n o n frutti; aveva p e r ò i n alto g r a d o quelle virtù morali che consistono nell'assenza di vizi, e cioè purezza di costumi, modestia, m o d e r a z i o n e . Fu il p r i m o Papa che favorì i p r o p r i n i p o t i in m o d o d a v v e r o m o l t o limitato». A differenza dei suoi predecessori lasciò le cose come stavano, n o n licenziò nessuno, si t e n n e b u o n i tutti, si fece notare per la sua prodigalità (nel p r i m o mese di pontificato d o n ò oltre seicentomila scudi ai cardinali). Sotto di lui l'aristocrazia rom a n a , che il nepotismo dei Papi aveva esautorato, ritrovò la sua antica baldanza. I Savelli, gli Orsini, i Colonna, i Caetani, c h ' e r a n o le famiglie più in vista dell'Urbe, ricominciarono a p r i m e g g i a r e e a rivaleggiare, ma lo Stato pontificio seguitò a essere a m m i n i s t r a t o dalla Curia. In che m o d o , lo si p u ò v e d e r e dai rendiconti della tesoreria vaticana: nel 1670 i debiti pontifici a m m o n t a v a n o a c i n q u a n t a d u e milioni di scudi. Le cause di tanto dissesto e r a n o molteplici. La p r i m a era 340
la mancanza d ' u n a borghesia imprenditoriale, la seconda lo stato d ' a b b a n d o n o delle c a m p a g n e , irretite nel latifondo e divorate dalle zanzare, la terza la rarefazione dei commerci, la q u a r t a l'isolamento dello Stato, tagliato fuori dai g r a n d i traffici i n t e r n a z i o n a l i . C o n t r o questi secolari m a l a n n i , p e r r i m p a n n u c c i a r e le sitibonde casse dell'erario, i Papi inasprivano il fisco e m e t t e v a n o in v e n d i t a sinecure e benefici ecclesiastici. Q u a n d o si trovavano con l'acqua alla gola - il che gli accadeva spesso - i n c a m e r a v a n o senza t r o p p i c o m p l i m e n t i i b e n i d ' i n t e r i conventi o a d d i r i t t u r a d'interi o r d i n i . Si giustificavano d i c e n d o che i m o n a s t e r i e r a n o sentine di c o r r u z i o n e e che il clero r e g o l a r e aveva tralignato, i n t e n t o solo a p r e v a r i c a r e e ad arricchirsi. E r a n o accuse forse un po' esagerate, ma che le regole si fossero a l q u a n t o rilassate lo si vedeva a occhio n u d o . Gli stessi gesuiti avevano rinunciato alla monolitica costituzione monarchica d e l l ' O r d i n e , affiancando al p a d r e generale un vicario con a m p i poteri e diritto automatico alla successione, il che aveva g r a v e m e n t e scosso il principio d ' a u t o rità. Anche la devozione alla Chiesa r o m a n a era venuta m e no. La C o m p a g n i a , nata come milizia del Papa e g e n d a r m e dell'ortodossia, aveva c o m i n c i a t o a m a n i f e s t a r e pericolosi sentimenti filofrancesi, che i B o r b o n i a v e v a n o s a p u t o abilmente sfruttare facendo dei p a d r i gesuiti i p r o p r i consiglieri e i più rigidi assertori dei diritti della c o r o n a contro gli stessi pontefici. Vani furono le c e n s u r e della Curia e i moniti dell'Inquisizione p e r r i p o r t a r e l ' O r d i n e all'ordine. La C o m p a g n i a ribadì le p r o p r i e posizioni e «aprì» s e m p r e di più al m o n d o , contravvenendo all'impegno di dedicarsi esclusivamente alla vita s p i r i t u a l e . C o n s e n t ì p e r s i n o ai suoi m e m b r i d ' a m ministrare beni, investire e riscuotere d e n a r o , c o m m e r c i a re, e ai p r o p r i insegnanti d'accettare d o n i dagli allievi, m e n tre fin allora l'istruzione impartita d a l l ' O r d i n e ai giovani era stata c o m p l e t a m e n t e gratuita. N o n m e n o deleterie furono le conseguenze di questo ri341
v o l g i m e n t o nel c a m p o della m o r a l e . I teologi d e l l ' O r d i n e sottoposero i peccati a u n a meticolosa casistica e stabilirono che chi li commetteva accecato dalla passione e fuorviato dal cattivo esempio meritava u n a particolare indulgenza. In altre p a r o l e solo chi contravveniva di p r o p o s i t o ai c o m a n d a m e n t i divini e r a passibile di c o n d a n n a . Fu a m m e s s o a n c h e il duello nei casi in cui e r a n o in gioco l'onore e gl'interessi, e il falso g i u r a m e n t o , p u r c h é chi lo p r o n u n c i a v a fosse in cuor suo convinto della verità. C o n t r o questa c o m o d a e a c c o m o d a n t e m o r a l e insorsero i d o m e n i c a n i , i francescani, i cappuccini, nemici tradizionali dei gesuiti e, fra il clero secolare, i vescovi e i p a r r o c i . Ma i più accaniti furono i giansenisti, c o m ' e r a n o stati battezzati i seguaci di Cornelio J a n s e n , a u t o r e d ' u n libro, uscito postumo nel 1640 e intitolato Augustinus. Esso sosteneva la p r e d e stinazione d e l l ' u o m o alla salvezza e il valore assoluto della grazia divina rispetto alla volontà u m a n a , invocava il ritorno alla Chiesa delle origini, sollevava dubbi sull'infallibilità del Papa. La polemica tra le parti si trascinò p e r d e c e n n i e finì p e r coinvolgere la Chiesa stessa. Le posizioni ch'essa assum se m u t a r o n o col m u t a r e dei Pontefici. I n n o c e n z o X e Alesi Sandro V I I c o n d a n n a r o n o la d o t t r i n a giansenista; Clemerte te IX si limitò a deplorarla, ma in t e r m i n i molto blandi. L^, disputa seguiterà a d i v a m p a r e nel Settecento, appassionane do l'opinione pubblica e u r o p e a e aizzando diatribe religiose d'inaudita violenza, specialmente in Francia. '4. Nella s e c o n d a m e t à del secolo q u e s t o Paese d i e d e alla C h i e s a m o l t o filo da t o r c e r e a causa della politica filo$, s p a g n o l a d e i successori d ' U r b a n o V i l i . Luigi X I V incal, m e r o p e r r a p p r e s a g l i a i b e n i d e l c l e r o , a s s e g n ò o revocò, p r e b e n d e e benefici, limitò gl'invii di d e n a r o alla CurialL'urto con R o m a si fece d r a m m a t i c o q u a n d o , sotto il p o n t i ! ficato d ' I n n o c e n z o X I , al secolo B e n e d e t t o Odescalchi, uosa mo energico e a m m i n i s t r a t o r e sagace, il Re Sole fece votarci dal clero francese q u a t t r o articoli che ribadivano le a n t i c h e ! libertà d'Oltralpe: l ' i n d i p e n d e n z a del p o t e r e laico da quelle^ 342
ecclesiastico, la superiorità del concilio sul Papa, l'intangibilità delle c o s t u m a n z e gallicane e la limitazione del p o t e r e pontificio nelle questioni di fede. I n n o c e n z o replicò n e g a n do ai vescovi di n o m i n a regia l'istituzione canonica, cioè le funzioni ecclesiastiche, e a c c e n t u a n d o la t e n d e n z a filoasburgica della C u r i a , t e n d e n z a che si r i t r o v a v a nella m a g g i o r parte degli Stati e u r o p e i , allarmati dall'invadenza egemonica di Luigi XIV. Fu un t r e m e n d o braccio di ferro che si risolse con la m o r t e del Pontefice e l'abilità diplomatica d ' I n nocenzo X I I , che cinse la tiara d ò p o Alessandro V i l i , successore dell'Odescalchi. D o p o d u e a n n i di trattative i vescovi francesi si r i m a n g i a r o n o i q u a t t r o articoli, o t t e n e n d o in cambio l'istituzione canonica. Il Papa aveva vinto, ma n o n p e r forza p r o p r i a . E r a n o stati la situazione i n t e r n a z i o n a l e e il massiccio s c h i e r a m e n t o antifrancese d e l l ' E u r o p a a p i e g a r e il B o r b o n e . Lo Stato pontificio, al di là dei p r o p r i confini infatti n o n contava più nulla. E n o n solo sul p i a n o t e m p o r a l e .
CAPITOLO TRENTUNESIMO
IL VICEREGNO
Lo Stato italiano in cui meglio si coglievano gli effetti devastatori del neo-feudalesimo spagnolesco e controriformista e r a il Viceregno di Napoli. Q u i i contrasti sociali e r a n o addirittura drammatici. Sui duecentomila abitanti, che faceva^ no della capitale la p i ù p o p o l o s a città italiana, e u n a delle più popolose d ' E u r o p a , i nove decimi e r a n o plebei, o lazzari, affamati e cenciosi, che c a m p a v a n o d'elemosine e d'espe* dienti, facile esca di mire d e m a g o g i c h e ed eversive. La borghesia era composta d'avvocati, magistrati, appaltatori d'im* poste che servivano la Corte, g o d e v a n o d ' u n r e d d i t o d e c e m te e di qualche privilegio. La nobiltà, verso la m e t à del secolo, contava centodiciannove principi, centocinquanta duchi, c e n t o s e s s a n t a t r é m a r c h e s i , a l c u n e c e n t i n a i a di conti e un n u m e r o incalcolabile di b a r o n i . Ostentava titoli altisonanti^ cui n o n s e m p r e facevano riscontro r e n d i t e a d e g u a t e , trattava dall'alto in basso le altre classi e dava, con la sua riottosità, parecchio filo da torcere ai Viceré. Da costoro M a d r i d esigeva fedeltà assoluta, p u g n o di f e r r ro e s o p r a t t u t t o a b b o n d a n t i rimesse d ' o r o e di d e n a r o , che costringevano a moltiplicare e inasprire all'infinito i balzelli, s u s c i t a n d o fra la p o p o l a z i o n e s c o p p i di collera violenti e passeggeri c o m e tornados. Essi lasciavano q u a l c h e cadavere p e r le strade e le cose c o m e p r i m a . A n c h e quello scoppiato nel 1647 s e m b r ò avviato alla stessa sorte. N e s s u n o lì p e r lì ne colse le implicazioni e ne imm a g i n ò gli sviluppi. A farne scoccare la scintilla fu il ripristiN no della gabella sulla frutta, imposto dal Viceré, Duca d'Ar^ cos. Il p r o v v e d i m e n t o colpiva s o p r a t t u t t o i lazzari, ch'erano 344
i maggiori c o n s u m a t o r i d ' a g r u m i . Le reazioni n o n si fecero a t t e n d e r e . Il 6 g i u g n o fu dato alle fiamme il casotto del n u o vo dazio. Il Duca d'Arcos o r d i n ò un'inchiesta, ma p r i m a che questa facesse luce, il colpevole si costituì. E r a un p o v e r o p e s c i v e n d o l o e si c h i a m a v a T o m m a s o Aniello, o Masaniello. Aveva ventisei a n n i , la m a d r e e r a rimasta vedova p r i m a di p a r t o r i r l o , n o n aveva ricevuto alcuna istruzione, aveva trascorso l'infanzia nei bassi, vivendo di patacche e furtarelli. Era il p r o t o t i p o dello sciuscià: piccolo, tarchiato, pelle b r u n a , capelli n e r i e ricci, s g u a r d o vivo, mano lesta, spaccone, rissoso, insolente. Faceva il pescivendolo ai mercati generali, ma gli affari d o v e v a n o andargli maluccio se spesso, n o n a v e n d o d e n a r o p e r acquistare sardelle e merluzzi, s'accontentava di v e n d e r e cartocci. Più d ' u n a volta aveva avuto a che fare con la polizia, ed e r a a n c h e stato in carcere. Q u a n d o la plebe insorse c o n t r o il balzello sulla frutta egli si tuffò nella mischia al g r i d o di «Niente gabella! Viva il re di S p a g n a e m o r a il m a l g o v e r n o » , seguito da a l c u n e centinaia di monelli, che il p o p o l o chiamava alarti. Dal violento tafferuglio che seguì, sbirri ed esattori u s c i r o n o assai malconci. Masaniello, imbaldanzito, s'improvvisò c a p o p o p o l o , p r o mise ai n a p o l e t a n i la libertà, r e c l u t ò altri alarbi e, i m p u g n a n d o u n a frasca, si diresse verso il palazzo vicereale. Le g u a r d i e c h e lo p r e s i d i a v a n o si d i e d e r o alla fuga e i dimostranti p e n e t r a r o n o disordinatamente all'interno brand e n d o coltelli, lance, bottiglie, bastoni con cui fecero poltiglia di t u t t o ciò che gli capitò a tiro: mobili, q u a d r i , arazzi, specchi. Il Viceré, in p r e d a al panico, cercò scampo nei p r o pri a p p a r t a m e n t i , d o v e fu r a g g i u n t o da u n o dei c a p o r i o n i che l'obbligò a revocare la gabella sulla frutta. I l p r i m o obiettivo della s o m m o s s a e r a stato r a g g i u n t o . Ora bisognava o t t e n e r e dal Duca d'Arcos l'abolizione di tutti gli altri balzelli. Il ferro a n d a v a b a t t u t o finché era caldo. A questo p u n t o e n t r ò i n scena u n u o m o c h e a N a p o l i tutti conoscevano e che godeva fama di scaltro d e m a g o g o e astu345
to politico: Giulio G e n o i n o . Avvocato e sacerdote, e r a stato l'eminenza grigia del Viceré d ' O s s u n a , sotto il quale aveva ricoperto i m p o r t a n t i cariche pubbliche. Q u a n d o il suo p r o tettore era stato richiamato in patria, il G e n o i n o lo aveva seg u i t o , ma a M a d r i d e r a stato c o n d a n n a t o a molti a n n i di c a r c e r e e solo nel 1638 aveva p o t u t o far r i t o r n o a Napoli. Qui, in attesa di t e m p i migliori, s'era sprofondato negli studi. A ristanarlo fu p r o p r i o Masaniello, che ne fece il profeta e l'ideologo della rivoluzione. Sebbene avesse già c o m p i u t o gli o t t a n t ' a n n i , il vecchio m a n e g g i o n e stilò u n a specie di Magna Charta, in cui espose le rivendicazioni della plebe nap o l e t a n a : p i e n a p a r i t à coi nobili nel g o v e r n o della città, e q u a ripartizione dei debiti, abolizione delle gabelle. Su q u e s t ' u l t i m o p u n t o Masaniello si m o s t r ò particolarm e n t e intransigente. Disse chiaro e t o n d o che n o n s'accontentava delle p r o m e s s e del Viceré, il q u a l e p o t e v a s e m p r e rimangiarsele, ma che esigeva la consegna d ' u n antico papiro con cui C a r l o V e s e n t a v a i n a p o l e t a n i da o g n i sorta di balzelli. Il D'Arcos, colto di c o n t r o p i e d e , tergiversò a n c h e p e r c h é del d o c u m e n t o negli archivi cittadini n o n c'era nemm e n o l'ombra. Gli insorti p e n s a r o n o ch'egli volesse g u a d a g n a r t e m p o e con r i n n o v a t a foga r i p r e s e r o le a r m i , aizzati da Masaniello, che fece m e t t e r e a ferro e fuoco la città. Tutti i popolani riconoscevano in lui il d u c e della rivolta, tutti gli obbedivano, tutti gli r e n d e v a n o omaggio. Alcuni dic e n d o c h ' e r a u n s a n t o ; altri c h ' e r a u n e r o e ; altri a n c o r a c h ' e r a questo e quello. Scalzo, sbracato, in p r e d a a frenesia tribunizia, l'ex pescivendolo a r r i n g a v a la folla, distribuiva o r d i n i a destra e a manca, sbraitava, minacciava, accusava il Viceré d'aver tentato di c o r r o m p e r l o e i nobili di c a m p a r e a sbafo della plebe. Tanta v e e m e n t e e scomposta d e m a g o g i a finì p e r spargere il t e r r o r e nella città, o r m a i c o m p l e t a m e n t e nelle m a n i dei rivoltosi. I più s g o m e n t i e r a n o i ricchi b o r g h e s i e i patrizi che u n bel g i o r n o , d ' a c c o r d o p a r e coi Viceré, decisero d'assassinare Masaniello. Il complotto fallì p e r c h é i proietti346
li sbagliarono traiettoria. Q u a l c u n o g r i d ò al miracolo, e in molti q u a r t i e r i della città si diffuse la voce che il bersaglio era invulnerabile. Masaniello festeggiò lo scampato pericolo con u n a feroce repressione. O r d i n ò ai suoi di d a r e la caccia a coloro che dir e t t a m e n t e o i n d i r e t t a m e n t e avevano p a r t e c i p a t o alla congiura e di condurli tutti al suo cospetto: egli stesso li avrebbe giudicati. Q u a n d o i colpevoli, o p r e s u n t i tali, gli furono davanti, ne p r o n u n c i ò la sentenza con un semplice m o v i m e n t o verticale della m a n o che alludeva alla scure del boia. Il sangue scorse a fiumi e i morti n o n si c o n t a r o n o a n c h e p e r c h é Masaniello lasciò libero sfogo alle vendette personali. C o m e già e r a accaduto a Cola di Rienzo, i fumi della p o polarità gli d i e d e r o alla testa. N o n s'accontentò più d'essere semplicemente il capo della rivolta. Ne volle anche i galloni e il protocollo. Si a u t o n o m i n ò «generalissimo del p o p o l o napoletano» e prese ad e m a n a r e editti con i d u e stemmi del Re di S p a g n a e di Napoli. Proibì l'uso di vesti t r o p p o l u n g h e , mantelli, tonache e guardinfanti p e r p a u r a che celassero armi e munizioni, e intimò ai nobili la consegna i m m e d i a t a di pistole, fucili, polvere da sparo. Sebbene n o n capisse niente d'economia e di finanze, avocò a sé tutti i problemi amministrativi della città. Meditava a l u n g o le soluzioni, la testa a p poggiata alla m a n o e il gomito p u n t a t o sul ginocchio. I suoi fanatici dicevano che aspettava l'ispirazione dello Spirito Santo. I maligni i n s i n u a v a n o che aspettava i s u g g e r i m e n t i del Genoino, s e m p r e appiccicato a lui. L'ex pescivendolo esercitava c o m u n q u e tale suggestione che il Viceré, p e r t e n e r l o buono, lo trattava come un sovrano, lo invitava a palazzo con la moglie, lo colmava di complimenti e di doni. L' 11 luglio le richieste avanzate dal Genoino, d o p o essere state a p p r o v a t e dai n a p o l e t a n i , f u r o n o p r e s e n t a t e al Duca d'Arcos dallo stesso Masaniello, che indossò p e r l'occasione una sontuosa veste a r g e n t a t a , d o n o del Viceré in p e r s o n a . L'incontro fu, a l m e n o in a p p a r e n z a , cordiale e amichevole. A p p e n a giunse al cospetto del Duca, il «generalissimo» gli si 1
347
gettò ai piedi. Il Viceré lo fece rialzare, l'abbracciò con effusione e lo condusse all'interno del palazzo, dove si svolse un l u n g o colloquio, e p r i m a di c o n g e d a r l o gli regalò u n a collana del valore di tremila scudi. Masaniello l'accettò solo dopo molte insistenze, e fu l'ultima volta che si mostrò nel pieno possesso delle sue facoltà m e n t a l i . Uscito da palazzo, si s t r a p p ò l'abito argentato, si tolse le scarpe, t o r n ò a indossare la blusa e le b r a c h e di pescivendolo, e da allora in poi le sue stranezze n o n si c o n t a r o n o . In un i m p r o v v i s o accesso d'ira p r e s e a calci nel s e d e r e un cavaliere che e r a v e n u t o a fargli visita, diede un ceffone a un collaboratore, ferì con un colpo di b a s t o n e il vecchio G e n o i n o , e il 13 luglio fece improvvisamente arrestare un solenne corteo al quale partecipava anche il Viceré e, d o p o essersi a b b a n d o n a t o a un lungo sproloquio, estrasse di tasca u n a m o n e t a con l'effigie dell'imperatore Carlo V, la baciò, poi se la mise in testa, quindi la p o r s e al Duca d'Arcos p e r c h é facesse altrettanto. Giunto all'altezza del D u o m o , a v e n d o scorto u n a fontana, scese da cavallo, a n d ò a dissetarsi, si s b o t t o n ò i calzoni e o r i n ò davanti a tutti. D o p o d i c h é corse ad a p r i r e la portiera della carrozza del Duca, ma nella foga p e r s e l'equilibrio e ruzzolò p e r terra. Poco d o p o , in D u o m o a n d ò a sedersi ai piedi del Viceré, p e r poterglieli meglio baciare, scoppiò in un pianto dirotto, si alzò, si stracciò il vestito, e gettò le braccia al colio del Viceré. Al t e r m i n e del rito si a c c a m p ò sul p e r g a m o e si mise ad a r r i n g a r e la folla: «Popolo mio, io sono nato povero marinaio e marinaio voglio m o r i r e . N o n avete a far cosa alc u n a con m e : ecco q u a il vostro p a d r o n e (additò il Viceré) e siate fedeli al Re». G e n o i n o e c o m p a g n i t e n t a r o n o di ricond u r l o alla ragione, ma invano. Alcuni dicevano c h ' e r a stato affatturato p e r o r d i n e del Viceré, altri che aveva p r e s o un colpo di sole, altri ancora che il p o t e r e gli aveva dato alla testa. Chissà. Quel ch'è certo è che a n c h e i suoi più tenaci ammiratori si accorsero ch'era uscito di s e n n o , e lo abbandonar o n o al suo d e s t i n o , o r m a i m a t u r o . Il 16 luglio, d o p o u n ' e n n e s i m a di queste esibizioni, fu avvicinato nella chiesa 348
del C a r m i n e da un g r u p p o di cavalieri e popolani. «Andate c e r c a n d o me?» chiese Masaniello r i c o n o s c e n d o l i . Q u a t t r o colpi d ' a r c h i b u g i o f u r o n o la risposta. Il «generalissimo» cadde al suolo stecchito, ma gli assassini, t e m e n d o che fosse ancora in vita, c h i a m a r o n o un macellaio e gli fecero tagliare la testa. Napoli s e m b r ò uscire da un incubo e i suoi abitanti sciam a r o n o nelle strade e nelle piazze c a n t a n d o , ballando, svent o l a n d o b a n d i e r e . I lazzari, c h ' e r a n o stati i p i ù scalmanati fans del p e s c i v e n d o l o s ' i m p a d r o n i r o n o d e l c a d a v e r e , lo s q u a r t a r o n o e l ' a b b a n d o n a r o n o in u n a chiavica. I fornai profittarono della generale kermesse p e r a u m e n t a r e il prezzo del p a n e . I nobili e il Viceré e s u l t a r o n o , ma colui c h e più g o n g o l ò fu il G e n o i n o , u n o degli a u t o r i d e l c o m p l o t t o , di cui il Viceré lo c o m p e n s ò con la n o m i n a a p r e s i d e n t e della Corte della Sommaria. Ma n o n p a s s a r o n o v e n t i q u a t t r ' o r e che i volubili n a p o l e tani c o m i n c i a r o n o a r i m p i a n g e r e la loro vittima. Gli stessi carnefici, pentiti e in p r e d a ai rimorsi, ne r i e s u m a r o n o il cadavere e, d o p o avergli ricucito alla meglio la testa sul busto, lo l a v a r o n o , lo v e s t i r o n o , gli m i s e r o al fianco la s p a d a e il bastone di c o m a n d o , tributandogli solenni esequie, cui parteciparono q u a r a n t a m i l a p e r s o n e . L'assassinio, se aveva l i b e r a t o la città da un p a z z o , n o n aveva c e r t a m e n t e risolto i suoi p r o b l e m i . La rivolta infatti seguitò a d i v a m p a r e . C o n t i n u a r o n o a n c h e le trattative col Viceré al quale i r a p p r e s e n t a m i del p o p o l o a v a n z a r o n o u n a serie di richieste, fra cui la destituzione del G e n o i n o . Ad alcune il Duca disse sì, ad altre n o . Sì, disse al siluramento del G e n o i n o , che fu esiliato, sì all'amnistia dei reati commessi d u r a n t e i t u m u l t i , no alla c o n s e g n a d ' u n ' i m p o r t a n t e piazzaforte e al presidio del palazzo reale con milizie popolari. Un n u o v o leader i n t a n t o e r a v e n u t o alla ribalta. Si chiamava G e n n a r o Annese, faceva il fabbro ed era stato a l u n g o in galera p e r falsificazione di m o n e t e . La sua c o m p a r s a sulla scena coincise con l'arrivo, il 1° ottobre 1647, della flotta 349
s p a g n o l a , c o m a n d a t a dal f i g l i o n a t u r a l e del R e cattolico, Giovanni d'Austria, nella baia di Napoli. Vi e r a stata spedita p e r d o m a r e la sommossa e r i p o r t a r e la pace nel Viceregno. Ai suoi c a n n o n i la città o p p o s e un'eroica resistenza. L'Annese, c h ' e r a riuscito a farsi n o m i n a r e «generalissimo», ne assunse la guida e a n n u n c i ò l'instaurazione della Repubblica. Fu convocata l'assemblea p l e n a r i a del p o p o l o che votò all'unanimità la nuova costituzione. Bisognava o r a darle un p r o t e t t o r e . L'Annese si rivolse ad Enrico II di L o r e n a , Duca di Guisa, un giovane ambizioso, c o r r o t t o e senza scrupoli, che sbarcò con la sua flotta a Napoli, salutato dalla folla come un salvatore. Gli fu i m m e d i a t a m e n t e conferito il titolo di «Doge della Serenissima Repubblica di Napoli», e d u r a n te u n a cerimonia in D u o m o il vescovo gli b e n e d ì la spada. T u t t o s e m b r a v a a n d a r e a gonfie vele q u a n d o , c o m e un fulmine a ciel s e r e n o , g e t t ò le a n c o r e nel golfo di Napoli u n a s q u a d r a navale francese, spedita dal Re p e r seguire gli a v v e n i m e n t i e sfruttarli a favore della C o r o n a . Il D u c a di Guisa, v e d e n d o minacciati i p r o p r i p i a n i e la p r o p r i a p e r s o n a l e e g e m o n i a , licenziò l'Annese che, a l l a r m a t o dalle m i r e t i r a n n i c h e del «Doge», aveva p l a u d i t o all'arrivo dei francesi. I napoletani ne furono indignati e la popolarità del Guisa cominciò a vacillare. Molti suoi sostenitori, bramosi di pace, d i s e r t a r o n o e d i e d e r o vita a u n a coalizione c o n t r o di lui, cui a d e r i r o n o i partigiani della Spagna, della Francia e dell'Annese. Solo e a b b a n d o n a t o , Enrico di L o r e n a dovette r i n u n z i a r e a tutti i suoi sogni e lasciare la Capitale. I napoletani, che n o n l'avevano mai a m a t o , s p a l a n c a r o n o l e p o r t e della città agli spagnoli al grido di «Venite, venite, pace, pace». Era la restaurazione. All'inizio essa fu liberale e t o l l e r a n t e . Poi si tolse la maschera e mostrò il suo solito volto aggressivo, reazionario, fiscale.
Indro Mont anell i- Robe rto Gervaso
L'ITALIA DE L SET TEC EN TO (1700-1789)
AVVERTENZA
Eccoci alla sesta tappa di questa ricostruzione della Storia d'Italia. Gli scopi ch'essa si propone li abbiamo già spiegati troppe volte per doverli enunciare. Possiamo soltanto aggiungere che, malgrado l'ostilità di cui siamo stati fatti segno da. parte della storiografia accademica, la schiera dei nostri lettori non solo non sì è assottigliata, ma si è di volume in volume irrobustita. Del resto, anche le critiche hanno mutato tono e registro. Ed è naturale. Un successo momentaneo lo si può interpretare come un abbaglio del pubblico. Ma quando esso dura da venti anni sempre in crescendo, bisogna pur riconoscergli qualche motivo un po' più valido. Lasciamo tuttavia questa polemica che, a dire il vero, non ci ha mai scalfito, convinti coni 'eravamo che sarebbero stati il tempo e i risultati a farne giustizia. E veniamo al Settecento: questo secolo contraddittorio in cui si consuma il processo di decadenza iniziato con la Riforma e il predominio spagnolo, ma nello stesso tempo si pongono le premesse del successivo risveglio. Noi abbiamo cercato di far risaltare questo contrappunto, che ci ha obbligato a dettagliare più di quanto fin qui avessimo usato. Il lettore vedrà che abbiamo amputato il secolo, facendolo finire all'89. Ma non c'è bisogno di chiarirne i motivi. Che la rivoluzione francese abbia posto fine a/rancieri regime, al vecchio regime, e iniziato una nuova èra, non soltanto in Francia,, ma in tutta Europa, e quindi anche in Italia, è cosa ormai riconosciuta da tutti. Quindi non abbiamo fatto che attenerci al tradizionale criterio. Un'ultima cosa. Probabilmente l'anno venturo non potremo essere puntuali alla solita scadenza. Per quanto già da un pezzo ne abbiamo avviato il lavoro preparatorio, quello del Risorgimento è 353
un periodo che c'impone almeno un altro paio d'anni di ricerche, e che forse dovremo dividere in due puntate, e anche di più. Arrivederci quindi, caro lettore, non al '71, ma al '72, nella speranza che questa pausa non basti a cancellarci dalla tua memoria.
Ottobre 1970
I.M. R.G.
PARTE PRIMA L'ITALIA IN E U R O P A
CAPITOLO PRIMO LA G U E R R A DI S U C C E S S I O N E
Con Eltalia del Seicento, abbiamo lasciato l ' E u r o p a in u n a situazione - come oggi si dice - di suspense, china sul capezzale di un m o r i b o n d o , in attesa di conoscere il suo testamento. Q u e s t o m o r i b o n d o era Carlo I I , ultimo Asburgo del ramo spagnolo. Vediamo di riassumere, p e r c o m o d o del lettore, il p e r c h é di tanta trepidazione. Gli A s b u r g o e r a n o stati, p e r quasi d u e secoli, l ' i n c u b o dell'Europa. Piccoli feudatari dell'Alsazia, poi diventati Duchi d'Austria, avevano moltiplicato, a furia di spada e di mat r i m o n i , p o s s e d i m e n t i e titoli. Il c o l m o lo aveva toccato ai primi del C i n q u e c e n t o l ' i m p e r a t o r e Carlo V, nelle cui m a n i si era trovata c o n c e n t r a t a u n a favolosa eredità. Da p a r t e di p a d r e gli t o c c a r o n o i Ducati d'Austria, il T i r o l o , la B o r g o gna e le F i a n d r e . Da p a r t e di m a d r e - G i o v a n n a la Pazza, unica figlia di F e r d i n a n d o d'Aragona e Isabella di Castiglia - gli toccarono la S p a g n a e t u t t o il n u o v o m o n d o l a t i n o - a m e r i c a n o , d a l Messico alla Patagonia. A tutto questo, egli potè a g g i u n g e r e il titolo di Sacro R o m a n o I m p e r a t o r e , già d e t e n u t o da suo n o n n o Massimiliano; un titolo che, p e r q u a n t o svuotato di effettivo c o n t e n u t o , gli conferiva u n a teorica s o v r a n i t à su quella galassia di Principati divisi e discordi c h ' e r a allora la Germania. Sicché si p u ò dire che solo la Francia e l'Inghilterra si sottraevano al suo dominio. Carlo aveva sognato di ricostituire sotto il suo scettro l'unità e u r o p e a di Carlo M a g n o . Pare che carezzasse l'idea di d i v e n t a r n e a n c h e la g u i d a spirituale a s s u m e n d o la tiara di Papa. Ma dovette r e n d e r s i conto a p r o p r i e spese che questi 357
p r o g r a m m i ecumenici - cioè di u n i o n e universale - e r a n o ormai fuori t e m p o . Egli trovò sulla sua strada d u e implacabili n e m i c i : i Re di Francia, e L u t e r o . I p r i m i si sentivano m a t e r i a l m e n t e soffocati dai d o m i n i Asburgo che p r e m e v a n o su quelli loro sia dalla p a r t e della G e r m a n i a che da quella della S p a g n a . Il s e c o n d o , r o m p e n d o l'unità religiosa, dis t r u g g e v a il p r e s u p p o s t o di quella politica. L ' E u r o p a n o n t e n d e v a all'unità. T e n d e v a alla formazione di Stati nazionali, o g n u n o con la p r o p r i a Chiesa i n d i p e n d e n t e da quella di R o m a . E gli Stati nazionali n a t u r a l m e n t e si ribellavano al p o t e r e soprannazionale che Carlo voleva imporgli. Al c r e p u s c o l o della sua vita di c o n t i n u e lotte e d'inutili vittorie, C a r l o e b b e il b u o n senso di a r r e n d e r s i a questa realtà. E c o m p r e n d e n d o che n e s s u n o , d o p o di lui, sarebbe stato in g r a d o di t e n e r e in p u g n o un i m p e r o così vasto, ma anche così diviso e sparpagliato, lo ripartì. I d o m i n i ereditari di Casa d'Asburgo (Austria, Moravia, Boemia) li lasciò al fratello F e r d i n a n d o che assunse a n c h e il titolo imperiale. La S p a g n a con t u t t o il suo i m p e r o a m e r i c a n o , le F i a n d r e e i possedimenti italiani (che inglobavano mezza penisola e ten e v a n o l'altra mezza alla loro mercé) a n d a r o n o al figlio Fil i p p o I I . Così la dinastia A s b u r g o si e r a s c o m p o s t a in d u e rami: quello spagnolo, e quello austriaco. Cattolico zelante, e perfino bigotto, Filippo volle ritentare l'avventura del p a d r e . Se egli intendesse approfittare della C o n t r o r i f o r m a , che chiamava i cattolici alla riscossa, per i m p o r r e il p r o p r i o p o t e r e all'Europa, o se approfittasse del p r o p r i o p o t e r e p e r restituire alla Chiesa il suo esclusivo primato, n e s s u n o lo sa, e forse n o n lo sapeva n e m m e n o lui. Com u n q u e , i d u e interessi coincidevano, ed egli ne fu il camp i o n e . Ma ora, oltre che coi francesi, doveva vedersela con gli olandesi in rivolta contro il giogo spagnolo, e con la flotta inglese, smaniosa del d o m i n i o sui mari. Filippo n o n v e n n e mai a capo di questa coalizione. I suoi successori, Filippo I I I e Filippo IV, n o n riuscirono a risolvere le d u e g r a n d i crisi - quella demografica e quella econo358
mica - che travagliavano il Paese. Sicché q u a n d o sul t r o n o di M a d r i d salì l ' u l t i m o r a m p o l l o della dinastia, C a r l o I I , quell'immenso i m p e r o , n o n o s t a n t e le sue dimensioni, aveva già da un pezzo cessato di r a p p r e s e n t a r e un pericolo p e r gli Stati e u r o p e i e la loro i n d i p e n d e n z a . Ma ce n'era un altro, che aveva preso il suo posto: la Francia. Essa era stata p r e d a di convulsioni religiose che avevano messo a repentaglio la sua unità. C'era stata anche, in seguito all'estinzione della dinastia Valois, u n a lotta p e r la successione al trono risoltasi infine con la vittoria del r a m o collaterale dei B o r b o n e . Ma in mezzo a tanti triboli, la Francia aveva avuto la v e n t u r a di trovare dei g r a n d i ministri - Sully, Richelieu, Mazarino, Colbert - che ne avevano fatto la più forte potenza e u r o p e a . Così forte che, q u a n d o sul trono salì un sovrano ambizioso, insolente e i n n a m o r a t o della gloria militare come Luigi XIV, il Re Sole, credette di p o t e r ripetere con successo il tentativo di Carlo e di Filippo. Negli ultimi d e c e n n i del Seicento, l'Europa fu messa a soqquadro dagli eserciti di questo monarca, che trovava pretesti di g u e r r a in tutto. Ma a n c h e lui aveva d o v u t o fare i conti con la n u o v a Europa degli Stati nazionali. I n g h i l t e r r a e O l a n d a avevano capeggiato la resistenza, che alla fine aveva prevalso. C o n la pace di Ryswick del 1697, la Francia aveva dovuto rinunziare alla sua pretesa di farla da p a d r o n a . Essa restava u n o dei più i m p o r t a n t i fattori della politica e u r o p e a , ma n o n era più in c o n d i z i o n e di d e t t a r l a . Si e r a i n s o m m a stabilita u n a balance ofpowers, un equilibrio di poteri, in cui quello francese aveva il suo considerevole peso, ma a n c h e i suoi c o n t r a p p e si, c h ' e r a n o s o p r a t t u t t o tre: l'Olanda, piccola t e r r a , ma già g r a n d e p o t e n z a m a r i t t i m a e coloniale; l ' I m p e r o asburgico d'Austria coi suoi eccellenti eserciti; e l'Inghilterra, che già fin d'allora vedeva in queste situazioni di equilibrio l'unica garanzia della p r o p r i a incolumità e la c o n d i z i o n e del p r o prio sviluppo: finché gli e u r o p e i si neutralizzavano a vicenda, essa p o t e v a t r a n q u i l l a m e n t e c o s t r u i r e il suo i m p e r o transoceanico. 359
Malgrado la vastità dei suoi d o m i n i , la S p a g n a era scorna p a r s a dall'elenco delle g r a n d i potenze. M a d r i d n o n e r a piy u n «centro direzionale» della politica e u r o p e a . E p p u r e , e c co che p r o p r i o allo scadere del secolo, tutti gli sguardi torn a v a n o a convergervi. L'Europa p e n d e v a dalla bocca di un Re che da vivo n o n aveva contato nulla, ma da m o r t o poteva metterla di n u o v o a s o q q u a d r o . A chi avrebbe lasciato la sua corona? Carlo II l'aveva p o r t a t a di malavoglia, o p p r e s s o dal suo p e s o . Nelle sue a s c e n d e n z e c ' e r a n o p r o b a b i l m e n t e t r o p p i m a t r i m o n i fra consanguinei. Era n a t o male, e reggeva l'ani* ma coi d e n t i . F i n o a dieci a n n i a v e v a n o d o v u t o t e n e r l o in collo p e r c h é le g a m b e n o n lo sostenevano. U n a mal forma*, zione del p a l a t o g l ' i m p e d i v a di articolar b e n e le p a r o l e . :I suoi sudditi lo chiamavano El hechizado, lo stregato, perché*»: p r e t i a t t r i b u i v a n o al diavolo i suoi m a l a n n i . Ne aveva u n a collezione, che avevano trasformato la Corte in u n a clinica} N e s s u n o c r e d e v a c h e s a r e b b e sopravvissuto a suo padre,i%: p e r q u e s t o l o a v e v a n o sposato prestissimo, nella s p e r a n z a c h e lasciasse a l m e n o u n e r e d e . M a C a r l o n o n e r a riuscito; n e m m e n o a questo, e sua moglie, u n a principessa austriaca.!;;' e r a afflitta da t r o p p i scrupoli religiosi p e r r i m e d i a r e con u«£ cortigiano o con u n o stalliere, c o m e talvolta le regine fànnoj in questi casi (e n o n s o l t a n t o in questi casi). O r a si apriva u n a crisi dinastica, che metteva in subbuglio tutta l'Europ " L'eredità infatti e r a grossa. O l t r e la S p a g n a , e r a n o i giuoco le F i a n d r e , cioè il Belgio c o n la sua p o t e n z a indi» striale, i possedimenti italiani che consentivano un assolutf d o m i n i o su tutta la penisola, e l'immenso i m p e r o sud-amefe ricano. I n m a n o a u n o Stato in crisi, c o m ' e r a quello lo, questo p a t r i m o n i o n o n esercitava g r a n p e s o sulla bila eia mondiale. Ma se fosse toccato a u n o Stato già di suo en c i e n t e , l'equilibrio e u r o p e o n e s a r e b b e stato sconvolto^ c o n c o r r e n t i in lizza e r a n o d u e : gli A s b u r g o d'Austria, c avanzavano un diritto dinastico e di s a n g u e , visto che Ca e r a Asburgo a n c h e lui; e Luigi XIV. Il Re Sole aveva spos" _
spagna
360
la sorella di Carlo, Maria Teresa. È vero che nel contratto di m a t r i m o n i o rinunziava a ogni pretesa al t r o n o spagnolo anche a n o m e dei discendenti suoi e di sua moglie. Ma in quello stesso contratto si garantiva a Maria Teresa u n a ricca d o te c h e invece n o n e r a stata mai p a g a t a . E Luigi sosteneva che i d u e i m p e g n i si condizionavano a vicenda: evaso l'uno, cadeva a n c h e l'altro. O p e r meglio dire lo aveva sostenuto finché i suoi eserciti gliene a v e v a n o d a t o la forza. D o p o la p a c e di Ryswick, aveva rinfoderato queste ambizioni. E anzi si e r a accordato con I n g h i l t e r r a e O l a n d a p e r cercare u n a soluzione di compromesso, al di fuori della volontà di Carlo. Così le tre Potenze si s p a r t i r o n o - sulla carta - la pelle dell'orso. Napoli e Sicilia sarebbero toccate alla Francia p e r ripagarla della sua rinunzia, la L o m b a r d i a all'Austria p e r tacitarla, m e n t r e sul trono di M a d r i d sarebbe salito un p e r s o n a g g i o n e u t r o e di poco conto, che fornisse garanzia di n o n diventare un pericolo pubblico. Si a v a n z a r o n o le c a n d i d a t u r e di Pietro II di Braganza e di Vittorio A m e d e o II di Savoia. Ma poi furono scartate, e il prescelto fu un piccolo p r i n c i p e Wittelsbach di Baviera. P u r t r o p p o , costui m o r ì subito d o p o , e bisognò ricominciare daccapo. Il secondo accordo prevedeva l'assegnazione della corona, con la Spagna, il Belgio e l'impero latino-americano a C a r l o d ' A s b u r g o , s e c o n d o g e n i t o d e l l ' i m p e r a t o r e Leopoldo, m e n t r e alla Francia s a r e b b e r o a n d a t e Napoli, la Sicilia e Milano: il che l'avrebbe resa arbitra dell'Italia. Pare impossibile, ma a rifiutare questa soluzione fu p r o prio la p a r t e c h e p i ù ne profittava: l'Austria. Sicuro c h e il Re spagnolo avrebbe testato in favore di suo figlio, Leopoldo rispose che costui n o n poteva accettare u n a successione così saccheggiata, e si disse p r o n t o a d i f e n d e r n e l'integrità con la spada. Era in questo tramestìo di p r o p o s t e , c o n t r o p r o p o s t e , lu. m g h e e minacce, che Carlo si disponeva a passare a miglior Vita, e n o n si tratta di figura retorica p e r c h é mai agonia fu s
361
più tribolata della sua. N e s s u n o gli dava requie. Ai salassi e ai clisteri dei medici s'intramezzavano gli esorcismi dei preti, incaponiti a liberarlo dalla malìa. La moglie austriaca lo teneva sotto il ricatto sentimentale della fedeltà dinastica. I dignitari di Corte e r a n o divisi, ma tutti intrigavano prospett a n d o catastrofi. Il disgraziato c o n s u l t ò i teologi, ma trovò divisi anche quelli, e si appellò al Papa, il quale n a t u r a l m e n t e fece i conti in base al p r o p r i o interesse. La presenza in Italia di un Principe imperiale in g r a d o di esercitarvi u n a forte autorità costituiva, p e r gli Stati della Chiesa, un pericolo. Perciò il responso di R o m a fu favorevole alla Francia. Carlo, forse più p e r stanchezza che p e r convinzione, vi si a t t e n n e , e all'insap u t a della moglie lo tradusse in testamento. Il t r o n o era assegnato a Filippo d'Angiò, nipote di Luigi e di Maria Teresa. A Parigi la notizia fu accolta p i ù c o n o r g a s m o che con gioia. Accettare quel lascito significava provocare l'Europa a u n a n u o v a g u e r r a . Rifiutarlo, oltre che la rinuncia a un imm e n s o i m p e r o , e r a u n a confessione di p a u r a e u n a perdita di faccia. Il Re Sole esitò. Ma alla fine l'orgoglio e la passione dei gesti teatrali e b b e r o la meglio. Nel ricevere gli ambasciatori spagnoli che venivano a comunicargli ufficialmente il t e s t a m e n t o del m o r t o , Luigi spalancò u n a p o r t a e, addit a n d o il nipote Filippo che dietro di essa aspettava, esclamò: «Signori, ecco il Re di Spagna!» La risposta o r m a i e r a agli eserciti. N o n s e g u i r e m o le sorti di q u e s t o conflitto, c h e d u r ò un'altra diecina d'anni. Basterà un r a p i d o riassunto. La fort u n a d a p p r i n c i p i o aiutò la Francia. U n a caduta da cavallo la liberò dal suo p i ù irriducibile n e m i c o , il re G u g l i e l m o IH d ' I n g h i l t e r r a ; e l'Olanda, attaccata di sorpresa, piegò la testa. R i m a n e v a l'Austria, ma e r a l o n t a n a e p e r di p i ù presa tra d u e fronti: quello balcanico e t e r n a m e n t e minacciato dai T u r c h i , e quello settentrionale su cui t o r n a v a a profilarsi il p e r i c o l o della Svezia, c o m ' e r a a c c a d u t o nella g u e r r a dei Trent'anni. 362
Q u e s t o consentì a Luigi di r i p o r t a r e alcuni facili successi, che r i d i e d e r o ossigeno alle sue ambizioni e g e m o n i c h e . N o n si c o n t e n t ò d'istallare Filippo sul t r o n o di M a d r i d . C o n t r a riamente agl'impegni che aveva preso, lo dichiarò qualificato a succedergli a n c h e su quello di .Parigi: il che avrebbe fatto della S p a g n a e del suo i m p e r o u n ' a p p e n d i c e della Francia, e di questa u n a p o t e n z a irresistibile. A q u e s t o p u n t o la coalizione avversaria p a s s ò risolutam e n t e alla controffensiva. E a guidarla furono d u e condottieri di altissimo r a n g o : J o h n Churchill, ed E u g e n i o di Savoia. Churchill, a n t e n a t o di Winston, era u n a geniale canaglia, che doveva la sua c a r r i e r a s o p r a t t u t t o alla bellissima moglie, Sara. N o n l'aveva sposata p e r f r e d d o calcolo. L'amava a p p a s s i o n a t a m e n t e , seguitò ad a m a r l a p e r tutta la vita, le fu s e m p r e fedele, ma s e p p e a n c h e s e r v i r s e n e sfrutt a n d o al meglio la sua amicizia con la R e g i n a A n n a , la cog n a t a di G u g l i e l m o , cui e r a s u c c e d u t a sul t r o n o . Fu così, «per r a c c o m a n d a z i o n e » , c h e si g u a d a g n ò il titolo di Duca di M a r l b o r o u g h e i galloni di Generalissimo. Ma se ne m o strò p i ù che d e g n o infliggendo ai francesi d u e m e m o r a b i l i batoste, a B l e n h e i m e a Ramillies. P u ò i n d u r r e a q u a l c h e a m a r a riflessione il fatto che q u e s t ' u o m o g i u n t o ai p i ù alti fastigi p e r intrigo, p e r intrigo c a d d e d o p o aver d i m o s t r a t o che se li m e r i t a v a . Lo p r e m i a r o n o delle sue vittorie m e t t e n d o l o sotto inchiesta p e r m a l v e r s a z i o n e e o b b l i g a n d o l o all'esilio p e r evitare la galera. Solo p i ù t a r d i fu riabilitato e potè r i m p a t r i a r e . L'altro g r a n d e condottiero fu E u g e n i o di Savoia, italiano d'origine, ma a p o l i d e di vocazione. E r a infatti figlio di un Savoia di r a m o c a d e t t o e di O l i m p i a M a n c i n i , n i p o t e del Mazarino. Aveva offèrto i suoi servigi di soldato al Re Sole che li aveva s p r e z z a n t e m e n t e rifiutati. E allora si era a r r u o lato negli eserciti di L e o p o l d o d'Asburgo. N o n s a p e n d o più g l i stesso c o m e considerarsi, si firmava, con un miscuglio d'italiano, tedesco, francese, Eugenio von Savoy. In realtà la u a patria e r a la caserma, e la servì m i r a b i l m e n t e . A ventie
s
363
q u a t t r ' a n n i e r a già Maresciallo d e l l ' I m p e r o . E nel 1697, aveva inflitto ai T u r c h i u n a tale disfatta che, con la pace di Carlowitz, l'Austria fu liberata p e r s e m p r e dalla loro m i n a c eia. Questi d u e u o m i n i , o l t r e t u t t o legati d a p r o f o n d a amicizia, rovesciarono le sorti della g u e r r a . I loro eserciti irromp e v a n o in M a d r i d , cacciandone Filippo e istallandovi Carlo d'Asburgo. Ridotto allo s t r e m o , il t r a c o t a n t e Re Sole si disponeva alla resa, q u a n d o il vento della fortuna n u o v a m e n te cambiò. In I n g h i l t e r r a un g o v e r n o conservatore e pacifrsta p r e s e il posto di quello liberale e g u e r r a f o n d a i o provoc a n d o , c o m e a b b i a m o d e t t o , la disgrazia di L a d y Churchill e di suo marito. Gli u n g h e r e s i , liberati dalla minaccia turca, i n s o r s e r o c o n t r o l'Austria c o s t r i n g e n d o il g r a n d e E u g e n i o ad accorrervi. E infine gli spagnoli sorsero in a r m i . Essi aver v a n o accolto Filippo senza e n t u s i a s m o . Ma v e d e n d o l o cao ciato da un esercito straniero, il loro orgoglio reagì e li spin>|-. se alla rivolta. Nel 1710, b e n guidati da un generale francese, il V e n d ò m e , scacciarono a loro volta l ' u s u r p a t o r e Cai lo.. Il Re Sole, reso ragionevole dalla vecchiaia e dagli acciac*' chi, capì tuttavia che n o n e r a il caso di spingere t r o p p o oìtréi le cose: la Francia e r a spossata e in p r e d a a u n a grave c J isi economica. Doveva contentarsi di u n a pace a b u o n e condii* zioni. E q u e s t a p a c e fu saldata coi t r a t t a t i di U t r e c h t dei; 1713 e di R a s t a d t d e l 1714. i Fra le t a n t e c h e si p o s s o n o a n c h e d i m e n t i c a r e , questa è-, u n a data da r i c o r d a r e , specie p e r noi italiani. Per un secol^-, e mezzo l'atto costitutivo del n o s t r o Paese era rimasto quello stabilito dal trattato di Cateau-Cambrésis del 1559, che prà^J t i c a m e n t e aveva fatto dell'Italia u n a colonia spagnola. Orf', sopravveniva quello di U t r e c h t che p e r un secolo e mezz% avrebbe fatto dell'Italia u n a colonia austriaca. Il destino defc„ la penisola cambiava cavallo. L'unica cosa che n o n cambiavi e r a la sua qualifica di colonia. 1
CAPITOLO SECONDO
UTRECHT
U t r e c h t 1713 e R a s t a d t 1714: d u e d a t e , dicevamo, i m p o r tanti. I relativi trattati r a p p r e s e n t a n o infatti l'atto costitutivo della n u o v a Italia nel q u a d r o della n u o v a E u r o p a . Vediamo d u n q u e di ricapitolarne un po' più c h i a r a m e n t e i risultati. Primo fatto di f o n d a m e n t a l e i m p o r t a n z a , che tocca dirett a m e n t e il nostro Paese: il cambio della guardia, sul t r o n o di M a d r i d , fra Asburgo e B o r b o n e . N o n dimentichiamoci che l ' E u r o p a del S e t t e c e n t o è a n c o r a u n ' E u r o p a p r e v a l e n t e m e n t e «dinastica», cioè u n ' E u r o p a in cui l'interesse delle dinastie r e g n a n t i prevale su quelli nazionali. Non è più così in O l a n d a , d o v e in s e g u i t o alla r i v o l u z i o n e d e m o c r a t i c a del calvinismo il p o t e r e è scivolato nelle m a n i del Parlamento, cioè d e i r a p p r e s e n t a n t i del p o p o l o . N o n è p i ù completam e n t e così in Inghilterra, dove la combattiva m i n o r a n z a puritana, anche se n o n è riuscita a istaurare p e r m a n e n t e m e n te la repubblica, limita il p o t e r e della m o n a r c h i a e la sta avv i a n d o verso u n a forma «costituzionale» che al Parlamento la s u b o r d i n a . Ma è così nei t r e g r a n d i Paesi cattolici - Austria, Francia, S p a g n a - di cui l'Italia n o n è che u n a dipend e n z a . Re n o n «per volontà della nazione», ma «per grazia di Dio», Asburgo e B o r b o n e si r i t e n g o n o i legittimi e assoluti p r o p r i e t a r i dei loro Reami. Li considerano un b e n e di famiglia, di u n a famiglia il cui b e n e è molto più i m p o r t a n t e di quello del popolo. E in base a questa concezione che si comb a t t o n o le g u e r r e , si n e g o z i a n o le paci, si sconvolgono e si ristabiliscono gli equilibri. La p a r t i t a fra loro s'era saldata, c o m e a b b i a m o visto, m d u e tempi. A U t r e c h t le d u e Potenze borboniche - Francia e 366
Spagna - si misero d'accordo con Inghilterra, O l a n d a , Prussia, Portogallo e Savoia che formavano la coalizione avversaria. Ma m a n c a v a il m a g g i o r e interessato: gli Asburgo d'Austria, r a p p r e s e n t a t i da Carlo VI, quello che aveva cercato di coronarsi Re di S p a g n a e che frattanto era diventato I m p e r a t o r e p e r la m o r t e del p a d r e L e o p o l d o e del fratello Giuseppe. Costui t e n t ò di p r o s e g u i r e la g u e r r a p e r conto suo. Ma d o p o un a n n o dovette piegarsi alle condizioni concordate a Utrecht. E a n c h e lui firmò la pace, a Rastadt. O r a ved i a m o cosa g u a d a g n a r o n o e cosa p e r s e r o i principali contraenti, e q u i n d i a quale n u o v o equilibrio di forze d i e d e r o avvio. Per la Francia, a riprova di q u a n t o dicevamo, d o b b i a m o distinguere fra Paese e dinastia. La dinastia fece un grosso affare p e r c h é piazzò u n o dei suoi principi B o r b o n e , Filippo V, sul t r o n o di S p a g n a , a n c h e se s'impegnava, p e r allora e p e r s e m p r e , a n o n r i u n i r e le d u e C o r o n e sulla testa dello stesso Re. Q u a n t o al Paese, è un altro discorso. Per il fatto di non avere p e r d u t o n e a n c h e un p a l m o del suo territorio m e tropolitano, d o p o essere stato sull'orlo del collasso, p o t r e b be s e m b r a r e ch'esso se la fosse cavata abbastanza b e n e . Però le sue forze navali uscivano dal conflitto decimate e scompaginate, e p e r di più doveva c e d e r e all'Inghilterra T e r r a n o v a e i possedimenti canadesi dell'Acadia, cioè della N u o v a Scozia e d e l N u o v o Brunswick, le sue teste di p o n t e in N o r d America. L a Francia restava u n a g r a n d e p o t e n z a t e r r e s t r e , ma veniva cancellata c o m e p o t e n z a m a r i t t i m a e i m p e r o transoceanico. Agl'interessi della dinastia, che si e r a arricchita del t r o n o s p a g n o l o , il Re Sole aveva sacrificato quelli della Nazione. Lo stesso va detto della Spagna. La partita s'era chiusa a vantaggio del B o r b o n e - Filippo V - c h e aveva c o n s e r v a t o la c o r o n a lasciatagli da Carlo IL Ma a q u a l e p r e z z o , p e r il Paese! Esso m a n t e n e v a il suo i m m e n s o i m p e r o latino-americano, ma doveva a b b a n d o n a r e tutti i suoi vecchi possedimenti europei, che n o n erano roba da poco: le Fiandre 367
( p r e s s a p p o c o l'attuale Belgio), il D u c a t o di Milano, la Sard e g n a , Napoli, lo Stato dei Presidi (Orbetello e dintorni) e Sicilia: u n p a t r i m o n i o d i cui d i r e m o d o p o l a r i p a r t i z i o n e . Ma la p e r d i t a più grave n o n era questa. E r a n o i mari, a cominciare dal M e d i t e r r a n e o . Doveva c e d e r e infatti Gibilterra e Minorca all'Inghilterra che così nel M e d i t e r r a n e o s'istallava da p a d r o n a . N o n solo. Ma all'Inghilterra dovette cedere a n c h e il cosiddetto asiento, cioè p r a t i c a m e n t e il controllo sulla tratta dei n e g r i , c h ' e r a il p i ù redditizio affare dell'epoca. D'allora in poi le sue comunicazioni col Sud-America furono alla m e r c é della flotta britannica. E fu s o p r a t t u t t o questa situazione a fare della Spagna, m a l g r a d o la vastità e ricchez, za del suo i m p e r o transoceanico, u n a p o t e n z a di second'ordine. , Per l'Austria il discorso va rovesciato. La dinastia Asburgo aveva p e r s o la posta principale: la corona di Spagna. Malo Stato austriaco aveva fatto un affare. Gli e r a n o stati assegnati, c o m e i n d e n n i z z o della rinuncia asburgica al t r o n o di Spagna: le F i a n d r e , il Ducato di Milano, il R e g n o di Napoli; la S a r d e g n a e lo Stato dei Presidi. % Ed eccoci d u n q u e all'Italia, c h e così v e d e v a sovvertito tutto il suo assetto. Dei sonnecchianti staterelli in cui era disvisa, u n o solo aveva attivamente partecipato al sobbollimene to della g u e r r a di successione: il P i e m o n t e . Il suo litolarei Vittorio A m e d e o I I , s'era gettato in quel conflitto soprattute to p e r un'ambizione di r a n g o : da Duca qual era (di Savoia^, voleva d i v e n t a r e Re. E a U t r e c h t c'era riuscito. C o m e pref m i o del s u o c o n t r i b u t o , gli a v e v a n o r i c o n o s c i u t o , - in ag* g i u n t a ai suoi vecchi titoli di D u c a di Savoia e Principe di P i e m o n t e - quello di Re di Sicilia. Q u e s t o e r a il p i ù impor* t a n t e dei suoi g u a d a g n i , in u n ' e p o c a in cui il r a n g o era, perle dinastie, la p r i n c i p a l e p r e o c c u p a z i o n e . Ma n o n il solo..! Savoia avevano a n c h e a r r o t o n d a t o i loro possedimenti piefc montesi con l'acquisto di Casale, rimasta fin allora in man® francese; e di Alessandria, Valenza e alcune zone del M o n ferrato c e d u t e dall'Austria. 368
T u t t o il r e s t o della penisola restava c o m ' e r a , cioè c o m e dice la cartina geografica qui r i p r o d o t t a a p a g . 388. La Repubblica di Venezia, oltre i suoi possedimenti istriani e dalmati sull'altra s p o n d a adriatica, m a n t i e n e il suo e n t r o t e r r a che ingloba tutto il Veneto, il Friuli e u n a bella fetta di L o m bardia fino a B e r g a m o , r i d u c é n d o all'osso il Ducato di Milano, che p e r ò dal 1707 ha assorbito quello di Mantova. I Farnese restano signori di P a r m a e Piacenza. La Repubblica di G e n o v a m a n t i e n e le sue strisce di Riviera di P o n e n t e e di Levante. Il Ducato di M o d e n a resta p a t r i m o n i o degli Este. Lucca m a n t i e n e l a p r o p r i a i n d i p e n d e n z a sotto r e g i m e r e pubblicano. I Medici conservano il loro t r o n o di G r a n d u c h i di Toscana. Lo Stato della Chiesa r i m a n e n e i suoi vecchi confini. Napoli e la S a r d e g n a , lo abbiamo detto, e n t r a n o nel patrimonio asburgico, m e n t r e la Sicilia è passata ai Savoia. Su questa situazione p e s a n o a l c u n e incertezze. Le d i n a stie Medici e F a r n e s e s o n o m i n a c c i a t e di e s t i n z i o n e p e r m a n c a n z a di successori. C h i ne sarà l ' e r e d e ? L'inchiostro n o n si è a n c o r a seccato sui trattati di U t r e c h t e di R a s t a d t che già le diplomazie e u r o p e e sono al lavoro p e r risolvere la spinosa q u e s t i o n e . N e p a r l e r e m o p i ù t a r d i . Per o r a affrettiamoci alla conclusione. L'Italia ha trovato un n u o v o p a d r o n e . Essa n o n è più che u n ' a p p e n d i c e dell'Austria, che n o n solo vi d o m i n a t e r r i t o rialmente, ma ne condiziona l'equilibrio. Però con u n a forza indigena deve fare i conti: il Piemonte. N e a n c h e o r a che è d i v e n t a t o ( p r o v v i s o r i a m e n t e ) Re di Sicilia, il Savoia ha mezzi e s t a t u r a p e r c o n t r a p p o r s i al colosso Asburgo. Ma la sua diplomazia lo tiene agganciato all'Europa, che lo considera un e l e m e n t o attivo del p r o p r i o equilibrio e che gli ha affidato p r o p r i o la m a n s i o n e di fare da c o n t r a p p e s o all'Austria. Ecco il vero g r a n d e successo dei Savoia. I loro Stati e i loro mezzi sono poca cosa. La Sicilia gli ha fornito u n a corona di Re, ma n i e n t e a l t r o : gli costa p i ù di q u a n t o n o n gli renda. Però sono inseriti nel giuoco internazionale, e ne sono protagonisti attivi. 369
Q u e s t o sistema è o p e r a dell'Inghilterra, la vera trionfatrice di U t r e c h t . Essa ha r a g g i u n t o tutti i suoi obbiettivi. Quello f o n d a m e n t a l e n o n e r a di d a r e la vittoria a l l ' u n o o all'altro c o n t e n d e n t e , ma d ' i m p e d i r l a a e n t r a m b i . E stata alleata degli A s b u r g o q u a n d o i B o r b o n e m i n a c c i a v a n o di spazzarli via. Ma q u a n d o ha visto che a c o r r e r e questo rischio e r a n o i B o r b o n e , si è affrettata a far la pace. Essa ha o r m a i scelto la sua linea politica c h e r i m a r r à invariata p e r d u e secoli, cioè fino alla s e c o n d a g u e r r a m o n d i a l e , e c h e si r i a s s u m e nella formula baiarne of powers, equilibrio delle potenze. Applicata a l l ' E u r o p a di allora, questa formula significava equivalenza di forze fra i d u e g r a n d i blocchi continentali: quello b o r b o nico e quello asburgico. Infatti a p o r fine al conflitto l'hanno spinta soprattutto d u e cose: il fatto che il Re di Francia Luigi XIV, il p r e p o t e n t e Re Sole, si è f o r m a l m e n t e i m p e g n a t o a t e n e r e p e r s e m p r e s e p a r a t e l e d u e C o r o n e , quella d i Francia e quella di S p a g n a ; e il fatto che l'aspirante Asburgo ai t r o n o di M a d r i d , Carlo, in seguito alla m o r t e del suo frateL 10 m a g g i o r e , ha e r e d i t a t o insieme al titolo d ' I m p e r a t o r e il t r o n o d'Austria e, se fosse riuscito ad a c c a p a r r a r s i a n c h e quello di Spagna, sarebbe diventato il p a d r o n e di un'Euro* pa che l'Inghilterra vuole senza p a d r o n i . Ecco p e r c h é Lonf d r a ha detto: basta. Meglio d u e sovrani borbonici a Parigi e a M a d r i d che un solo Asburgo a M a d r i d e a Vienna. Ma la diplomazia britannica n o n si c o n t e n t a di questo ri? sultato. Fra i d u e blocchi così rimessi in equilibrio tra loro in m o d o c h e si n e u t r a l i z z i n o a vicenda, essa i n t e r p o n e e po* tenzia u n a sfilza di piccoli Stati satelliti, che da questo mom e n t o d i v e n t a n o i suoi p r o t e t t i . A n z i t u t t o l ' O l a n d a p e r s b a r r a r e il passo n e l n o r d - E u r o p a a l l ' e s p a n s i o n i s m o dell'Austria, istallata nel Belgio. Poi la Prussia e la Baviera per .; t e n e r e in scacco l'Asburgo e r e n d e r e s e m p r e m e n o effettivo 11 suo titolo d ' I m p e r a t o r e di G e r m a n i a . E in Italia il Piem o n t e a fare da i n t e r c a p e d i n e fra Austria e Francia. Di q u e s t o equilibrio, l ' I n g h i l t e r r a si fa la p a t r o n a e ga* • r a n t e . Essa n o n ha cercato di annettersi n e a n c h e un p a l m o ' r
w
370
di terra, sul continente. Il p r e m i o alla sua vittoria l'ha cercato altrove. Si è accaparrata Gibilterra e Minorca: d u e piccole cose, ma che le d a n n o il controllo del M e d i t e r r a n e o , dove d'ora in poi la sua flotta la farà da p a d r o n a . Si è fatta conseg n a r e la Baia di H u d s o n , T e r r a n o v a e l'Acadia dalla Francia, che forse n o n si è accorta di avere con queste cessioni rinunziato al C a n a d a , o a n c h e se se n'è accorta n o n vi ha d a t o peso p e r c h é a n c h e il C a n a d a Parigi lo c o n s i d e r a v a «pochi a r p e n t i di neve», c o m e diceva Voltaire. T u t t e briciole, insomma. E briciola sembrava a n c h e il m o n o p o l i o dell'asiento s t r a p p a t o alla S p a g n a e il vascello dì permesso, cioè il diritto d'inviare u n a volta all'anno u n a nave a v e n d e r e il suo carico nei Paesi s p a g n o l i del Sud-America. Solo p i ù t a r d i la Spagna si rese conto che Vasiento costituiva la più grossa fonte di ricchezza dei commerci marittimi internazionali e che il vascello di permesso era un grimaldello destinato a far saltare labarriera protezionistica in cui la S p a g n a si sforzava di chiud e r e i l suo i m p e r o l a t i n o - a m e r i c a n o p e r f a r n e l a p r o p r i a esclusiva «riserva» e c o n o m i c a . Così l ' I n g h i l t e r r a , con tre o quattro clausole del trattato di U t r e c h t che s e m b r a n o di secondaria i m p o r t a n z a , è diventata insieme, o si sta avviando a diventare, l'arbitra d e l l ' E u r o p a e la incontrastata p a d r o n a delle vie di c o m u n i c a z i o n e tra il vecchio e il n u o v o m o n d o americano, dove n e s s u n o p u ò p i ù farle concorrenza. Il p e r c h é di tanto successo è abbastanza facile da capire. E si p u ò r i a s s u m e r e così: di tutte le p o t e n z e e u r o p e e , salvo l ' O l a n d a , l ' I n g h i l t e r r a è l'unica c h e agisce in base ai suoi interessi nazionali, invece che a quelli dinastici. Il Re Sole ha messo a s o q q u a d r o il C o n t i n e n t e n o n p e r la Francia, ma p e r p r o c u r a r e altri t r o n i alla sua famiglia, i B o r b o n e . Gli Asburgo h a n n o fatto altrettanto. I Savoia n o n h a n n o avuto di m i r a c h e la c o r o n a r e a l e . Fra p o c o v e d r e m o la S p a g n a lanciarsi allo sbaraglio p e r p r o c u r a r e R e a m i e Ducati ai figli della sua r e g i n a F a r n e s e . Q u e l l a c h e p e r s e g u o n o t u t t e queste teste c o r o n a t e è u n a politica di p u r o i n g r a n d i m e n t o dinastico. 371
L'Inghilterra, n o . Anch'essa ha un Re o u n a Regina. Ma ha a n c h e un P a r l a m e n t o che n o n gli consente di sovrapporre l'interesse della dinastia a quello del Paese. Ecco p e r c h é , invece che il prestigio, essa p e r s e g u e vantaggi concreti. La g u e r r a la fa il c i t t a d i n o , c h e la p a g a di tasca sua e col suo sangue. E questi sacrifici n o n è disposto a farli p e r regalare al suo Re un t r o n o o un titolo. Il cittadino vuole Gibilterra p e r c h é G i b i l t e r r a è il M e d i t e r r a n e o coi suoi noli e i suoi m e r c a t i . Vuole Vasiento, p e r c h é Yasiento è il m o n o p o l i o del traffico più redditizio. Vuole il C a n a d a p e r c h é il C a n a d a è il g r a n o , il l e g n a m e e le pellicce. Vuole il vascello di permesso p e r c h é c o n quello a p r e alla p r o p r i a e s p o r t a z i o n e il conti* n e n t e sud-americano. E soprattutto vuole la p a d r o n a n z a in* c o n t r a s t a t a sui m a r i p e r c h é i m a r i sono, p e r lui isolano, la sicurezza e la ricchezza. Di troni e di titoli p e r i suoi Re, s'im fischia. E questa p r e m i n e n z a del pubblico interesse sull'interesse dinastico che r e n d e così prosaica, ma a n c h e così efficiente^ la politica inglese. Essa n o n c o r r e dietro ai p e n n a c c h i della grandezza. Va al sodo. Le g u e r r e n o n si fanno p e r la gloriai' Si fanno p e r la p r o s p e r i t à , di cui la p o t e n z a militare è solo u n o s t r u m e n t o . La g u e r r a di successione spagnola è costata ' parecchio d e n a r o , che ha obbligato la Tesoreria a c o n t r a r r e i parecchi debiti coi cittadini. Costoro r e c l a m a n o il rimborso*,' Il g o v e r n o li a p p a g a facendoli azionisti di u n a Compagnia dd\ Mari del Sud, cui c o n c e d e il m o n o p o l i o del c o m m e r c i o col continente latino-americano. L'Asburgo vuole a g g i u n g e r e il' Belgio ai gioielli della sua c o r o n a ? Se lo p r e n d a . Ma cori., l ' i m p e g n o che resti spalancato alle flotte e all'esportazioni* britanniche. 4' La p r e p o n d e r a n z a inglese sull'Europa è il frutto di queS? sta s u p e r i o r e saggezza che n o n si esaurisce soltanto nel fatti?'"* militare e d i p l o m a t i c o . Diventa a n c h e lezione ed e s e m p i ^ morale. Piano p i a n o le m e n t i più avvertite del continente r e n d o n o c o n t o c h e il successo d e l l ' I n g h i l t e r r a è dovutoi'ra u n a concezione dello Stato che contraddice in p i e n o a
quelli
372
la delle m o n a r c h i e p e r diritto divino che affliggono l'Europa, e si m e t t o n o alla sua scuola. A g a r a n t i r e e rafforzare il suo p r i m a t o , d ' o r a in poi, n o n sono più soltanto l'invincibile flotta, l a g r a n d e b a n c a , l a g r a n d e i n d u s t r i a c h e d a q u e s t o m o m e n t o p r e n d e l'aìre, ma a n c h e il m o d e l l o di organizzazione politica m o d e r n a ch'essa offre a l l ' a n t i q u a t a E u r o p a degli assolutismi, affrettandone la crisi.
CAPITOLO TERZO
ALBERONI
P a r l a n d o della g u e r r a di successione, ci è già c a p i t a t o di m e n z i o n a r e il V e n d ò m e , il g r a n d e g e n e r a l e francese, che aveva o r g a n i z z a t o e g u i d a t o gli s p a g n o l i in rivolta c o n t r o Carlo d'Asburgo Nel suo seguito, q u a n d o arrivò a M a d r i d p e r r i p o r t a r v i sul t r o n o Filippo V, c'era un piccolo prelato italiano d e s t i n a t o a un g r a n d e avvenire n o n soltanto sulla scena spagnola, ma su quella e u r o p e a . Si c h i a m a v a Giulio Alberoni. Era figlio d ' u n o r t o l a n o di Piacenza che, oltre ai cavoli, doveva coltivare a n c h e parecchie ambizioni p e r c h é m a n d ò il ragazzo a studiare, chissà con quali sacrifici, in un signorile collegio di gesuiti. Giulio se ne m o s t r ò d e g n o n o n solo nelle pagelle, ma a n c h e nella scelta della carriera: quella ecclesiastica, l'unica, in quei t e m p i di caste chiuse, che apriva prospettive a n c h e ai giovani di umili origini. ^occasione di m e t t e r e in luce i suoi talenti diplomatici gli si p r e s e n t ò al principio della g u e r r a di successione spagnola, q u a n d o il V e n d ò m e calò in Italia alla testa d ' u n esercito francese. Il Farnese, Duca di Parma, ebbe bisogno di trattare con lui, e ne affidò il c o m p i t o al Vescovo di B o r g o San D o n n i n o che si p o r t ò dietro, come aiutante, l'Alberoni. Einc o n t r o fra il generale francese che, sebbene Duca anche lui, era un rozzo soldataccio, e gli emissari p a r m e n s i , lo racconta Saint-Simon, dalle cui Memorie lo trascriviamo p a r i pari: «... il Vescovo di Parma si trovò assai sorpreso d'essere ricevuto dal generalissimo m e n t r e stava sul vaso e più ancora dal vederlo alzarsene a m e t à della intervista e pulirsi il culo davanti a lui. Ne fu così i n d i g n a t o che, p u r senza protesta374
re, se ne t o r n ò a P a r m a lasciando a mezzo la sua missione e dichiarò al Duca che, d o p o q u a n t o gli era capitato, n o n int e n d e v a r i p r e n d e r l a . Sul p o s t o e r a r i m a s t o Alberoni... I l Duca p e n s ò che il vaso del signor di V e n d ò m e n o n meritasse meglio di un tale ambasciatore, e lo incaricò di c o n d u r r e a fine le trattative che il Vescovo aveva interrotte. Alberoni, che n o n aveva ragioni di m o s t r a r e la sua fierezza, e che sapeva benissimo che tipo e r a V e n d ò m e , decise di piacergli a q u a l u n q u e costo p e r assolver b e n e il compito che gli era stato affidato, e così salire a n c o r a di p i ù in grazia del suo pad r o n e . F u d u n q u e i n t r o d o t t o dal signor d i V e n d ò m e m e n tre sedeva sul suo solito vaso, e s e p p e r a l l e g r a r e la conferenza con scherzi e pagliacciate e oscenità che e b b e r o tanto m a g g i o r successo in q u a n t o e r a n o state p r e c e d u t e da ogni sorta di lodi e c o m p l i m e n t i . A un bel m o m e n t o V e n d ò m e fece davanti a lui quello che aveva fatto davanti al Vescovo: si alzò e si pulì il culo. A quella vista Alberoni esclamò: " O h culo d'angelo!", e corse a baciarglielo». Saint-Simon n o n amava Alberoni, e p u ò darsi che in questa descrizione abbia un p o ' calcato la m a n o . Ma il guaio è che il p e r s o n a g g i o r e n d e la scena del tutto credibile. Un p o ' lusingato nella sua volgare tracotanza, un po' p e r s u a s o che un u o m o capace di tali gesti incarnasse l'ideale del diplomatico, il V e n d ò m e assunse l'Alberoni al suo servizio e in breve n o n s e p p e p i ù fare a m e n o di lui. L'Alberoni lo p r e s e - e non in senso figurato - p e r la gola. S'era accorto che la gola, p e r il g e n e r a l e , c o n t a v a m o l t o , e gliela soddisfece di t u t t o p u n t o , a m m a n n e n d o g l i i piatti c h e più g r a d i v a e altri inv e n t a n d o n e di testa sua: z u p p e al formaggio, complicate salse, dolci annaffiati al liquore. «Al p u n t o - dice Saint-Simon - che il V e n d ò m e , t r o v a n d o l o s e m p r e p i ù di suo g u s t o e c o n t i n u a n d o a confidarsi di tutto con lui, lo introdusse comp l e t a m e n t e nella sua i n t i m a c o m p a g n i a assai più c o m e un amico e consigliere che come un domestico; e presto a n c h e i pezzi p i ù grossi dell'esercito s ' a b i t u a r o n o a far la corte all'Alberoni.» 375
Così l ' i n t r a p r e n d e n t e abatino arrivò a M a d r i d , e s e m p r e all'ombra del suo p a d r o n e s'istallò a Corte. C o n la prontezza che lo distingueva, fece presto a capire la situazione, e soprattutto il carattere di Re Filippo. Q u e s t o giovanottello «scarso di difetti come di virtù» era un sensuale bigotto d o m i n a t o da d u e sole passioni: la femmina e l'inginocchiatoio. N o n tradiva la moglie per p a u r a dell'inferno, ma la spossava. Q u e s t a moglie, Maria Luisa di Savoia, c r e a t u r a di carattere dolce e docile, p r o b a b i l m e n t e avrebbe preferito un marito infedele. Q u e l surmenage coniugale la svuotava di energie e contribuiva a farla succuba della camarera major, o dama di compagnia, che si era p o r t a t a dall'Italia: la principessa Orsini, d o n n a astuta e volitiva, che a C o r t e contava più della stessa coppia reale, a n c h e p e r c h é c o r r i s p o n d e v a dirett a m e n t e col n o n n o e p r o t e t t o r e di Filippo, Luigi XIV, di cui e r a la fiduciaria. L'Alberoni n o n p e r s e t e m p o a c o n q u i s t a r s e l a . Sicché q u a n d o il V e n d ò m e m o r ì , fulminato dal colesterolo che gli aveva p r o c u r a t o il suo diletto cuoco, questi aveva già il protettore di ricambio. Subito d o p o morì a n c h e Maria Luisa. E fu allora che l'alleanza fra i d u e m a n e g g i o n i italiani diventò operativa. E n t r a m b i s a p e v a n o che Filippo n o n e r a tipo d a consolarsi della vedovanza con avventure d'alcova, anche se la discendenza era già assicurata. Bisognava d u n q u e procurargli u n ' a l t r a moglie che stesse al loro giuoco. E chi, meglio di un'italiana, faceva al caso? La scelta c a d d e su Elisabetta Farnese. E ci vuol p o c o a c a p i r e che fu l'Alberoni, suddito dei Farnese e ad essi t u t t o r a legatissimo, a suggerirla. Descrisse Elisabetta c o m e «una b u o n a l o m b a r d a impastata di b u t i r r o e di formaggio». E p e r l'Orsini quella era la miglior referenza: essa voleva soltanto u n ' a l t r a Maria Luisa da dominare. Bisognava convincere il Re. Ma a quello p r o v v i d e Alber o n i f a c e n d o valere a n z i t u t t o le r a g i o n i d i n a s t i c h e . Unica nipote di Antonio Farnese, Elisabetta era l'erede del Ducato di Parma. E il Ducato di P a r m a poteva diventare la testa di 376
p o n t e p e r la riconquista dei vecchi possedimenti spagnoli in Italia. Ma poi, a g g i u n g e v a Alberoni, c'erano le qualità p e r sonali della Principessa: b u t i r r o e formaggio di g i o r n o , ma di notte... Eccitato da questi discorsi, Filippo rispettò a stento i sei mesi di lutto. Elisabetta, sposata p e r p r o c u r a , giunse in S p a g n a . E l'impaziente sposò le m a n d ò i n c o n t r o a Pamp l o n a l'Alberoni, artefice del m a t r i m o n i o . Cosa si dissero, n o n si sa. Ma il fatto è che l'indomani del suo arrivo, la n u o va regina m a n d ò a c h i a m a r e la camarera mayor. Questa corse da lei, convinta di riceverne i ringraziamenti p e r la collaborazione prestata al m a t r i m o n i o , e invece trovò d u e g u a r d i e che l ' a c c o m p a g n a r o n o a u n a carrozza già p r o n t a p e r condurla al confine. Alberoni n o n doveva più dividere con nessuno la fiducia della Regina e l'ascendente su di lei. Elisabetta n o n era u n a p a d r o n a facile da servire. Lo stesso Alberoni la definiva «scaltra c o m e u n a zingara e consumata nelle più fini arti del regnare». Ma queste arti si riducevano poi a u n a sola: t e n e r e sotto la sua pantofola il Re, e fu Alberoni a insegnargliene il m o d o : «Far a p p a r i r e tale attaccamento p e r lui, da n o n p o t e r n e r i m a n e r e un solo istante divisa senza patir svenimento». Docilissima di notte a quel marito s e m p r e avido di amplessi, Elisabetta si p r e n d e v a le sue rivincite di g i o r n o coi suoi capricci, le sue ostinazioni, i suoi eccessi. Costringeva i cortigiani a cavalcate e cacce spossanti, ne metteva a d u r a p r o v a i succhi gastrici con banchetti pantagruelici, trattava i ministri c o m e lacchè. L'unico che riusciva a tenerla a b a d a era quel prelato italiano, che le faceva insieme da «balia, confidente, s e g r e t a r i o , cuoco e padre». Duttile e soave, s e m p r e p r o n t o a r i s p o n d e r e all'insulto con u n a b a t t u t a a d u l a t o r i a o scherzosa, l'Alberoni la secondava nelle piccole cose p e r g a r a n t i r s e n e la complicità in quelle g r a n d i . C o m e aveva fatto col V e n d ò m e , sfruttava soprattutto la sua ingordigia. Nelle c r o n a c h e del t e m p o si legge di un frenetico rincorrersi di valige diplomatiche da Parma a M a d r i d . Quelle valige e r a n o p i e n e n o n di d o c u m e n t i , ma di specialità p a r m i g i a n e (formaggi, culatelli, passate al377
l'uovo) di cui l'Alberoni curava con le p r o p r i e m a n i il trattam e n t o in cucina. Solo a s t o m a c o p i e n o , la vorace s o v r a n a d i v e n t a v a ragionevole. E l'accorto p r e l a t o ne approfittava p e r attrarla nei suoi disegni politici e farli avallare dal Re. N o n ci voleva m o l t o del resto, p e r c h é sul p u n t o fondam e n t a l e c o n c o r d a v a n o : sebbene l'una Regina, l'altro p r i m o ministro di Spagna, quei d u e italiani seguitavano a p e n s a r e soltanto all'Italia, e a pensarci da p a r m e n s i , cioè in funzione degl'interessi Farnese. Il p r i m o t r a g u a r d o era assicurare la successione dinastica del Ducato. Elisabetta aveva avuto d u e figli, Carlo e Filippo, che n o n p o t e v a n o aspirare al t r o n o di S p a g n a p e r c h é quello aveva già il suo titolare nei rampolli d i p r i m o letto del m a r i t o . Carlo doveva d u n q u e d i v e n t a r e Duca di Parma. Ma come si sarebbe m a n t e n u t o quel Princip a t o in un'Italia o r m a i alla m e r c é degli Asburgo d'Austria? Alcuni storici v e d o n o nell'Alberoni un p r e c u r s o r e del Risorgimento p e r c h é parlava di «liberare l'Italia». Sì, la voleva l i b e r a r e dagli A s b u r g o , m a p e r farne u n a d i p e n d e n z a dei B o r b o n e spagnoli in q u a n t o successori dei Farnese. Questo era il suo p r o g r a m m a . Per realizzarlo, occorrevano d u e cose: ricostruire la p o t e n z a militare della S p a g n a e p r o c u r a r l e degli alleati. La p r i m a i m p r e s a gli riuscì, a l m e n o e n t r o i limiti consentiti dalle arcaiche s t r u t t u r e del Paese: in pochi a n n i a p p r o n t ò un esercito e u n a flotta abbastanza efficienti. Ma sul p i a n o diplomatico, n o n c o n o b b e che insuccessi non o s t a n t e la s p r e g i u d i c a t e z z a delle sue mosse, o forse p r o p r i o p e r questo. I suoi d o p p i giuochi e r a n o così sfacciati che tutti diffidavano di lui, e n e l l i n g u a g g i o delle Cancellerie e u r o p e e veniva c o m u n e m e n t e chiamato «l'avventuriero italiano». Cercò d'isolare l'Austria, inserendosi nell'alleanza anglofranco-olandese, la cosiddetta Triplice. N o n essendoci riuscito, intrallazzò con lo Zar di Russia e col Re di Svezia perché attaccassero gli Asburgo alle spalle. Nello stesso t e m p o trattava coi Turchi p e r c h é r i p r e n d e s s e r o l'offensiva nei Balcani. Ma c o n t e m p o r a n e a m e n t e , siccome aspirava al cappel378
lo di C a r d i n a l e , offriva al P a p a la flotta s p a g n o l a p e r u n a crociata contro di loro. A q u e s t o p u n t o , c o m e spesso capita ai m a n e g g i o n i t r o p po furbi, rimase impigliato nel p r o p r i o giuoco. Il P a p a accettò il b a r a t t o m a n d a n d o g l i il c a p p e l l o c a r d i n a l i z i o , ma c h i e d e n d o g l i in c a m b i o le navi p e r d a r e il colpo di grazia ai T u r c h i , c h e p o c h i mesi p r i m a e r a n o stati sbaragliati da E u g e n i o di Savoia a P e t e r v a r a d i n o . «Quelle bestiazze si fanno b a t t e r e così m a l e a proposito!» aveva esclamato Alb e r o n i , i n d i s p e t t i t o . L a l o r o sconfitta, l i b e r a n d o TAustria dal pericolo più grave, m a n d a v a a m o n t e tutti i suoi piani. Pensò di r i v a l e r s e n e g i u o c a n d o a n c h e il P a p a , visto che il cappello o r m a i lo aveva avuto. E invece di m a n d a r la flotta su C o s t a n t i n o p o l i , la m a n d ò c o n diecimila soldati in Sard e g n a , che le scarse g u a r n i g i o n i a u s t r i a c h e n o n p o t e r o n o difendere. Lì p e r lì p a r v e che il colpo di forza riuscisse. L'Austria, che sul m a r e contava poco, si rivolse p e r aiuto alle Potenze che lo d o m i n a v a n o : I n g h i l t e r r a e O l a n d a . Ma q u e s t e , p r e o c c u p a t e del c r e s c e n t e p e s o degli A s b u r g o d o p o il trionfo d i P e t e r v a r a d i n o , n o n solo n o n i n t e r v e n n e r o , m a a v a n z a r o n o u n a p r o p o s t a d i c o m p r o m e s s o che a n d a v a a tutto vantaggio della Spagna: questa avrebbe d o v u t o a n n e t tersi d i r e t t a m e n t e Napoli e Sicilia, m e n t r e il figlio di Elisabetta avrebbe avuto n o n soltanto Parma, ma anche il G r a n ducato di Toscana, dove la dinastia Medici stava p e r estinguersi. La S a r d e g n a sarebbe a n d a t a ai Savoia p e r c o m p e n sarli della p e r d u t a Sicilia. Sicché agli Asburgo n o n sarebbe rimasto che il Ducato di Milano. S e m b r a impossibile, ma fu p r o p r i o Alberoni a rifiutare questa transazione, che p r a t i c a m e n t e avrebbe rifatto dell'Italia u n a colonia s p a g n o l a . Forse la colpa n o n fu sua, ma della forsennata Elisabetta - la «strega di Spagna», c o m e ormai la chiamavano - che, imbaldanzita dal successo e sobillata dallo zio di P a r m a , voleva la definitiva cacciata degli Asburgo dalla penisola. Ma il C a r d i n a l e e b b e c o m u n q u e il 379
torto di lasciarsene p r e n d e r e la m a n o . Era t r o p p o abituato a strisciare p e r p u n t a r e i piedi. Volente o n o l e n t e , i m p a r t ì alla flotta l'ordine di r i p e t e r e in Sicilia l'operazione già compiuta in Sardegna. Anche lì resistenza ce ne fu poca da parte delle g u a r n i g i o n i piemontesi solo da poco istallate nell'isola. Ma ce ne furono molte di p i ù da p a r t e delle p o t e n z e eur o p e e , allarmate da questo rigurgito di aggressività spagnola. La Triplice, che fino a poco p r i m a le si era mostrata avversa, accettò l'Austria c o m e socia t r a s f o r m a n d o s i in Quadruplice, e regolò la sorte dell'Italia senza consultare la Spagna, r i p i o m b a t a nel suo isolamento. C o n Milano e Napoli, l'Austria avrebbe riavuto a n c h e la Sicilia. Il Re del Piemonte ne s a r e b b e stato i n d e n n i z z a t o con la S a r d e g n a . Q u a n t o ai B o r b o n e , il figlio di Elisabetta avrebbe ereditato, alla morte degli attuali titolari, il Ducato di P a r m a e il G r a n d u c a t o di Toscana. I l R e p i e m o n t e s e , Vittorio A m e d e o , n o n e r a m e n o arm e g g i o n e dell'Alberoni, c o m e si v e d r à nel capitolo che gli d e d i c h e r e m o . Per sottrarsi a quel baratto ne inventò di tutte. P r o p o s e perfino di r i n u n z i a r e , oltre che alla S a r d e g n a , a n c h e al Piemonte, se gli d a v a n o in cambio Napoli e la Sicilia. Ma n o n lo ascoltarono, e dovette a r r e n d e r s i . La Spagna n o n si piegò, e la Q u a d r u p l i c e passò alle vie di fatto. La flotta spagnola fu distrutta da quella inglese a Capo Passero lasciando le t r u p p e sbarcate in Sicilia tagliate fuori dalla mad r e - p a t r i a . L'Alberoni rispose v i e t a n d o agli spagnoli, p e n a la vita, di p r o p a l a r e la notizia e m o n t a n d o a Parigi u n a congiura c o n t r o il Duca d ' O r l é a n s , in quel m o m e n t o sul trono come r e g g e n t e . La c o n g i u r a fu scoperta, e fornì alla Francia il pretesto p e r u n a dichiarazione di g u e r r a alla Spagna non o s t a n t e la c o m u n a n z a della dinastia r e g n a n t e . L'esercito faticosamente ricostruito dall'Alberoni n o n resse. E a fare le spese della disfatta n a t u r a l m e n t e fu lui, il Cardinale. Lo abb a n d o n a r o n o tutti, a n c h e il D u c a di P a r m a , ch'egli aveva s e m p r e trattato come suo legittimo sovrano e ai cui interes380
si aveva sacrificato quelli spagnoli; e a n c h e Elisabetta, eli cui aveva secondato tutti i capricci. E p p u r e questo arrendevole cortigiano, pronto anche a baciare il sedere a un generale, e di cui a L o n d r a dicevano: «Da vero italiano, gli m a n c a il senso dell'onore», s e p p e cad e r e con u n a dignità e anche u n a grinta che nessuno gli sospettava. Cacciato come un servo (il Re e la Regina inventar o n o u n a partita di caccia p e r evitare la visita di c o n g e d o ) , attraversò la S p a g n a d i f e n d e n d o s i con la pistola alla m a n o dai sicari c h e gli a v e v a n o sguinzagliato alle calcagna p e r s o p p r i m e r l o e i m p a d r o n i r s i dei suoi d o c u m e n t i . Riuscì a salvare il più i m p o r t a n t e , l'Epistolario, ma n o n se ne valse contro n e s s u n o dei suoi p e r s e c u t o r i . R i n n e g a t o e insultato da tutti, n o n tentò r a p p r e s a g l i e né si a b b a n d o n ò a p i a g n i stei. Processato, ma poi assolto e riabilitato dalla Chiesa, fece ancora valere i suoi talenti, che n o n e r a n pochi, c o m e governatore della R o m a g n a . E m o r ì senza lasciare né un m e moriale di difesa del p r o p r i o o p e r a t o , né - cosa ancora più strabiliante - un g r a n p a t r i m o n i o : gli unici suoi «profitti di regime» e r a n o u n a bella collezione di q u a d r i .
CAPITOLO QUARTO
CAMBRAI, V I E N N A , A Q U I S G R A N A
Tutte queste vicende trovarono u n a loro (momentanea) c o n c l u s i o n e nel t r a t t a t o dell'Aja, cui seguì il c o n g r e s s o di C a m b r a i del 1722. Ancora u n a volta esso ribadiva, a profitto dell'Inghilterra, il principio dell'equilibrio delle Potenze in E u r o p a . Ma a noi interessa s o p r a t t u t t o l'assetto italiano, di cui ecco il riepilogo: I Savoia, promossi a U t r e c h t al r a n g o di Re, n o n lo erano p i ù della Sicilia, ma della S a r d e g n a . La Sicilia tornava con Napoli sotto la sovranità dell'Austria, già p a d r o n a del Ducato di Milano. Ma siccome d u e dinastie i n d i g e n e - i Medici di Toscana e i F a r n e s e di P a r m a - stavano p e r estinguersi, la loro eredità sarebbe a n d a t a al p r i m o g e n i t o di Filippo e di Elisabetta di Spagna, Carlo. Ma i trattati, si sa, d u r a n o quel che d u r a n o . Quello dell'Aja e r a a p p e n a stato firmato, che già la diplomazia e u r o p e a si rimetteva in m o v i m e n t o . Noi n o n s e g u i r e m o tutte le sue quadriglie che r i c h i e d e r e b b e r o un trattato in più volumi. Ci limiteremo solo agli episodi che p i ù da vicino interessano il nostro Paese. II p r i m o fu un e n n e s i m o r o v e s c i a m e n t o di alleanze. Il m o t i v o p e r cui la Francia s'era schierata c o n t r o la S p a g n a e r a che i n quel m o m e n t o sul suo t r o n o c'era u n Reggente della casa Orléans, il quale n a t u r a l m e n t e sentiva molto meno la solidarietà dinastica coi B o r b o n e spagnoli. Ma a p p e n a la r e g g e n z a finì, e sul t r o n o di Parigi t o r n ò , grazie al ragg i u n g i m e n t o della m a g g i o r e età, u n B o r b o n e v e r o , Luigi XV, la sua politica r i d i v e n t ò di stretta amicizia con la Spag n a . Q u e s t e d u e P o t e n z e si a c c o r d a r o n o su un 'altra delle 382
tante «liberazioni» dell'Italia, cioè p e r cacciarne gli Asburgo austriaci e istallarvi i B o r b o n e . In q u e s t o giuoco la Francia p e n s ò di coinvolgere il Piem o n t e che sarebbe stato c o m p e n s a t o col Ducato di Milano, m e n t r e alla Spagna, cioè ai figli di Elisabetta, sarebbero andati, oltre i soliti Ducati di Toscana e di P a r m a - tuttora in attesa della m o r t e dei legittimi titolari Medici e Farnese -, Napoli e la Sicilia. Fu un negoziato difficilissimo p e r c h é p e r «Ducato di Milano» il P i e m o n t e i n t e n d e v a tutta la L o m b a r dia, c o m p r e s e Mantova e C r e m o n a , e gli spagnoli n o n volevano s a p e r n e . La g u e r r a scoppiò p r i m a che un accordo fosse raggiunto. Scoppiò n o n p e r l'Italia, ma p e r la Polonia, dove si era aperta un'altra crisi dinastica, che metteva di fronte Francia e Austria: la p r i m a voleva che il t r o n o fosse assegnato al Leczynski; la s e c o n d a Io reclamava p e r il suo vassallo A u g u s t o di Sassonia. Ma, u n a volta scoppiato, il conflitto si estese subito anche all'Italia, d o v e il Savoia di t u r n o , Carlo E m a n u e l e , provvide ad a n n e t t e r s i Milano. Gli austriaci, i m p e g n a t i in Polonia, n o n la difesero e si rinchiusero in Mantova. I franco-spagnoli mossero c o n t r o di loro, c o m a n d a t i dallo stesso principe Carlo che, in seguito alla m o r t e dello zio, era finalmente diventato Duca di Parma, in attesa di diventarlo anche di Toscana. Ma p e r d a r e il colpo di grazia all'avversario, occorreva l'aiuto di Carlo E m a n u e l e . E Carlo Emanuele n o n si decideva a darlo, se p r i m a n o n gli garantivano Mantova e C r e m o n a . Il t e m p o passava. N u o v e situazioni andavano m a t u r a n d o . E la Francia, d o p o aver fatto il possibile p e r m e t t e r e d ' a c c o r d o i suoi d u e alleati, preferì intendersi d i r e t t a m e n t e con l'Austria. I negoziati sboccarono nel trattato di Vienna del 1738, la cui c o m p r e n s i o n e r i c h i e d e u n a piccola d i g r e s s i o n e . L'Austria era t o r m e n t a t a da u n a grave crisi dinastica. L'imperatore Carlo VI era salito sul t r o n o p e r c h é il fratello p r i m o g e nito G i u s e p p e era m o r t o lasciando soltanto delle figlie che p e r legge n o n p o t e v a n o e r e d i t a r l o . P e r ò aveva chiesto a 383
Carlo l'impegno, se a n c h e lui fosse rimasto senza eredi maschi, di c a m b i a r e quella legge in m o d o che la successione toccasse alla m a g g i o r e delle sue figlie. La condizione si era realizzata. Anche Carlo n o n aveva avuto che figlie femmine, e q u i n d i aveva e m a n a t o u n a n u o v a legge, la c o s i d d e t t a Prammatica Sanzione, la quale autorizzava la successione anche in linea femminile; ma a cominciare dalla figlia sua, Maria Teresa, n o n da quelle di Giuseppe. Da anni, Carlo stava lottando p e r i n d u r r e gli altri Sovrani d ' E u r o p a a riconoscere la validità di questa legge in modo che costoro n o n facessero scoppiare, il g i o r n o della sua m o r t e , u n a e n n e s i m a g u e r r a d i successione a n c h e i n Austria. Col trattato di Vienna la Francia s'impegnava a questo r i c o n o s c i m e n t o , c h e p e r ò c o m p o r t a v a u n a serie d i conse* g u e n z e a n c h e sulla situazione italiana. L'Austria infatti lo ripagava r i n u n z i a n d o a Napoli e Sicilia, che sarebbero andati ai B o r b o n e di S p a g n a , cioè al Principe Carlo. Ma in comp e n s o otteneva, oltre alla restituzione di Milano, il G r a n d u cato di Toscana. Quest'ultima clausola esige anch'essa u n a digressione, di cui chiediamo scusa al lettore; ma la colpa è del groviglio dinastico. A b b i a m o d e t t o c h e la g u e r r a e r a scoppiata p e r la successione al t r o n o di Polonia. Alla fine aveva vinto il can? didato austriaco. Ma siccome lo sconfitto Leczynski era suocero di Luigi XV, bisognava trovargli un c o m p e n s o . E questo c o m p e n s o fu il Ducato di L o r e n a . Ma questo aveva a sua volta un titolare, Francesco. A n c h e a lui bisognava d a r e un c o m p e n s o p e r c h é e r a il m a r i t o di Maria Teresa, futura Imperatrice d'Austria. E il c o m p e n s o fu a p p u n t o il Granduca* to di Toscana, che così cambiava p e r la seconda volta p a d r o ne p r i m a ancora di esser rimasto vacante. C o m ' e r a logico, questo accordo suscitò il furore sia della S p a g n a che del Piemonte. E n t r a m b i minacciarono di contin u a r e la g u e r r a p e r c o n t o loro. Ma e r a la minaccia di u n a pistola scarica. Prima l'uno, poi l'altra dovettero arrendersi* ma r e s t a n d o all'agguato di un'occasione p i ù favorevole. 384
Q u e s t a s i p r e s e n t ò alla m o r t e d i C a r l o V I , nel ' 4 0 . I n quel m o m e n t o l'Austria era i m p e g n a t a fino al collo nel suo eterno conflitto coi Turchi, che tratteneva nel c u o r e dei Balcani i suoi eserciti. Ne approfittò subito Federico di Prussia p e r contestare la Prammatica Sanzione, cioè l'ascesa al t r o n o di Maria Teresa. Federico a p p a r t e n e v a alla dinastia H o h e n zollern c h e , c o m e i Savoia, da p o c o e r a n o d i v e n t a t i R e , e n o n p e r d e v a n o occasione p e r i n g r a n d i r s i i n G e r m a n i a a spese degli A s b u r g o , c o m e i Savoia n o n la p e r d e v a n o p e r i n g r a n d i r s i in Italia. Federico o c c u p ò di s o r p r e s a la Slesia i n t a c c a n d o n o n t a n t o il t e r r i t o r i o d e l l ' I m p e r o , q u a n t o il principio della sua integrità. Elisabetta di S p a g n a - poiché e r a s e m p r e lei a d e t t a r e la politica di M a d r i d - ci vide la g r a n d e occasione p e r realizzare il suo sogno: quello di d a r e u n a c o r o n a a n c h e all'altro suo figlio, Filippo, r i u n e n d o sotto il suo scettro L o m b a r d i a , Parma e Piacenza. Ma fu p r o p r i o questo che i m p e d ì al Piemonte di a d e r i r e al p r o g e t t o . C a r l o E m a n u e l e n o n voleva gli Asburgo a Milano. Ma n o n ci voleva n e m m e n o i B o r b o n e . E siccome in quel m o m e n t o i B o r b o n e , s e m p r e spalleggiati da quelli francesi, e r a n o più forti e q u i n d i più pericolosi degli Asburgo, egli si riavvicinò a Vienna, dalla cui p a r t e o r a stavano I n g h i l t e r r a e Olanda, ma a m o d o suo, cioè con un piede solo. Il s u o i n t e r v e n t o m i l i t a r e si s a r e b b e limitato alle o p e r a z i o n i in L o m b a r d i a e s a r e b b e stato c o m p e n s a t o con l'annessione di Vigevano e di u n o sbocco al m a r e in Liguria, Finale, che a p p a r t e n e v a a Genova, la quale si alleò subito alla Francia. Q u a n t o a Milano, l ' e t e r n o m i r a g g i o dei Savoia, l ' i m p e g n o p r e v e d e v a q u e s t o : c h e , esclusine in o g n i caso i B o r b o n e , P i e m o n t e e Austria si r i s e r v a v a n o di m a n o v r a r e ciascuno p e r conto p r o p r i o a n c h e t r a t t a n d o s e p a r a t a m e n t e col n e m i c o . E r a la legalizzazione d e l d o p p i o giuoco, e m a n d ò in visibilio i diplomatici del t e m p o : l'ambasciatore di Venezia a Torino lo chiamò «un fatto meraviglioso». La c o n d o t t a della g u e r r a fu in t o n o c o n l ' a m b i g u i t à di queste p r e m e s s e . E noi n o n vogliamo affliggere il lettore col 385
resoconto di tutt'i capovolgimenti cui d i e d e luogo. Diremo soltanto che nel '43 il P i e m o n t e era in tali condizioni da dover i m p e g n a r s i coi d e n t i r i n u n z i a n d o p e r s e m p r e ai «fatti meravigliosi», cioè a ogni speranza su Milano; e nel '45 tutta la p e n i s o l a e r a alla m e r c é d e i d u e figli di Elisabetta al com a n d o dei franco-spagnoli. U n a controffensiva degli a u s t r o - p i e m o n t e s i ricacciò gl'invasori, ma a c a p o v o l g e r e gli a v v e n i m e n t i f u r o n o i capricci degli uomini, e nella fattispecie di u n a d o n n a , la solita «strega di Spagna». Spaventata dai suoi appetiti, la Francia p e n s ò di c o n t r a p p o r l e il P i e m o n t e , r i c h i a m a n d o l o nella sua alleanza. Da b u o n Savoia specializzato in rovesciamenti di fronte, Carlo E m a n u e l e n o n si fece p r e g a r e , ma s e m p r e a suo m o d o ; cioè i m p e g n a n d o s i solo a mezza bocca. A p p e n a s e p p e che gli austriaci, liquidate p e r il m o m e n t o le p e n d e n ze con la Prussia, r i d i s c e n d e v a n o il B r e n n e r o , assalì di sorp r e s a e i m p r i g i o n ò le guarnigioni francesi di Asti e Alessandria. Il colpo di grazia ai borbonici in Italia lo assestò la morte a M a d r i d di Filippo V. N o n e r a un p e r s o n a g g i o di gran r i r lievo. Ma la sua fine c o m p o r t a v a quella di sua moglie. Il sue cessore F e r d i n a n d o V I , figlio del p r i m o letto, detestava la m a t r i g n a e provvide subito a esiliarla dalla capitale e, anche p e r far dispetto a lei e ai suoi rampolli, richiamò le t r u p p e spagnole dall'Italia, a b b a n d o n a n d o i fratellastri al loro de* stino. Per Carlo E m a n u e l e , questo e r a a n c h e t r o p p o . Egli n o n voleva il definitivo trionfo dei B o r b o n e , ma n e m m e n o quello degli Asburgo. Lo si vide dalla fretta con cui s'impadronì di Finale e di Savona p e r s b a r r a r e il passo agli austriaci in marcia su Genova p e r castigarla della sua solidarietà con la Francia. Fu in questa occasione che Balilla lanciò il famoso sasso, destinato a rimbalzare sulla testa di generazioni d'italiani c o m e il p r i m o s e g n o di u n a riscossa n a z i o n a l e . No A e s a g e r i a m o . P r o b a b i l m e n t e Balilla lo a v r e b b e lanciato an< c h e c o n t r o i p i e m o n t e s i , se fossero stati l o r o a r i m a n e r e a 1
386
Genova. Tuttavia il suo gesto e s p r i m e v a un s e n t i m e n t o di fierezza - sia p u r soltanto municipale - assolutamente n u o vo da p a r t e di un p o p o l o «abituato da secoli - diceva Voltaire - a essere il p r e m i o dei vincitori». La sassata diventò p r i m a sassaiola, poi insurrezione, e gli austriaci d o v e t t e r o s g o m b r a r e . I francesi si misero in m o t o lungo la Riviera p e r d a r e m a n forte alla Repubblica. Per impedirgli di piantarvi b a n d i e r a , la flotta inglese bloccò il porto. Ne derivò un garbuglio diplomatico ancora p i ù aggrovigliato del solito, che finì p e r i m p a u r i r e un p o ' tutti. Da cinq u a n t ' a n n i l ' E u r o p a n o n aveva c o n o s c i u t o c h e r a r i i n t e r mezzi di pace. Le g u e r r e «politiche» del Settecento n o n erano c o n d o t t e con l'ottuso f u r o r e e n o n s o r t i v a n o gli effetti devastatori di quelle religiose del secolo p r e c e d e n t e . Ma n e m m e n o esse e r a n o dei minuetti c o m e le farebbero a p p a rire le incipriate p a r r u c c h e e le sofisticate uniformi militari del t e m p o . Tutti sentivano.il bisogno di p o r fine a quell'interminabile d r e n a g g i o di s a n g u e e di d e n a r o . L'Inghilterra se ne rese i n t e r p r e t e e, c o m e aveva fatto a Utrecht, p r e s e l'iniziativa delle t r a t t a t i v e a p r e n d o n e p e r c o n t o suo c o n l a Francia. Gli altri dovettero seguire. L ' a p p u n t a m e n t o fu fissato p e r l ' a u t u n n o del '48 ad Aquis g r a n a . E q u i ci affrettiamo ad a c c o r r e r e a n c h e n o i d o p o questa l u n g a carrellata di. g u e r r e s p a r p a g l i a t e , di effimere alleanze, d'intrighi e tradimenti, di cui d i s p e r i a m o che il lettore abbia p o t u t o seguire il filo. Se qualche volta lo ha smarrito, n o n se ne faccia. Tutto, da U t r e c h t in poi, rimase allo stato fluido. Solo A q u i s g r a n a d i e d e u n n u o v o assetto c h e , per l'Italia, e r a destinato a d u r a r e più d ' u n secolo, salvo l'intermezzo degli eserciti di N a p o l e o n e . Vediamo di r e n d e r c e n e conto più da vicino.
CAPITOLO QUINTO
I L N U O V O A S S E T T O ITALIANO
Il 18 o t t o b r e 1748 i r a p p r e s e n t a n t i delle Potenze e u r o p e e f i r m a r o n o ad A q u i s g r a n a il t r a t t a t o di pace. Il p r i n c i p i o a cui s'informava e r a quello d e l l ' e q u i l i b r i o . N a t u r a l m e n t e senza dirlo, i c o n t e n d e n t i p r e n d e v a n o atto che la l u n g a ser i e d i g u e r r e c h e a v e v a n o i n s a n g u i n a t o p e r mezzo secolo l ' E u r o p a e r a stata del tutto inutile. Il p r i m a t o e u r o p e o , di cui sia gli Asburgo che i B o r b o n e avevano rincorso il sogno, si era rivelato un fantasma. Dovevano rassegnarsi a convivere tenendosi in bilico c o m e voleva l'Inghilterra, ancora u n a volta trionfatrice. E l'Italia fu adibita a c a m p o sperimentale di questo giuoco di contrappesi. C o m e al solito, il P i e m o n t e se l'era cavata, e anzi c o n qualche g u a d a g n o ; a n c h e se n o n p r o p o r z i o n a t o ai costi di quel l u n g o almanaccare fra g u e r r e , alleanze e tradimenti. I g r a n d i sogni d e i Savoia e r a n o stati: la L o m b a r d i a fino a Mantova, il Ducato di Parma e Piacenza, e lo sbocco al m a r e di Finale. Questi sogni r i m a n e v a n o proibiti. Al tavolo delle trattative i Savoia dovettero contentarsi di qualche briciola: Voghera, Vigevano e l'alto Novarese. Gli Asburgo conservavano il Ducato di Milano, fino al Ticino, c h e r i e n t r a v a d i r e t t a m e n t e sotto la loro c o r o n a ; ma d o v e v a n o rinunziare a G e n o v a su cui a v e v a n o s p e r a t o di mettere le m a n i . In c o m p e n s o la Toscana e r a assegnata d e finitivamente a loro, ma n o n a titolo di provincia austriaca come la L o m b a r d i a . Il titolo g r a n d u c a l e veniva attribuito a Francesco di L o r e n a , il m a r i t o di Maria T e r e s a , da p o c o eletto I m p e r a t o r e di Germania, ma con l'impegno di tenerlo s e m p r e s e p a r a t o dalla c o r o n a austriaca. Alla p r o p r i a 389
m o r t e , Francesco lo avrebbe trasmesso n o n al p r i m o g e n i t o destinato a succedergli sul t r o n o di Vienna, ma al secondog e n i t o , che così a v r e b b e d a t o avvio a u n a dinastia formalm e n t e a u t o n o m a di L o r e n a toscani. D o p o il brusco a l l o n t a n a m e n t o della «strega di Spagna» dalla scena politica, il suo secondogenito Filippo aveva dov u t o r i n u n z i a r e alle sue p r e t e s e sul D u c a t o di Milano. Ma suo suocero, Luigi XV di Francia, era riuscito a procurargli la sospirata eredità Farnese: il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla. Ma con una, anzi con d u e condizioni sospensive: se fosse m o r t o senza p r o l e , o se p e r motivi di successione avesse a s s u n t o u n ' a l t r a c o r o n a , il D u c a t o s a r e b b e stato s m e m b r a t o : P a r m a e Guastalla agli Asburgo, Piacenza ai Savoia. A N a p o l i s'insediava d e f i n i t i v a m e n t e il p r i m o g e n i t o di Elisabetta, Carlo, col titolo di Re. Ma a n c h e p e r la sua successione si e r a n o prese delle precauzioni. C o m e fratellastro del Re di S p a g n a , F e r d i n a n d o V I , rimasto senza figli, egli n e e r a a n c h e l ' e r e d e p r e s u n t i v o . Perciò a n c h e lui, come Francesco di L o r e n a , se fosse salito sul t r o n o di Spagna, s ' i m p e g n a v a a t r a s m e t t e r e la c o r o n a di N a p o l i n o n al prim o g e n i t o , destinato a succedergli in quella di Madrid, ma al secondogenito, in m o d o da tenerle separate. Gli altri Stati della penisola, cioè quelli della Chiesa, Genova, Venezia e la piccola Repubblica di Lucca, rimanevano inalterati. C o m e si vede, l'equilibrio e r a b e n dosato. Si bilanciavano b e n e le forze esterne delle d u e dinastie straniere, Asburgo e B o r b o n e . E si bilanciavano a l t r e t t a n t o b e n e quelle interne: R e g n o s a r d o - p i e m o n t e s e , R e g n o di Napoli, G r a n d u c a t o di Toscana, Stati della Chiesa e le d u e Repubbliche marinare. Ci sono un paio di cose da n o t a r e . La p r i m a è che anche le dinastie s t r a n i e r e insediate in Italia d o v e v a n o avviarsi con le «secondogeniture» a diventare italiane. La seconda è che in questo giuoco di contrappesi il Piemonte p e r d e v a , almeno p e r il m o m e n t o , il suo m o n o p o l i o di p r o t a g o n i s t a . Fin 390
qui era stato l'unico stato italiano con u n a politica attiva. Ora faceva p a r t e di un coro. E v e d i a m o r a p i d a m e n t e l'evoluzione di q u e s t o assetto nel corso del secolo. C o m e il lettore b e n capisce, essa n o n d i p e n d e v a da forze e volontà i n t e r n e , che n o n esistevano; ma dalle vicende dinastiche e dai mutevoli r a p p o r t i internazionali, di cui l'Italia restava u n a semplice posta, un articolo di scambio. Subito d o p o la spartizione della p r e d a , S p a g n a e Austria trovarono conveniente intendersi p e r m a n t e n e r l a . Col trattato di Aranjuez del 1752 esse si a c c o r d a r o n o sui d u e p u n t i di m a g g i o r e c o m u n e interesse: riaffermare il loro rispettivo diritto di t u t e l a su Napoli e sulla Toscana m a l g r a d o le sec o n d o g e n i t u r e , e i m b r i g l i a r e il P i e m o n t e c h i a m a n d o l o a c o n t r o f i r m a r e il t r a t t a t o che ribadiva lo status quo. Il Piemonte cercò di sottrarsi invocando la partecipazione a n c h e di Francia e I n g h i l t e r r a , nella s p e r a n z a di t r o v a r e in esse qualche p u n t o d ' a p p o g g i o p e r r i p r e n d e r e l'iniziativa, m a n o n ci fu nulla da fare. «Avvezzo a pescar nel torbido, il re sardo c o n v i e n c h e al p r e s e n t e segga m u t o l o s p e t t a t o r e di quel che gii altri fanno» scriveva con visibile soddisfazione l'ambasciatore di Napoli a Vienna. S e n o n c h é i r a p p o r t i internazionali sono cangevoli c o m e il cielo di marzo. Subito d o p o Aranjuez sopravvenne un ennesimo «rovesciamento di alleanze»: la Francia, da tradizionale nemica, d i v e n t a l'amica dell'Austria, m e n t r e la t r a d i zionale amica dell'Austria, l'Inghilterra, ne diventa la nemica e s'allea alla Prussia. N o n ci s e m b r a il caso di diffonderci sugl'inghippi e i motivi, d ' a l t r o n d e complicatissimi, di q u e sti voltafaccia. Ma d u e p a r o l e v a n n o spese p e r spiegare come questa piccola Prussia, finora sconosciuta nel G o t h a delle g r a n d i p o t e n z e , fosse diventata u n a seria rivale dell'Austria, p e r il p r i m a t o in G e r m a n i a . La G e r m a n i a - n o n ci s t a n c h e r e m o di ripeterlo - era più disunita dell'Italia; un coacervo di Stati e staterelli gelosissimi delle p r o p r i e a u t o n o m i e e in p e r p e t u a lotta tra loro. Gli 391
otto più i m p o r t a n t i , incarnati in altrettanti Principi o Vesco* vi, eleggevano l ' I m p e r a t o r e , ma n o n gli riconoscevano che un p o t e r e p u r a m e n t e n o m i n a l e . Da circa tre secoli il titolo e r a s e m p r e a n d a t o agli Asburgo, che tuttavia dovevano ogni volta s u d a r e p e r assicurarselo. O r a Maria Teresa era riuscita a farlo attribuire a suo m a r i t o , Francesco di L o r e n a . Ma tutto questo aveva provocato u n a crisi, di cui la Prussia aveva approfittato. I suoi Re H o h e n z o l l e r n facevano in Germa* nia, nei r i g u a r d i dell'Austria, u n a politica a n a l o g a a quella che in Italia facevano i Savoia, cui somigliavano nell'ambi;zione e nella spregiudicatezza. Essi volevano scacciarne gli A s b u r g o sostituendoli c o m e forza unificatrice, e un secolo, d o p o ci sarebbero riusciti. L'attuale titolare della corona, Ke»derico il G r a n d e , perseguiva questa mira con particolare vii gore. Era t a l m e n t e machiavellico che scrisse un libro contro Machiavelli p e r d i m o s t r a r e che n o n lo era. C o n t r o di lui, & suo a g g u e r r i t i s s i m o esercito e le sue spericolate iniziativi® politiche, l'Austria e r a costretta a c o n c e n t r a r e i suoi ma^s! giori sforzi diplomatici e militari. E di questo n a t u r a l m e n o ' risentiva la sua posizione in Italia. N o n solo. Ma quella inquieta Prussia forniva al P i e m o n t e l'aggancio p e r uscire dafc l'inerzia cui l'accordo di Aranjuez lo c o n d a n n a v a . L'accorda; fra i d u e R e a m i e r a , p e r così d i r e , scritto nelle stelle. Ess| avevano in c o m u n e la cosa più i m p o r t a n t e : il nemico. fi-' Ma r i p r e n d i a m o il filo delle vicende internazionali, clwg condizionavano quelle italiane. Fra le d u e coalizioni (Frane eia, S p a g n a e Austria da u n a p a r t e , I n g h i l t e r r a e Prussici dall'altra), la c o m p e t i z i o n e e r a o r m a i s c o p p i a t a in g u e r r a aperta, la cosiddetta «Guerra dei sette anni». Essa n o n coi*» volgeva l'Italia, ma consentiva al P i e m o n t e di rimettersi ài. l'asta come s e m p r e aveva fatto. Nel '59 un emissario segre* della Prussia giunse a Torino p e r p o r t a r e a Carlo Emanuele u n a lettera di Federico con u n a p r o p o s t a allettante: alleanza, fra il P i e m o n t e e Napoli p e r scacciare l'Austria dall'Italia', spartirsene le spoglie. Ma e r a u n ' i d e a che poteva m a t u r a solo nella testa di u o m i n i che n o n conoscevano la situazio 392
italiana. Napoli n o n avrebbe mai p r e s o iniziative, n e a n c h e le più vantaggiose, se avessero recato altrettanti vantaggi al Piemonte. Per di più il suo Re, Carlo, sapeva di d o v e r succedere tra poco sul t r o n o di S p a g n a al fratellastro F e r d i n a n d o , o r m a i alla fine, e voleva lasciar la c o r o n a di N a p o l i al suo terzogenito. Per c o m p i e r e senza intralci questa o p e r a zione, aveva b i s o g n o d e l l ' a p p o g g i o di Francia e Austria, contro cui perciò n o n avrebbe mai p r e s o iniziative. Di tutto questo Carlo E m a n u e l e era conscio, e perciò lasciò c a d e r e la p r o p o s t a p r u s s i a n a , c h e d ' a l t r o n d e la stessa I n g h i l t e r r a si rifiutava d'avallare. Il disegno di Carlo si compì. Pochi mesi d o p o egli salì sul t r o n o di M a d r i d , e suo figlio F e r d i n a n d o gli successe su quello di Napoli. Per il P i e m o n t e il giuoco diventava sempre più difficile, chiuso c o m ' e r a da tutte le parti nella m o r s a dei B o r b o n e e degli Asburgo. Carlo E m a n u e l e e il suo successore Vittorio A m e d e o I I I ne escogitarono di tutte. Si offrirono c o m e m e d i a t o r i di pace. E l a b o r a r o n o un complesso p r o g e t t o p e r farsi r i c o n o s c e r e c o m e Principi d e l l ' I m p e r o con diritto di voto p e r l'elezione d e l l ' I m p e r a t o r e . Per secoli avevano lottato p e r sottrarsi a q u e s t a qualifica, c h e gli Asburgo volevano imporgli. O r a la r e c l a m a v a n o p e r p a r t e cipare all'elezione i m p e r i a l e e crearvi degl'impacci p e r gli A s b u r g o . Ma gli A s b u r g o lo c a p i r o n o , e r i f i u t a r o n o . La g u e r r a d e i Sette a n n i seguì il suo c o r s o , senza c h e il Piem o n t e riuscisse in q u a l c h e m o d o a interferirvi e a t r a r n e profitti. Al tavolo della pace che nel '63 liquidò le p e n d e n z e , i suoi r a p p r e s e n t a n t i n o n s e d e t t e r o . Il P i e m o n t e restava il piccolo R e a m e di un'Italia sospinta al m a r g i n e della g r a n d e politica e ribadita nel suo immobilismo. Ma se l'assetto della penisola n o n era cambiato, cambiato era il contesto e u r o p e o . I trionfatori di quella g u e r r a e r a n o l ' I n g h i l t e r r a e la Prussia. L ' I n g h i l t e r r a aveva v i e p p i ù ingrandito e rafforzato il suo i m p e r o coloniale a spese di Francia e Spagna, le cui flotte e r a n o state spazzate via dalla sua. La Prussia s'annetteva definitivamente la Slesia, ma soprat393
tutto si affermava c o m e la forza t r a e n t e e unificatrice della G e r m a n i a , n a t u r a l m e n t e a t u t t o scapito dell'Austria il cui p r e s t i g i o aveva r i c e v u t o u n colpo m o r t a l e . M a r i a Teresa, s e m p r e p i ù sollecita p e r la p r o p r i a famiglia che p e r il p r o p r i o Paese, aveva o t t e n u t o da F e d e r i c o l ' a p p o g g i o p e r la successione di suo figlio G i u s e p p e al titolo i m p e r i a l e . Ma questo titolo aveva p e r s o a n c h e il poco c o n t e n u t o che gli restava. La G e r m a n i a g u a r d a v a o r m a i agli H o h e n z o l l e r n , come un secolo d o p o l'Italia avrebbe g u a r d a t o ai Savoia. E r a logico c h e gli sconfitti A s b u r g o e B o r b o n e cercassero c o m p e n s i . E altrettanto logico e r a che li cercassero soprattutto in Italia, dove e n t r a m b e le dinastie avevano già i loro capisaldi. La p r i m a a farne le spese fu Genova. La Repubblica era, c o m e al solito, nei guai con la Corsica, ribelle al suo dominio. Stavolta p e r ò gl'insorti avevano trovato un capo di notevoli qualità, a n c h e politiche: Pasquale Paoli. Per venire a c a p o della sua rivolta, G e n o v a chiese aiuto alla. Francia di cui era la tradizionale alleata, e che s e m p r e giiel'aveva prestato. Glielo prestò a n c h e in questa occasione, ma se lo fece r i p a g a r e con q u a t t r o piazzeforti, fra cui Ajaccio. E di lì cominciò a tessere il suo d o p p i o giuoco fra Paoli e Genova, fingendo di volerli c o n d u r r e a un accordo, ma in realtà lav o r a n d o p e r a g g r a v a r e il disaccordo. A un certo p u n t o Gen o v a e b b e il sospetto c h e Francia e insorti stessero p e r intendersi alle sue spalle e ai suoi d a n n i . E, n o n p o t e n d o sventare la m a n o v r a con la forza, preferì uscire dal giuoco cav a n d o n e a l m e n o qualche utile. Essa stessa p r o p o s e a Luigi XV di a s s u m e r e «provvisoriamente» la sovranità sull'isola dietro v e r s a m e n t o di un sussidio. Q u e l «provvisoriamente» serviva soltanto a salvare la faccia. N e l l ' a c c o r d o e r a detto c h e G e n o v a a v r e b b e r e c u p e r a t o i suoi diritti solo q u a n d o essa avesse p o t u t o r i m b o r s a r e alla Francia n o n solo i sussidi, ma a n c h e t u t t e le spese di o c c u p a z i o n e e amministrazione dell'isola, u n a volta che questa fosse stata pacificata. 394
A r e n d e r e irrealizzabili queste condizioni provvide Paoli scatenando u n a vera e p r o p r i a g u e r r a c o n t r o i francesi, che d u r ò fino al '69. Egli s'appellò a tutte le p o t e n z e e u r o p e e , ma nessuna gli rispose. Austria e S p a g n a e r a n o ancora legate alla Francia, e il loro accordo paralizzava gli Stati italiani su cui s'esercitava la loro tutela. L'unico che cercò di ostacolare l'operazione fu il P i e m o n t e , che invocò l'aiuto dell'Ing h i l t e r r a , m a i n v a n o . L o n d r a e r a t r o p p o soddisfatta d e i grossi g u a d a g n i realizzati e t r o p p o i m p e g n a t a a digerirli per rimescolare le carte del giuoco. Si limitò a m a n d a r e ai ribelli qualche aiuto in armi e d e n a r o , ma n o n si lasciò coinvolgere. A Paoli n o n restò che a b b a n d o n a r e la p r o p r i a terra. Dieci a n n i d o p o , c o m e previsto dal t r a t t a t o , la Francia presentò a Genova il conto dei sussidi che le aveva versato e delle spese di occupazione. Era u n a s o m m a che Genova n o n poteva r i m b o r s a r e . E così la Corsica diventò definitivamente u n a provincia francese. M e n t r e la Repubblica di G e n o v a si riduceva a u n a fetta di Riviera e la sua flotta p e r d e v a le sue più i m p o r t a n t i basi nel M e d i t e r r a n e o occidentale, Venezia e n t r a v a in crisi in quello orientale. La Serenissima aveva s e m p r e seguito u n a sua p r o p r i a politica, volta più verso il Levante che verso l'Italia. Da un pezzo le sue flotte marciavano di conserva con gli eserciti austriaci nella lotta contro i Turchi. Sulla fine del Seicento essa aveva p e r s o C a n d i a , suo p r i n c i p a l e p u n t o di forza, ma si era rifatta con la conquista della Morea. Ma fu un successo effimero. La pace di Passarowitz del 1718 gliela ritolse. E da q u e l m o m e n t o a Venezia n o n r i m a s e r o , fuor dell'Adriatico, c h e le isole J o n i e . Ma la p e r d i t a p i ù g r a v e non e r a n o quelle territoriali; e r a quella dell'iniziativa politica. Per difendersi dai Turchi, la Serenissima aveva d o v u t o legarsi m a n i e piedi al carro Asburgo. Le vittorie di E u g e n i o di Savoia avevano c o n d o t t o l'Austria nel c u o r e dei Balcani. E i d o m i n i della Serenissima si trovavano ora c o m p l e t a m e n te incastrati in quelli austriaci. Vienna n o n si c o n t e n t ò della p r o p r i a p o t e n z a t e r r e s t r e . 395
Volle d i v e n t a r e a n c h e u n a p o t e n z a m a r i n a r a , e si mise a c o s t r u i r e flotte. Trieste e F i u m e v e n n e r o dichiarate «porti franchi» e c o m i n c i a r o n o a d a t t r a r r e g r a n p a r t e d i quei traffici, di cui fin allora Venezia aveva g o d u t o l'esclusiva. Sul m e t r o italiano, la Repubblica e r a u n o Stato di considerevole entità. O l t r e a t u t t o il Veneto e al Friuli, inglobava a n c h e g r a n p a r t e dell'attuale L o m b a r d i a c o m p r e s a Bergam o , e sull'altra s p o n d a a d r i a t i c a si p r o l u n g a v a p e r quasi t u t t a la costa j u g o s l a v a dell'Istria alla Dalmazia fino a Ragusa e C à t t a r o . Ma la forza di Venezia n o n stava nelle sue dimensioni territoriali. Stava nella sua posizione geografia ca e n e l l a s u a q u a l i t à di u n i c a p o t e n z a m a r i t t i m a dell'Adriatico. Perciò essa r a p p r e s e n t a v a un grosso impaccio per l'Austria di cui o r a si trovava in balia. Ne r e n d e v a asfittici gli sbocchi sul m a r e e ne r o m p e v a le c o m u n i c a z i o n i con Milano o b b l i g a n d o l e a d i r o t t a r s i p e r l ' i m p e r v i o Trentino» E r a c h i a r o c h e V i e n n a aspettava soltanto la b u o n a occasione p e r sbarazzarsi d e l l a R e p u b b l i c a , e i n t a n t o cercava di.' m e t t e r l a e c o n o m i c a m e n t e in crisi con la c o n c o r r e n z a della p r o p r i a flotta. Venezia se ne r e n d e v a conto. «Scansare ogni scossa» eria diventata la parola d ' o r d i n e della sua diplomazia, u n a paro?' la d ' o r d i n e che implicava la totale rinuncia a qualsiasi inizia* tiva. In realtà essa n o n aveva più nessuna carta da giuocai^.. L'Inghilterra, intenta al suo i m p e r o transoceanico su cui l'Ad r i a t i c o n o n p o t e v a i n t e r f e r i r e , b a d a v a solo al suo duellòcon la Francia, e q u e s t a e r a amica dell'Austria. La Turchia,, e r a o r m a i in posizione difensiva. Solo la Russia, che nella sua marcia di p e n e t r a z i o n e in E u r o p a trovava nell'Ausi i ia 3 suo m a g g i o r e ostacolo, poteva essere interessata a Venezia Ma c'era a n c h e il pericolo che p r o p r i o a spese di Venezia Iff; d u e rivali si accordassero. Nel 1782 l'Austria p r o p o s e iiilaUÌ alla Russia un r e g o l a m e n t o di conti con la spartizione de& l ' i m p e r o t u r c o in cui r i e n t r a v a a n c h e la liquidazione della «eredità giacente» di Venezia. Il p r o g e t t o n o n a n d ò in port# p e r c h é la Francia si o p p o s e (si o p p o s e p e r la Turchia, no „ 396
p e r Venezia). Ma così o r m a i e r a c o n s i d e r a t a la Repubblica di San Marco, un t e m p o signora del Mediterraneo: u n a «eredità giacente». La sua d e c a d e n z a e r a misurabile in cifre. U n a popolazione di t r e milioni e mezzo di abitanti, c o m p r e s i i Domini da mar dell'Adriatico e dell'Egeo^ venticinque vascelli di linea, quindici fregate e alcune unità di naviglio leggero. Cosa sono di fronte ai sedicimila navigli della flotta inglese e ai suoi o t t a n t a m i l a m a r i n a i ? E p p u r e q u e s t a r e s i d u a forza è s p r o porzionata alle risorse economiche di u n o Stato che n o n sa più dove a t t i n g e r n e o r a che la c o n c o r r e n z a austriaca batte in breccia i suoi porti e i suoi noli. Il bilancio in dissesto n o n consentiva di r i n n o v a r e le a t t r e z z a t u r e e di r i m o d e r n a r e i cantieri. La flotta e r a invecchiata. Ma con essa e r a invecchiato tutto: gl'ingranaggi amministrativi, la mentalità degli u o m i n i di Stato, p e r f i n o la d i p l o m a z i a , c h e p e r secoli e r a stata m a e s t r a a tutta E u r o p a . All'origine di questo declino c ' e r a n o tanti fattori, o r m a i arcinoti. Li capivano e li d e n u n z i a v a n o a n c h e i c o n t e m p o r a n e i . Ma ad essi sfuggiva q u e l l o f o n d a m e n t a l e : Venezia e r a stata la p i ù g r a n d e p o t e n z a m a r i t t i m a e coloniale di u n ' E u r o p a senza Potenze. Ma dal m o m e n t o c h e queste com i n c i a r o n o a f o r m a r s i sull'unità di m i s u r a n a z i o n a l e , p e r Venezia, rimasta sul m o d e l l o r i n a s c i m e n t a l e u n o Stato cittadino, n o n ci fu s c a m p o , né poteva esserci. Anch'essa d o veva p a g a r e c o m e t u t t i gli altri Stati italiani, la divisione dell'Italia. Ecco il q u a d r o dell'Italia del Settecento, che p e r tutto il resto del secolo n o n fu più t u r b a t o da avvenimenti internazionali di rilievo. Abbiamo preferito seguirne il filo dal principio alla fine - un filo s o m m a r i o , lo r i c o n o s c i a m o , volutamente ridotto agli episodi più salienti - p e r fornire al lettore dei p u n t i di r i f e r i m e n t o , c h e gli c o n s e n t a n o di m e g l i o c o m p r e n d e r e le vicende i n t e r n e dei singoli Stati. Ma p r i m a di a d d e n t r a r c i in queste vicende, d o b b i a m o v e d e r e di quali 397
o r i e n t a m e n t i politici e c u l t u r a l i esse f u r o n o il riflesso e il frutto. Perché l'Italia è u n a colonia in tutto: a n c h e nel campo del pensiero. N o n ne elabora di suo. Adatta alle p r o p r i e condizioni quello degli altri. E gli altri sono soprattutto l'Austria, la Francia e l'Inghilterra.
CAPITOLO SESTO
IL RIFORMISMO AUSTRIACO
Fra i Paesi che esercitavano la loro influenza sull'Italia, l'Austria teneva n a t u r a l m e n t e il p r i m o posto: era essa che dominava la penisola dalle posizioni-chiave di Milano e di Firenze, cui p r e s t o si sarebbe a g g i u n t o il R e a m e di Napoli p e r il lento scivolamento nella sua orbita dei B o r b o n e di laggiù. Era u n ' i n f l u e n z a quasi e s c l u s i v a m e n t e politica p e r c h é sul piano culturale l'Italia subiva di più altre attrazioni. Ma p e r influenza politica n o n si deve i n t e n d e r e soltanto il vincolo che faceva della penisola u n a «dipendenza» dell'Austria. Ci fu qualcosa di più. L'Austria n o n si limitò a m a n d a r e in Italia dei g o v e r n a t o r i , dei G r a n d u c h i e dei r e g g i m e n t i . V ' i m p o r t ò a n c h e delle idee e delle riforme che scossero il Paese e vi fecero scuola. Gli a p o l o g e t i del R i s o r g i m e n t o n o n se n'abbiano a male. Ma sul piano organizzativo e amministrativo, l'Italia deve molto all'Austria, che a sua volta deve molto a Maria Teresa e alla sua discendenza. A b b i a m o già d e t t o c o m e q u e s t a d o n n a ascese a l t r o n o , alla m o r t e del p a d r e Carlo VI nel 1740. E dovette trovarlo piuttosto scomodo. N o n solo p e r c h é fu subito costretta a difenderlo con le a r m i , ma a n c h e p e r c h é esso aveva p i ù lustro che sostanza. Non p a r l i a m o del titolo imperiale che - lo abbiamo già visto - e r a ridotto a u n a p u r a finzione. Ma anche il p a t r i m o n i o ereditario di casa Asburgo, a p a r t e la compatta cittadella austriaca, era piuttosto s g a n g h e r a t o : un coacervo di t e r r e e genti di diversa razza, r e l i g i o n e , l i n g u a e cultura, t e n u t e insieme da forze centripete a c o r r e n t e alternata. Boemi, moravi, u n g h e r e s i , croati e r a n o o g n i poco in subbuglio c o n t r o il c e n t r a l i s m o di V i e n n a . E p r o p r i o nel 399
m o m e n t o in cui francesi, prussiani e bavaresi, approfittando della crisi a p e r t a c o n la successione di Maria T e r e s a e forse c o n t a n d o sulla sua i n e s p e r i e n z a , c e r c a v a n o di sacc h e g g i a r n e il tesoro, i nobili u n g h e r e s i innalzavano il vessillo della rivolta. I retori della Storia (ce ne sono a n c h e in Austria) h a n n o t r a m a n d a t o ai posteri l'edificante e m e l o d r a m m a t i c a scena della giovane sovrana che, accorsa nel p a r l a m e n t o di Budapest, solleva tra le braccia il figlioletto in fasce invocando su di lui la protezione dei cavallereschi m a g n a t i che a quella vista balzano in piedi g r i d a n d o : Moriamurpro rege nostro Maria Theresia! In realtà le cose si svolsero in m a n i e r a molto più prosaica. I m a g n a t i c o n t r a t t a r o n o p u n t i g l i o s a m e n t e la loro lealtà facendosela r i p a g a r e con l a r g h e a u t o n o m i e . M a l ' I m p e r a trice diede p r o v a in questa transazione di notevole accortezz a e s a n g u e f r e d d o . N o n e r a u n g e n i o , m a n o n n e aveva n e m m e n o gli scompensi. Le sue qualità e r a n o l'equilibrio, la praticità, u n a g r a n d e carica u m a n a e soprattutto un altissimo senso del dovere. C'è da chiedersi se quella di Regina fosse la sua vera vocazione. Forse n o . Ma, visto che le toccar va di esserlo, lo fu c o n i m p e g n o , s c r u p o l o e b u o n senso. Forse al suo equilibrio giovò il fatto ch'essa n o n sacrificò all'ambizione la sua vita di d o n n a . A m ò t e n e r a m e n t e suo marito Francesco di L o r e n a , gli d e t t e b e n sedici figli, e sopp o r t ò con molta pazienza i suoi adulteri. Q u a n d o Francesco morì, abbracciò la sua ultima a m a n t e e le disse: «Ah, signora mia, cosa abbiamo perso!» ' Sebbene essa gli avesse fatto assegnare, oltre al Grandu* cato di Toscana, il titolo d ' I m p e r a t o r e , Francesco l'aiutò por co negli affari di Stato. Era t r o p p o occupato nelle battaglie d'alcova e nell'amministrazione delle finanze domestiche, à$ cui fu un abilissimo regista. Investì i suoi soldi in industrie tessili, cui poi fece d a r e l'appalto delle uniformi p e r l'esercì*, to, e seguitò a v e n d e r e materie belliche a Federico di Prussia; a n c h e q u a n d o costui guerreggiava con l'Austria. N o n si curoj 400
molto n e a n c h e dei figli, cui invece Maria Teresa dedicò c u r e fin t r o p p o assidue. II suo a m o r e m a t e r n o era soffocante come quello di u n a chioccia. Regolava m i n u t a m e n t e la loro vita e trascorse la p r o p r i a a p r o c u r a r troni ai maschi e b u o n i partiti alle f e m m i n e . Al p r i m o g e n i t o e r a d e s t i n a t o il titolo i m p e r i a l e , al s e c o n d o il G r a n d u c a t o di Toscana, al t e r z o il g o v e r n a t o r a t o di Milano, a Maria A n t o n i e t t a il Delfino di Francia, Luigi X V I (che d o p o averla c o n d o t t a all'altare la c o n d u r r à sulla ghigliottina), a M a r i a C a r o l i n a il p r i n c i p e ereditario di Napoli, F e r d i n a n d o . G r a n p a r t e della sua politica estera fu condizionata da questo assillo del «posto» p e r i suoi pulcini. E a n c h e d o p o averveli sistemati, seguitava a sorvegliarli p e r c h é voleva che del posto a loro volta si servissero p e r p r o c u r a r n e degli altri alla famiglia. Li t e m p e s t a v a di lettere, ne esigeva a l t r e t t a n t e , li t e n e v a in u n a p e r p e t u a «sauna» di amorose sollecitudini e di cocenti rimbrotti. Ma q u e s t o s u p e r l a v o r o d o m e s t i c o n o n a n d a v a a d e t r i m e n t o dei suoi i m p e g n i di sovrana. «Tutti i Re d ' E u r o p a sono soltanto illustri imbecilli, m e n o Carlo E m a n u e l e di Sard e g n a e Maria Teresa» scrisse il suo mortale nemico Federico di Prussia. Essa n o n p e r m i s e mai ai p r o p r i s e n t i m e n t i e p r o p e n s i o n i di p r e v a l e r e sugl'interessi dello Stato. Person a l m e n t e m o l t o pia e p e r f i n o b a c c h e t t o n a , fu tuttavia fermissima n e l l ' i m b r i g l i a r e la Chiesa e n e l r i d u r n e il p o t e r e t e m p o r a l e . L'Inquisizione con lei fece pochi affari e n o n riuscì n e m m e n o a conservare ai gesuiti l'Università di V i e n n a che fu affidata ai laici. Essa rivelò il suo giudizio soprattutto nella scelta dei collaboratori. Quello che meglio la secondò fu il principe Kaunitz che fu p e r q u a r a n t a n n i il suo factotum. Kaunitz veniva dalla diplomazia e Carlyle lo descrive come un p e r s o n a g g i o sofisticato e p i u t t o s t o i n s o l e n t e . I n s o l e n t e d o v e v a esserlo davvero p e r c h é un g i o r n o che Maria Teresa gli mosse degli a p p u n t i p e r la s p r e g i u d i c a t e z z a con cui o s t e n t a v a le sue amanti, le rispose: «Maestà, sono qui a p a r l a r e dei vostri affari, n o n dei miei». Ma Maria sapeva a n c h e incassare, q u a n 401
do le c o n v e n i v a . E K a u n i t z e r a d a v v e r o insostituibile: «la miglior testa d'Europa» lo definì il solito Federico, che p u r e ne era la maggior vittima p e r c h é fu Kaunitz che, p e r isolarlo, provocò quel «rovesciamento di alleanze» di cui abbiamo già parlato. Ma il Cancelliere n o n si limitò alla politica estera. Quell'insieme di disparate t e r r e e genti che formavano il Reame asburgico n o n aveva altro mastice che la p e r s o n a del Re Imp e r a t o r e . Un'ossatura di Stato n o n c'era. Kaunitz gliela died e . Fu lui a costruire dal nulla q u e l l ' a m m i n i s t r a z i o n e - m o dello che ha consentito all'Austria di sopravviversi p e r quasi d u e secoli. Essa ha d a t o l ' i m p r o n t a a un tipo di «funzionario» solerte, scrupoloso e intriso di u n a dignità che p e r farsi valere n o n aveva bisogno di r i c o r r e r e ad atteggiamenti autoritari, alla cui scuola noi italiani possiamo solo rimpiangere di aver t r o p p o poco i m p a r a t o . Kaunitz e la sua sovrana n o n c o m p i r o n o u n a vera e prop r i a rivoluzione. Essi a m m o d e r n a r o n o il loro Paese cioè i ioro Paesi, ma senza violentarne la tradizione, il costume e l'economia. Ne rispettarono l'impalcatura feudale e agraria, lasciarono che o g n u n o parlasse la sua lingua. Si limitarono a c r e a t e u n a ferrea i n t e l a i a t u r a amministrativa, affidando alla scuola e all'esercito la formazione di un tipo di suddito c h e vedeva nella m o n a r c h i a e nella sua b a n d i e r a qualcosa di s u p e r i o r e alla p r o p r i a nazionalità. U n ' e c o n o m i a basata sul risparmio e sulla solidità della m o n e t a , un codice chiaro e flessibile, u n a magistratura rigorosa ed efficiente, u n a burocrazia m o d e s t a m e n t e pagata, ma altissimamente considerata, furono gli s t r u m e n t i con cui Maria Teresa riuscì a fare delle sue s p a r p a g l i a t e p r o v i n c e u n o dei più c o m p a t t i (per allora) Stati e u r o p e i . Alla cultura b a d ò poco, e fu il suo g r a n d e difetto. Per lei la cultura e r a soltanto la scuola, e la scuola era n o n u n a palestra d'intelligenze, ma un'incubatrice di funzionari e di ufficiali. Sotto il suo regime, in fatto di servizi, sviluppo urban o , fasto, eleganza, Vienna rivaleggiò con Parigi. Ma di Pa402
rigi n o n ebbe mai il fremito intellettuale, la commistione fra u o m i n i di Stato e u o m i n i di l e t t e r e o d ' a r t e o di filosofia, ch'era stata anche la caratteristica dell'Atene di Pericle e della Firenze di Cosimo e L o r e n z o il Magnifico. Il p a d r e di Mozart scrisse che il p u b b l i c o dei t e a t r i v i e n n e s i e r a fatto di g e n t i l u o m i n i e di g e n t i l d o n n e eleganti di fuori ma rozzi e grossolani di d e n t r o , assolutamente refrattari all'intelligenza e alla bellezza. Forse lo scrisse p e r c h é quel pubblico aveva fischiato suo figlio. Ma quei fischi gli d a v a n o ragione. Com u n q u e è un fatto che la Vienna di Maria Teresa n o n riuscì a esercitare s u l l ' E u r o p a c o n t e m p o r a n e a u n ' i n f l u e n z a p r o porzionale al suo peso p e r c h é le m a n c ò l ' a p p o r t o culturale. Essa e s p o r t a v a nei Paesi della sua a r e a eccellenti generali, g o v e r n a t o r i e prefetti, validi criteri amministrativi, b u o n e leggi e regolamenti. I d e e , n o . Di questo aveva coscienza il p r i m o g e n i t o Giuseppe, e r e d e al trono. Per meglio p r e p a r a r v e l o , sua m a d r e aveva curato in m a n i e r a particolare la sua educazione. Ma tanta sollecitudine aveva sortito, c o m e spesso a c c a d e , l'effetto c o n t r a r i o . G i u s e p p e fu, da ragazzo, un contestatore avanti lettera. «Il mio Giuseppe n o n sa obbedire» si lamentava la m a d r e . I gesuiti che gli a v e v a n o d a t o c o m e p r e c e t t o r i fecero di lui un furioso anticlericale. Q u a n d o scoprì Voltaire, se ne ubriacò. E q u a n d o s e p p e che Voltaire e r a intimo amico di Federico di Prussia e lo teneva in g r a n conto, si entusiasmò a n c h e di lui, sebbene fosse il nemico giurato degli Asburgo, e n o n ebbe pace finché n o n a n d ò a esternargli di p e r s o n a la p r o p r i a ammirazione. Maria Teresa p e n s ò che l'unico m o d o di disciplinarlo e r a di affidargli q u a l c h e responsabilità, e a v e n t ' a n n i Io fece m e m b r o del Consiglio di Stato. G i u s e p p e vi p o r t ò u n a ventata d'ideologia progressista che sconvolse i tradizionalisti e abitudinari patriarchi che lo c o m p o n e v a n o . Propose di abolire tutto il rituale di Corte, le p r o p r i e t à ecclesiastiche, i dazi e le gabelle, di tassare a n c h e l'aristocrazia, e di l i b e r a r e i 403
c o n t a d i n i d a ogni g r a v a m e f e u d a l e . C ' e r a g e n t e c h e , p e r aver p r o p a g a n d a t o idee molto m e n o radicali di quelle, era finita in salerà. Gli d e t t e r o m o g l i e , e p e r u n a volta t a n t o egli g r a d ì la scelta che gli veniva imposta: Isabella di Parma, figlia di Don Filippo di B o r b o n e . G i u s e p p e a p p r e z z ò m o l t o la sua gioventù, la sua grazia e più ancora forse la sua malinconia perché la condivideva. Ma in Isabella quella malinconia era patologica. La vita la spaventava. E q u a n d o , d o p o pochi mesi di m a t r i m o n i o , fu colpita dal vaiolo, si sottrasse alle c u r e e si lasciò morire. G i u s e p p e n o n si riebbe mai più da quel dolore. Si piegò alla r a g i o n di Stato che g l ' i m p o n e v a di risposarsi, ma odiò la seconda moglie, u n a principessa di Baviera, p r i m a ancora di conoscerla. La trovò «repulsiva», n o n ebbe con lei alc u n r a p p o r t o , e forse b e n e d i s s e il vaiolo c h e con assoluta imparzialità si p o r t ò via poco d o p o anche lei. Da allora non volle più sentir p a r l a r e di m a t r i m o n i o , e si dedicò alle cure del governo con u n a dedizione esclusiva che rasentava il fanatismo. Nel '64 lo a v e v a n o c o r o n a t o Re dei Romani, il titolo che avviava a quello d ' I m p e r a t o r e . La cerimonia dell'investitura, cui partecipò da spettatore a n c h e il giovane G o e t h e , gli p a r v e un grottesco r e s i d u a t o medievale (qual era). «Mi costa un g r a n d e sforzo - scrisse al fratello - t r a t t e n e r m i dal dire a tutti questi imparruccati signori q u a n t o sono idioti, loro e i loro discorsi.» L'anticamera al titolo imperiale fu breve: suo p a d r e lo lasciò vacante l ' a n n o d o p o . La m o r t e del marito fu p e r Maria Teresa un terribile colpo. Si tagliò i capelli, si disfece di ogni monile, regalò il suo g u a r d a r o b a meno gli abiti di lutto, e a n n u n z i ò il p r o p o s i t o di ritirarsi in c o n v e n t o . La t r a t t e n n e il senso del d o v e r e : G i u s e p p e era t r o p p o giovane e i m p e t u o s o p e r abbandonargli interamente le redini del p o t e r e . Insieme al titolo imperiale essa gli affidò il c o m a n d o dell'esercito e la supervisione sulla politica estera che tuttavia rimase nelle accorte m a n i di Kaunitz. Ma 404
m a n t e n n e la qualifica di Regina e la s u p r e m a autorità sugli affari interni d'Austria, U n g h e r i a e Boemia. La convivenza fra m a m m a e figlio fu burrascosa. Giuseppe tentava c o n t i n u a m e n t e di forzarle la m a n o con p r o g e t t i di riforme in cui la t i m o r a t a s o v r a n a avvertiva con o r r o r e un g r a n puzzo di Voltaire e d'ateismo. Ma q u a n d o anch'essa c a d d e malata di vaiolo, la trepidazione di Giuseppe, che sfidando il contagio rimase i n i n t e r r o t t a m e n t e al suo capezzale, fu sincera e appassionata. Di quell'interregno m a t e r n o si valse solo p e r e m a n a r e u n a legge sanitaria che liberava i medici dal vincolo di molti tabù imposti dalla Chiesa. Subito d o p o p e r ò ricominciarono i bisticci. G i u s e p p e n o n si contentò di a n d a r e a r e n d e r visita al g r a n d e e s e m p r e p i ù minaccioso Federico. Volle anche, rovesciando il tradizionale sistema di alleanze, c o m b i n a r n e u n a con lui. Il risultato fu un accordo fra Austria, Prussia e Russia p e r la spartizione della Polonia, la p r i m a delle t a n t e che quell'infelice Paese ha subito. N o n o s t a n t e la bella fetta che a s s e g n a v a all'Austria, Maria Teresa vi a p p o s e la sua firma a malincuore e dopo molte riluttanze. «Piange, ma p r e n d e » fu il cinico comm e n t o di Federico. Ma il r i n c r e s c i m e n t o della R e g i n a e r a sincero. Scrisse al figlio F e r d i n a n d o : «Il r i m o r s o mi pesa sul cuore, mi t o r t u r a la m e n t e , e mi avvelena le notti». E a Giuseppe: «Che vi siate scelto p e r m o d e l l o Federico n o n vi fa o n o r e . Q u e s t o c o n q u i s t a t o r e n o n è mai riuscito a c o n q u i starsi un amico. E che vita è, u n a vita senza calore umano?» Forse in queste parole c'è a n c h e un po' di gelosia. Col passare degli a n n i , la volontà di G i u s e p p e prevalse sempre più su quella della m a d r e . Egli ebbe u n a g r a n p a r t e nella soppressione dell'ordine dei gesuiti, che Maria Teresa proteggeva, e nella confisca dei loro beni e nell'abolizione della tortura: fatto, per quei tempi, rivoluzionario. Poi il giovane I m p e r a t o r e volle a n d a r e a Parigi p e r d a r e - disse - qualche consiglio alla sorella Maria Antonietta, da poco salita al trono. Il consiglio ai d u e giovani sovrani fu di p r o c e d e r e allo smantellamento del vecchio regime feudale e alle riforme di 405
cui il Paese aveva bisogno, p r i m a che u n a rivoluzione spazzasse via anche il t r o n o . C o m e si vede, q u a n d o Giuseppe aff e r m ò di aver capito in p o c h i g i o r n i della Francia p i ù di q u a n t o suo cognato Luigi XVI ne avesse capito in tutta la vita, n o n era u n a vanteria. Ma la vera ragione che l'aveva spinto ad a n d a r c i era il desiderio di p r e n d e r contatto con l'ambiente dei Filosofi, di cui aveva a m m i r a t o le o p e r e e fra i quali o t t e n n e un g r a n d e successo. Solo p e r n o n dispiacere a sua m a d r e , che lo considerava il diavolo in p e r s o n a , rinunziò a u n a visita a Voltaire. Q u a n d o r i e n t r ò a V i e n n a , vi trovò b r u t t e novità. Incoraggiati dal suo anticlericalismo, i b o e m i si stavano convert e n d o al protestantesimo così massicciamente che la Regina aveva reagito con misure persecutorie. Fra m a d r e e figlio ci fu u n o scontro che solo il tatto di Kaunitz riuscì a appianar e . Ma subito s o p r a v v e n n e u n ' a l t r a complicazione. Il Duca di Baviera era m o r t o senza lasciare eredi. Al candidato dell'Austria, Federico ne o p p o s e u n o suo. S e n t e n d o s e n e tradito nell'amicizia, G i u s e p p e mobilitò, sordo ai richiami di sua m a d r e che lo a m m o n i v a di n o n stuzzicare quell'avversario spericolato e r o t t o a t u t t e le insidie. I p r u s s i a n i e r a n o già sconfinati in Baviera, la stavano m e t t e n d o a sacco, e l'Europa t r a t t e n e v a il fiato p a v e n t a n d o u n ' a l t r a g u e r r a dei Sette a n n i . In un soprassalto d'autorità la vecchia Regina riprese in m a n o il t i m o n e e m a n d ò a Federico un emissario segreto con un'offerta di c o m p r o m e s s o , che Federico accettò. M a r i a Teresa aveva salvato la pace, ma usciva da quel* l'ennesima crisi col figlio definitivamente p r o s t r a t a . Grassa di costituzione, negli ultimi a n n i si e r a vieppiù appesantita', e il c u o r e ne risentiva. Colpita da u n a brpnchitella, n o n potè mettersi a letto, dove n o n riusciva a respirare. Giuseppe fili c o m e al solito, la sua più a m o r o s a e assidua infermiera. Utìa sera, a g g i u s t a n d o l e i cuscini, le disse: «Vostra Maestà è in cattiva posizione». «Sì», rispose lei, «ma a b b a s t a n z a b u o n a p e r morirci.» Spirò il g i o r n o stesso: 29 n o v e m b r e 1780. O r a G i u s e p p e e r a libero d i g o v e r n a r e c o m e v o l e v a , * . ì!
406
n o n mise t e m p o in mezzo. Liquidò in pochi giorni la vita di Corte col suo p e s a n t e rituale di feste e c e r i m o n i e , e ne ins t a u r ò u n ' a l t r a da g r a n d e e coscienzioso b u r o c r a t e . C o m e Federico, volle essere soltanto «il p r i m o servitore dello Stato», e n o n gli costò sforzo p e r c h é solo lo Stato lo interessava. N o n aveva né d o n n e né hobbies. Aveva solo, davanti ai suoi occhi, il miraggio di u n a Città del Sole che realizzasse gl'ideali della giustizia e dell'efficienza e servisse di modello a tutte le altre nazioni. N o n si lasciò c o n d i z i o n a r e da p r e g i u d i z i a l i d e m o c r a t i che. Il p o p o l o , diceva, n o n aveva abbastanza p r e p a r a z i o n e e d e s p e r i e n z a p e r p o t e r fare d a sé. Bisognava d u n q u e governare per, ma n o n con e attraverso il p o p o l o . E il principio su cui si basano tutti i dispotismi. E d e s p o t a fu a n c h e lui, nel senso p i ù p i e n o della p a r o l a . Scelse i p r o p r i ministri infischiandosi di titoli, r a n g o e anzianità, e li trattava c o m e impiegati, ad eccezione di Kaunitz che riuscì p e r qualche a n n o a tenergli testa. Li controllava con un sistema di spionaggio d e g n o di Stalin e, accentrati così nelle p r o p r i e m a n i tutti i poteri, si diede a costruire il suo utopico R e g n o . F u u n a g r a n d i n e d i r i f o r m e : abolizione della p e n a d i m o r t e e di t u t t e le discriminazioni religiose, i n t r o d u z i o n e del divorzio, liberazione dei servi, a b b a t t i m e n t o dei privilegi feudali. E r a n o misure che mettevano a s o q q u a d r o tutte le impalcature di quella società agraria e basata sulle caste n o biliari. Ma G i u s e p p e n o n si c u r ò degli squilibri che ne derivavano. T r a v o l g e n d o ogni resistenza, demolì tutto il sistema d i dazi i n t e r n i c h e facevano d a s u p p o r t o e c o n o m i c o delle a u t o n o m i e r e g i o n a l i . Lasciò solo, e anzi rafforzò, quelli esterni a v v i a n d o così il suo R e a m e a l l ' a u t a r c h i a . N a t u r a l m e n t e gli altri Paesi r e c i p r o c a r o n o con alte tariffe protettive. E questo spinse G i u s e p p e a «pianificare» la p r o d u z i o n e in m o d o da d a r e il passo all'industria e alla città sull'agricolt u r a e il c o n t a d o . Q u e s t o significava l ' i n d e b o l i m e n t o della p r o p r i e t à t e r r i e r a su cui si basava l'aristocrazia a profitto dei ceti borghesi e imprenditoriali. Insigniti di titoli e blaso407
ni, industriali e m e r c a n t i f o r m a r o n o anch'essi u n a nobiltà c h e faceva da c o n t r a p p e s o a quella tradizionale e d i e d e r o avvio a un capitalismo fortemente p r o t e t t o dallo Stato. G i u s e p p e n o n si lasciò s c o r a g g i a r e d a l s e n t i m e n t o p r o f o n d a m e n t e cattolico della p o p o l a z i o n e e le i m p o s e la tolleranza con editti di e s e m p l a r e intolleranza. A coloro che si o s t i n a v a n o a p r a t i c a r e discriminazioni religiose fece infliggere ventiquattro scudisciate (che n o n venivano considerate t o r t u r a p e r c h é n o n p r o c u r a v a n o la m o r t e ) . L'effetto fu un r a p i d o i n c r e m e n t o nelle conversioni al protestantesimo e u n a p r o l i f e r a z i o n e di logge m a s s o n i c h e c h e G i u s e p p e , lungi dal combattere, organizzò in d u e sette in m o d o da evit a r n e la dispersione. N o n abolì la censura. Ma la c o m m i n ò i m p a r z i a l m e n t e sia ai libri che c o n t e n e v a n o attacchi al Cristianesimo, sia a quelli c h e p r o p a l a v a n o miracoli e leggende , che alimentassero la superstizione. Le o p e r e scientifiche ne e r a n o c o m u n q u e i m m u n i , e quelle all'Indice e r a n o messe a . disposizione degli studiosi. L ' i n s e g n a m e n t o doveva essere assolutamente libero, e q u a n d o quattordici s t u d e n t i bigotti • c o n t e s t a r o n o un l o r o p r o f e s s o r e p e r c h é sosteneva che ii m o n d o era p i ù antico di q u a n t o la Bibbia dicesse, Giuseppe ,' o r d i n ò che fossero espulsi «perché delle teste così vuote n o n ' possono profittare dell'istruzione». 4* Q u e s t e m i s u r e c r e a r o n o nella Chiesa tale a p p r e n s i o n e / che Pio VI si precipitò a Vienna. Da più di tre secoli e mezi-j zo n e s s u n P a p a aveva a t t r a v e r s a t o il B r e n n e r o . Fu accolto ì da u n a folla o s a n n a n t e che volle così manifestare la sua avversione all'anticlericalismo d e l l ' I m p e r a t o r e . Questi scrisse f con u n a p u n t a di cinismo: «E stato un bellissimo spettacolo* j Dal balcone il Papa ha i m p a r t i t o l'assoluzione a rate anche.; di sessantamila p e c c a t o r i alla volta e u n a d o n n a è rimasta schiacciata nella ressa p r o p r i o sotto la mia finestra». Egli " colmò il Pontefice di d o n i e onori, ma n o n gli concesse n u l £ | la. Q u a n d o , di lì a pochi mesi, gli restituì la visita a Roma, vi. fu accolto da u n a folla n o n m e n o o s a n n a n t e che volle cosi manifestare la p r o p r i a avversione al clericalismo. t
408
Ma di b e n altra portata si rivelarono le resistenze i n t e r n e della t r a d i z i o n e , del c o s t u m e , delle a u t o n o m i e locali, delle singole nazionalità e, se si vuole, a n c h e del pregiudizio. C o n l'occhio fisso alla sua Città del Sole, G i u s e p p e le aveva sottovalutate. Ma alle p r i m e difficoltà e c o n o m i c h e e d i p l o m a t i che, se le trovò di fronte. U n ' i n c a u t a alleanza con C a t e r i n a di Russia lo costrinse a u n a c a m p a g n a c o n t r o i Turchi, che mise in luce le m a g a g n e dell'esercito. Q u a s i tutti a p p a r t e nenti alla nobiltà t e r r i e r a o ad essa legati, i c o m a n d a n t i n o n avevano molta voglia di battersi p e r un I m p e r a t o r e che aveva mortificato la loro casta tradizionalmente depositaria del culto della lealtà e dei valori g u e r r i e r i . Per r i d a r e slancio alle t r u p p e d e m o r a l i z z a t e dall'apatia dei capi, G i u s e p p e d o vette richiamare in servizio e passare il c o m a n d o al vecchio maresciallo L a u d o n , e r o e della g u e r r a dei Sette a n n i . Ma la Prussia aveva approfittato degli smacchi austriaci p e r scend e r e i n c a m p o accanto a i T u r c h i . Sul suo t r o n o n o n c'era più il g r a n d e Federico, di cui G i u s e p p e aveva celebrato la scomparsa con queste cavalleresche p a r o l e : «Come soldato r i m p i a n g o la m o r t e di questo g r a n d e condottiero. C o m e patriota, r i m p i a n g o che sia v e n u t a con t r e n t ' a n n i di ritardo». Ma il suo successore ne continuava la politica antiaustriaca. I m a g n a t i u n g h e r e s i , s e m p r e all'agguato della b u o n a occasione, i n n a l z a r o n o il vessillo d e l l ' i n d i p e n d e n z a n a z i o n a l e , sotto cui si nascondeva il p r o p o s i t o reazionario di restaurare i privilegi feudali e la servitù della gleba c h e G i u s e p p e aveva abolito. I Belgi s e g u i r o n o l'esempio, scacciarono il gov e r n a t o r e austriaco, c h ' e r a il c o g n a t o stesso d e l l ' I m p e r a t o re, e p r o c l a m a r o n o la Repubblica. G i u s e p p e si rivolse p e r aiuto alla sorella Maria Antonietta e a suo marito Luigi X V I . Ma p r o p r i o in quel m o m e n t o la rivoluzione spazzava via anche loro. Lo sventurato sovrano n o n sapeva più a che santo votarsi, anche p e r c h é coi Santi e r a s e m p r e stato in g u e r r a . Tutta la sua U t o p i a e r a in pezzi. Perfino la fedelissima Austria gli si ribellava, sobillata dai preti. Su consiglio del fratello Leo409
p o l d o , G r a n d u c a di Toscana, restituì agli u n g h e r e s i la loro c o r o n a , la c o r o n a di S a n t o Stefano, e se ne r i g u a d a g n ò i consensi. M a o r m a i e r a t a r d i p e r t e n t a r e u n a rivincita. I l suo fisico n o n aveva retto ai dieci a n n i di forsennato lavoro che si era imposto. Stomaco e p o l m o n i e r a n o in disordine, i nervi cedevano rosi dalla tensione e dall'insonnia. O r a si aggiungeva l'idropisia. C h i a m ò L e o p o l d o p e r passargli le redini del p o t e r e , lasciò che il p r e t e gì'impartisse i sacramenti e d e t t ò il p r o p r i o epitaffio: «Qui giace G i u s e p p e c h e n o n riuscì in nulla». Perché n o n fosse riuscito, n o n ebbe il t e m p o di d o m a n darselo. Se lo avesse avuto, forse si sarebbe accorto che quel «nulla» n o n era del tutto esatto. Ciò che gli era mancato era quel realismo che invece sua m a d r e aveva posseduto al massimo g r a d o . N o n aveva visto, o aveva sottovalutato gli ostacoli, e aveva t r o p p o anticipato i suoi t e m p i . Gli u o m i n i di Stato miopi sono rovinosi p e r i loro popoli, e quelli presbiti p e r se stessi. G i u s e p p e aveva a v u t o il p e g g i o r n e m i c o nel p r o p r i o carattere impaziente e dispotico, inaccessibile ad altre voci che n o n fossero quelle di d e n t r o . C o m e tutti i grandi «pianificatori» aveva della società u n ' i d e a astratta e libresca, ma assoluta e refrattaria a qualsiasi c o m p r o m e s s o . La cieca fede in ciò che faceva lo r e n d e v a intollerante, e perfino brutale, con chi n o n la condivideva. Perciò aveva saputo più com a n d a r e che dirigere. E perciò si e r a fatto s o r p r e n d e r e da u n a realtà di cui n o n aveva mai voluto p r e n d e r e atto. Ma ciò n o n toglie nulla alla generosità e nobiltà dei suoi i n t e n t i . Di tutti i d e s p o t i di q u e s t ' e p o c a di despoti, egli fu c e r t a m e n t e il più «illuminato». Le sue riforme anticiparono t r o p p o l'età m o d e r n a , ma l ' a n t i c i p a r o n o . E del resto egli stesso ne ebbe il p r e s e n t i m e n t o , q u a n d o scrisse nella sua lettera di addio a Kaunitz: «Spero che la posterità, più imparziale e q u i n d i più giusta dei c o n t e m p o r a n e i , riconoscerà l'onestà e giustezza delle mie intenzioni». Aveva visto chiaro. La posterità ha p r e s o atto del suo fall i m e n t o , ma lo c o n s i d e r a p i ù m e r i t e v o l e di t a n t i successi. 410
L'Austria impiegò d u e secoli a realizzare le riforme che Giuseppe aveva preteso di realizzare in dieci a n n i . Ma dovette realizzarle. D o p o la m o r t e dell'autore esse furono frettolosamente revocate. Ma il loro spirito rimase, si travasò anche all'estero, specialmente in Italia, e provocò un fermento d'idee che nessuno p o t è più arrestare. I riformatori del Settecento, soprattutto in L o m b a r d i a e Toscana dove l'influenza austriaca e r a p i ù d i r e t t a e p a l p a b i l e , ne f u r o n o ispirati e pervasi. Quel po' di n u o v o che nei c a m p o dell'organizzazione politica e amministrativa si realizzò sullo scorcio del secolo nel nostro Paese, fu in g r a n p a r t e sollecitato dall'esempio di Giuseppe. La sua o p e r a cadde. Il suo seme fruttò.
CAPITOLO SETTIMO
L'ESEMPIO I N G L E S E
Più c h e le g u e r r e , che preferiva lasciar fare agli altri, l'In*g h i l t e r r a d e l S e t t e c e n t o aveva s a p u t o v i n c e r e le paci. Sia U t r e c h t che Aquisgrana furono il trionfo della sua diploma*zia, s e m p r e tesa a quella balance of potvers, a quell'equilibrio di poteri in E u r o p a che n o n consentisse a n e s s u n o di essi di p r e n d e r e il sopravvento sugli altri. E questo faceva sì che i p o p o l i p i ù deboli, m a attaccati alla p r o p r i a i n d i p e n d e n z a nazionale, vedessero n e l l ' I n g h i l t e r r a u n a garanzia. A Tonano e a Venezia, p e r esempio, l'ambasciatore inglese era cons i d e r a t o «amico» p e r definizione e g o d e v a di «entrature» particolari. Ma queste simpatie n o n si limitavano al c a m p o diploma**; tico. L'Europa cominciava a capire che i successi di quel PaéK se n o n e r a n o dovuti soltanto all'accortezza dei suoi d i r i g e r ti, ma a n c h e alla stabilità del suo sistema politico e sociale'.-' Ed è questo sistema che comincia ad essere p r e s o a modeltò e a fare scuola. ** N e a n c h e in I n g h i l t e r r a i c o n t r a s t i m a n c a v a n o . Fino a; m e t à del secolo, a d i v i d e r e l ' o p i n i o n e , c'era stata a n c h e là questione dinastica. Ne Eltalia del Seicento abbiamo succinta-] m e n t e raccontato le vicende dei suoi Re Stuart. U n o di es$ fu d e c a p i t a t o da C r o m w e l l , l'ultimo fu scacciato dal trorìé ad o p e r a del m a r i t o di sua figlia Maria, l'olandese Guglielmo d ' O r a n g e , c h e si c o r o n ò al suo p o s t o , ma n o n ri user 4, fondare u n a n u o v a dinastia p e r m a n c a n z a di eredi. Dopo' lasua m o r t e , sua cognata A n n a r e g n ò da sola, e c o m e successore si scelse l'unico suo c o n g i u n t o di religione protestante» c o m e il popolo voleva: il Duca Giorgio di Hannover. Era tii| 412
personaggio di mezza tacca, un principotto di marca tipicam e n t e tedesca, cioè rozzo e caporalesco, che oltre tutto n o n parlava u n a p a r o l a d'inglese. Le antipatie che suscitò diedero forza ai «giacobiti» c o m e si c h i a m a v a n o i partigiani dell'ultimo Stuart, Giacomo, esule in Francia, e spinsero suo figlio a t e n t a r e u n o sbarco in I n g h i l t e r r a p e r riconquistare il trono. P r e n d e n d o - c o m e spesso capita ai fuorusciti - le speranze p e r realtà, contava su u n a rivoluzione, che n o n scoppiò. Solo alcuni e s p o n e n t i della più retriva nobiltà scozzese, tuttora partigiani dell'assolutismo m o n a r c h i c o che gli Stuart incarnavano, si schierarono al suo fianco, ma furono sbaragliati dall'esercito r e g o l a r e . Il p r e t e n d e n t e se ne t o r n ò in Francia, e gli H a n n o v e r si s e n t i r o n o più sicuri sul loro trono, sebbene u n a certa fronda giacobita seguitasse a serpeggiare nel Paese. Ad a l i m e n t a r l a e r a s o p r a t t u t t o la classe t e r r i e r a , di sua n a t u r a conservatrice e autoritaria, che faceva capo a un p a r tito, quello Tory, in c o n t r a p p o s i z i o n e ai Whigs, che r a p p r e sentavano gl'interessi e le idealità dei ceti progressisti legati all'industria e alla finanza. P e r c h é o r a m a i in I n g h i l t e r r a i partiti c'erano, e q u i n d i c'era u n a vita politica articolata, che dettava le sue c o n d i z i o n i ed e s i g e n z e a n c h e al Re. Costui n o n poteva agire di sua testa, c o m e facevano i suoi colleghi di Vienna e di Parigi, a n t e p o n e n d o m a g a r i i p r o p r i interessi n e l l ' H a n n o v e r - il Principato tedesco da cui p r o v e n i v a n o e di cui avevano conservato la c o r o n a - a quelli inglesi. L'Inghilterra e r a o r m a i u n a nazione che si governava da sé. E si g o v e r n a v a a p p u n t o a t t r a v e r s o i suoi d u e partiti, c h e r a p presentavano le d u e g r a n d i forze, materiali e morali, in cui il Paese e r a diviso: quella della c a m p a g n a e dell'agricoltura, i Torìes; e quella della città, dell'industria e del commercio, i Whigs. La lotta fra l o r o e r a vivace, ma di r a d o d e g e n e r a v a in scontri frontali. A impedirlo e r a n o la conformazione e il costume delle classi dirigenti, che a p p u n t o p e r questo facevano spicco sul resto d ' E u r o p a e ne venivano p r e s e a modello. 413
Esse e r a n o c o m p o s t e quasi esclusivamente di aristocratici; M a questi aristocratici n o n f o r m a v a n o u n a casta chiusa d i parassiti del p o t e r e e della ricchezza. C h i u n q u e acquistasse titoli di merito come u o m o di Stato, o c o m e finanziere, o come industriale, veniva insignito di un titolo nobiliare ed en*t r a v a a far p a r t e della categoria, a r r i c c h e n d o l a con le sue fresche energie; m e n t r e il figlio cadetto del nobile, n o n pot e n d o a s p i r a r e al titolo c h e spettava u n i c a m e n t e al primo^ genito, cercava di p r o c u r a r s e n e un altro dandosi al servizio di Stato, o alla finanza o all'industria. Tutto questo assicurai va un continuo ricambio di uomini che, anche q u a n d o si combattevano fra loro, difficilmente si dimenticavano di far p a r t e dello stesso sistema, e ne condividevano la mentalità!, il linguaggio e i f o n d a m e n t a l i interessi. Q u e s t o n o n faceva d e l l ' I n g h i l t e r r a il r e g n o della giustizia sociale. Il g r a n d e , anelito democratico ed egalitario che aveva a n i m a t o la rivoluzione di Cromwell si era spento assieme alle passioni reli-, giose del Seicento. Tories o Whigs, le n u o v e classi d i r i g e n t i ; avevano in c o m u n e la religione della ricchezza, e in base ad essa c o m m i s u r a v a n o i diritti individuali. Quello di voto ef« r i c o n o s c i u t o soltanto a chi avesse a d e g u a t i titoli di prof' prietà, e q u i n d i la massa n ' e r a esclusa. Ma rispetto al i estì» d ' E u r o p a l ' I n g h i l t e r r a a p p a r i v a l a n a z i o n e p i ù avanzata^, senza esserlo tuttavia al p u n t o da s e m b r a r e irraggiungibiléi; Il suo esempio funziona a p p u n t o p e r questo. Il tipo di libè+ , ralismo ch'essa offre al c o n t i n e n t e n o n ha nulla di utopico* Anche sul p i a n o religioso esso ha p e r s o le asprezze, le angoV losità, il terrificante rigore del p r i m o calvinismo. Esso fa dejj^ la «tolleranza» la p r o p r i a architrave, e p e r poterla praticai^, nei confronti di tutti si c o n t e n t a d ' u n vago deismo complèh t a m e n t e disancorato da qualsiasi teologia. Esso insomma di^ ce a tutti, cattolici e p r o t e s t a n t i : «Lasciate stare i p r o b l e r t i della rivelazione, della predestinazione, del sacerdozio ecce;; tera. Contentatevi di s a p e r e che c'è un Essere sopranna!»» rale chiamato Dio. La sua esistenza è dimostrabile anche r-, losoficamente e i suoi precetti morali sono quelli che secoUfi r
r
1
414
M
d a n o le inclinazioni naturali d e l l ' u o m o . Chi condivide q u e sto c r e d o e lo pratica, a n d r à s i c u r a m e n t e in p a r a d i s o . L'inferno è riservato ai fanatici, cioè agl'intolleranti, a q u a l u n que chiesa o sètta a p p a r t e n g a n o » . Era il messaggio più facile da t r a d u r r e in qualsiasi lingua e il più t e n t a t o r e p e r dei cervelli e u r o p e i già intrisi di razionalismo e rischiarati dai «lumi» francesi. Ma a p r o p i z i a r n e la diffusione e il successo ci furono a n c h e altri d u e fattori. Il p r i m o fu la p a r t e di guida che l'Inghilterra assunse risolutamente in c a m p o economico con la sua rivoluzione industriale. Gli storici ancora si d o m a n d a n o p e r c h é questo fen o m e n o n a c q u e lì. Perché, dice qualcuno, l'Inghilterra n o n subì invasioni e n o n ne fu devastata, e p e r c h é aveva un vasto i m p e r o coloniale in cui poteva a t t i n g e r e le m a t e r i e p r i me e riversare i suoi p r o d o t t i . Ma la S p a g n a e r a stata nelle stesse condizioni, e p p u r e l'industria n o n vi si sviluppò. Perché, dice q u a l c h e altro, la conversione dall'agricoltura alla pastorizia liberò molta m a n o d o p e r a c o n t a d i n a e la rese o p e raia. Ma questa conversione fu provocata dallo sviluppo dell'industria tessile che aveva bisogno di lana, e q u i n d i di bestiame, e q u i n d i di p a s t u r e : cioè fu u n a c o n s e g u e n z a , n o n u n a causa. C r e d i a m o c h e i motivi siano altri. Anzitutto, la gestione del p o t e r e da p a r t e di u n a classe dirigente sensibilissima a i p r o b l e m i e c o n o m i c i p e r c h é f o r m a t a d a u o m i n i che venivano dagli affari, o vi si davano. Secondo, il carattere della Scienza inglese che dette subito la p r e c e d e n z a alla ricerca p r a t i c a , cioè alla tecnologia, invece c h e a quella astratta c o m e avveniva d a p p e r t u t t o altrove: p i ù che a scoprire leggi e princìpi, lo scienziato inglese mirava a inventare m a c c h i n e e p r o c e d i m e n t i . L ' I n g h i l t e r r a n o n dà p i ù i grandi geni solitari alla Bacone e alla Newton, ma p r o d u c e una pleiade di pratici realizzatori. Darby costruisce il p r i m o altoforno, suo figlio il p r i m o p o n t e di ferro, Reynolds la prima ferrovia, Wilkinson rischia il manicomio p e r aver avanzato il p r o g e t t o di costruire in ferro a n c h e le navi, ma poi trova il m o d o di realizzarlo, e q u e s t o c o n s o l i d a l'assoluto 415
p r i m a t o della f l o t t a m e r c a n t i l e inglese. Perfezionato d a H a r g r e a v e s , il telaio inglese p r o d u c e q u a t t r o volte più di q u a l u n q u e altro e u r o p e o e p e r m e t t e all'Inghilterra d'inond a r e il mercato m o n d i a l e coi suoi cotonati. L'elenco potrebbe c o n t i n u a r e p e r p a g i n e e p a g i n e . R i a s s u m i a m o l o nella conquista culminante: la macchina a v a p o r e di Watt. Watt i n c a r n a alla p e r f e z i o n e il g e n i o scientifico inglese del Settecento. Invece di frequentare la scuola, aveva istallato u n a fabbrica di attrezzi. L'Università di Glasgow gliene d i e d e da r i p a r a r e u n o , che avrebbe d o v u t o g e n e r a r e del vap o r e , ma n o n ci riusciva p e r c h é lo p e r d e v a quasi tutto p e r strada. Watt ideò un contenitore, e al m o m e n t o d'applicarlo s'accorse che il v a p o r e n o n solo ci restava imprigionato, ma s v i l u p p a v a u n a forza c a p a c e d i a z i o n a r e t u t t o i l m e c c a n i s m o . La s c o p e r t a fu accettata, ma le a p p l i c a z i o n i furono c o n s i d e r a t e di p o c a utilità e t r o p p o costose. Watt cercò fin a n z i a m e n t i , e ne o t t e n n e u n o a n c h e dal P a r l a m e n t o , a rir p r o v a di q u a n t o la classe dirigente inglese fosse a p e r t a all'ejsigenze del progresso tecnico. Ma i risultati furono deludenti. Ci volle un i m p r e n d i t o r e di larghi mezzi e di m e n t e ilio m i n a t a , B o u l t o n , p e r c o n s e n t i r e e s p e r i m e n t i s u scala più larga. B o u l t o n aveva c i n q u e fabbriche di articoli vari, ch# a n d a v a n o ad acqua. Capì quale balzo avanti p o t e v a n o far^ col v a p o r e e rilasciò a Watt u n a specie di assegno in bianco p e r dargli m o d o di p e r f e z i o n a r e la sua m a c c h i n a . I difetti; d i p e n d e v a n o dalla grossolanità dei cilindri. Ma Wilkinsoa riuscì a p r o d u r n e u n o che r i s p o n d e v a ai requisiti. L'ami© d o p o B o u l t o n p o t e v a d i r e a un visitatore m o s t r a n d o g l i il suo stabilimento g r e m i t o di centinaia di operai: «Io qui prò,*d u c o e v e n d o ciò di cui tutti h a n n o bisogno: l'energia». Ifl' fatti tutti g l ' i m p r e n d i t o r i vi accorrevano da ogni angolo dell'Inghilterra p e r provvedersi della n u o v a macchina. 3
1
1
Le c o n s e g u e n z e della rivoluzione industriale furono va rie. A n z i t u t t o , essa spinse l ' I n g h i l t e r r a ad a l l a r g a r e il su»., i m p e r o coloniale p e r cercarvi le materie p r i m e e vendervi? ., suoi p r o d o t t i . Gl'inglesi n o n lo conquistarono p e r a r r i c c h ì ^ . 1
416
di n u o v e province la c o r o n a del loro Re c o m e facevano spagnoli e francesi; lo conquistavano p e r p r o c u r a r e cotone alle p r o p r i e tessiture e metalli alle p r o p r i e fonderie. Q u e s t o p o neva su basi solide e c o n c r e t e i r a p p o r t i fra m a d r e p a t r i a e colonie: l ' I n g h i l t e r r a e r a la forza dirigenziale di q u e s t o cosmo p e r c h é ne e r a il c e n t r o finanziario e manifatturiero. Ecco p e r c h é questo i m p e r o ha resistito fino ai nostri giorni. S e c o n d o , essa sconvolse l'assetto sociale del Paese. Il bisogno d i m a n o d o p e r a s p o p o l ò l e c a m p a g n e d i s t r u g g e n d o la famiglia patriarcale c o n t a d i n a e spazzò vie le vecchie corporazioni. L'imprenditore p r e n d e l'operaio dove lo trova e l'operaio c o r r e da chi lo cerca infischiandosi di «patenti» e «licenze». Fin allora immobile, la società si fluidifica e crea i g r a n d i c o n c e n t r a m e n t i u r b a n i d i Liverpool, B i r m i n g h a m , Manchester, Newcastle. L'unica a g r i c o l t u r a c h e si salva è quella che si presta ad essere meccanizzata, cioè sfruttata secondo precisi criteri capitalistici. T e r z o . S e m p r e m e g l i o razionalizzata, e q u i n d i s e m p r e più massiccia, la p r o d u z i o n e gettò sul m e r c a t o u n a crescente quantità di beni d a n d o l'abbrivo a quella che oggi si chiama «la civiltà dei consumi». Ma nello stesso t e m p o creò il bis o g n o d i u n a m a n o d o p e r a s e m p r e p i ù qualificata c h e richiese un moltiplicarsi di scuole, librerie e a t t r e z z a t u r e scientifiche, tutte intese p e r ò al professionalismo pratico. Q u a r t o . La ferrea legge della concorrenza i m p o n e v a p r o cedimenti s e m p r e p i ù raffinati, e q u i n d i m a c c h i n e s e m p r e più complicate, e q u i n d i investimenti s e m p r e p i ù cospicui. Di qui il colossale sviluppo delle b a n c h e , le cui sedi d o m i n a no p e r i m p o n e n z a le fabbriche, e il perfezionarsi dei loro sistemi operativi. Ma di q u i a n c h e la corsa ai profitti. L'imp r e n d i t o r e inglese n o n lesina n e l m a c c h i n a r i o : n o n solo è sempre p r o n t o a rinnovarlo, ma p r o f o n d e capitali p e r finanziarne i perfezionamenti: «Ogni stabilimento - diceva Tucker - ha i suoi inventori e il suo c a p a n n o n e p e r gli esperimenti». Ma quello c h e si s p e n d e nelle m a c c h i n e si cerca di r i s p a r miarlo sugli operai, sfruttati all'osso. I salari sono miserabili, 417
gli orari oscillano fra le dodici e le quattordici ore, d o n n e e bambini sono b r u t a l m e n t e sfruttati, e fino alla fine del secolo u n a legge i n u m a n a proibisce s e v e r a m e n t e la formazione di sindacati che p o s s a n o organizzare gli o p e r a i e avanzare rivendicazioni in loro n o m e . Così il capitalismo m o d e r n o , figlio della rivoluzione industriale, si p r e s e n t a subito col suo d o p p i o volto: d'insostituibile p r o m o t o r e del p r o g r e s s o economico e di responsabile dell'ingiustizia sociale. A c o m p r e n d e r e e a d e n u n z i a r e questa conti-addizione fu un u o m o che p e r n a t u r a e a b i t u d i n i di vita vi s e m b r a v a il m e n o qualificato. A d a m o S m i t h e r a u n q u i e t o giovanotto scozzese, che con l'economia n o n aveva altro r a p p o r t o che il fatto di essere figlio d ' u n ispettore delle d o g a n e . N o n fu mai tentato né dalla banca, né dall'agricoltura, né dall'industria p e r c h é in quell'epoca d o m i n a t a dal d e n a r o , era u n o dei pochi che al d e n a r o n o n badasse. Aveva fatto b u o n i studi filosofici a Oxford, s'era p r e s t a t o a far da t u t o r e al figlio di un Duca p e r poterlo a c c o m p a g n a r e a Parigi e aver occasione di frequentarvi i Filosofi più in vista da Voltaire a Turgot a Quesnay. Ma n o n mostrava nessuna fretta d'«arrivare». Per n o n complicare la p r o p r i a esistenza e r i d u r n e al m i n i m o le esigenze, n o n aveva n e m m e n o preso moglie, né gli si conoscevano amanti. Viveva con la m a d r e , p a g o dei p r o p r i pensieri, di cui si decise a s p r e m e r e il frutto solo nel '76, q u a n d o aveva già c i n q u a n t a t r é anni. Il libro che aveva così a l u n g o m a t u r a t o si chiamava Natura e cause della ricchezza delle Nazioni, e ad esso si p u ò con tutto c o m o d o far risalire la nascita di u n a n u o v a scienza: l'ec o n o m i a politica. N e s s u n o p u ò contestargli q u e s t a paternità. In fatto di pensiero economico, da Smith nasce tutto e il contrario di tutto: anche Marx, anche Marcuse. Q u a n t o a Mao, ve lo d i r e m o il g i o r n o in cui a v r e m o capito che cosa Mao pensa. Molte delle sue idee n o n sono sue. Per esempio n o n lo e la distruttiva critica del sistema «mercantile», già bersagliato e ridicolizzato dai fisiocratici in Francia e da H u m e nella 418
stessa I n g h i l t e r r a . Per i mercantilisti, lo abbiamo già d e t t o , la ricchezza e r a l'oro, e perciò d i p e n d e v a u n i c a m e n t e dalla cosiddetta «bilancia dei pagamenti». Più s'esportava, più o r o entrava; m e n o s'importava, m e n o o r o usciva. Q u e s t o spingeva i governi, c o m p r e s o quello inglese, a innalzare tariffe doganali contro le importazioni. E questo creava dei mercati nazionali protetti e autarchici, cioè dei c o m p a r t i m e n t i stagni, che i m p e d i v a n o la libera circolazione delle m e r c i , e quindi la c o n c o r r e n z a , e q u i n d i il p r o g r e s s o . Era un'assurdità. Ma lo era specialmente p e r l'Inghilterra nel m o m e n t o in cui, grazie alla sua rivoluzione industriale, essa si trovava nella necessità di d a r e u n o sbocco ai suoi manufatti sui mercati stranieri ed era in condizione di conquistarli grazie alla sua superiorità tecnica. Già i fisiocratici avevano negato che la ricchezza fosse l'oro. Ma p o i a v e v a n o a g g i u n t o c h e la sua unica fonte e r a la t e r r a , cioè il p r o d o t t o agricolo: e qui sbagliavano. S m i t h r a d d r i z z ò l ' e r r o r e d i c e n d o che la fonte della ricchezza e r a anche la terra, in q u a n t o fornitrice delle m a t e r i e p r i m e , ma ad essa a n d a v a a g g i u n t o il lavoro n o n solo c o m e m a n o d o pera ma a n c h e c o m e organizzazione e «servizi». L o r o , diceva, è soltanto u n o s t r u m e n t o di scambio: un Paese p u ò averne molto ed essere poverissimo, c o m e p u ò a v e r n e poco ed essere ricchissimo. Q u e l che conta è la p r o d u z i o n e . E da cosa è stimolata e r e g o l a t a ? Dalla legge d e l «mercato», cioè dalla d o m a n d a e dall'offerta. Se l'offerta, cioè la disponibilità d ' u n p r o d o t t o , diminuisce, ne cresce la d o m a n d a , cioè il bisogno. Il prezzo sale. Salendo, assicura un più largo p r o fitto che i n d u c e l ' i m p r e n d i t o r e a p r o d u r r e di più. L'aumento dell'offerta, cioè della disponibilità, provoca la riduzione della d o m a n d a . E questo fa scendere il prezzo che così si riequilibra. Il n o s t r o n o n è, si capisce, che un riassunto m o l t o schematico e grossolano del p e n s i e r o di Smith. Ma ci p a r e che basti p e r far capire le sue implicazioni politiche. Egli diceva in pratica ai governanti: «Basta con le restrizioni, coi m o n o 419
poli, coi calmieri, con le d o g a n e , i n s o m m a con tutte le bard a t u r e mercantiliste. Laissez faire, lasciate fare all'economia. Essa ha già le sue leggi: gliele dà il "mercato"». E la cosiddetta d o t t r i n a «liberista», di cui Smith è consid e r a t o il c r e a t o r e . Ma è un c r e a t o r e che sapeva v e d e r e anc h e i vizi della sua c r e a t u r a . Egli p o n e a f o n d a m e n t o del processo e del progresso economico l'interesse individuale, considerandolo u n o stimolo insostituibile. E il g r a n d e avvocato della p r o p r i e t à privata. Ma n o n la idealizza, anzi ne anticipa e d e n u n z i a le pericolose d e g e n e r a z i o n i . Evidentem e n t e questo studioso casalingo e m a m m a i o n e , che trascorre la sua giornata rinvoltato nelle pantofole e nelle scartoffie, ha saputo g u a r d a r s i i n t o r n o . Ha visto la nascita d ' u n miserabile proletariato u r b a n o , la sua d e g r a d a z i o n e nelle baracche che sorgono i n t o r n o alle fabbriche, ha visto le d o n n e e i bambini s p r e m u t i da un capitalismo di r a p i n a , ha capito che l'interesse individuale a b b a n d o n a t o alle p r o p r i e tentazioni p u ò t r a s c e n d e r e i n u n bestiale s f r u t t a m e n t o dell'uom o , e scrive: «L'interesse d e l l ' i m p r e n d i t o r e n o n s e m p r e coincide con quello pubblico, e p e r t a n t o bisogna guardarsi dal seguirlo ciecamente. Le p r o p o s t e di legge che vi s'ispir a n o v e n g o n o da u n a categoria di p e r s o n e che sono istintiv a m e n t e p o r t a t e a i n g a n n a r e e o p p r i m e r e i lavoratori, e che di fatto molto spesso li i n g a n n a n o e li o p p r i m o n o » . Sembra di leggere Marx. Subito d o p o egli aggiungeva, è vero, che n o n doveva essere il governo, ma la stessa classe i m p r e n d i t o r i a l e a frenare i p r o p r i istinti sopraffattori p e r motivi n o n di moralità e di giustizia, ma di calcolo: salari più alti, egli dice, e t e m p o più libero c o n s e n t i r a n n o agli o p e r a i di m o l t i p l i c a r e i p r o p r i c o n s u m i , e q u i n d i s a r a n n o anch'essi di stimolo alla p r o d u zione. Ma Smith chiede che anche agli operai si riconosca il diritto d'organizzarsi c o m e lo si riconosce agl'imprenditori. E questa proposta doveva s u o n a r e pericolosamente sovversiva agli orecchi di u n a classe d i r i g e n t e che veniva tutta da quella capitalista, o c o m u n q u e vi e r a s t r e t t a m e n t e legata. 420
E p p u r e Smith n o n solo n o n incorse in nessuna censura, ma fu riconosciuto come maestro e ispiratore dagli stessi uomini di Stato. Il più g r a n d e di essi, Pitt, a un b a n c h e t t o ufficiale gli assegnò il p o s t o d ' o n o r e dicendogli: «Noi n o n siamo che i vostri scolari». Era questa l ' I n g h i l t e r r a che faceva scuola al resto d'Europa: la scuola n o n dell'alta filosofia, ma dello spirito pratico e utilitario, della stretta collaborazione fra u o m i n i di p e n siero e u o m i n i d'azione, cioè di u n a cultura al servizio della società c h e la teneva al r i p a r o da ogni s e n t i m e n t o di «frustrazione» e q u i n d i da ogni tentazione eversiva.
CAPITOLO OTTAVO
I «LUMI» FRANCESI
Nel 1743 un filosofo squattrinato di n o m e Diderot propose all'editore p a r i g i n o Le B r e t o n di pubblicare u n a Enciclopedia che raccogliesse t u t t o il s a p e r e u m a n o e lo spiegasse in un linguaggio chiaro e accessibile a tutti. L'idea n o n e r a n u o v a . U n a Enciclopedia, anzi u n a Cyclopoedia o Dizionario universale di Arti e Scienze, esisteva digià in lingua inglese, e Le B r e t o n ne aveva i n t r a p r e s o la traduzion e , cui a p p u n t o a t t e n d e v a n o lo stesso D i d e r o t e D'Alemb e r t . Ma D i d e r o t la trovava, oltre c h e s u p e r a t a , p i e n a di squilibri e di lacune. T a n t o valeva c o m p i l a r n e u n a n u o v a e più aggiornata. L'editore esitò. L'impresa, secondo i suoi calcoli, sarebbe costata d u e milioni di lire - u n a s o m m a folle, p e r q u e i t e m p i - , e p e r t e n t a r l a o c c o r r e v a l ' a p p o g g i o del g o v e r n o e la certezza d ' u n a clientela. D i d e r o t s e m b r a v a il m e n o indicato a fornire queste garanzie. P r o p r i o in quel periodo egli veniva arrestato p e r un suo libello c o n t r o l'ordine costituito. Ma, rilasciato poco d o p o , si diede alla realizzazione del suo p r o g e t t o con tale a r d o r e che tutti gli ostacoli fur o n o travolti. Il suo «prospetto» in cui e r a esposto il piano d e l l ' o p e r a p e r s u a s e i lettori c h e in massa sottoscrissero le 2 8 0 lire richieste p e r dieci v o l u m i c h e s a r e b b e r o usciti in d u e a n n i . Fu - c r e d o - il p r i m o e s p e r i m e n t o di vendita rateale, perfettamente riuscito. II p r i m o v o l u m e a p p a r v e nel g i u g n o del ' 5 1 . Lo apriva un «discorso preliminare» di D'Alembert, che riassumeva i criteri con cui e r a n o stati scelti a r g o m e n t i e collaboratori, e ne chiariva l'impostazione. C o n t r o la religione n o n c'erano attacchi diretti. Anzi, s'annunziava che molte delle relative 422
«voci» - c o m e Gesù, Cristianesimo, Ateismo ecc. - e r a n o state affidate alla p e n n a di sacerdoti. Ma queste chiazze d'ortodossia, disseminate fra le sue pagine p e r p r e v e n i r e c e n s u r e e sequestri, n o n alteravano lo spirito dell'opera, razionalistico e anticlericale. La voce «Cronologia sacra» p e r e s e m p i o elencava m i n u t a m e n t e e m e t t e v a in ridicolo senza pietà le contraddizioni e i n c o n g r u e n z e dei testi sacri. Gli autori più citati e r a n o Bacone e Cartesio, i g r a n d i p a d r i del libero p e n siero. A G i o r d a n o B r u n o era sciolto un i n n o , perfino esagerato. I n s o m m a , tutta l'opera recava l ' i m p r o n t a di quei Filosofi, che costituivano il grosso dei compilatori, e il cui sogno era di sostituire la scienza alla religione e se stessi ai preti. N o n s e g u i r e m o le vicende di questa straordinaria avventura editoriale, che ne ebbe molte. A un certo p u n t o p a r v e che il g o v e r n o i n t e n d e s s e m a n d a r e al m a c e r o l ' o p e r a e in galera i suoi autori. Voltaire sollecitò D i d e r o t a trasferirsi a Berlino e a c o n t i n u a r e lì le pubblicazioni. Ma l'intrepido enciclopedista t e n n e d u r o , e il suo coraggio fu p r e m i a t o . La signora di P o m p a d o u r , a m a n t e del Re e g r a n d e amica e p r o tettrice dei Filosofi, persuase i ministri a i g n o r a r e il libro e le reazioni che suscitava. N o n sappiamo se più a m m i r a r e quel Sovrano e i suoi collaboratori p e r la loro tolleranza o p e r la loro miopia. Q u e l l ' o p e r a era infatti il più t r e m e n d o colpo di piccone che mai fosse stato inferto alle i m p a l c a t u r e dell'antico r e g i m e , c h ' e r a p o i il r e g i m e a t t u a l e . E r a - dice il D u rant - «la rivoluzione p r i m a della Rivoluzione». Di e r r o r i e inesattezze, era lardellata. E i gesuiti n o n persero t e m p o a denunziarli. C o n la p e d a n t e r i a che li distingue, q u a n d o si tratta di confutare tesi eterodosse e imbarazzanti, essi rilevarono dozzine di svarioni, di omissioni, di dati arbitrari, di negligenze, perfino di plagi. Sottolinearono il semplicismo di certe argomentazioni, la mancanza di senso storico di g r a n p a r t e dei compilatori a cominciare dallo stesso Diderot, l'astrattezza del loro ragionare. P u n t o p e r p u n t o , quasi tutte le loro critiche e r a n o fondate. Ma p e r d e v a n o di vista il senso dell'opera nel suo insieme. Essa rappresentava la rot423
t u r a dei chiusi p e r i m e t r i accademici in cui la c u l t u r a era s e m p r e rimasta fin allora circoscritta e la sua liberazione dai vincoli che la tenevano asservita al p o t e r e politico ed economico. Diffondendosi, grazie all'Enciclopedia, in mezzo al g r a n d e pubblico, essa ne iniziava la r e d e n z i o n e , e in questo apostolato trovava a n c h e u n a c o n d i z i o n e d ' i n d i p e n d e n z a . D'ora in poi l'intellettuale n o n si rivolge più al Signore, non gli dedica la sua o p e r a , n o n ne seconda gl'interessi p e r c h é n o n ne ha più bisogno. Il suo p a d r o n e è il lettore. E la sua n u o v a a m b i z i o n e è di d i v e n t a r n e il d i r e t t o r e di coscienza. Così la cultura si affranca dal p o t e r e e il potere p e r d e il p u n tello della cultura. Questo era il g r a n d e risultato dell'Enciclopedia, che nessuna p e d a n t e r i a di gesuita p u ò inficiare. Ma c'è di più. llEncìclopedia e r a la voce dei n u o v i ceti e delle loro aspirazioni. N o n v'è traccia di d e m o c r a z i a né di socialismo p e r c h é i Filosofi, che di questi ceti sono l'espressione p i ù alta, n o n e r a n o orientati in questo senso. Un po' p e r convinzione, un p o ' forse p e r p r u d e n z a , essi si p r o p o n e v a n o di realizzare la loro rivoluzione p e r interposta persona, cioè servendosi dello s t r u m e n t o che avevano a portata di m a n o : la m o n a r c h i a . I loro m o d e l l i e r a n o Federico di Prussia e Giuseppe II d'Austria (che n o n p e r nulla aveva inc o n t r a t o fra loro t a n t o successo), cioè il «despota illuminato», che valendosi dei suoi assoluti poteri mettesse in opera le riforme, come oggi si direbbe, «di fondo», capaci di creare il «nuovo ordine», che essi suggerivano. Cos'erano queste riforme? E r a n o la trasposizione sul piano pratico delle p r e m e s s e filosofiche da cui gli enciclopedisti e r a n o partiti. Fra le voci di questo g r a n d e dizionario facevano p r e m i o su tutte le altre quelle relative all'economia e alla tecnologia. Era logico, visto che gli ambienti da cui traevano ispirazione e a cui si rivolgevano e r a n o quelli della nascente borghesia i m p r e n d i t o r i a l e . Essi n o n si contentavano d'idee astratte. Volevano m i s u r e concrete che secondassero i loro interessi. O p e r meglio dire, su questi interessi avevano m o d e l l a t o delle idee, che d o v e v a n o servire di bussola e
g u i d a ai legislatori. Essi volevano la scienza al p o s t o della religione p e r c h é scienza significa a n c h e tecnica, tecnica significa progresso economico e il progresso economico comp o r t a v a il c a m b i o della g u a r d i a , nelle posizioni di p o t e r e , tra la vecchia aristocrazia feudale, r e d d i t i e r a e parassitaria, e i nuovi ceti capitalisti. VEnciclopedia riscosse un successo c l a m o r o s o in t u t t o il m o n d o . Fu t r a d o t t a a n c h e in Italia, e vi t r o v ò a b b a s t a n z a clienti p e r e s a u r i r e d u e edizioni. P o c h e , in c o n f r o n t o al massiccio smercio che ebbe in Francia e in quasi tutti gii altri Paesi. Moltissime, se si p e n s a al dilagante analfabetismo del nostro Paese, dove la cultura seguitava ad essere il privilegio di u n a piccola casta chiusa nelle sue Accademie, e p e r di più i n t e r a m e n t e asservita al p o t e r e politico ed economico, che dell'Enciclopedia era il bistrattato bersaglio. Data q u e s t a situazione, e r a logico c h e gl'italiani assimilassero di q u e l l ' o p e r a solo quello c h e p o t e v a n o , cioè solo quello che n o n dava noia al p o t e r e , il quale variava, c o m e sappiamo, da Stato a Stato. E diciamo subito u n a verità p o co gradevole al palato dei patrioti. Gli Stati che si m o s t r a r o no più aperti all'influsso dell'Enciclopedia n o n furono quelli indigeni (Stati della Chiesa, P i e m o n t e , Venezia), ma quelli d o m i n a t i dall'Austria, c o m e v e d r e m o . Ed è n a t u r a l e , p e r ché i despoti nostrani e r a n o soltanto despoti, m e n t r e quelli austriaci - G i u s e p p e e poi L e o p o l d o - e r a n o , o almeno,avevano la p r e t e s a di essere, «illuminati», cioè si t r o v a v a n o in linea coi Filosofi dell'Enciclopedia, se n o n su tutto, a l m e n o su un certo riformismo: quello dei fìsiocratici. Si dice c h e nel 1668 Colbert, il g r a n d e m i n i s t r o di Luigi XIV, d o m a n d a s s e al finanziere L e g e n d r e in che m o d o il gov e r n o p o t e v a i n c r e m e n t a r e la p r o d u z i o n e e il c o m m e r c i o . «In un m o d o solo - rispose L e g e n d r e -: lasciandoli fare». Di queste parole i fìsiocratici fecero nel secolo successivo il loro motto e p r o g r a m m a , che d i v e n t a r o n o anche quelli dell'isnciclopedia, di cui essi furono tra i principali collaboratori. 425
Il n o m e «fisiocrazia», derivato dal greco antico, significa «governo della natura», e a inventarlo fu un funzionario del M i n i s t e r o d e l l ' I n d u s t r i a e C o m m e r c i o , Du Pont, a u t o r e d ' u n libro che s'intitola a p p u n t o Fisiocrazia. Ma, a n c h e se n o n ancora battezzata, la dottrina era già grandicella. L'avevano elaborata i Filosofi amici della P o m p a d o u r , che si riunivano nel suo salotto di Versailles. Fra di loro c'era un p o ' di tutto. C'era il milionario Gournay, che derivava la sua c u l t u r a d a l l ' e s p e r i e n z a a c c u m u l a t a c o m e u o m o d'affari i n S p a g n a e Inghilterra. N o n fu a u t o r e di nessun'opera, ma in c o m p e n s o lasciò un allievo che basta a g a r a n t i r e il valore dei suoi insegnamenti e di cui r i p a r l e r e m o : Turgot. C'era Quesnay, un g r a n d e p r o p r i e t a r i o t e r r i e r o c h e si e r a d a t o alla medicina ed era diventato il medico c u r a n t e della p a d r o n a di casa e del suo reale a m a n t e Luigi XV. C'era Mirabeau che n o n fu soltanto il p a d r e di un figlio d e s t i n a t o a u n a fama più g r a n d e della sua; fu anche lui un pittoresco e vulcanico personaggio, mezzo genio, mezzo canaglia, dissoluto, coraggioso e anticonformista. C'era Diderot. C'era Buffon. C'era Helvétius, Duclos e tanti altri che o r a passano p e r precursori della g r a n d e Rivoluzione: quella che tagliò la testa al Re, del cui palazzo e r a n o assidui ospiti. Lasciamo stare le loro diverse sfumature e i bisticci che li dividevano. Su un p u n t o e r a n o d'accordo: c h ' e r a venuto il m o m e n t o d'applicare la logica della r a g i o n e a n c h e all'economia, e questa logica c o m a n d a v a che lo Stato si limitasse a g a r a n t i r e la vita, la libertà e la p r o p r i e t à . Nei processi produttivi n o n doveva e n t r a r e . Doveva lasciarli all'iniziativa dei singoli e al giuoco dei loro interessi. «Lasciate fare - dicevano ai governanti r i p r e n d e n d o il discorso di L e g e n d r e a Colb e r t -, n o n t u r b a t e la legge n a t u r a l e che regola i r a p p o r t i e c o n o m i c i . Essi t r o v a n o in se stessi i p r o p r i p r o p e l l e n t i e correttivi.» N o n e r a in sé un appello rivoluzionario. Ma r a p p o r t a t o alla situazione vigente, lo diventava. La Francia aveva imprigionato p r o d u z i o n e e commercio in u n a ferrea catena di 426
controlli e restrizioni che garantivano, sì, u n a bilancia commerciale in attivo e q u i n d i u n a crescente eccedenza di riserve auree, ma f r a p p o n e v a n o invalicabili ostacoli all'iniziativa, all'innovazione e alla c o n c o r r e n z a . La Francia e r a u n ' a r e a depressa lastricata di lingotti che servivano soltanto a finanziare la politica di p o t e n z a di Re faraoni, intesi u n i c a m e n t e ad a g g i u n g e r e c o r o n e al p r o p r i o serto e a innalzare piramidi a p r o p r i a gloria. R e c l a m a n d o l'inversione di questa tend e n z a e s o v r a p p o n e n d o gl'interessi della n a z i o n e a quelli del t r o n o , i fìsiocratici assestavano un colpo mortale al p r i n cipio della m o n a r c h i a p e r diritto divino, «proprietaria» del Paese e svincolata da o g n i i m p e g n o verso di esso. E p p u r e , questo n o n impedì a u n o dei loro maggiori esponenti di scalare il vertice del p o t e r e e di gestirlo p e r qualche t e m p o in n o m e del Re. A b b i a m o già i n c o n t r a t o T u r g o t , l'allievo p r e d i l e t t o di Gournay, tra i frequentatori del salotto P o m p a d o u r . I salotti in Francia c o n t a v a n o . N o n e r a n o , c o m e lo s o n o in Italia, c o n v e g n i di u n a m o n d a n i t à sfaccendata e s e m i a n a l f a b e t a a n c h e q u a n d o , anzi s p e c i a l m e n t e q u a n d o i f r e q u e n t a t o r i ostentano blasoni con molte palle. E r a n o il p u n t o d'incontro fra c u l t u r a e politica, e d a v a n o il via a successi e c a r r i e r e . Turgot vi era stato accolto con qualche diffidenza p e r via del suo abito talare. Ma fece p r e s t o ad accreditarsi. Era diventato p r e t e p e r c h é la tradizione di famiglia, u n a vecchia famiglia di borghesia impiegatizia, voleva che ad ogni generazione ce ne fosse u n o . Ma subito d o p o aver p r e s o i voti aveva tenuto alla S o r b o n a u n a conferenza sul progresso filosofico che rivelava u n a mentalità squisitamente laica. Gl'intenditori d i c o n o che c ' e r a n o d e n t r o molti ricordi di Vico e m o l t e anticipazioni di C o m t e e del suo positivismo, cioè degl'ingredienti che con la tonaca a n d a v a n o poco d'accordo. E infatti subito d o p o la gettò alle ortiche: «Non posso c o n d a n n a r m i - disse - a p o r t a r e u n a m a s c h e r a p e r t u t t a la vita». E n t r ò n e i r a m m i n i s t r a z i o n e dello Stato, vi fece p r e z i o s e e s p e r i e n z e , e ne r i a s s u n s e il succo in saggi e articoli, che 427
v e n n e r o pubblicati nell'Enciclopedia e in u n a rivista di Du Pont. Ma l'opera che io mise definitivamente in luce furono le Riflessioni sulla formazione e distribuzione della ricchezza, che r i m a n e a n c o r oggi un passaggio obbligato p e r tutti gli studiosi d'economia politica. Ci sono d e n t r o anche delle sciocchezze: come p e r esempio il c o n c e t t o che della ricchezza l'unica fonte è la t e r r a . Era questa u n a vecchia fissazione dei fìsiocratici. Ma Turgot ne faceva soltanto il p u n t o d'avvio alla formulazione di principi p e r allora del tutto nuovi, come quello che poi si è chiam a t o «la ferrea legge del salario». E a b b o n d a n z a di m a n o d o p e r a , dice, fa sì che l ' i m p r e n d i t o r e , p o t e n d o scegliere, fissi il salario sulle esigenze dei l a v o r a t o r i che n e h a n n o m e n o , cioè che si c o n t e n t a n o solo dei mezzi di sussistenza. Questo abbassa il costo del p r o d o t t o e garantisce il m a g g i o r e utile all'impresa. Al nostro palato più sensibile alle istanze di giustizia questo criterio risulta inaccettabile, qual è. Ma sul piano scientifico è esatto, e il merito di T u r g o t è p r o p r i o questo: d'aver c o n c e p i t o l ' e c o n o m i a c o m e u n a scienza. Fra le t a n t e cose che impacciavano lo sviluppo della p r o d u z i o n e francese c'er a n o le «corporazioni» che, riservando il diritto all'impiego ai p r o p r i affiliati, creavano u n a casta di o p e r a i privilegiati e interessati a escludere la c o n c o r r e n z a di tutti gli altri p e r ten e r e alti i salari. Così le i m p r e s e n o n p o t e v a n o d i m i n u i r e i costi di p r o d u z i o n e né a c c u m u l a r e i capitali p e r nuovi investimenti e rinnovi d'impianti. Il p r i m o monopolio da elimin a r e , dice Turgot, è d u n q u e questo delle corporazioni operaie. Solo la libera c o n c o r r e n z a della m a n o d o p e r a p u ò calm i e r a r e i salari, solo i bassi salari c o n s e n t o n o gli alti utili, e solo gli alti utili c o n s e n t o n o l'accumulo di capitale p e r gl'investimenti. Questo n o n è, si capisce, tutto il p e n s i e r o di Turgot. Ne è soltanto lo s c h e m a . Ma c r e d i a m o c h e basti p e r qualificarlo: si tratta della d o t t r i n a che farà da p u n t e l l o al capitalismo del secolo successivo. E n o n r i g u a r d a soltanto l'economia. Investe tutte le s t r u t t u r e della società d a n d o il 428
ruolo di protagonisti politici a coloro che lo sono nel c a m p o della p r o d u z i o n e e del c o m m e r c i o al p o s t o delle vecchie classi aristocratiche. Il credito che s'era g u a d a g n a t o con quel libro gli valse la nomina a ispettore delle finanze a Limoges: riprova dell'influenza che i circoli intellettuali esercitavano sul p o t e r e . Voltaire ne t r i p u d i ò . Egli era da t e m p o in c o r r i s p o n d e n z a con Turgot che gli aveva fatto visita a Ferney, e in cui il patriarca del libero p e n s i e r o aveva riconosciuto u n o dei suoi p i ù fedeli e p r o m e t t e n t i allievi. E ne t r i p u d i a r o n o tutti i Filosofi che attraverso Turgot speravano di conquistare il Re e attraverso il Re di realizzare la loro rivoluzione. Poco m a n c ò che il sogno s'avverasse. A p p l i c a n d o i p r i n cipi fìsiocratici, T u r g o t o t t e n n e nella sua provincia tali successi che il Re lo c h i a m ò nel consiglio di Stato p r i m a c o m e ministro della m a r i n a e subito d o p o delle finanze: il p o s t o che aveva occupato il g r a n d e Colbert. Il Re n o n era p i ù Luigi XV, m o r t o da poco, ma Luigi X V I , il marito di Maria Antonietta d'Austria, cognato di G i u s e p p e I I , che forse in quella n o m i n a aveva avuto un p o ' lo z a m p i n o . E il compito che attendeva Turgot n o n era m e n o grave e periglioso di quello che Colbert aveva assolto. Anche stavolta la Francia era sull'orlo della bancarotta p e r via delle sue invecchiate s t r u t t u r e e dei pazzeschi d r e n a g g i che la C o r t e o p e r a v a sul T e s o r o p e r i suoi sfarzi e ostentazioni di prestigio e p o t e n z a . Nell'assumere l'incarico, il n u o v o ministro disse al Sovrano: «Mi affido n o n al Re, ma al g a l a n t u o m o » , e la sera stessa gli m a n d ò u n a lettera che riassumeva tutto il suo p r o g r a m m a : «Niente cancellazione del debito pubblico, nessun a u m e n t o di tasse, nessun prestito. Per sanare la situazione c'è un solo m o d o : r i d u r r e le spese, e in misura tale che alla fine di ogni a n n o il conto si c h i u d a con a l m e n o venti milioni di attivo. Altrimenti, è il fallimento». Q u e s t o p r e a n n u n c i o di «austerità», c o m e oggi si direbbe, suscitò il f u r o r e dei ceti privilegiati che c o n s i d e r a v a n o le pubbliche finanze loro privato a p p a n n a g g i o . Essi avevano 429
già cercato d ' i m p e d i r e la n o m i n a di T u r g o t p r e s e n t a n d o l o c o m e un miscredente e un pericoloso rivoluzionario p e r via della sua amicizia con Voltaire e Diderot e della sua collaborazione all'Enciclopedia. Dal loro p u n t o di vista, n o n avevano tutti i torti : Turgot distruggeva le f o n d a m e n t a del loro regim e . E continuò a farlo. U n o d o p o l'altro, tutti gl'intralci che si f r a p p o n e v a n o alla libera circolazione di merci e d e n a r o e sui quali vivevano tutti i parassiti della Francia, cominciarono a c a d e r e . P r i m o fu il calmiere del g r a n o che il g o v e r n o aveva imposto p e r t e n e r basso il prezzo del p a n e nelle città in m o d o da evitare rivolte. Ma quel calmiere scoraggiava la p r o d u z i o n e s p i n g e n d o i contadini a disertare le c a m p a g n e , e q u e s t o a sua volta infittiva le carestie. Voltaire gli scrisse entusiasta: «Da questa m i s u r a p r e n d e avvio u n a n u o v a èra. Prego p e r il vostro successo». Ma della stessa o p i n i o n e n o n furono i p o p o l a n i di Parigi che, inferociti d a l l ' a u m e n t o del prezzo del p a n e , inscenarono t u m u l t i . Il Re s'affacciò al b a l c o n e p e r p l a c a r e i d i m o stranti, fu s o n o r a m e n t e fischiato, e o r d i n ò il r i t o r n o al calm i e r e . T u r g o t s'oppose, riuscì a far valere la sua volontà, e ricorse al più semplice di tutti i palliativi: abolì i dazi sul gran o , c o n s e n t e n d o a quello straniero d'invadere il mercato fac e n d o c o n c o r r e n z a a quello i n d i g e n o ; e gli speculatori che lo avevano incettato nella speranza che il suo prezzo rialzasse ancora di più uscirono rovinati dall'operazione. T u r g o t approfittò del successo p e r p r o c e d e r e a un'altra riforma: l'istituzione di u n a «Cassa di sconto», che fu l'emb r i o n e e il modello della Banca di Francia, creata da Napoleone un q u a r t o di secolo d o p o . Poteva farlo p e r c h é , a furia di r i d u r r e la spesa pubblica, n o n solo aveva eliminato il cronico passivo dello Stato, ma l'aveva trasformato in un massiccio attivo. O r a questo Stato godeva di tale credito che i finanzieri olandesi gli fecero un prestito di settanta milioni di lire al q u a t t r o p e r cento d'interesse. Con questa s o m m a potè saldare tutto il debito pubblico, sul quale p a g a v a interessi dal sette al dodici p e r cento. 430
Subito d o p o Turgot varò u n a serie di decreti u n o più riv o l u z i o n a r i o d e l l ' a l t r o . Abolì l ' i m p o s t a sul b e s t i a m e e sul commercio del g r a n o , togliendo così il posto e lo stipendio a coloro che vi sovrintendevano. Era già u n a sfida. Ma ancora più grave era l'abolizione della corvée, che obbligava i contadini a p r e s t a r e giornate di lavoro gratuito p e r la riparazione di strade, p o n t i e canali, e che ribadiva il concetto feudale della servitù. E infine la soppressione delle corporazioni. Il P a r l a m e n t o s ' o p p o s e , e con q u e s t o rifiuto g e t t ò la m a schera: diviso nelle sue tre categorie di nobili, ecclesiastici e borghesi - di cui la terza n o n aveva voce in capitolo rispetto alle altre d u e - , esso n o n r a p p r e s e n t a v a , a l c o n t r a r i o d i q u a n t o p r e t e n d e v a , il p o p o l o , ma soltanto alcuni interessi costituiti, che si sentivano offesi da quel massiccio smantellam e n t o di privilegi e monopoli. O r a p e r la m o n a r c h i a si p o n e v a u n a scelta decisiva: seguire la strada che Turgot le indicava e p r o c e d e r e alla costituzione di un n u o v o o r d i n e , dove l'unico m e t r o di misura e l'unico criterio di selezione fossero la produttività; o p p u r e restare con l'aristocrazia e il clero a p u n t e l l a r e il vecchio regime del privilegio ereditario e parassitario. Luigi XVI era c h i a m a t o , c o n u n a p u n t a d i d i s p r e z z o , «il b r a v ' u o m o » . I n realtà e r a qualcosa di più. Aveva u n a certa c u l t u r a che gli permetteva di capire molte più cose di q u a n t o n o n sembrasse, e u n a p r o f o n d a coscienza dei suoi c o m p i t i di s o v r a n o . Dicono che gli m a n c a v a il c a r a t t e r e . E tuttavia ne ebbe abbastanza p e r convocare il p a r l a m e n t o e rifiutare il suo rifiuto. «Vedo che a n u t r i r e a m o r e p e r il p o p o l o n o n siamo rimasti che il signor T u r g o t e io» disse. E, se avesse insistito su quella via, forse avrebbe salvato testa e t r o n o . P u r t r o p p o n o n ne ebbe il coraggio, e forse la colpa fu anche di Turgot. Imbaldanzito dal successo, il ministro strinse t r o p p o i t e m p i e g i u n s e a p r o p o r r e l ' i n t r o d u z i o n e della completa libertà religiosa, l'istruzione obbligatoria e gratuita p e r tutti, e un p r i m o e s p e r i m e n t o di d e m o c r a z i a da att u a r e c o n l'istituzione di a s s e m b l e e locali, i cui d e l e g a t i 431
avrebbero formato il p a r l a m e n t o nazionale. Sarebbe stato il trionfo della giustizia, dell'efficienza e del b u o n senso. Ma sarebbe stata a n c h e la c o n d a n n a dell'ordine costituito. Tutti gl'interessi c h e a q u e s t o e r a n o legati e c h e coinvolgevano quasi tutta la classe dirigente, si coalizzarono c o n t r o il rivo* l u z i o n a r i o m i n i s t r o ed e s e r c i t a r o n o u n a tale p r e s s i o n e sui Re che questi n o n s e p p e resistere. «Potessi anch'io lasciare iì m i o posto!» esclamò lo s f o r t u n a t o s o v r a n o nel ricevere le forzate dimissioni di T u r g o t . Federico di Prussia disse che con quel licenziamento la m o n a r c h i a francese aveva firmato la p r o p r i a c o n d a n n a a m o r t e . Q u a n t o a Voltaire, scrisse: «Ora che Turgot se n'è a n d a t o , a me n o n resta che morire»^ Del g r a n d e m o v i m e n t o d ' i d e e che t r a v a g l i a v a n o e r i m giovaniyano la Francia, T u r g o t tuttavia n o n era stato che il p o r t a p a r o l a al p o t e r e . I veri protagonisti del «secolo dei lumi» nella Francia e nel m o n d o , la fonte di tutto il rinnovam e n t o della c u l t u r a a n c h e in Italia - p e r q u e l p o c o che di c u l t u r a c'era - f u r o n o altri d u e u o m i n i , cui n o n possiamo esimerci dal dedicare un capitolo a p a r t e . {
CAPITOLO NONO
VOLTAIRE E ROUSSEAU
«Il S e t t e c e n t o è Voltaire» disse Victor H u g o . È s t r a n o che l'abbia d e t t o p r o p r i o lui, che a Voltaire somigliava così p o co. Ma a p p u n t o p e r q u e s t o la sua t e s t i m o n i a n z a è convincente. Voltaire si p u ò n o n a m a r l o . Si p u ò a n c h e detestarlo. Ma n e s s u n o p u ò contendergli il titolo di d i r e t t o r e della coscienza e u r o p e a . Q u a n d o re Luigi X V I , rinchiuso nella prigione del T e m p i o in attesa della ghigliottina, vide le o p e r e di Voltaire, di cui gli a v e v a n o t a p p e z z a t o la cella, disse: «Quest'uomo ha distrutto la Francia». Aveva distrutto molto di p i ù : q u e l m o d o di essere, di p e n s a r e e di a g i r e , q u e l l a concezione di vita, quella cultura, quella civiltà, quel sistema che tuttora v a n n o sotto il n o m e di ancien regime, vecchio regime. In n e s s u n a epoca, in nessun Paese c'è mai stato un intellettuale più «moderno» di lui. Seguita ad esserlo, vecchio di d u e secoli. N o n si p u ò p e n s a r e in m o d o più libero di lui. Non si p u ò scrivere in m o d o più p e n e t r a n t e di lui. Fu, e rim a n e , «il maestro» p e r antonomasia. Il suo vero n o m e era Francesco Maria Arouet, ed era nato a Parigi, figlio di un notaio molto stimato, timorato e b e n pensante, e di u n a m a d r e aristocratica che m o r ì nel metterlo al m o n d o . Sembrava che da un m o m e n t o all'altro dovesse m o r i r e a n c h e lui, t a n t o e r a fragile e malaticcio. I n v e c e campò ottantaquattr'anni, e con un'intensità che sarebbe bastata a r i e m p i r n e d u e c e n t o . «Aveva il diavolo in corpo» disse Sainte-Beuve. E questo diavolo cominciò a far capolino a p p e n a e b b e i m p a r a t o a m a n e g g i a r l'alfabeto. Q u a n d o suo p a d r e lesse le sue p r i m e poesie, disse: «Dio mi ha d a t o p e r figli d u e cretini: u n o in versi e l'altro in prosa». Quello 433
1
maggiore, A r m a n d o , già si cimentava infatti in o p e r e di teologia p e r c h é aveva abbracciato quella giansenista e sognava il martirio p e r la sua fede. La famiglia aveva lasciato la capitale p e r u n a piccola città di provincia, dove il Re aveva confinato, p e r castigarla dei suoi scandali, la p i ù s p r e g i u d i c a t a e intelligente cortigiana di Francia: N i n o n de Lenclos. Essa conobbe il piccolo Francesco, forse fu la p r i m a p e r s o n a a i n t u i r n e il g e n i o , e m o r e n d o gli lasciò 2000 franchi p e r c h é potesse provvedersi di libri. Il notaio tentò d'impedirglielo. «La l e t t e r a t u r a - diceva - è il mestiere di chi vuol essere inutile alla società, di peso ai p a r e n t i e di d a n n o a se stesso». Nella s p e r a n z a di raddrizzargli la testa, aveva affidato Francesco alla p e d a g o g i a d i u n a b a t e , m a n o n aveva a v u t o m a n o felice nella scelta: p a d r e C o i g n a r d e r a u n p r e l a t o t i p i c a m e n t e settecentesco; cioè colto e dissoluto c h e i n s e g n ò all'allievo tutti i trucchi della dialettica gesuitica, ma a n c h e l'arte d'applicarli in senso contestativo. A dodici a n n i il ragazzo e r a già un e s p e r t o controversi- , sta, ma la sua vivacità n o n si limitava al c a m p o intellettuale; In quel corpiciattolo covava un'ansia di vita che lo spingeva a i m b r a n c a r s i nelle c o m p a g n i e p i ù scapestrate. T a n t o che s u o p a d r e decise d'esiliarlo da un s u o p a r e n t e a C a e n cui r a c c o m a n d ò di n o n lesinargli la frusta, e p p o i lo fece assu- {, m e r e c o m e scrivano dall'ambasciatore francese all'Aja. Ma, , a p p e n a arrivatoci, il giovanotto s ' i n n a m o r ò d ' u n a ragazza e ne n a c q u e un piccolo scandalo che provocò il suo richiamo- Si fermò a Parigi, e la conquistò u n i c a m e n t e col suo spi: rito. L'ambiente vi si prestava. Il Re Sole - Luigi X I V - era ; a p p e n a m o r t o , e al suo posto, in attesa c h e il n i p o t e Luigi ; XV r a g g i u n g e s s e la m a g g i o r e età, c'era c o m e «Reggente» / un O r l é a n s che, p e r p o t e r fare i suoi comodi, li consentiva a tutti. Dalla C o r t e il libertinaggio si p r o p a g a v a all'intera società, e trovava la sua eco nei salotti r i e m p i e n d o l i di pette- ) golezzi. Francesco vi pescò a p i e n e m a n i , e tante ne disse, e di così perfide e taglienti, che alla fine gli furono attribuite ;
434
anche quelle che n o n e r a n o sue. Ma n o n c'è d u b b i o ch'egli c o n t r i b u ì p i ù d ' o g n i altro a fare della c o n v e r s a z i o n e salottiera francese quella palestra d'intelligenza, di spregiudicatezza e d'eleganza che tuttora ne costituiscono il fascino. Le sue «battute» facevano il giro di questi t e m p l i della maldicenza, m a p u r t r o p p o r a g g i u n g e v a n o a n c h e l e orecchie del Reggente che u n giorno, i n c o n t r a n d o Francesco nel p a r c o , gli disse: «Signor Arouet, io vi posso m o s t r a r e qualcosa che n o n avete mai visto». «Che cosa?» «L'interno della Bastiglia.» La Bastiglia e r a la più malfamata p r i g i o n e di Parigi. E l'ind o m a n i Francesco ci si trovò rinchiuso. Fu la sua fortuna. In quei mesi di c a r c e r e egli a d o t t ò lo p s e u d o n i m o d i Voltaire ( a n a g r a m m a d i F r a n c o i s - M a r i e Arouet le j e u n e ) , c o m p o s e un p o e m a e u n a tragedia, l'Edipo, e q u a n d o uscì fu accolto c o m e un m a r t i r e del libero p e n siero. Le c o m p a g n i e d r a m m a t i c h e fecero a g a r a p e r inscen a r e il suo lavoro, e il successo fu strepitoso. Confuso tra gli altri spettatori, c'era il notaio A r o u e t che, travolto a n c h e lui dall'indiavolato r i t m o del d r a m m a e dal crepitìo dei suoi paradossi, borbottava: «Che birbante!... C h e birbante!...», ma senza riuscire a n a s c o n d e r e il suo compiacimento. Q u e s t o p r i m o Voltaire sembrava p a g o d'essere il più spiritoso dei parigini: i m p r e s a notevole in u n a città dove spiritosi e r a n o quasi tutti. Per u n a d i e c i n a d ' a n n i infatti n o n cercò di essere altro che la «stella» dei salotti, e il suo lavoro ne risentì. Scrisse poco, e quel p o c o n o n ebbe fortuna. Allo smacco poetico se ne aggiunse un altro sul p i a n o m o n d a n o . Un giorno, a un p r a n z o , il Duca di R o h a n gli fece u n o sgarbo. Voltaire gli rispose p e r le r i m e . E l'altro o r d i n ò ai suoi bravi d'infliggergli u n a lezioncina «senza toccargli la testa d a cui p u ò a n c o r a uscire qualcosa d i b u o n o » . L ' i n d o m a n i Voltaire, claudicante e con gli occhi pesti, a n d ò a teatro, si p r e s e n t ò nel palco del Duca e lo sfidò a duello. Il R o h a n rispose che n o n poteva battersi con un plebeo e disse al ministro di polizia, c h ' e r a suo p a r e n t e , di liberarlo da quell'imp o r t u n o . Così Voltaire vide p e r la s e c o n d a volta l ' i n t e r n o 435
della Bastiglia. Fu rilasciato subito d o p o , ma con un foglio di via p e r l'Inghilterra. A p p e n a sbarcato a Dover, riattraversò la Manica travestito p e r a n d a r e a vendicarsi. Ma poi ci rip e n s ò , e accettò l'esilio. Ci rimase t r e a n n i , e a n c o r a u n a volta la disgrazia fu la sua fortuna. A L o n d r a e r a già conosciuto da tutti coloro che m e r i t a v a n o d'essere conosciuti, e q u e s t o d i m o s t r a q u a n t o nel Settecento l'Internazionale della C u l t u r a fosse b e n organizzata e funzionante. Voltaire arrivò in t e m p o p e r assistere ai funerali di Newton, ne studiò le o p e r e , e fu colpito dalla spregiudicatezza con cui gl'intellettuali di L o n d r a criticavano la m o n a r c h i a , il g o v e r n o e la società. I m p a r ò subito la lingua, lesse q u a n t o di meglio la l e t t e r a t u r a inglese aveva p r o d o t t o da S h a k e s p e a r e e B a c o n e in poi, si familiarizzò con la filosofia di H o b b e s e di Locke. E il frutto di queste esperienze lo distillò nelle Lettere inglesi, u n a raccolta di stup e n d i saggi sulla vita e sul costume di L o n d r a . Gl'inglesi f u r o n o p e r Voltaire ciò c h e i G e r m a n i e r a n o stati p e r Tacito. Egli esaltò in loro ciò che mancava ai francesi: la facilità di scambi e ricambi fra i vari ceti sociali, la libertà che consentiva la convivenza di trenta diverse confessioni religiose, u n a s t a m p a senza c e n s u r a , u n p a r l a m e n t o c h e t e n e v a in scacco il g o v e r n o . Q u e s t a g e n t e , diceva con a m m i r a z i o n e , ha tagliato la testa a un Re e ne ha cacciato via un altro. N a t u r a l m e n t e n o n e r a n o cose d a p o t e r s i s t a m p a r e i n Francia, dove Voltaire e r a frattanto t o r n a t o . Egli fece circolare le Lettere fra pochi amici, e solo così potè godersi un int e r m e z z o di p a c e . Ma un e d i t o r e d i s o n e s t o riuscì a impadronirsi del manoscritto e a sua insaputa lo stampò. Stavolta le a u t o r i t à costituite t r o v a r o n o u n ' a l l e a t a n e l l ' o p i n i o n e pubblica, ferita nel suo patriottismo da quell'esaltazione dell'Inghilterra, e Voltaire scampò a un terzo soggiorno in Bastiglia solo con u n a precipitosa fuga. U n a d o n n a l ' a c c o m p a g n a v a . S e b b e n e m a r c h e s a (a quei t e m p i il titolo contava) e parecchio più giovane di lui, la si436
g n o r a di Chàtelet n o n esitò a lasciare il marito p e r seguire il fuggiasco, affascinata dal suo g e n i o . Ma di g e n i o ne aveva anche lei, a l m e n o s t a n d o a Voltaire, il quale diceva che l'unico suo difetto e r a quello di essere u n a d o n n a . Essa aveva tradotto N e w t o n e composto un saggio sulla fisica del fuoco. Nei loro r a p p o r t i il sesso d o v e v a e n t r a r c i p o c o , a m m e s s o che ci sia e n t r a t o . Si stabilirono nel castello di Cirey, e fu nella pace di questo ritiro che sbocciò il g r a n d e Voltaire. Egli si era improvvisamente scoperto la vena del r o m a n ziere, e le d i e d e fondo scrivendo u n o d o p o l'altro Zadig, Il mondo come va, eccetera. N a t u r a l m e n t e n o n si trattava di veri romanzi. Voltaire restava essenzialmente un moralista che del r o m a n z o si serviva solo p e r difendere delle tesi. I protagonisti n o n sono p e r s o n e , ma idee. Egli incarna nell'Ingenuo quelle di R o u s s e a u facendogli fare la p a r t e dell'imbecille. Micromegas è il suo vecchio amico Swift, e via dicendo. Q u e sti racconti, si capisce, n o n v a n n o giudicati sul p i a n o della narrativa, ma su quello del pamphlet, del libello polemico, di cui r a p p r e s e n t a n o l'insuperato modello. N o n si p u ò scrivere meglio di Voltaire, n o n si possono dire cose più serie con più a e r e a leggerezza («La solennità è u n a malattia» diceva. E se i suoi colleghi italiani lo avessero ascoltato!...), con un più p e r f e t t o d o s a g g i o di f u r o r e , d ' u m o r i s m o e di fantasia picaresca. F u r o n o a n n i felici, forse t r o p p o felici. Le o p e r e di Voltaire dilagavano dalla Francia in t u t t ' E u r o p a , r a g g i u n g e v a n o «tirature» a n c h e di 300.000 copie, cifra m o s t r u o s a in u n ' e poca in cui le masse e r a n o analfabete. La g r a n d e Caterina, Zarina di Russia, lo c h i a m a v a «il Dio della gaiezza» e gli m a n d a v a u n a pelliccia di visone. Federico il G r a n d e di Prussia gli scriveva: «M'inchino a Voi, da m o r t a l e a immortale», e q u a n d o Voltaire gli rispose che occorreva c a p o v o l g e r e il r a p p o r t o , l'altro p r o t e s t ò p e r l'adulazione. «Ma un Re c h e protesta c o n t r o l ' a d u l a z i o n e è c o m e un P a p a che p r o t e s t a contro l'infallibilità» lo rimbeccò Voltaire. Tuttavia ancora u n a volta egli correva il pericolo di resta437
re prigioniero del suo successo, e lo dimostrò lasciandosi abbagliare dalla c a n d i d a t u r a all'Accademia di Francia. Per ott e n e r n e l'ammissione, t o r n ò a Parigi a corteggiare gli altolocati p a t r o n i di quell'Istituto, si strusciò a qualche Cardinale r i t r a t t a n d o le sue critiche alla Chiesa, i n s o m m a commise t u t t e le bassezze che tutti gli u o m i n i c o m m e t t o n o q u a n d o sono presi dal lato della vanità, e o t t e n n e quel che voleva. Il g r a n d e p r o v o c a t o r e s e m b r a v a sul p u n t o d i affogare nei compromessi con l'ordine costituito. C o m e al solito, fu salvato dalla malasorte. D o p o quindici a n n i di convivenza col genio, la signora di Chàtelet s'innam o r ò d ' u n «fusto», il m a r c h e s e Saint-Lambert, e se ne andò c o n lui. Voltaire p r i m a si accese di r a b b i a , p o i s p r o f o n d ò nella tristezza. Di lì a poco la bella infedele morì di parto. Il m a r i t o , Voltaire e S a i n t - L a m b e r t si r i t r o v a r o n o i n t o r n o al suo f e r e t r o , si s c a m b i a r o n o c o m m o s s e c o n d o g l i a n z e , e rim a s e r o amici p e r il resto dei loro giorni. I n c a p a c e di s o p p o r t a r e la solitudine a Cirey, Voltaire accettò l'invito di Federico che lo c h i a m a v a alla sua C o r t e di P o t s d a m presso Berlino. Vi fu accolto con o n o r i d e g n i del p i ù p o t e n t e sovrano, e d a p p r i n c i p i o tutto a n d ò b e n e . Ma i d u e uomini si somigliavano t r o p p o , persino fisicamente, p e r p o t e r a n d a r d'accordo. Presto e n t r a r o n o in concorrenza in tutto - nell'arguzia, nella spregiudicatezza, nella malignità -, e c o m i n c i a r o n o a odiarsi. U n a volta v e n n e r o a diverbio sulle teorie di un matematico. Voltaire, che le contestava, scrisse contro di lui un libello, che poi lesse a Federico. Questi ci si divertì, ma gli vietò di pubblicarlo. Voltaire, che già l'aveva consegnato all'editore, fuggì. Sebbene avesse già varcato i confini della Prussia, gli agenti del p r e p o t e n t e Re lo r a g g i u n s e r o e lo t e n n e r o prigioniero sotto accusa d'aver r u b a t o il manoscritto d ' u n p o e m a composto p e r Federico. In realtà esso era a n d a t o p e r d u t o col baule che lo conteneva. Un e d i t o r e se ne i m p a d r o n ì e lo s t a m p ò senza permesso. Ne seguì un litigio da lavandaie. Il Re s'infuriò con Voltaire che s'infuriò con l'editore e lo p r e s e a schiaffi. Alla 438
fine p o t è r i p r e n d e r e il viaggio. Ma, q u a n d o si p r e s e n t ò alla frontiera, s e p p e che la Francia gli aveva c o m m i n a t o il bando da Parigi. Gli eventi avevano rimediato alle sue debolezze r e s t i t u e n d o l o alla sua vocazione di c a m p i o n e dell'anticonformismo. Il motivo del castigo era la pubblicazione di u n a sua n u o va opera, u n a storia universale: il Saggio sui costumi. Voltaire non aveva u n a specifica p r e p a r a z i o n e storica. Anzi considerava la storia «una b u r l a che i vivi giuocano ai morti» e diceva ch'essa serviva soltanto a d i m o s t r a r e che nulla p u ò essere dimostrato dalla storia. E p p u r e , fu il p r i m o a scriverne u n a che, lungi dal limitarsi ai fatti della politica, li r i c o n d u c e v a alle cause morali e culturali. N o n si lasciò s g o m e n t a r e dalla vastità d e l l ' i m p e g n o - u n a sintesi che abbraccia tutta la vicenda u m a n a , e n o n soltanto quella della Francia o dell'Europa, ma a n c h e dell'America e dell'Estremo O r i e n t e , dagli albori della civiltà fino al suo secolo - e dalla difficoltà della documentazione. I particolari, diceva, interessano gli archivisti, i sottufficiali della storia. La data di u n a battaglia n o n conta nulla, anzi n o n c o n t a n e a n c h e la battaglia. Q u e l che conta sono i motivi della battaglia, e i suoi effetti sullo sviluppo del pensiero. Così, al posto dei re e dei generali, egli pone a protagonisti i profeti, i riformatori, i filosofi, di cui si serve p e r r i c o n d u r r e la storia di tutti i popoli e civiltà al suo e t e r n o i m m a n e n t e m o t i v o : la lotta della libera coscienza contro tutti i servaggi dell'autoritarismo e della verità rivelata. Il libro aveva suscitato il finimondo. C o m e al solito, i suoi detrattori si e r a n o attaccati - specie, m a n c o a dirlo, i gesuiti, grandi specialisti in questo g e n e r e di caccia - alle inesattezze che conteneva, e ne conteneva molte. Ma i veri motivi di questo furore e r a n o altri. Per la p r i m a volta, u n o storico denunziava l'azione d i s g r e g a t r i c e c h e il cristianesimo aveva esercitato sulle s t r u t t u r e della società r o m a n a (una tesi che ormai n o n trova p i ù oppositori). E p e r la p r i m a volta u n a storia contestava la p a r t e di protagonista all'Europa p e r fa439
re posto a quelle dell'India, della Persia, della Cina. Se Copernico e Galileo avevano d e g r a d a t o la t e r r a da centro dell'universo, Voltaire d e g r a d a v a l ' E u r o p a da centro della terra. C o m e si poteva perdonarglielo? Voltaire s ' a c q u a r t i e r ò a Ferney, a un passo dal confine svizzero, e di lì s o m m e r s e la Francia sotto un diluvio di lett e r e e di libelli che ridicolizzavano i suoi accusatori. Come già era accaduto nel p r e c e d e n t e esilio, la sua casa diventò la Mecca di tutti i ribelli, che a Parigi crescevano di n u m e r o e di statura. Ne v e n n e r o tanti che a un certo p u n t o egli si lag n ò di essere stato scambiato p e r un albergatore. Lavorava f u r i o s a m e n t e , r i p o s a n d o s i della p e n n a con la z a p p a . A un visitatore che gli chiedeva cosa aveva fatto p e r la posterità, rispose: «Ho p i a n t a t o q u a t t r o m i l a alberi». Gli scrivevano tutti, e a tutti r i s p o n d e v a . Rispose a n c h e a R o u s s e a u , che aveva corbellato u n a sua poesia sul t e r r e m o t o di Lisbona. Ma n o n con u n a semplice lettera. Gli rispose col p i ù bello dei suoi r o m a n z i satirici, Candido, composto in tre giorni. Veleggiava o r a sui sessant'anni, ma era più attivo e pugnace di q u a n d o ne aveva venti. Diderot e D'Alembert, che avevano fondato l'Enciclopedia lo avevano riconosciuto come loro m a e s t r o e sollecitavano la sua collaborazione. Voltaire n o n gliela lesinò, sebbene n o n concordasse del tutto con le loro tesi, e p p o i diede m a n o a u n a sua p r o p r i a enciclopedia, il Dizionario filosofico, forse l'opera sua più completa, quella che fornisce la m i s u r a della sua inesauribile versatilità. Anc h e lui, c o m e B a c o n e e Cartesio, si p o n e di f r o n t e ai fatti della vita c o m e di fronte a u n a lavagna vuota, cioè p a r t e dalla n e g a z i o n e di o g n i verità c h e n o n p r o c e d a dalla verifica della r a g i o n e . «Il d u b b i o n o n è piacevole - diceva -, ma la certezza è ridicola. Soltanto gl'imbecilli sono sicuri di ciò che dicono». Di qui i suoi micidiali colpi di piccone contro tutti 1 l u o g h i c o m u n i , a cominciare da quelli della Bibbia. Qui 1° stile del moralista trova la sua applicazione più congeniale: la sintesi r a p i d a , il fraseggiare geometrico, il c o n t r a p p u n t o icastico e tagliente. 440
Forse n o n avrebbe più a b b a n d o n a t o questo atteggiamento di disincantato t e s t i m o n e e revisore del passato, se n o n fossero sopravvenuti d u e episodi che p e r s o n a l m e n t e n o n lo toccavano, ma che misero in crisi la sua coscienza. A Tolosa, il p a d r e p r o t e s t a n t e di un ragazzo suicida disse che il figlio era m o r t o di m o r t e n a t u r a l e p e r sottrarne il cadavere al barb a r o castigo c h e la legge c o m m i n a v a : lo s t r a s c i n a m e n t o a faccia in giù sulla pubblica strada. Fu messa in giro la voce ch'era stato lui a ucciderlo p e r impedirgli la conversione al cattolicesimo, e lo sventurato morì sotto le sevizie. Di lì a p o co un giovane di sedici a n n i fu accusato d'aver mutilato un crocefisso: gl'inquisitori a d d u s s e r o a riprova il fatto ch'egli aveva in tasca u n a copia del Dizionario filosofico di Voltaire, e lo b r u c i a r o n o vivo. Questi avvenimenti scossero violentemente Voltaire, e lo persuasero che n o n e r a t e m p o di evasioni nella storia. Bisognava ributtarsi a n i m a e c o r p o nella battaglia, e Voltaire lo fece con un i m p e t o che smentiva l'anagrafe. Ecrasez l'infame, schiacciate l'infame, fu il suo g r i d o di g u e r r a . L'infame e r a la Chiesa e il sistema politico che la sorreggeva e se ne faceva s o r r e g g e r e , cioè tutto il vecchio regime. Voltaire n o n e r a ateo, e n o n lo diventò n e m m e n o in questa occasione. A Ferney s'era costruita u n a cappella dedicata a Dio, ma q u e s t o Dio n o n coincideva con n e s s u n o di quelli «rivelati» dalle religioni costituite, s e b b e n e egli avesse d e d i c a t o a l c u n e stup e n d e p a g i n e a Cristo, al Cristo del «Sermone sulla Montagna», che p i a n g e p e r i delitti commessi in suo n o m e . Il Trattato sulla tolleranza e la profluvie di libelli che l'acc o m p a g n a r o n o f u r o n o , s e c o n d o R o b e r t s o n , «il p i ù strabiliante assalto lanciato da un u o m o solo contro la Chiesa». Le sue botte a n d a v a n o a segno e lo lasciavano. «Il p r i m o santo fu il p r i m o furfante che incontrò il p r i m o stupido», e via di questo passo. Sia il p o t e r e ecclesiastico che quello laico ebbero p a u r a . E n o n p o t e n d o tappargli la bocca, dalla quale ormai tutta l ' E u r o p a p e n d e v a , c e r c a r o n o di conquistarselo offrendogli il cappello cardinalizio. 441
Ma Voltaire n o n e r a più l ' u o m o c h e p o c h i a n n i prima* aveva brigato la feluca di Accademico. Da quelle vanità ori mai e r a immunizzato. Voleva soltanto restare fedele a se stest so e alla sua p a r t e , e rifiutò. Oltre tutto, e r a persuaso che la vittoria fosse vicina, e ne vide il segno nell'ascesa di Turgot al p o t e r e . «Siamo nell'età a u r e a fin sopra i capelli!» scrisse con entusiasmo. «La rivoluzione ormai batte alle porte!» 4 Era vero, ma n o n nel senso che c r e d e v a lui. Per «rivolu^ zione» egli n o n i n t e n d e v a affatto quella che poi r e a l m e n t e s o p r a v v e n n e , e di cui a v r e b b e senza d u b b i o i n o r r i d i t o . Da vero illuminista, egli la concepiva come u n a serie di riforme e l a b o r a t e da u n o stato m a g g i o r e d'intellettuali, e di curai p o p o l o sarebbe stato il beneficiario e l ' o g g e t t o , n o n il sogf getto. Nella g r a n d e e t e r n a diatriba che divide il c a m p o dei' p e n s a t o r i politici, e cioè se gli u o m i n i siano il frutto delle, istituzioni o le istituzioni il frutto degli u o m i n i , egli avev<| già scelto la sua p a r t e : era convinto che fossero gli u o m i n i ^ , d e t e r m i n a r e le istituzioni, e che q u i n d i e r a su di essi che bife ; sognava agire. E del resto l'atteggiamento di tutti i veri mo&; ralisti, che fanno d e l l ' u o m o , e n o n delle s t r u t t u r e sociali,*^ protagonista della storia, e m i r a n o soprattutto al suo riscatfr to. Datemi delle m e n t i libere e delle coscienze sane, diceva', Voltaire, e io vi d a r ò d e i b u o n i r e g i m i politici. Il d i l e m m a m o n a r c h i a o repubblica lo turbava solo in q u a n t o egli stessi., n o n riusciva a risolverlo. Ai Re di Francia p r e f e r i v a la tìèj^ pubblica, ma alla r e p u b b l i c a preferiva un Re c o m e Marchi; Aurelio. Il suo sogno restava un m o n a r c a assoluto e illum$ n a t o c h e realizzasse l e r i f o r m e s u g g e r i t e d a u n TurgoM Q u a n t o alla democrazia, la rifiutava decisamente. % Voltaire n o n c r e d e v a nel p o p o l o ( « Q u a n d o il popolo'4 m e t t e a r a g i o n a r e , è p e r d u t o » ) e, q u a n t o a l l ' u g u a g l i a n z a , n o n concepiva che quella di fronte alla legge. La sua rivolul. zione e r a soltanto u n ' e v o l u z i o n e senza t r a u m i , u n o s v i l u ^ pò n e l t e m p o g u i d a t o dalla R a g i o n e e b a s a t o p i ù che «i^à sovvertimento delle istituzioni, sul progresso morale. La s$ e r a i n s o m m a l'istanza del liberalismo laico. 442
U n ' i s t a n z a e t e r n a , ma a cui p r o p r i o in quel m o m e n t o l'intelligenza francese stava v o l t a n d o le spalle. A n c h ' e s s a aveva s o g n a t o l a g r a n d e r i f o r m a illuminista, c h e a v r e b b e consentito al vecchio r e g i m e di d i v e n t a r e m o d e r n o . Ma la caduta di T u r g o t l'aveva delusa e sospinta su posizioni, come oggi si d i r e b b e , di contestazione globale. Essa n o n credeva più alla capacità evolutiva del vecchio r e g i m e , cioè n o n . credeva p i ù al riformismo. N o n voleva più c o r r e g g e r e , ma sovvertire il «sistema» di cui Voltaire e r a p u r s e m p r e un prodotto, a n c h e se indocile. D i q u e s t o m u t a m e n t o d i u m o r i , Voltaire d o v e t t e a v e r e una p r e m o n i z i o n e il g i o r n o che ricevette da Gian Giacomo Rousseau un saggio intitolato Discorso sull'origine dell'ineguaglianza in cui si diceva che, senza le cattive leggi c h e lo distorcono, l ' u o m o è b u o n o , c o m e lo sono infatti i selvaggi e gli animali, alla cui condizione esso doveva t o r n a r e . Voltaire lo lesse e rispose a l l ' a u t o r e : «Nessuno ha mai spiegato p i ù ingegno di voi nel t e n t a r e di trasformare noi u o m i n i in b r u ti. Q u a n d o si legge il vostro libro, vien voglia di c a m m i n a r e a quattro z a m p e . Ma poiché da oltre sessant'anni ne ho p e r so l'abitudine, sento p u r t r o p p o che mi è impossibile r i p r e n derla». Voltaire conosceva da un pezzo Rousseau, e n o n aveva mai smesso di disprezzarlo. L'aveva definito «il cane impazzito di D i o g e n e » , diceva c h e stava al filosofo c o m e la scimmia all'uomo, ma soprattutto lo considerava un cattivo scrittore (qual era). Mai avrebbe i m m a g i n a t o c h e gl'intellettuali francesi si stessero iscrivendo in massa alla sua scuola e che la rivoluzione, di cui a n c h e lui presentiva il fremito nell'aria, avrebbe riconosciuto il p r o p r i o profeta n o n in Voltaire, ma in Rousseau. A impedirglielo furono a n c h e le solenni accoglienze c h e Parigi gli r i s e r v ò , q u a n d o , a o t t a n t a t r é a n n i s u o n a t i , volle tornare a visitarla. Fu un viaggio trionfale. La gente fermava la carrozza, staccava i cavalli, e la strascinava a spalle. La pelliccia di visone p e r s e p e r s t r a d a tutti i suoi peli p e r c h é migliaia di m a n i se ne d i s p u t a r o n o i ciuffi. O r m a i ridotto a 443
u n o scheletro, Voltaire arrivò a destinazione con le ossa rotte e u n a b r o n c o p o l m o n i t e . Un a b a t e v e n n e a confessarlo d i c e n d o g l i che lo aveva m a n d a t o Dio. «Mostratemi le credenziali» rispose Voltaire, e lo c o n g e d ò . Riuscì a riprendersi, e a p p e n a potè tenersi in piedi a n d ò all'Accademia, o meglio vi fu p o r t a t o da u n a mareggiata di folla o s a n n a n t e , e vi t e n n e u n o s p l e n d i d o discorso. Volle a n c h e assistere, contro le suppliche dei medici, alla r a p p r e s e n t a z i o n e del suo ultimo d r a m m a , Irene. Il lavoro n o n valeva g r a n che, ma il pubblico n o n se ne accorse p e r c h é o g n i b a t t u t a del dialogo fu seppellita sotto un niagara di applausi. Un turista straniero, capitato p e r caso in sala, ne fuggì convinto d'essere entrato p e r sbaglio in un manicomio. A Ferney n o n fece in t e m p o a t o r n a r e , ma n o n se ne dispiacque. Da giovane aveva paventato la m o r t e «perché - diceva - p r i m a voglio finire il mio servizio». C o m e «servizio» egli concepiva la vita. E p e r finirlo in t e m p o , aveva lavorato c o m e forse n e s s u n altro u o m o al m o n d o . S a i n t e - B e u v e è p r o b a b i l m e n t e nel giusto q u a n d o attribuisce questo accanim e n t o alla sua sostanziale i p o c o n d r i a . Voltaire era un malinconico, che solo nel lavoro trovava consolazione. «Abbiate s e m p r e qualcosa da fare, se n o n volete suicidarvi» diceva. E a n c h e l'umorismo n o n era che un antidoto alle sue congenite mestizie. Poteva ritenersi soddisfatto. E r a n o c e n t o i volumi comparsi sotto il n o m e di Voltaire, e n o n ce n ' e r a u n o che n o n contenesse qualche scintilla del suo genio. A distanza di due secoli, si p u ò rileggerli tutti senza trovarvi un aggettivo superfluo, un g r a m m o di adipe, ed e m e r g e r e da questa scorpacciata con u n a fame intatta di Voltaire. N o n conosciamo scrittore di cui si possa dire in piena coscienza altrettanto. Morì d o l c e m e n t e il 30 m a g g i o del 1778, e la Chiesa gli n e g ò la s e p o l t u r a in t e r r a c o n s a c r a t a . C o n la scusa ch'era a n c o r a vivo, i suoi fedeli riuscirono a trasportarlo a Scelheres, dove un p a r r o c o coraggioso e di m e n t e aperta lo accolse nel cimitero. Nel 1791 l'Assemblea Nazionale costrinse il 444
Re, o r m a i suo prigioniero e avviato alla ghigliottina, a ordinare la traslazione dei suoi resti nel P a n t h e o n . Più di mezzo milione di p e r s o n e fecero ala al suo passaggio. Ma c r e d i a m o che Voltaire a v r e b b e rifiutato quelle p o s t u m e o n o r a n z e se avesse fatto in t e m p o a v e d e r e cosa stava succedendo. Era il m o m e n t o in cui i suoi seguaci - C o n d o r c e t , M i r a b e a u ecc. - stavano p e r c a d e r e sotto la m a n n a i a di Marat e di Rob e s p i e r r e , figli di R o u s s e a u . Il c a n e i m p a z z i t o di D i o g e n e aveva vinto, e la Libertà veniva sacrificata sull'altare dell'Uguaglianza. La vita di Gian Giacomo Rousseau l'ha raccontata lui stesso nell'unico suo libro - Le confessioni - che valga ancora la p e na d'esser letto. Perché Voltaire aveva ragione nel qualificare Rousseau un cattivo scrittore. Ma in c o m p e n s o e r a u n a sensibilissima conchiglia, capace di registrare e riecheggiare ingigantite le voci del suo t e m p o . Era n a t o a G i n e v r a da u n a famiglia calvinista d ' o r i g i n e francese. A n c h e lui, p e r venire al m o n d o , aveva provocato la m o r t e di sua m a d r e . Ma m e n t r e Voltaire e r a cresciuto in una casa della borghesia colta e b e n e s t a n t e , Gian Giacomo non aveva conosciuto c h e solitudine e miseria. Suo p a d r e , un u o m o avaro e brutale, si disinteressò di lui affidandolo a uno zio, e il ragazzo crebbe a u n a stretta dieta di busse e patate. A dieci a n n i s'innamorò della sua maestra che ne aveva trenta, ed egli stesso racconta c h e a p p a g a v a il desiderio di lei c o m b i n a n d o delle m a r a c h e l l e che la obbligavano a frustarlo. Le sue c o m p o n e n t i sessuali e r a n o già delineate: edipismo, o n a n i s m o e masochismo. Egli trascorse tutta la vita ad a m a r e d o n n e molto più anziane di lui, a farsene maltrattare e a masturbarsi. Ma, come s e m p r e accade, queste p r o pensioni n o n si limitarono al sesso. Egli fu s e m p r e un solitario dedito all'autolesionismo, e sciupò r e g o l a r m e n t e tutte le sue amicizie p e r il piacere di sentirsi tradito e perseguitato. A dodici a n n i dovette i n t e r r o m p e r e gli studi p e r mettersi a lavorare, fece q u a e là vari mestieri, frequentò gli ospizi, 445
p e r g u a d a g n a r s i i favori di un p r e t e si convertì al cattolicesim o , si fece assumere come lacchè in u n a famiglia di Torino vi commise un furtarello, ne incolpò u n a p o v e r a fantesca, e alla fine fu a s s u n t o c o m e s e g r e t a r i o da u n a b a r o n e s s a savoiarda, Warens. Frigida e adescatrice, costei c o m p r e s e subito il debole del ragazzo, e pei^fidamente si divertì a stuzzicarlo f o r n e n d o i più provocanti pretesti al suo vizio solitario e g o d e n d o di vedervelo c o n s u m a r e . Q u a n d o p e r ò si accorse che u n a vicina di casa i n t e n d e v a iniziarlo all'amplesso, preferì esser lei a concederglielo sebbene avesse un a m a n t e in carica. Ci p r o v a r o n o e n t r a m b i poco gusto, lui a d d i r i t t u r a le p i a n s e a d d o s s o , da allora la c h i a m ò «mamma» e lei «gattino», e fecero vita a t r e , c h e o g n i t a n t o d i v e n t a v a n o anche quattro. Fu a n c o r a lei che gli trovò p r i m a un posto di precettore presso u n a famiglia di Lione e poi di segretario presso l'ambasciatore di Francia a Venezia. Gian Giacomo riuscì a perd e r e l'uno e l'altro p e r le sue stramberie, e finalmente si accasò a Parigi. Vivacchiò alla meglio c o p i a n d o spartiti musicali, unico mestiere che era riuscito a i m p a r a r e . Ma trovò il m o d o di allacciare relazione con alcuni dei più noti Filosofi, fra cui G r i m m e D i d e r o t che lo p r e s e n t a r o n o alla signora d'Epinay, u n a colta e g e n e r o s a g e n t i l d o n n a , titolare d ' u n o dei più accreditati salotti intellettuali. Ma Gian Giacomo in società stava a disagio, a n c h e p e r c h é soffriva di u n a stenosi all'uretra che gli provocava la ritenzione delle u r i n e e quindi un continuo tormentoso stimolo. Si trovava molto meglio in c o m p a g n i a di u n a ragazza del suo q u a r t i e r e mezzo analfabeta, Teresa Levasseur, n o n bella, ma devota. Essa gli d i e d e u n o d o p o l'altro c i n q u e figli» ch'egli d e p o s i t ò all'ospizio dei trovatelli e n o n rivide mai più. Seguitava a t i r a r e avanti c o p i a n d o musica, ma anche c o m p o n e n d o n e , e i suoi amici lo aiutavano sotto banco pass a n d o qualche sussidio a Teresa. Nel suo talento credevano solo essi p e r atto di fede. Solo nel '50, q u a n d o aveva g i trentott'anni, si decise a fornirne un saggio m a n d a n d o a un a
446
concorso indetto dall'Accademia di Digione un Discorso sulle /Irti e le Scienze. A p p r e n d i a m o con un certo s t u p o r e che Diderot, cui lo aveva dato in lettura, lo aveva a p p r o v a t o . In esso Rousseau cercava di d i m o s t r a r e che le arti e le scienze, cioè la cultura, lungi dal migliorarlo, avevano corrotto l'uomo, che il meglio di sé Io aveva dato solo allo stato di natura. Era e s a t t a m e n t e il c o n t r a r i o di ciò che D i d e r o t e tutti i Filosofi sostenevano nell'Enciclopedia. Ma forse Diderot voleva soltanto i n c o r a g g i a r l o a uscire in q u a l c h e m o d o dall'oscurità, e ci riuscì. L'Accademia p r e m i ò il lavoro. Ma la cosa più curiosa è che tutta Parigi, quella Parigi che della cultura faceva u n a specie di religione, lesse con avidità e parlò con entusiasmo di quella requisitoria contro la cultura. D o p o questa sortita nel c a m p o della filosofia, Rousseau tornò alla musica, e u n a sua operetta, Eindovino del villaggio, fu r a p p r e s e n t a t a a C o r t e ed ebbe gli elogi del Re, che volle conoscere l ' a u t o r e . Ma Rousseau n o n p o t è a n d a r c i p e r via dei suoi d i s t u r b i u r e t r a l i , e D i d e r o t glielo r i m p r o v e r ò a s p r a m e n t e dicendogli che aveva p e r s o la g r a n d e occasione di d i v e n t a r e p o e t a di c o r t e c o n s t i p e n d i o fisso. «Mi p a r l ò dello s t i p e n d i o - r a c c o n t a R o u s s e a u - con un c a l o r e c h e n o n m i sarei mai a s p e t t a t o d a u n f i l o s o f o . » S e m b r a v a c h e ormai la sua vocazione fosse la lirica, su cui p r e p a r ò a n c h e molte voci dell'Enciclopedia. Ma nel '53 si r i p r e s e n t ò al solito concorso dell'Accademia di Digione con un altro saggio sulle Origini e fondamento dell'ineguaglianza fra gli uomini. In esso diceva che la società ideale è la famiglia patriarcale, e che a d i s t r u g g e r l a e r a stato un «fatale accidente»: l'istituzione della p r o p r i e t à privata, fonte di tutte quelle ineguaglianze e ingiustizie economiche e sociali su cui si fonda il cosiddetto «progresso». Stavolta i Filosofi, che p e r il p r o g r e s s o si b a t t e v a n o , com i n c i a r o n o a d a l l a r m a r s i d i q u e s t ' u o m o che a v e v a n o creduto dei loro, e che c o n t r o il p r o g r e s s o invece tuonava. La risposta di Voltaire la c o n o s c i a m o . G r i m m gli fece a l c u n e osservazioni al vetriolo. D i d e r o t cercò di r i m e t t e r l o sulla 447
b u o n a s t r a d a c o m m i s s i o n a n d o g l i p e r YEnciclopedia un saggio sull'economia politica e s u g g e r e n d o g l i e n e - c r e d i a m o - la falsariga. Rousseau si mostrò docile. Il suo scritto ritrattava le tesi individualistiche dei d u e p r e c e d e n t i Discorsi aff e r m a n d o i s u p r e m i diritti della c o m u n i t à sui singoli. Ma la b u o n a a r m o n i a fra lui e i suoi amici s'era incrinata. Gl'illuministi e r a n o u o m i n i che, p u r volendo riformarla, apparten e v a n o alla società, l ' a m a v a n o , ne c o n d i v i d e v a n o il costum e . Rousseau era, anche nelle sue abitudini di vita, un barb o n e asociale, che n o n stava alle regole del giuoco. La p r i m a ad a c c o r g e r s e n e fu la s i g n o r a d'Epinay, che cercò di metterlo a suo agio offrendogli u n a sua graziosa casetta in mezzo al bosco di Montmorency, YErmitage. Incantato da quella solitudine, Rousseau se ne commosse sino alle lacrime. Ma G r i m m scrisse alla benefattrice: «Avete reso un p e s s i m o servizio a R o u s s e a u e a voi stessa. La solitudine c o m p l e t e r à l ' o p e r a di a n n e b b i a m e n t o della sua immaginazione: tutti gli amici, e voi p e r p r i m a , d i v e r r a n n o ai suoi occhi ingiusti e ingrati». Fu profeta. Di lì a un p o ' Diderot fece r a p p r e s e n t a r e u n a commedia in cui c'era questa battuta: «Il b u o n o vive in società; il malvagio, da solo». Rousseau la p r e s e p e r un'allusione a lui (e forse lo era), e la signora d'Epinay dovette faticare n o n poco p e r r i m e t t e r pace fra i d u e . Subito d o p o fu lei a pagare lo scotto delle suscettibilità di Rousseau. Sua cognata si divertì a adescarlo, e lui ci cascò al suo solito m o d o . Fu un a m o r e di lettere e di sospiri che lasciò indifferente Teresa. Ma la sig n o r a d ' E p i n a y lo trovò sconveniente, e ne informò - o ne fece informare - l'amante della Circe (il marito lo aveva pers o p e r s t r a d a d a u n pezzo). Costui e r a q u e l m a r c h e s e Saint-Lambert, che aveva p o r t a t o via la signora di Chàtelet a Voltaire e che e v i d e n t e m e n t e era n a t o con la vocazione di far dispetto ai filosofi. Ne v e n n e fuori un pasticcio di cui tutta Parigi p a r l ò , e Rousseau finì p e r litigare con tutti, accusandoli di c o m p l o t t o ai suoi d a n n i . Alla fine del '57 lascio YErmitage e s e m p r e in c o m p a g n i a di Teresa p r i m a prese in 448
affitto un villino nelle vicinanze, poi ne accettò un altro offertogli g r a t u i t a m e n t e dal Maresciallo di L u x e m b o u r g . La sua r o t t u r a coi vecchi amici era p r a t i c a m e n t e già consumata. Ma egli volle r e n d e r l a pubblica e irrevocabile con una Lettera al Sig. D'Alembert, che in realtà era u n a dichiarazione di g u e r r a all'Illuminismo. Più che D'Alembert, i veri bersagli e r a n o la R a g i o n e e Voltaire. «Ciò c h e la r a g i o n e p u ò p r o v a r e alla maggioranza degli u o m i n i è solo il calcolo interessato del profìtto personale» scriveva r i s o l u t a m e n t e . Q u a n t o a Voltaire, n o n lo nominava. Ma rivolgeva alla città di G i n e v r a un invito a i m p e d i r e la nascita di un t e a t r o di prosa, il cui solo effetto sarebbe stato l'avvelenamento delle coscienze e la corruzione dei costumi. E questo, p r o p r i o nel m o m e n t o in cui Voltaire c h i e d e v a ai m a g i s t r a t i g i n e v r i n i - che glielo rifiutarono - il permesso d'inscenare le sue commedie. «Rousseau è il Giuda della confraternita» scrisse Voltaire. A sua volta Rousseau gli scrisse: «Vi odio, signore, perché così voi avete voluto; ma vi odio con la passione di u n o che a n c o r a p o t r e b b e a m a r v i , se voi lo aveste d e s i d e r a t o » . Voltaire n o n rispose. Forse, m a l g r a d o l'ira, era rimasto colpito dalla singolare e d i s a r m a n t e sincerità di quella confessione. C o m e se quella g u e r r a coi vecchi c o m p a g n i vi avesse innescato u n a miccia, il genio di Rousseau si accese, e nel giro di cinque a n n i si c o n s u m ò . Fra il '57 e il '62 egli scrisse con febbrile i m p e t o le sue o p e r e capitali: La nuova Eloisa, Emilio o Dell'Educazione, e il Contratto sociale. Sebbene a noi sembri che il suo vertice di scrittore egli lo abbia toccato p i u t t o s t o con le Confessioni, che uscirono p o s t u m e , n o n c'è dubbio che ad esercitare la m a g g i o r e influenza sui c o n t e m p o r a n e i furono questi tre lavori. E si trattò di un'influenza ciclonica. Eloisa è un r o m a n z o ispiratogli dallo s f o r t u n a t o a m o r e con la Circe dell'Ermitage. E a leggerlo oggi, n o n si capisce il clamore che suscitò. Sono settecento p a g i n e di esclamativi, di sospiri e di puntolini sospensivi. Il p r i m o bacio scocca alla novantesima. D o p o aver c e d u t o ai desideri d e l l ' a m a n t e , 449
l'eroina grida: «Sono c a d u t a nell'abisso dell'infamia», sposa: un b r a v ' u o m o che accetta n o n solo la sua colpa, ma anche l£. p e r d u r a n t e assiduità del seduttore, e lo p r e m i a di tanta cond i s c e n d e n z a lasciandogli i n p u n t o d i m o r t e u n a lettera i n cui gli confessa di n o n averlo mai a m a t o . ^ S e m b r a incredibile che un racconto così prolisso, impern i a t o s u u n a t r a m a così r u g i a d o s a , abbia p o t u t o sollevare l'entusiasmo di u n a società c o m e quella parigina che dell'ai dulterio faceva la sua regola e c h e si e r a formato il p r o p r i o gusto letterario sulla prosa dei Montaigne, dei Cartesio, dei Pascal, dei Voltaire: scattante, schioccante, asciutta, spregiti^ dicala, epigrammatica. E p p u r e , il successo fu e n o r m e . La tijr pografia n o n faceva in t e m p o a s t a m p a r e le copie. Davanti alle librerie, c'erano le code. U n a signora che si p o r t ò il rofe m a n z o a t e a t r o - racconta l'autore -, fu trovata l'indomani? nel suo palco, a n c o r a sprofondata nella lettura. I Filosofi ne f u r o n o sconcertati, e a v e v a n o r a g i o n e . laquel r o m a n z o c'era più a d i p e che ossa. Interi capitoli eranoaria fritta, cucinata con un p e r i o d a r e lambiccato e faticoso^ L'intreccio e r a b a n a l e e c o n v e n z i o n a l e : tutti i personaggi* parlavano c o m e Rousseau che, invece di parlare, predicava^ G r i m m disse g i u s t a m e n t e : «Provatevi a strizzarlo: in man» n o n vi resterà che un p o ' di bagnato». 'U, Ma c'erano d u e cose, che s e m b r a r o n o rivelazioni, ancfa ©: se invece si trattava solo di riscoperte. La p r i m a era il sen~* ' poetico della n a t u r a che i letterati francesi, tutti d'estrazi ne cittadina e cresciuti alla scuola del salotto intellettuaì avevano dimenticato da un paio di secoli. Eloisa è u n a scofcgi ciatrice. Ma gli sfondi su cui essa si m u o v e - i laghi, le m o a | ' tagne, le foreste svizzere e savoiarde - sono autentici. I ve'" protagonisti del r o m a n z o son quelli, e p a r l a n o un linguag gio d o v e la p r e d i c a c e d e il posto a un colore e a un calore cui i lettori, e soprattutto le lettrici, n o n e r a n o più abituati*?' La seconda era la rivincita del sentimento d o p o la l u n ^ orgia della R a g i o n e . C o n R o u s s e a u , il c u o r e riprendeva!' sopravvento sul cervello e gli dettava la sua legge. I suoi er $
1
t
450
o n fanno che piangere. Piangono di desiderio prima di soddisfarlo e di r i m o r s o d o p o a v e r l o soddisfatto. Spesso p i a n g o n o a n c h e m e n t r e lo soddisfano, c o m ' e r a capitato all'autore sul seno della signora Warens. E questo tipo di passione d r a m m a t i c a e gocciolante - da cui n a c q u e r o tutti i W e r t h e r e gli Ortis che afflissero l'Ottocento - n o n p o t e v a n o n rimescolare le fibre di lettrici avvezze a u n a galanteria spregiudicata c o m e quella del Settecento che in fondo aveva dissacrato l ' a m o r e , r i d u c e n d o l o a un giuoco di società: cosa c h e l e d o n n e n o n p e r d o n a n o . Eloisa e r a i n s o m m a i l grido di g u e r r a del romanticismo che i r r o m p e v a sulla scena d ' E u r o p a . D'allora in poi tutte vollero essere Eloise, a n i m e elette, c r e a t u r e emotive, possibilmente tubercolose e p e r p e t u a m e n t e i m m e r s e i n u n b a g n o d i lacrime. Il successo l u s i n g ò R o u s s e a u , ma n o n ne vinse la scontrosità. Invece di approfittarne p e r r i e n t r a r e da trionfatore nella società parigina, si rinchiuse a n c o r a di più nel suo rifugio, e s p r o f o n d ò nel Contratto sociale. R o u s s e a u n o n e r a un forte a r g o m e n t a t o r e , e lo si vede a n c h e dalle c o n t r a d d i zioni di questo libro che p u r e vuol essere la trattazione rigorosa e sistematica dei r a p p o r t i tra gli u o m i n i . Egli dice che il singolo deve sottomettersi alla volontà generale. Ma cosa intenda p e r volontà generale, n o n è chiaro. In certi m o m e n t i , sembra che si tratti della volontà della m a g g i o r a n z a . Ma in certi altri s e m b r a c h e a f o r m a r e q u e s t a m a g g i o r a n z a n o n siano tutti i cittadini, ma solo quelli tra loro che sono qualificati a i n t e r p r e t a r l a . C o m u n q u e , colui che nel Discorso sull'ineguaglianza s'era p r e s e n t a t o come il p a d r e dell'individualismo anarchico, qui si trasforma nel g r a n d e p a l a d i n o d ' u n a collettività socialista che ha il diritto di schiacciare l'individ u o ribelle con lo specioso sofisma che, essendo essa garante della libertà di tutti, p u ò costringere a n c h e lui a essere libero. Per nulla s g o m e n t o d a q u e s t a i n c o n g r u e n z a , R o u s s e a u affida a questa volontà generale a n c h e il compito di «mantenere con la forza della legislazione l'eguaglianza che la forza n
451
delle cose t e n d e a distruggere». Q u i n d i , è chiaro, egli vuole un p o t e r e abbastanza forte da coartare lo sviluppo naturale della società: cioè un dispotismo, sia p u r e in n o m e della volontà generale. Q u e s t o r e g i m e , n a t u r a l m e n t e repubblicano, deve a n c h e avere un f o n d a m e n t o religioso, e q u i n d i chiunq u e n o n vi creda dev'essere b a n d i t o dallo Stato e se, fingendo di credervi, contravviene alle sue regole, dev'essere punito con la m o r t e . Emilio nacque come poscritto alla Nuova Eloisa, e Rousseau lo concepì come un m a n u a l e di precetti p e r l'educazione del figlio della sua eroina. In m a n o a c h i u n q u e altro, esso sarebbe diventato un arido testo di pedagogia. Bisogna riconoscere ch'egli ne fece un piccolo capolavoro. La tesi di fondo è la solita: l'uomo nasce libero e b u o n o , è la società con le sue leggi sbagliate che lo r e n d e o p p r e s s o r e e cattivo. L'educazione deve quindi mirare a riportarlo al suo stato naturale. A p p e n a nato, la levatrice n o n lo fasci, p e r c h é questa è già u n a costrizione che p u ò condizionare tutto il suo sviluppo.. E sia la m a d r e ad allattarlo, in m o d o che il suo r a p p o r t o col figlio n o n sia deviato da u n a nutrice. Sin d a p p r i n c i p i o lo si. abitui a u n ' e s i s t e n z a semplice e all'aria a p e r t a , in intim© contatto con la n a t u r a . Nessuna furia di sviluppare il suo in-, telletto. Ciò che conta è il carattere. Emilio deve sapere subito cosa è b e n e e cosa è male: questa è l'unica bussola di cuiha bisogno nella vita. Lo sviluppo dell'intelletto è seconda» rio. Anzi, lo si tenga lontano dagl'intellettuali: «Li ho trovali tutti orgogliosi, p e r e n t o r i e d o g m a t i c i a n c h e nel loro p r e s u n t o scetticismo. N o n i g n o r a n o niente, ma n e m m e n o sanno p r o v a r e niente, si b u r l a n o gli u n i degli altri, e questo è il solo p u n t o su cui h a n n o r a g i o n e . N o n ce n'è u n o che, po-. t e n d o distinguere il vero dal falso, n o n preferisca la p r o p r i a m e n z o g n a all'altrui verità». E qui, c o m e o g n u n o sente, crepita il suo r a n c o r e c o n t r o gli ex-amici Filosofi. '< A Emilio b i s o g n a d a r e u n a r e l i g i o n e p e r c h é senza u n a fede in Dio e nell'ai di là, egli n o n riuscirebbe a d a r e un sen^ so alla sua vita. Ma quale, delle molte che esistono? N o n si'-' 452
p u ò imporgliene nessuna, p e r c h é s a r e b b e un sopruso. Gli si p u ò solo d a r e un consiglio: «Torna in p a t r i a e r i p r e n d i la religione dei tuoi p a d r i . È quella c h e ha la m o r a l e più p u r a e che meglio p u ò soddisfare il t u o c u o r e » . E p r o p r i o ciò che Rousseau aveva fatto a n n i p r i m a , t o r n a n d o a G i n e v r a e riabbracciando il calvinismo. Altro consiglio di sapore autobiografico: «Non lasciate solo Emilio né di giorno né di notte, d o r m i t e a l m e n o nella sua stessa c a m e r a . Se s p e r i m e n t a u n a v o l t a il pericoloso s u r r o gato d e l l ' a m o r e , è p e r d u t o » . E via di seguito sulla linea di u n a pedagogia s e m p r e ispirata alle i d e e - m a d r i di Rousseau: che l ' u o m o t a n t o p i ù è b u o n o , l i b e r o e felice q u a n t o p i ù si riaccosta allo stato di n a t u r a r i n n e g a n d o il cosiddetto p r o gresso e i suoi valori, a cominciare d a l l a cultura. Anche Emilio suscitò un i m m e n s o baccano. I Filosofi furono disgustati dall'ostracismo c h ' e s s o d a v a all'intelletto, e la signora De Staél disse: « Q u e s t a d i d a t t i c a c o s t r i n g e r e b b e ogni p a d r e a dedicare l'intera vita a s u o figlio, sicché soltanto i n o n n i p o t r e b b e r o occuparsi d e l l a p r o p r i a carriera». Lo stesso R o u s s e a u si r e s e c o n t o d e l l a sua inapplicabilità, e q u a n d o un a m m i r a t o r e v e n n e a d i r g l i che aveva e d u c a t o i p r o p r i figli c o m e lui diceva, gli r i s p o s e : «Peggio p e r voi e per loro!» Stavolta p e r ò le reazioni n o n si l i m i t a r o n o agli a m b i e n t i intellettuali. Le m a g i s t r a t u r e c a t t o l i c h e di Parigi e quelle calviniste di G i n e v r a si t r o v a r o n o p e r u n a volta d ' a c c o r d o nel v e d e r e in Emilio un attacco al c r i s t i a n e s i m o , e c o n t r o il suo a u t o r e fu spiccato m a n d a t o d ' a r r e s t o . Esso fu tuttavia eseguito in m o d o da dargli il t e m p o di fuggire, e qui comincia l'ultima odissea del v a g a b o n d o autolesionista. Egli trovò d a p p r i n c i p i o rifugio nel c a n t o n e di B e r n a , ma a n c h e il Senato di q u e s t a città gli fece s a p e r e c h e n o n g r a d i v a la sua presenza. Sebbene o r m a i odiasse R o u s s e a u e avesse definito il suo libro «un g u a z z a b u g l i o in q u a t t r o v o l u m i scritto da una balia stupida», Voltaire fu i n d i g n a t o da questa persecuzione e offrì al proscritto l'ospitalità di Ferney. 453
Rousseau preferì appellarsi a Federico di Prussia, sebbene u n a volta l'avesse definito «un t i r a n n o travestito da filosofo». E Federico n o n solo lo fece accogliere a N e u c h à t e l , m a gli concesse a n c h e u n a p e n s i o n e . « D o b b i a m o a i u t a r e questo povero disgraziato - scrisse al suo fiduciario -. Penso ch'esso abbia sbagliato vocazione: doveva fare l'anacoreta, il p r e d i c a t o r e nel deserto...» Veri o falsi, questi Filosofi sapevano essere g r a n signori anche con chi li flagellava. Ma t u t t a la Svizzera calvinista o r m a i e r a in subbuglio e reclamava la sua espulsione. C o n la sua caratteristica malaccortezza, Rousseau aizzò la polemica con u n a serie di lettere in u n a delle quali trasse in causa Voltaire d e s i g n a n d o l o come a u t o r e di un libello a n o n i m o che p r o p r i o di quei tempi aveva fatto scandalo p e r le sue eresie. Voltaire, a sua volta minacciato di proscrizione, stavolta p e r s e il l u m e degli occhi. Ma, m e n t r e giurava che avrebbe fatto b a s t o n a r e l'infame calunniatore, gli a n n u n z i a r o n o che costui stava p e r venire a Ferney. «Che venga!» urlò s t r i n g e n d o i p u g n i . «E come lo riceverete?» «Gli offrirò cena, lo m e t t e r ò nel mio letto e gli dirò: grazie d'aver accettato l'uno e l'altro.» Questo era il terribile Voltaire, anche se subito d o p o scrisse u n a violenta filippica c o n t r o Rousseau. Costui p e r il m o m e n t o s'era ritirato sul lago di Bienne, m a u n tentativo d i linciaggio d a p a r t e della p o p o l a z i o n e l'obbligò a sloggiare e a r i p a r a r e a L o n d r a . Ma a n c h e qui t r o v ò il m o d o di litigare con tutti, a n c h e col suo amico e p r o t e t t o r e H u m e che ve lo aveva chiamato e ch'egli accusò di complicità ai suoi d a n n i con Voltaire, D i d e r o t e Grimm. Stava male in Inghilterra, n o n ne parlava la lingua, la gente lo corbellava p e r il suo bizzarro abbigliamento. Da a n n i portava un b e r r e t t o di pelo e un caffetano rosso p e r c h é alle brache aveva d o v u t o r i n u n z i a r e a causa del suo m a l a n n o , che l'obbligava a t e n e r e u n a borsa fra le cosce. A un certo p u n t o si convinse che volevano a v v e l e n a r l o , e fuggì precipitosam e n t e con Teresa lasciando anche il bagaglio. La Francia di Turgot dimenticò il m a n d a t o d'arresto che 454
aveva spiccato c o n t r o di lui, e gli concesse asilo. Ma il fuggiasco seguitò a fuggire, inseguito dai p r o p r i fantasmi. Vag a b o n d ò senza requie fra Lione, Grenoble e Parigi, t i r a n d o avanti le Confessioni che d e n u n c i a n o il suo v a n e g g i a m e n t o . Ebbe il t e m p o di vedere le trionfali accoglienze che la capitale riservò a Voltaire, e ne fu geloso. Ma q u a n d o Io s e p p e m o r e n t e , esclamò: «Le n o s t r e vite e r a n o legate l'una all'altra. La sua m o r t e è a n c h e la mia». Fu profeta. Voltaire si spense nel m a g g i o , lui nel luglio del '78. Anche a lui, come a Voltaire, fu negata la sepoltura in terra consacrata. E a n c h e le sue spoglie furono dalla Rivoluzione trionfante traslate nel P a n t h e o n . Accanto a quelle di Voltaire. E veniamo ai loro rispettivi làsciti. N o n c'è d u b b i o che quello di Rousseau esercitò sui cont e m p o r a n e i un'influenza molto più g r a n d e e sconvolgente. «Rousseau - disse la signora de Staci che lo detestava - n o n ha i n v e n t a t o nulla, ma ha m e s s o a fuoco tutto.» E q u e s t o tutto cominciava dal c o s t u m e . Fu grazie a lui che le d o n n e di Francia e d ' E u r o p a si slacciarono i corsetti e, p e r offrirle alla bocca dei lattanti, esposero al sole le loro p o p p e , fin allora riservate ai misteri di alcova. E fu da lui che p r e s e avvio la n u o v a pedagogia, basata sullo s p o n t a n e i s m o e sull'es p e r i e n z a , d e i Pestalozzi in Svizzera, dei J o h n Dewey in America e delle Montessori in Italia. Al p r e c e t t o r e severo e a r m a t o di frusta e alla lezione ex cathedra basata sull'autorità dei testi consacrati, si sostituivano il colloquio e l'esercizio sulle cose, che sovvertivano c o m p l e t a m e n t e il r a p p o r t o fra d o c e n t e e allievo r e n d e n d o l o molto più u m a n o e g r a d e vole. N o n c'è d u b b i o che fu R o u s s e a u a s c a t e n a r e la g r a n d e ondata romantica, intesa c o m e rivincita del s e n t i m e n t o sulla ragione, del c u o r e sull'intelletto, d e l l ' i m m a g i n a z i o n e sulla realtà, della fede sulla scienza, della n a t u r a sulla civiltà. In letteratura la poesia afferma i suoi diritti sulla p r o s a , il ro455
m a n z o sul saggio, la fantasia sulla storia. In arte il neo-gotico p r e n d e il s o p r a v v e n t o sul neo-classico, il colore sulla li*, n e a , il p a e s a g g i o sul p e r s o n a g g i o . N e i r a p p o r t i sociali la passione diventa d'obbligo come p r i m a lo e r a n o la misura e il distacco. Le d o n n e i m p a r a n o a svenire, gli u o m i n i a suicidarsi. Il loro linguaggio si allunga e si sfuma p e r registrare le p i ù impalpabili vibrazioni del s e n t i m e n t o , gonfia gli aggettivi al superlativo, si frastaglia d'interiezioni esclamative; Dei figli di Rousseau, che i suoi figli veri li aveva portati all'ospizio, si p o t r e b b e r e d i g e r e un elenco interminabile: Cha? t e a u b r i a n d , L a m a r t i n e , H u g o , Musset, S a n d , B y r o n , SheL ley, Keats: in breve, quasi tutto il G o t h a letterario dell'Otto* cento. > Ma a n c o r a p i ù decisivi s o n o i suoi effetti sulla politica, Rousseau segna la fine dell'Illuminismo, cioè del t e n t a t i v i di a d a t t a r e il vecchio r e g i m e delle m o n a r c h i e assolute all'è- ' sigenze della società m o d e r n a secondo il m e t o d o delle riformi me e senza t r a u m i rivoluzionari. Q u e s t o e r a stato il sogno,' dei Filosofi, e fu Rousseau a distruggerlo. I conti fra lui e lof > ro v e n n e r o d e f i n i t i v a m e n t e r e g o l a t i nel 1794 q u a n d o , m n o m e d i R o u s s e a u , R o b e s p i e r r e p r o c e d e t t e , nei c o n f r o n t i dei Filosofi, a un disconoscimento di p a t e r n i t à rivoluziona^ ria, spedì sulla ghigliottina il loro ultimo e p i g o n o , Hébert,<#< p r o c l a m ò il culto d e l l ' E s s e r e S u p r e m o , t i p i c a m e n t e rousf s e a u i a n o , al posto di quello, t i p i c a m e n t e voltairiano, dellà^ Dea Ragione. B u r k e scrisse che nell'Assemblea Costituente' «non si p a r l a che di Rousseau. Lui s t u d i a n o , lui m e d i t a n t i lui invocano p e r giustificare i m a l a n n i che c o m b i n a n o eie-' o r g e di s a n g u e cui s ' a b b a n d o n a n o . Ne h a n n o fatto la lord Sacra Scrittura». ~M Ai motivi di tutto questo abbiamo già accennato. Alle a w , stocrazie intellettuali da cui p r o v e n i v a n o , e a cui si r i v o l g a vano i Filosofi, n o n si p o t e v a n o p r o p o r r e soluzioni miraco„\, stiche. E r a n o t r o p p o colte e smaliziate p e r c r e d e r e che usi semplice s o v v e r t i m e n t o d'istituzioni possa g u a r i r e i m a $ d e l l ' u o m o e della società. Ma dal m o m e n t o in cui, con la 456
d u t a d i T u r g o t , queste m i n o r a n z e riformiste e b b e r o p e r s o la partita, a p r e n d e r e il sopravvento furono quelli che oggi c h i a m e r e m m o i «contestatori globali» del regime, i quali fecero appello alle masse popolari. Queste masse avevano fame, fame di p a n e . N o n gli si p o teva d i r e , c o m e d i c e v a n o i Filosofi, c h e i mali d e l l ' u o m o e della società sono a n n i d a t i nella coscienza: u n a materia impalpabile c h e va trattata e c u r a t a con la libertà, l'educazione, la scuola, la cultura. Per salire sulle barricate, il popolano aveva bisogno di u n a prospettiva immediata, di u n a certezza facilmente traducibile in fatti. E Rousseau gliela dava. Sono le istituzioni, diceva, che r o v i n a n o l ' u o m o . C a m b i a t e quelle, e tutti i p r o b l e m i s a r a n n o risolti. E con questi messaggi semplicistici, ma a p p u n t o perciò alla p o r t a t a a n c h e dei cervelli p i ù rozzi, che si s c a t e n a n o le piazze. A intuirlo p e r primo e r a stato D'Alembert, che nel '62 aveva scritto a Voltaire: «Non conviene g r i d a r e t r o p p o forte contro Rousseau: ormai è il re delle halles». Le halles e r a n o i mercati generali di Parigi, le g r a n d i assise del suo p o p o l i n o . Gli scaricatori, gli erbivendoli, i b a r r o c ciai, le massaie che li g r e m i v a n o n o n avevano di certo letto il Contratto sociale, ma ne avevano afferrato i motivi dalle parole degli agitatori. Mallet du Pan r i c o r d a d'aver u d i t o nel 1788, cioè un a n n o p r i m a della rivoluzione, M a r a t che leggeva e c o m m e n t a v a il Contratto sociale nelle pubbliche vie tra gli applausi degli astanti. E a g g i u n g e : «Rousseau aveva cento volte p i ù lettori di Voltaire tra le classi m e d i e e inferiori». Ed è n a t u r a l e , visto n o n solo che p r o m e t t e v a il miracolo, ma anche il g e n e r e di miracolo che prometteva. Egli infatti n o n insisteva tanto sulla libertà, esigenza aristocratica di u o m i n i c h e h a n n o soddisfatto t u t t e le a l t r e e che c o m u n q u e si p o n g o n o dei p r o b l e m i s o p r a t t u t t o morali e spirituali, q u a n t o sulla giustizia, cioè sulla ripartizione dei beni materiali. M e n t r e Voltaire si rivolgeva alla m e n t e e alla coscienza dei lettori, Rousseau si rivolgeva al loro stomaco nel m o m e n t o in cui v e n t i q u a t t r o su venticinque milioni 457
di francesi lo avevano vuoto e cominciavano ad accorgersen e . Egli n o n s o l t a n t o diceva c h e l ' u g u a g l i a n z a c o n t a p i della libertà, ma con la sua teoria della «volontà generale» sosteneva che siccome, a b b a n d o n a n d o le cose ai loro naturali sviluppi (cioè al laissez faire, al lasciate fare dell'economia liberista), le d i s u g u a g l i a n z e si r i f o r m a n o , la c o m u n i t à doveva i m p e d i r l o con la forza, cioè a n c h e col sacrificio della libertà. Di q u e s t o p r i n c i p i o si vide la p r i m a applicazione pochi a n n i d o p o q u a n d o , a p p e l l a n d o s i a d esso, R o b e s p i e r r e istaurò u n o dei p i ù t r e m e n d i regimi polizieschi c h e la sto* ria abbia conosciuto e m a n d ò al patibolo tutti i suoi nemici. Ma a n c o r a oggi è su di esso che si o r i e n t a n o le g r a n d i cor* renti del p e n s i e r o politico. Il socialismo di Marx, che al mito dell'uguaglianza sacrifica qualsiasi libertà individuale, è d ' i s p i r a z i o n e r o u s s e a u i a n a , c o m e lo è t u t t a la sociologia m o d e r n a che s p o d e s t a l ' u o m o dalla p a r t e d i p r o t a g o n i s t a della Storia p e r attribuirla alle «strutture», alle «infrastrm* ture», alle «sovrastrutture», cioè alle istituzioni, c o m e diceva Rousseau. >* Q u a l c u n o p o t r à obbiettarci che questo n o n è il pensiero di R o u s s e a u , ma solo u n a p a r t e di esso. E v e r o . Nelle sue o p e r e c'è tutto e il contrario di tutto. Nei suoi p r i m i Discord. p e r esempio ci sono motivi individualistici in netta contrapposizione a quelli socialisti, e spinti a tali estremi di radicalif • s m o c h e p i ù t a r d i gli a n a r c h i c i p o t e r o n o pescarci a piene m a n i . Lo stesso R o u s s e a u si r e s e c o n t o delle p r o p r i e con-, traddizioni, e in u n o dei suoi r a r i intermezzi di u m o r i s m o scrisse: «Chi dice di a v e r m i capito dev'essere m o l t o più ira telligente di me». Ma ciò che p e r noi conta è il m o d o in cui i suoi conterà* p o r a n e i c r e d e t t e r o di capirlo. Per loro, egli fu l'apostolo di u n a r i v o l u z i o n e p r o l e t a r i a che p r e t e s e far tabula rasa n o n soltanto delle istituzioni esistenti, ma di tutta u n a civiltà, e il p a d r e di u n a democrazia n o n m e n o assolutista della monarff chia di cui p r e n d e v a il posto in n o m e di un egalitarismo in» > u
458
posto con l'inquisizione ideologica e i plotoni d'esecuzione. Egli c e r t a m e n t e n o n i m m a g i n ò tutto questo. Se avesse visto a l l ' o p e r a l a g h i g l i o t t i n a del T e r r o r e , l ' a v r e b b e m a l e d e t t a . E p p u r e , all'anagrafe della Storia, quel bieco a r n e s e è registrato come figlio suo. Voltaire e r a m o r t o in t e m p o . In t e m p o n o n solo p e r n o n finire egli stesso sotto la ghigliottina, c o m e ci finì H é b e r t e come stava p e r finirci C o n d o r c e t , suoi ultimi epigoni, ma anche p e r n o n accorgersi che aveva p e r s o la p a r t i t a nei c o n fronti del «cane i m p a z z i t o di Diogene». Le trionfali accoglienze che Parigi gli riservò d o c u m e n t a v a n o l ' e n o r m e ammirazione che a n c o r a riscuoteva. Ma la sua influenza e r a finita. Essa e r a stata i m m e n s a c o m e peso specifico, ma di limitato raggio. Voltaire aveva esercitato un influsso decisivo sulle élites d ' E u r o p a , ma solo su quelle. G i u s e p p e II d'Austria, la g r a n d e C a t e r i n a di Russia, G u s t a v o I I I di Svezia, Pombal del Portogallo, A r a n d a di Spagna, L e o p o l d o di Toscana furono tutti alla sua scuola, p e r n o n p a r l a r e di Federico il G r a n d e di Prussia che si p r o c l a m a v a suo allievo e cercava d ' i m i t a r n e perfino lo stile. T u t t o ciò che l'assolutismo illuminato d e l S e t t e c e n t o aveva p r o d o t t o d i b u o n o c o n l e sue riforme e r a stata o p e r a di Voltaire. Era stato lui a d a r e alla società di Parigi q u e l l ' i m p r o n t a corale che l'accomunava a quella dell'Atene di Pericle e a quella della Firenze rinascimentale, cioè alle d u e p i ù g r a n d i culture che la Storia avesse conosciuto. Egli aveva r e g n a t o da s o v r a n o assoluto sui suoi focolari: le Corti e i salotti. Ma alle halles n o n e r a arr i v a t o , n é p o t e v a a r r i v a r c i . N o n n e avvertiva l e esigenze, n o n n e condivideva gl'interessi, n o n n e aveva n e m m e n o i l linguaggio. Quello suo è molto più chiaro, più terso, più intelligibile di quello di R o u s s e a u . Ma va al cervello, n o n al cuore, e passioni n o n ne accende. Ecco il motivo p e r cui a n c o r a oggi, a pesarla sulla bilancia, la sua influenza è limitata, e tale resterà finché le m i n o ranze r i m a r r a n n o m i n o r a n z e sopraffatte dalla massa. M a 459
n o n c'è u o m o che dalla massa si elevi senza c a d e r e in brac* ciò a Voltaire. Il p r i m o ad accorgersene fu N a p o l e o n e . «Fiì' no a sedici a n n i - disse - il mio Dio fu Rousseau. Ma poi in?, contrai Voltaire e cambiai religione. E l'unico scrittore che si p u ò r i l e g g e r e p e r t u t t a l a vita, senza e s s e r n e m a i delusi.» N a p o l e o n e aveva toccato il p u n t o giusto. Rousseau è legato a u n a «moda», e sia p u r e a u n a m o d a che c o n t i n u a e si rinnova da d u e secoli. Voltaire, sebbene sia il frutto di u n a so* cietà e di un a m b i e n t e d e t e r m i n a t i , i n t e r p r e t a dei gusti e delle esigenze di o r d i n e e t e r n o . Le sue battaglie c o n t r o il fife natismo e l'intolleranza n o n h a n n o t e m p o p e r c h é ogni tem* po ha i suoi fanatismi e le s u e i n t o l l e r a n z e . Alla scuola di Rousseau si p u ò d i v e n t a r e a n c h e degli oppressori, sia p u r e in n o m e del p o p o l o . Alla scuola di Voltaire n o n si p u ò di* v e n t a r e c h e spiriti liberi, i n d i p e n d e n t i e a n t i c o n f o r m i s t a Qualsiasi società, qualsiasi r e g i m e a v r a n n o s e m p r e bisogne di un Voltaire che con le sue d e n u n c e e requisitorie li tenga al r i p a r o dai loro abusi, di cui Rousseau p u ò invece essere ilcomplice. E n o n p a r l i a m o dei valori stilistici. Ciò c h e oggi? r i m a n e l e t t e r a r i a m e n t e vivo di R o u s s e a u n o n è Rousseau}' di cui n o n si possono rileggere che le Confessioni p e r la lofiosincerità e pochi altri b r a n i descrittivi di paesaggio, ma quéiì* lo che Rousseau ha suggerito ad altri. Di Voltaire, è vivo lui? ' ed è vivo t u t t o . N o n basta l e g g e r e Voltaire p e r diventai© scrittori; m a n o n s i p u ò d i v e n t a r e scrittori senza leggere Voltaire: «il più g r a n d e nella letteratura dei t e m p i m o d e r n i , e forse di tutti i tempi» diceva - a g g i u n g e n d o un/orse abusi*'' vo - u n o che se ne intendeva: G o e t h e . < '. C o m u n q u e , è in questi d u e autentici geni che si riassttS; m o n o le d u e g r a n d i correnti di p e n s i e r o destinate a influem"' zare tutta l ' E u r o p a , c o m p r e s a l'Italia. E quale di esse abbia; più contribuito al Risorgimento, è difficile dire. Si p u ò soloj. d i r e che la c u l t u r a del n o s t r o Paese, q u a n d o nella seconda m e t à del Settecento comincia f i n a l m e n t e a risvegliarsi, b«* p e r p a d r i n i loro d u e . Tutto l'Illuminismo l o m b a r d o e tosta*-, no è figlio di Voltaire, tutto il r i n n o v a m e n t o r o m a n t i c o è 1
I?
460
glio di Rousseau. E a n c h e oggi la p a r t i t a decisiva si giuoca jn loro n o m e . Se la nostra d e m o c r a z i a riuscirà a conciliare l'esigenza liberale e m o r a l e di Voltaire con quella socialista di Rousseau, sarà salva. Altrimenti...
PARTE SECONDA
L'ITALIA N E I S U O I STATI
CAPITOLO DECIMO
IL PIEMONTE DI V I T T O R I O AMEDEO II
Vittorio A m e d e o II l'abbiamo già i n c o n t r a t o ne Eltalia del Seicento p e r c h é al p o t e r e salì sullo scorcio di quel secolo, succedendo al p a d r e Carlo Emanuele IL Ma non eia che un ragazzo, e p e r di p i ù di fragile salute, il che aggravava la già malcerta situazione dei suoi Stati. Il P i e m o n t e aveva s e m p r e salvato la p r o p r i a i n d i p e n d e n z a b a r c a m e n a n d o s i fra le Potenze e u r o p e e che si c o n t e n d e v a n o il p r i m a t o sull'Italia, e che a q u e i t e m p i e r a n o la Francia e la S p a g n a . Ma a Carlo E m a n u e l e i l g i u o c o n o n e r a b e n riuscito. Col t r a t t a t o d i C h e r a s c o , i francesi si e r a n o installati a Casale e P i n e r o l o , t e n e n d o Torino sotto il loro ricatto. N o n solo. Ma a esercitare la r e g g e n z a in n o m e del figlioletto finché n o n avesse raggiunto la m a g g i o r e età, Carlo E m a n u e l e aveva lasciato la vedova, Giovanna Battista, c h ' e r a u n a principessa francese legatissima alla sua patria d'origine. Secondo alcuni storici, questa d o n n a ambiziosa e autoritaria a v r e b b e fatto il possibile p e r svogliare il r a g a z z o dai suoi c o m p i t i di s o v r a n o a v v i a n d o l o alla «dolce vita». P u ò darsi. C o m u n q u e , è certo che a conservare il p o t e r e ci t e n e va, e forse sognava di c o n t i n u a r e a esercitarlo di fatto a n c h e d o p o avervi ufficialmente insediato il figlio. Questi n o n dava l'impressione di volersi ribellare. Pensava solo alla caccia e alle d o n n e , e n o n mosse obbiezioni q u a n d o sua m a d r e d e cise di fidanzarlo alla Infanta del Portogallo, unica e r e d e al t r o n o di quel Paese. Ma di obbiezioni ne mosse, e risolute, la C o r t e . I nobili che la c o m p o n e v a n o , quasi tutti soldati e diplomatici fedeli alla dinastia, dissero che u n ' u n i o n e fra il Reame del Portogallo e il Ducato di P i e m o n t e avrebbe fatto 465
del P i e m o n t e u n a colonia d e l Portogallo. E il p r o g e t t o sfumò. Allora Giovanna Battista ripiegò su u n a principessa francese, A n n a d'Orléans, nipote di Luigi XIV, l'onnipotente Re Sole. Il relativo c o n t r a t t o fu stipulato nel 1684. Ma nello stesso m o m e n t o in cui accettava la moglie scelta dalla mad r e , Vittorio A m e d e o toglieva a costei i p i e n i p o t e r i assum e n d o l i di persona, e con tale inaspettata risolutezza ch'essa n o n riuscì mai p i ù a ficcarci il n a s o . Il gracile e svagato ragazzetto, che fin allora aveva dato convincenti p r o v e solo c o m e segugio di pernici e di gonnelle, rivelava un piglio in cui si p o t e v a riconoscere quello del g r a n d e avo E m a n u e l e Filiberto. Il p r i m o p r o b l e m a che doveva risolvere e r a la libertà di m a n o v r a del P i e m o n t e . Essa n o n e r a possibile finché le guarnigioni francesi restavano a Casale e a Pinerolo. Ma per cacciarle ci voleva u n a g u e r r a , e la g u e r r a con la Francia era resa difficile dal fatto che nella stessa Corte di Vittorio Amed e o c ' e r a n o b e n t r e partiti francesi: quello d i sua m a d r e , quello di sua moglie, e quello della sua a m a n t e , u n a Luynes francese anch'essa, che le m a l e l i n g u e accusavano di essere a d d i r i t t u r a u n a spia. Forse fu questa complicata situazione domestica a cucirgli a d d o s s o quell'abito di diffidenza e segretezza che doveva restare u n a sua p e r m a n e n t e caratteristica. Sollecitava il p a r e r e altrui, ma n o n svelava il suo nemm e n o ai più fidi consiglieri. Fu con un colpo a s o r p r e s a che, r o v e s c i a n d o la politica persecutoria di suo p a d r e e di sua m a d r e , richiamò i valdesi nelle loro avite valli savoiarde. Il Papa a n d ò su tutte le furie, ma la mossa del Duca aveva il suo p e r c h é . C o n t r o Luigi XIV si stava f o r m a n d o u n a coalizione, la L e g a di A u g u s t a , cap e g g i a t a da I n g h i l t e r r a e O l a n d a , p o t e n z e p r o t e s t a n t i . La c l e m e n z a verso i valdesi e r a il miglior p a s s a p o r t o p e r entrarvi. Fu u n a g u e r r a d u r a . I francesi b a t t e r o n o ripetutam e n t e i piemontesi, ma Vittorio A m e d e o n o n disarmò e seguitò a tenerli i m p e g n a t i fin q u a n d o il Re Sole, incalzato su 466
tutti i fronti dalle forze alleate, capì che e r a meglio negoziare con quell'avversario n o n irresistibile, ma cocciuto. Vittorio A m e d e o trattò con lui all'insaputa dei p r o p r i alleati, ed ebbe quel che voleva: la restituzione di Casale e P i n e r o l o . La c o n t r o p a r t i t a fu m o d e s t a : la m a n o di sua figlia M a r i a Adelaide per il nipote del g r a n Re. Ma il Piemonte n o n aveva riconquistato solo d u e città. Aveva riconquistato la p r o pria libertà d'iniziativa. U n a clausola del trattato i m p e g n a v a esplicitamente la Francia ad astenersi da qualsiasi interferenza negli affari i n t e r n i del P i e m o n t e , e q u a n d o il n u o v o ambasciatore francese v e n n e a presentargli le credenziali, il Duca gli disse: «Dite al vostro Re c h e ci lasci in p a c e nelle nostre case, con le nostre m a d r i , le n o s t r e mogli e le nostre amanti». N o n si p u ò dire che Vittorio A m e d e o parlasse p e r coperte allusioni. La Luynes afferrò senza sforzo quella che la riguardava, e fuggì. Il trattato di Ryswick del 1697 riconobbe quelli di Torino e di Vigevano c h e a v e v a n o sanzionato l ' i n d i p e n d e n z a piemontese, e il Duca se ne fece forte p e r o r i e n t a r e c o m e m e glio gli conveniva la sua politica nella n u o v a g u e r r a c h e si profilava p e r la successione al t r o n o di Spagna. Abbiamo già detto che a occasionarla fu la m o r t e dell'ultimo Asburgo della linea spagnola, Carlo IL Costui aveva finito p e r testare in favore di un P r i n c i p e della dinastia francese dei B o r b o n e , Filippo, c o n t r o u n A r c i d u c a A s b u r g o della linea austriaca che a c c a m p a v a la c o n t i n u i t à dinastica. Il Duca trattava secondo il solito s e g r e t a m e n t e con l'una e con l'altra p a r t e per vedere chi gli p r o m e t t e v a di più. Ma i francesi se n'accorsero, e con un colpo a sorpresa d i s a r m a r o n o e i n t e r n a r o n o la g u a r n i g i o n e p i e m o n t e s e di S. B e n e d e t t o Po. Q u e l precipitoso gesto spinse il Duca fra le braccia degli austriaci che gli p r o m i s e r o il M o n f e r r a t o , u n a bella striscia della L o m b a r dia, la L o m e l l i n a , la Valsesia, V i g e v a n o e un p e z z o della provincia di Novara. Per A m e d e o , che n o n aveva avuto il t e m p o di p r e p a r a r ci, fu un'altra g u e r r a disgraziata. Tre eserciti francesi con467
versero su Torino rovesciando le resistenze di Susa, Vercelli e Ivrea. Nella capitale assediata, d o p o a v e r n e fatto partire m a d r e , moglie e figli, il Duca resistette b r e v e m e n t e . Poi, lasciato il c o m a n d o ai suoi generali, evase p e r a n d a r e incontro a Eugenio di Savoia che accorreva in suo aiuto alla testa delle forze imperiali. Sebbene sottoposta a violenti bombard a m e n t i , la popolazione reagì con disperato coraggio, tentò a n c h e delle sortite, e in u n a di esse un giovane m i n a t o r e , Pietro Micca, p e n e t r a t o in u n a galleria, fece scoppiare una mina sotto i piedi dei francesi saltando in aria insieme ad essi come un kamikaze. Dopo 117 giorni di sangue e di fame, q u a n d o la città ormai era allo stremo, i d u e Savoia a r r i v a r o n o . N o n avevano che 30.000 u o m i n i c o n t r o i 47.000 francesi. Ma la differenza e r a a m p i a m e n t e c o l m a t a dal s u p e r i o r e g e n i o tattico e strategico di Eugenio. Fu u n a battaglia-capolavoro che si risolse in p o c h e o r e con la c o m p l e t a r o t t a degli assedianti. Vittorio A m e d e o e d E u g e n i o e n t r a r o n o i n città accolti d a u n a l u n g a ovazione che li a c c o m p a g n ò fino al D u o m o , dove fu officiato un Te Deum di r i n g r a z i a m e n t o . Ce n ' e r a di che. In conseguenza di quel trionfo che aveva privato il Re Sole di u n a delle sue più forti a r m a t e , sette anni d o p o , a Utrecht, Vittorio A m e d e o si annetteva tutti i possedimenti che la Francia ancora deteneva sul versante italiano delle Alpi da Fenestrelle a B a r d o n e c c h i a , le t e r r e che aveva già negoziato con l'Austria e - c o r o n a m e n t o di un sog n o carezzato p e r secoli da tutti i Savoia - il titolo di Re di Sicilia. L o n t a n a dai suoi Stati e già ridotta in condizioni di «area depressa», quell'isola r a p p r e s e n t a v a p e r lui più un peso che un vantaggio. Ma la C o r o n a reale costituiva, in quell'epoca d o m i n a t a dai p r o b l e m i del r a n g o e delle «precedenze», u n a p r o m o z i o n e d'incalcolabile valore. L'Italia ora aveva un Re che, p u r n o n essendo il Re d'Italia, e r a fatalmente t e n t a t o di d i v e n t a r l o . Fra i p o t e n t a t i laici della penisola, a lui spettava il posto di vertice. Vittorio A m e d e o a n d ò a p r e n d e r e possesso del suo Re468
gno, facendosi s o l e n n e m e n t e i n c o r o n a r e nella cattedrale di Palermo sulla fine del ' 1 3 . N o n conservò questo t r o n o che per sette a n n i . Poi, come abbiamo già visto nella p r i m a p a r te di questo libro, la diplomazia e u r o p e a dovette far fronte all'aggressivo r i t o r n o dell'imperialismo spagnolo fomentato dall'Alberoni, e p e r i m b r i g l i a r l o e b b e b i s o g n o a n c h e dell'Austria, c h e n a t u r a l m e n t e chiese i suoi bravi c o m p e n s i . Abituato a cogliere tutti di s o r p r e s a , stavolta fu Vittorio Amedeo ad esserne coìto dal trattato dell'Aja (1720) con cui le q u a t t r o g r a n d i Potenze stabilirono di togliergli la Sicilia che con N a p o l i e Milano s a r e b b e a n d a t a all'Austria, c o m p e n s a n d o l o con la S a r d e g n a su cui gli veniva riconfermato il titolo di Re. Vittorio A m e d e o cercò con ogni mezzo di sottrarsi a questo baratto. Arrivò perfino a p r o p o r r e la r i n u n zia al Piemonte, se in cambio gli d a v a n o la Sicilia e Napoli, e ciò basti a d i r e q u a n t o poco contasse, nel giuoco politico di allora, u n i c a m e n t e i m p e r n i a t o sugl'interessi dinastici, la sorte dei popoli. Sebbene p i e m o n t e s e fino al midollo, Vittorio A m e d e o era p r o n t o ad a b b a n d o n a r e la sua terra, la sua gente, la sua casa p u r di assicurarsi un R e a m e che, nella gerarchia d i allora, e r a c o n s i d e r a t o p i ù i m p o r t a n t e del s u o . Né la cosa faceva scandalo in quell'epoca di «monarchie nomadi» che, c o n s i d e r a n d o i troni alla stregua di semplici beni di famiglia, se li scambiavano con la massima disinvoltura. Presto v e d r e m o il Duca di L o r e n a c e d e r e alla Francia il suo Ducato, da b e n settecento a n n i a p p a n n a g g i o della sua dinastia, f a c e n d o s e n e c o m p e n s a r e col G r a n d u c a t o di Toscana, paese che n o n aveva mai visitato n e a n c h e da turista. A n d a t i a m o n t e i suoi tentativi, Vittorio A m e d e o rinfod e r ò la s p a d a , e si mise a o r g a n i z z a r e i suoi Stati, vecchi e nuovi. N o n e r a facile r i c h i a m a r l i sotto u n a stessa l e g g e e fonderli in organica u n i t à . Infatti n o n ci si p r o v ò n e m m e no. La Savoia, sua t e r r a d ' o r i g i n e , ne fu lasciata fuori. Più che al P i e m o n t e , essa e r a legata da un vincolo di fedeltà, collaudata nei secoli, alla p e r s o n a del Sovrano, che le consentì di c o n s e r v a r e le sue a u t o n o m e istituzioni, il suo Sena469
to, la sua m a g i s t r a t u r a , i suoi r e g o l a m e n t i . Era u n a specie di sua «fattoria» privata. La S a r d e g n a fu a b b a n d o n a t a a se stessa. A r r e t r a t a e di diffìcile accesso p e r u n o Stato privo di flotta c o m e q u e l l o p i e m o n t e s e , A m e d e o b a d ò s o l t a n t o a m a n t e n e r v i l'ordine con le sue g u a r n i g i o n i e a mietervi reclute p e r il suo esercito. Povera c o m ' e r a , altro n o n c'era da spremerne. Quello che si prestava a d i v e n t a r e u n o Stato vero anche p e r la sua compattezza territoriale era il Piemonte, e soprattutto ad esso Vittorio A m e d e o consacrò le sue energie. Egli seguì il modello di tutte le m o n a r c h i e assolutiste: un governo f o r t e m e n t e centralizzato, u n a b u r o c r a z i a puntigliosa e autoritaria, e g u e r r a a oltranza ai particolarismi e alle auton o m i e locali. La p r i m a vittima fu n a t u r a l m e n t e l'aristocrazia che, arroccata nei suoi castelli, aveva fin lì m a n t e n u t o le s u e p r e r o g a t i v e . A p p r o f i t t a n d o delle crisi dinastiche, nell'ultimo secolo essa si era i m p a d r o n i t a di molti feudi. Vittorio A m e d e o ne disconobbe la legittimità, li tolse ai titolari e li vendette, coi relativi blasoni, a gente di estrazione borghese che si fosse distinta nei servizi di Stato: magistrati, medici, mercanti. Così prese d u e piccioni a u n a fava: r i m p o l p ò le p u b b l i c h e finanze e creò u n a n u o v a nobiltà, legata alla dinastia da vincoli di g r a t i t u d i n e , p e r c o n t r a p p o r l a a quella vecchia e scontenta. Le riforme e c o n o m i c h e n o n furono altrettanto fortunate. Il sogno di Vittorio A m e d e o , c o m e di tutti i capi di Stato c o n t e m p o r a n e i , era l'autarchia, cioè la capacità di bastare a se stesso. Ma l'agricoltura del Piemonte, in g r a n p a r t e collin a r e e di m o n t a g n a , n o n bastava al fabbisogno, e l'industria era t u t t o r a allo stadio artigianale. Il Re fece del suo meglio p e r razionalizzare la p r o d u z i o n e s o t t o p o n e n d o le «corporazioni», cioè le associazioni sindacali di categoria, a un rigido r e g o l a m e n t o . Ma presto si accorse che il g r a n d e ostacolo era la m a n c a n z a di qualificazione professionale. I braccianti che, scacciati dalla povertà delle terre, si trasferivano in citta a cercarvi lavoro, n o n possedevano alcuna nozione. E le bot470
t e g h e a r t i g i a n e n o n r i u s c i v a n o a svilupparsi in fabbriche p e r c h é m a n c a v a n o tecnici e capitali. Vittorio A m e d e o n o n aveva m a i sentito il b i s o g n o d'istruirsi. Ma ebbe il b u o n senso di capire che, p e r creare u n o Stato efficiente, c'era bisogno di gente istruita. I suoi rozzi e incolti p r e d e c e s s o r i n o n ci a v e v a n o p e n s a t o , e a v e v a n o lasciato d e c a d e r e l'Università di Torino, che negli ultimi tempi si e r a ridotta a tredici professori mal pagati e senza p r e stigio. Vittorio A m e d e o la r i o r d i n ò , ne moltiplicò le facoltà e soprattutto ne laicizzò l'insegnamento sottraendolo ai gesuiti. C o n lui la scuola diventò o r g a n o dello Stato, e basta. Le regalò anche la p r o p r i a biblioteca che contava b e n diecimila v o l u m i . C r e d i a m o che il gesto n o n d o v e t t e costargli gran sacrificio: p r o b a b i l m e n t e quei volumi e r a n o intonsi. Pensò a n c h e a d a m m o d e r n a r e l a città p e r r e n d e r l a d e gna del suo n u o v o r a n g o di capitale di un R e g n o . Fra gli altri architetti vi c h i a m ò lo J u v a r a che fuse in u n a sintesi abbastanza felice i d u e stili che a v e v a n o d a t o a T o r i n o il suo carattere: quello classicheggiante e quello barocco. A lui sono dovuti il Castello, o Palazzo M a d a m a , la palazzina di caccia di Stupinigi, e S u p e r g a . «Torino mi s e m b r a la più bella città d'Italia - scrisse De Brosses che ci capitò in quegli a n n i -, e forse d ' E u r o p a . E vero che n o n vi si trova, o p e r lo m e no è r a r o , quel g r a n d e stile architettonico che d o m i n a in alcuni m o n u m e n t i delle altre città; ma n o n vi è n e p p u r e il fastidio di vedere delle c a p a n n e a fianco dei palazzi.» E u n a testimonianza i m p o r t a n t e p e r c h é va oltre i valori estetici. La m a n c a n z a di contrasti architettonici era la plastica riprova della mancanza, o a l m e n o deli'affievolimento dei contrasti sociali. I signori e r a n o m e n o signori, e la plebe m e no p l e b e c h e altrove. E v i d e n t e m e n t e , lo sforzo di livellam e n t o c o m p i u t o da Vittorio A m e d e o cominciava a d a r e i suoi frutti: fra privilegiati e diseredati si stava f o r m a n d o u n a classe m e d i a a b b a s t a n z a forte da d a r e la sua i m p r o n t a al Paese. Il Re lavorava sodo e sovrintendeva a tutto. Il r e g i m e cui teneva sottoposta la sua capitale sapeva di caserma. Per 471
m e g l i o c o n t r o l l a r l a l'aveva a m m i n i s t r a t i v a m e n t e divisa in 60 «cantoni» e 119 «isole», ciascuna col s u o r e s p o n s a b i l e . Q u a n d o il c a m p a n o n e della t o r r e s u o n a v a l'Ave Maria, le p o r t e della città venivano chiuse, e nessuno e r a autorizzato a e n t r a r e o a uscire se n o n m u n i t o di speciale permesso. Vittorio A m e d e o ispezionava di p e r s o n a le strade, a g g i r a n d o visi senza scorta rinfagottato in un c a p p o t t o di p a n n o turchino e con un cappellaccio calato sugli occhi. Attaccava discorso coi passanti, e spesso si fermava a far colazione nella bottega d ' u n farmacista suo amico. C o n gli a n n i il suo tratto r u v i d o e b r u s c o si e r a fatto a n c o r a p i ù spigoloso forse per via delle sventure domestiche che lo avevano colpito. 11 prim o g e n i t o , che si chiamava come lui e che p r o m e t t e v a bene, gli e r a m o r t o a sedici a n n i . Le d u e figlie, Adelaide a n d a t a a sposa al Duca di B o r g o g n a , e Luisa a Filippo V di Spagna, e r a n o scomparse giovanissime. A queste p e r d i t e n o n trovava c o m p e n s i in altri affetti p e r c h é n o n ne aveva e n o n ne ispirava. Trattava con rudezza, le r a r e volte che le trattava* a n c h e la moglie e le a m a n t i . N o n si a p r i v a alla confidenza n e m m e n o coi suoi collaboratori p i ù intimi, quali l ' O r m e a e il Bogino. Dei suoi piani, n o n rivelava mai nulla a nessuno p r i m a di averli messi in o p e r a . Diceva soltanto che «l'Italia e r a c o m e un carciofo: da m a n g i a r e foglia a foglia». E fu la' r e g o l a di tutti i Savoia c h e gli successero sul t r o n o , fino-a Vittorio E m a n u e l e IL 3 Abituato a fare tutto di sorpresa, di sorpresa prese anche la decisione di abdicare in favore del figlio Carlo Emanuele, nel 1730. E, a p p e n a d a t o n e l'annuncio, partì p e r Chambéry in Savoia con la seconda moglie, la contessa di San Sebastia* n o , c h e u n m e s e p r i m a aveva sposato m o r g a n a t i c a m e n t e * senza n e m m e n o assistere alle cerimonie dell'incoronazione del figlio. Aveva s e t t a n t ' a n n i e voleva, disse, t r a s c o r r e r e in pace il poco che gli avanzava. Ma qualche mese bastò a tra* mutargli la pace in noia. N o n si sa, forse n e m m e n o lui sape* va, se disapprovasse r e a l m e n t e la politica del successore, *ì s e nella d i s a p p r o v a z i o n e cercasse u n p r e t e s t o p e r riman^, 472
giarsi l'abdicazione. Fatto sta che un bel g i o r n o p r e s e la via di T o r i n o . Sulla vetta d e l Cenisio chiese consiglio alla m o glie. Glielo chiese tre volte, e tre volte essa tacque. Proseguì il viaggio con lei, e nel castello di Moncalieri, senza che nessuno sapesse della sua presenza, dettò l'annuncio del suo ritorno sul t r o n o a un segretario che riteneva fedele. Era forse la p r i m a volta che accordava a q u a l c u n o la sua fiducia, e ne fu mal r i p a g a t o . L a notizia g i u n s e i m m e d i a t a m e n t e nella capitale, d o v e l'Ormea r i u n ì il Consiglio di Stato. C o n t r o la volontà del Re che voleva restituire il t r o n o al p a d r e , c o n t r o le sue suppliche e lacrime, egli sostenne e fece trionfare la tesi che, d o p o l'abdicazione, Vittorio A m e d e o n o n era più che u n s u d d i t o come gli altri e il suo gesto p u n i b i l e c o m e un atto di fellonia. D u e r e g g i m e n t i c i r c o n d a r o n o Moncalieri, l'ex-sovrano fu a r r e s t a t o c o m e un d e l i n q u e n t e e c o n d o t t o a Rivoli sotto scorta, m e n t r e sua moglie fu a d d i r i t t u r a g e t t a t a nella p r i gione di Ceva. La liberarono solo d o p o molti mesi p e r riacc o m p a g n a r l a a C h a m b é r y d o v e Vittorio A m e d e o e r a stato confinato e messo sotto sorveglianza. Il vecchio Re n o n si r i p r e s e p i ù dal c o l p o . In p u n t o di m o r t e chiese di r i a b b r a c c i a r e il figlio, c h e a sua volta n o n chiedeva di meglio. L'Ormea glielo i m p e d ì . C o n t r o il Ministro f u r o n o mosse molte critiche p e r la sua d u r e z z a e i n u manità. Forse egli ne aveva sfoggiata t a n t a a n c h e p e r c h é un ritorno sul t r o n o di Vittorio A m e d e o avrebbe messo in pericolo il suo «posto», se n o n a d d i r i t t u r a la sua pelle. Ma quali che fossero i moventi del suo veto, l'episodio dimostra che il Piemonte o r m a i e r a u n o Stato con cui a n c h e i suoi Re, p e r q u a n t o assoluti, dovevano fare i conti.
CAPITOLO UNDICESIMO I L P I E M O N T E D I CARLO E M A N U E L E I I I E DI V I T T O R I O A M E D E O I I I
La d r a m m a t i c a lotta col p a d r e fu un inizio di r e g n o del tutto in carattere col n u o v o titolare. Per Carlo E m a n u e l e , che q u a n d o salì al t r o n o aveva circa t r e n t ' a n n i (era n a t o nel 1701), la vita era stata tutta u n a q u a r e s i m a . B r u t t o , mezzo g o b b o e un p o ' g o z z u t o , aveva a v u t o un'infanzia tribolata a n c h e p e r c h é , essendo cadetto e q u i n d i escluso dalla successione, nessuno aveva p a u r a di lui, e a Corte Io facevano oggetto di scherzi e scherni. Il ragazzo, timidissimo, introverso e afflitto dalla balbuzie, si era vieppiù chiuso in se stesso, e viveva nel t e r r o r e di tutti, ma specialmente del p a d r e che si ricordava di lui solo p e r infliggergli castighi. L a sua s o r t e m u t ò r a d i c a l m e n t e q u a n d o , p e r l a m o r t e d e l fratello m a g g i o r e , d i v e n t ò P r i n c i p e d i P i e m o n t e e d e r e d e al t r o n o . Allora Vittorio A m e d e o lo p r e s e sotto il suo p e r s o n a l e tirocinio, ma q u e s t o n o n c o n t r i b u ì a rallegrargli l'esistenza, anzi gliela rese più d u r a . In fatto di scuola il Re n o n e r a m o l t o e s i g e n t e . Voleva c h e i l r a g a z z o i m p a r a s s e b e n e il r e g o l a m e n t o militare e il m a n u a l e di strategia e di tattica; su t u t t o il r e s t o , c o m p r e s e la g r a m m a t i c a e la sintassi, era m o l t o corrivo. In c o m p e n s o , lo t e n e v a continuam e n t e i m p e g n a t o in ispezioni alle fortezze e alle caserme, d o p o le quali gli c h i e d e v a m i n u z i o s i r e n d i c o n t i su tutto, a n c h e sul r a n c i o dei soldati, e g u a i a lui se t r a s c u r a v a un particolare o si mostrava poco al c o r r e n t e sulla dislocazione dei r e p a r t i o sul calibro dei c a n n o n i . Dacché ebbe ragg i u n t o la m a g g i o r e età, lo faceva a n c h e assistere ai consigli dei m i n i s t r i e ai suoi p e r s o n a l i colloqui c o n l o r o . Poi gh spiegava p e r c h é aveva d e t t o certe cose e taciuto certe altre 474
gli r i c o r d a v a che in o g n u n o di quegli u o m i n i covava un traditore. Q u e s t o n o n i m p e d ì a Carlo E m a n u e l e di m a n t e n e r e in carica d u e di l o r o , l ' O r m e a e il B o g i n o . Ma, s e b b e n e essi non gli dessero mai motivo di d u b i t a r e della loro lealtà, anche lui, c o m e suo p a d r e , fece della diffidenza u n a regola. Essa, è v e r o , è un a t t r i b u t o dei Re. Ma p e r i Savoia è stata addirittura u n a religione. La situazione i n t e r n a z i o n a l e t o r n a v a a farsi difficile, e nello stesso t e m p o p r o m e t t e n t e p e r u n o Stato c o m e il Piemonte che da secoli si reggeva e s'ingrandiva sulle risse delle G r a n d i Potenze. In Polonia si e r a accesa la miccia di un'altra successione al t r o n o . Nella p r i m a p a r t e di q u e s t o libro a b b i a m o già d e t t o c h e vi a s p i r a v a n o Federico A u g u s t o di Sassonia e Stanislao Leczynski, ma preferiamo ripeterlo p e r aiutare il lettore a orientarsi in queste aggrovigliate questioni dinastiche. La Polonia e r a l o n t a n a dal Piemonte, interessi in c o m u ne n o n ce n ' e r a n o . Ma in quell'epoca l'asta d ' u n t r o n o m o bilitava tutte le case r e g n a n t i e ne rimescolava la distribuzione. Il giuoco era questo: Leczynski era sostenuto dalla Francia p e r ragioni di famiglia in q u a n t o suocero del suo re Luigi XV, e la Francia era alleata della S p a g n a p e r i m e d e s i m i motivi, in q u a n t o e n t r a m b i i sovrani a p p a r t e n e v a n o alla stessa dinastia B o r b o n e . Gli Asburgo d'Austria sostenevano Federico A u g u s t o u n p o ' p e r c h é costui, c o m e P r i n c i p e d i Sassonia, e r a un « G r a n d e Elettore» d e l l ' I m p e r o , di cui essi erano i titolari, un p o ' p e r c h é n o n volevano l'estendersi dell'influsso francese in un Paese considerato p a r t e della zona d'influenza austriaca. In q u e s t o c o n t r a s t o , il P i e m o n t e p o t e v a g i u o c a r e la sua carta. Carlo E m a n u e l e diffidava sia della Francia, dalla cui invadenza suo p a d r e si era da poco liberato, che dell'Austria solidamente istallata nella penisola e detentrice del Ducato d i Milano. M a p r o p r i o q u e s t o d u c a t o r a p p r e s e n t a v a d a sempre la più ghiotta foglia del carciofo italiano che i Savoia e
475
si p r o p o n e v a n o di m a n g i a r e . Ecco p e r c h é Carlo Emanuele preferì schierarsi con la Francia. Ma c'era u n a complicazion e . L'altra alleata, la S p a g n a , c o m e c o m p e n s o del p r o p r i o intervento, chiedeva n o n soltanto il R e a m e di Napoli e della Sicilia, la Toscana ( q u a n d o l'ultimo G r a n d u c a della dinastia Medici, senza successori, fosse m o r t o ) , n o n c h é i Ducati di P a r m a e Piacenza p e r i figli della sua regina Elisabetta Farnese, moglie di Filippo V; ma a n c h e il Ducato di Mantova che faceva p a r t e di quello di Milano. La Francia, m e d i a t r i c e fra i d u e litiganti, si t e n n e nell'ambiguo p e r n o n p e r d e r e né l'uno né l'altro. Ma fu ripagata con a l t r e t t a n t a a m b i g u i t à . Al p r i n c i p i o del ' 3 3 Carlo E m a n u e l e , assunto il c o m a n d o dell'esercito alleato, varcò il Ticino e, senza i n c o n t r a r e nessuna resistenza da p a r t e degli austriaci che si e r a n o già ritirati, e n t r ò a Milano, facendovisi p r e c e d e r e da un p r o c l a m a in cui si p r e s e n t a v a c o m e «liber a t o r e dell'Italia». Ma i milanesi lo accolsero c o m e un altro o c c u p a n t e che faceva r i m p i a n g e r e quello vecchio: in Italia l'odio fra italiani seguitava ad essere più forte di quello per gli stranieri. Poi Carlo E m a n u e l e mosse contro gli austriaci che tornavano in forze p e r riconquistare i p e r d u t i domini. Insieme ai francesi li batté p r i m a a P a r m a , poi a Guastalla. Ma q u a n d o si trattò di d a r e il colpo di grazia al loro esercito asserragliato a Mantova, si fermò. Voleva p r i m a s a p e r e a chi sarebbe stata assegnata la città. Gli spagnoli si e r a n o già impadroniti del R e a m e di Napoli, dove avevano istallato sul t r o n o il prim o g e n i t o di Elisabetta, Carlo. Avevano già o t t e n u t o l'ipoteca sulla Toscana e su P a r m a e Piacenza. Se s'impadronivano a n c h e di Mantova, il P i e m o n t e a v r e b b e visto s p a r i r e quasi tutto il carciofo italiano nelle fauci della Spagna, n o n meno i n v a d e n t e e pericolosa dell'Austria. R i t a r d a n d o la sua azione, Carlo E m a n u e l e sperava di m e r c a n t e g g i a r e . P u r t r o p p o , n o n gliene d i e d e r o il t e m p o . Stanchi di quella g u e r r a , i d u e maggiori c o n t e n d e n t i stavano già trattando l'accordo, e n a t u r a l m e n t e lo t r o v a r o n o a spese dei più de476
boli. La F r a n c i a r i n u n c i ò al t r o n o di Polonia p e r il suo Leczynski, cui fece assegnare p e r consolazione il Ducato di L o r e n a che, alla m o r t e del suo n u o v o titolare, s a r e b b e diventato u n a provincia francese. Il Duca in carica, che frattanto aveva sposato Maria Teresa d'Asburgo, e r e d e al t r o n o austriaco, sarebbe stato c o m p e n s a t o della p e r d i t a col G r a n ducato di Toscana, la cui vacanza era i m m i n e n t e . L'Austria r e c u p e r a v a altresì t u t t a la L o m b a r d i a c o m p r e s a M a n t o v a , più P a r m a e Piacenza. La S p a g n a perciò doveva contentarsi del R e a m e di Napoli, già assegnato a Carlo; e il P i e m o n t e , di Tortona, e un l e m b o di t e r r e novaresi. Sia M a d r i d che T o r i n o rifiutarono la t r a n s a z i o n e consid e r a n d o l a un t r a d i m e n t o , e p e r il m o m e n t o riuscirono a rit a r d a r n e la conclusione. Ma alle loro spalle, Francia e Austria seguitarono a trattare, e nel 1736 g i u n s e r o all'accordo definitivo, che p r a t i c a m e n t e confermava quello già r a g g i u n to. Carlo E m a n u e l e ne fece di tutte p e r m a n d a r l o a m o n t e , ma nel '38 dovette firmare anche lui il trattato di Vienna. I vantaggi territoriali che gliene d e r i v a r o n o e r a n o scarsi, ma gli garantivano un confine sicuro: il Ticino. D'altra p a r t e , era chiaro che quella sistemazione n o n aveva nulla di definitivo p e r c h é già si profilava all'orizzonte u n a n u o v a e più grossa d i s p u t a . A n c h e di questa a b b i a m o detto, ma sarà meglio ripeterci. Carlo VI d'Asburgo, Re d'Austria e I m p e r a t o r e di G e r m a n i a , aveva ereditato il tron o dal fratello G i u s e p p e p e r c h é costui n o n aveva lasciato che figlie. Il p a t t o , fra i d u e , era stato questo: se n e m m e n o Carlo avesse avuto figli maschi, doveva lasciare il t r o n o alla primogenita di G i u s e p p e , r i f o r m a n d o la legge di successione che escludeva quella p e r linea femminile. Carlo n o n aveva avuto maschi, e la legge l'aveva riformata con la famosa Prammatica Sanzione: ma in favore della p r o p r i a figlia Maria Teresa, n o n della nipote, come si era i m p e g n a t o a fare. Restava p e r ò il p r o b l e m a del riconoscimento da p a r t e degli altri Stati. A quei t e m p i di m o n a r c h i e assolute, i Re facevano parte di u n a specie di club, dove si poteva e n t r a r e solo se gli 477
altri soci riconoscevano validi e legittimi i titoli di qualificai' zione. Quelli di Maria Teresa e r a n o , a dir poco, contestabili» e infatti molti si p r e p a r a v a n o a contestarli: tutti quelli che avevano interesse a farlo. _ Fra costoro c'era Federico Augusto di Polonia, il vecchio p r o t e t t o dell'Austria c h e , c o m e m a r i t o di un'Arciduchessa Asburgo, o r a si p r e s e n t a v a c o m e c o n c o r r e n t e . C ' e r a Luigi XV di Francia che, in cambio del riconoscimento, pretende;va il Belgio, t u t t o r a provincia austriaca. C ' e r a n o i Borbone di S p a g n a , c h e a l o r o volta a s p i r a v a n o a P a r m a e Piacenza p e r il s e c o n d o figlio di Elisabetta, Filippo. C ' e r a Carlo Al* b e r t o di Baviera che, a n c h e lui c o m e sposo di un'altra Arc> duchessa austriaca, p o n e v a la p r o p r i a c a n d i d a t u r a . E c'era s o p r a t t u t t o Re Federico II di Prussia che aveva a n c h e lui il', suo «carciofo» da m a n g i a r e : la G e r m a n i a , c h e gli Asburg® t e n e v a n o divisa in vari Stati p e r p o t e r v i esercitare la iorb p l a t o n i c a a u t o r i t à i m p e r i a l e . I n c o m p e n s o , M a r i a Teresa poteva contare sull'appoggio d ' I n g h i l t e r r a e O l a n d a , che-fosostenevano p r o p r i o p e r c h é tutte le altre Potenze l'avversa?: vano, fedeli al loro principio della balance ofpowers, cioè degl'equilibrio di forze in E u r o p a . Il n o d o v e n n e al p e t t i n e alla m o r t e d e l l ' I m p e r a t o r e , nel '40. E Carlo E m a n u e l e si trovò di n u o v o all'asta fra le dii# coalizioni. L'Austria gli p r o m i s e d a p p r i m a V i g e v a n o e-H m a r c h e s a t o ligure di Finale che gli avrebbe p r o c u r a t o unW sbocco sul m a r e al di q u a delle Alpi (al di là aveva Nizza con. cui p e r ò le comunicazioni e r a n o difficili). Era t r o p p o poca*' e l'Inghilterra i n t e r v e n n e p e r spingere l'Austria ad alzaresB* prezzo offrendo a n c h e Pavia e la contea di Anghiera finoaj' confine svizzero. Carlo E m a n u e l e tuttavia aspettava che Mal ria Teresa accettasse, q u a n d o s e p p e che un esercito spagno?;' lo da Napoli risaliva la penisola p u n t a n d o , attraverso Bolo»-: g n a e M o d e n a , sulla L o m b a r d i a . P e n s a n d o c h e il padroni?» vecchio è s e m p r e meglio d e l p a d r o n e n u o v o , C a r l o Enrifc n u e l e scese in c a m p o c o n t r o gli S p a g n o l i alla testa di u» esercito a u s t r o - p i e m o n t e s e p u r s e g u i t a n d o a t r a t t a r e co s
478
Vienna la spartizione del b o t t i n o . N o n si e r a i m p e g n a t o in nessuna alleanza vera e p r o p r i a . C o m e al solito, voleva conservare libertà di m a n o v r a , cioè di d o p p i o giuoco. C o m e si svolsero le v i c e n d e d i p l o m a t i c h e e militari di questo n u o v o conflitto, lo abbiamo già raccontato nella prima p a r t e di q u e s t o libro. E n o n vale r i p e t e r c i p e r c h é p u ò interessare soltanto gli specialisti della g u e r r a e della politica estera. Per Carlo E m a n u e l e fu un seguito di «giri di valzer» con amici e nemici, di cui forse n e m m e n o suo p a d r e sarebbe stato c a p a c e . E p r o b a b i l e c h e in q u a l c h e m o m e n t o forse n e p p u r e lui sapesse d a che p a r t e e r a : c o m e q u a n d o , all'indomani della firma di un armistizio coi francesi, attaccò di sorpresa le loro g u a r n i g i o n i di Asti e di Alessandria. Intendiamoci: le ambiguità, il d o p p i o giuoco, i r e p e n t i n i rovesciamenti d i f r o n t e e r a n o a l l ' o r d i n e d e l g i o r n o i n q u e s t e g u e r r e s e t t e c e n t e s c h e p e r i l s e m p l i c e m o t i v o ch'esse n o n coinvolgevano dei veri e p r o p r i interessi nazionali e sfuggivano del tutto al controllo di u n a pubblica o p i n i o n e che ancora n o n esisteva. Esse si svolgevano come partite di scacchi fra m o n a r c h i assoluti c h e , n o n d o v e n d o r e n d e r e c o n t o a nessuno delle loro decisioni, p o t e v a n o agire c o m e volevano, lasciandosi g u i d a r e soltanto dal t o r n a c o n t o p e r s o n a l e e dinastico. Anche q u a n d o n o n lo avevano letto, il loro direttore di coscienza e r a Machiavelli, p e r il q u a l e la politica e r a un giuoco di abilità n o n fra popoli, ma fra individui. Ed e r a logico p e r c h é il «Principe» del Settecento e r a a n c o r a - m e no che nei Paesi dove il calvinismo aveva svegliato la pubblica o p i n i o n e e il senso degl'interessi nazionali - quello dei tempi rinascimentali, di cui Machiavelli e r a stato il g r a n d e i n t e r p r e t e e m è n t o r e : un Principe che confondeva lo Stato con se stesso. Il p o p o l o p e r lui n o n e r a che un serbatoio di reclute p e r la conquista di nuovi troni e titoli p e r i figli, p e r i generi, p e r i suoceri eccetera. Carlo E m a n u e l e q u i n d i n o n faceva eccezione alla r e g o l a . S e m p l i c e m e n t e , la a p p l i c a v a con particolare zelo e rigore. Senza c o r r e r d i e t r o alle cangevoli sorti di quella l u n g a 479
g u e r r a , cioè di quel seguito di guerricciole fra le d u e coalizioni che, grazie alle c o n t i n u e defezioni dei loro partecipanti, c a m b i a v a n o c o n t i n u a m e n t e fisionomia, v e n i a m o ai fatti che ne p r o p i z i a r o n o l'epilogo. Nel 1746 m o r ì Filippo V di Spagna. Era stato un fantoccio nelle m a n i della sua seconda moglie Elisabetta F a r n e s e , v e r a a u t r i c e e responsabile dell'aggressiva politica spagnola in Italia, dove essa cercava troni p e r i suoi d u e figli - Carlo e Filippo - esclusi da quello di Spagna p e r la p r e s e n z a di F e r d i n a n d o , frutto del p r i m o mat r i m o n i o del d e f u n t o . F e r d i n a n d o , che detestava la matrigna, la estromise i m m e d i a t a m e n t e dagli affari di Stato e ric h i a m ò le t r u p p e dall'Italia infischiandosi dei fratellastri, u n o dei quali d ' a l t r o n d e aveva già avuto il suo p r e m i o : Napoli. Carlo E m a n u e l e , c h e fin lì aveva militato di preferenza nel c a m p o austriaco p e r c h é il pericolo p i ù g r a n d e , p e r l'Italia e lo stesso P i e m o n t e , e r a r a p p r e s e n t a t o dai B o r b o n e franco-spagnoli, si t r o v ò di fronte a u n a situazione nuova p e r c h é o r a il pericolo p i ù g r a n d e e r a r a p p r e s e n t a t o dagli Asburgo di Vienna. Siccome costoro marciavano su Genova p e r castigarla dell'aiuto prestato alla Francia, egli marciò su Savona e Finale p e r accaparrarsele p r i m a che s'iniziassero i negoziati p e r la pace generale. Gli austriaci, c o m e abbiamo detto, dovettero s g o m b r a r e Genova insorta dietro l'esempio di Balilla. I piemontesi t e n t a r o n o di conservare Finale. Ma i p l e n i p o t e n z i a r i riunitisi nel 1748 a d A q u i s g r a n a p e r dare un assetto definitivo all'Europa, e q u i n d i a n c h e all'Italia, rimisero in discussione ogni cosa. C o m e già abbiamo detto, Aquisgrana convalidò nelle sue g r a n d i linee la situazione di fatto che si era già determinata. Carlo v e n n e c o n f e r m a t o sul t r o n o di Napoli e della Sicilia, salvo a salire più tardi su quello di Madrid, se il fratello Ferd i n a n d o , che n o n aveva e r e d i maschi, fosse m o r t o prima di lui. La Toscana restava a p p a n n a g g i o di Francesco di Lorena, m a r i t o di Maria Teresa d'Austria, che p e r ò alla propria m o r t e lo avrebbe lasciato al s e c o n d o g e n i t o (il p r i m o g e n i t o 480
era destinato, si capisce, al t r o n o di Vienna) p e r farne u n o Stato a l m e n o f o r m a l m e n t e i n d i p e n d e n t e dall'Austria. Il Ducato di M o d e n a e Reggio veniva ricostituito sotto la sua vecchia dinastia Estense. P a r m a , Piacenza e Guastalla a n d a v a no all'Infante Filippo c o m e figlio s e c o n d o g e n i t o dell'ultima Farnese, Elisabetta. Il resto (cioè lo Stato Pontificio, e le Repubbliche di Venezia, Genova e Lucca) restava com'era. E t o r n i a m o al P i e m o n t e che, a furia di cambiare c a m p o , non si sapeva b e n e se fosse dalla p a r t e dei vinti o dei vincitori, a n c h e p e r c h é quella g u e r r a si concludeva senza vincitori né vinti. Le g r a n d i ambizioni che avevano mosso Carlo E m a n u e l e e r a n o : la L o m b a r d i a , il D u c a t o di P a r m a e Piacenza, e lo sbocco al m a r e di Finale. Ma rimasero i soliti sogni proibiti. Sotto banco, la diplomazia piemontese tentò di accordarsi con quella francese offrendole Nizza e la Savoia in cambio della L o m b a r d i a . Al posto della L o m b a r d i a (cui sapevano benissimo che l'Austria n o n avrebbe mai rinunziato), i francesi offrirono P a r m a e Piacenza, visto che Ferdinando di S p a g n a si disinteressava del fratellastro Filippo cui quel Ducato era stato assegnato. Ma n o n se ne fece di nulla, e di nulla si fece n e m m e n o p e r Finale, che la Francia volle restituita a Genova in p r e m i o della sua fedeltà. Il Piemonte dovette c o n t e n t a r s i d i u n m o d e s t o « a r r o t o n d a m e n t o » che non compensava di certo il costo di quel l u n g o g u e r r e g g i a re: l'alto Novarese, l'Oltrepò pavese e il Vigevanasco. Da quel m o m e n t o la diplomazia di Carlo Emanuele trovò poco da m o r d e r e p e r t e n t a r e n u o v e proficue «combinazioni». L'accordo s o p r a v v e n u t o nel '52 fra i B o r b o n e di Spagna e gli Asburgo d'Austria pietrificava la situazione p o litica della penisola, dove i p r i m i c o m a n d a v a n o a Napoli e a Parma, i secondi in Toscana e in L o m b a r d i a . Fra questi d u e blocchi, il P i e m o n t e e r a immobilizzato. Poi s o p r a v v e n n e il cosiddetto «rovesciamento delle alleanze» che vide la Francia schierarsi col blocco austro-spagnolo, m e n t r e l'Inghilterra si schierava con la Prussia. Era il p r o l o g o della « G u e r r a dei sette anni» che scoppiò nel '56. 481
I motivi p e r cui Carlo E m a n u e l e n o n potè approfittarne > m e t t e n d o s i c o m e al solito all'asta fra le d u e coalizioni sono scritti nella geografia. Tutti i suoi vicini m i l i t a v a n o nello • stesso c a m p o . Coi francesi sulle Alpi, gli austriaci in LOTO* b a r d i a , gli spagnoli in Emilia e a Napoli, il P i e m o n t e aveva le m a n i legate. Fu forse l'unico conflitto e u r o p e o degli ulti; mi d u e c e n t ' a n n i in cui i Savoia n o n t r o v a r o n o il verso di cacciarsi. E p p u r e u n beneficio n e t r a s s e r o , p i ù prezioso d i qualsiasi i n g r a n d i m e n t o t e r r i t o r i a l e . D o p o l a g u e r r a dei Sette a n n i il r a p p o r t o delle forze e u r o p e e cambiò in favore d e l l ' I n g h i l t e r r a e della Prussia r i m e t t e n d o in m o v i m e n t o il sistema degli equilibri e delle alleanze in m o d o tale che il; P i e m o n t e p o t è ricominciare a svolgere il suo abituale giù©* co di basculla. Un giuoco limitato, ma che gli permetteva d%. essere p r e s e n t e e di far valere il p r o p r i o peso. i[ Q u e s t o p e r ò lo v e d r e m o d o p o . Per o r a t o r n i a m o a Carlo E m a n u e l e , e g u a r d i a m o l o n o n p i ù nella sua veste di ambi; g u o diplomatico e generale, ma in quella di organizzatore e* riformatore. E difficile d i r e se a g o v e r n a r e fu p r o p r i o lui, o n o n piuttosto; u n a «direzione collegiale» c o m p o s t a d a c i n q u e u o m i n i : i l d ' O r m e a , il B o g i n o , il B o r g o , il Buglio e il Saint L a u r e n t Venivano dalla vecchia aristocrazia e ne s e r b a v a n o il pigli©, autoritario. Nessuno di loro aveva la statura del g r a n d e u
482
poco p i ù di un milione e 300.000 lire a l l ' a n n o : cifra a n c h e per quei t e m p i modesta. Il fatto è che, salvo la servitù, quasi n e s s u n o era p a g a t o : addetti al Re e alla Regina e r a n o 330 nobili che p r e s t a v a n o g r a t u i t a m e n t e la l o r o o p e r a di m a e stri di cerimonie, m a g g i o r d o m i , cancellieri, g r a n d i elemosinieri, gentiluomini «di bocca» e «di camera», paggi, scudieri ecc.. considerandolo un o n o r e . In c o m p e n s o , l'etichetta e r a severa. La g i o r n a t a dei sovrani e r a p u n t e g g i a t a d ' i m p e g n i c h e p e r l a l o r o solennità diventavano altrettante cerimonie, a cominciare dalla vestizione m a t t u t i n a del Re, cui e r a titolo d ' o n o r e essere a m m e s si. Tutto era regolato dalla c a n n a d ' e b a n o del G r a n Maestro. Il Re si c o m p o r t a v a e parlava s e m p r e da Re a c h i u n q u e si rivolgesse, c o m p r e s a la m o g l i e e i figli. O g n i m a t t i n a di buon'ora guidava tutta la famiglia alla messa, e a mezzogiorno la riuniva i n t o r n o alla mensa, dove n e s s u n o poteva p a r lare, se n o n invitato da lui. La dieta e r a spartana. Di q u a r e sima, i pasti si r i d u c e v a n o a u n o solo, quello della sera, che consisteva in u n a z u p p a e un'insalata, s c r u p o l o s a m e n t e p e sate: q u a t t r ' o n c e a testa. Solo le g r a n d i solennità venivano festeggiate con un b a n c h e t t o , di cui p e r ò veniva offerto un d o p p i o n e a n c h e ai mendicanti. Volente o nolente, l'aristocrazia dovette a d e g u a r s i a q u e sto austero costume. Quasi tutta terriera, essa fin allora aveva considerato Torino u n a città di piaceri e ci aveva costruito dei palazzi d o v e veniva a p a s s a r e la stagione i n v e r n a l e , dedita soltanto alle feste e ai ricevimenti. Ma le cose cambiarono con l'avvento della n u o v a nobiltà di estrazione b o r g h e se e mercantile, creata da Vittorio A m e d e o . Essa n o n abband o n ò i p r o p r i mestieri e traffici, c h e r e n d e v a n o m o l t o p i ù della t e r r a . E p e r n o n farsene scavalcare sul p i a n o economico, l'aristocrazia vecchia dovette imitarla. I suoi e s p o n e n t i , che fin allora n o n avevano conosciuto altre attività che quella al servizio del Re c o m e militari e diplomatici, cominciarono a c u r a r e un p o ' meglio i loro p a t r i m o n i occupandosi delle loro t e r r e , m i g l i o r a n d o n e le culture, t r a s f o r m a n d o le vil483
le - o «vigne», c o m e le chiamavano - in fattorie. E a n c h e de|! palazzo di città fecero u n a fonte di r e d d i t i limitandosi al «piano nobile» e affittando il resto a famiglie borghesi d'ira* piegati e artigiani, e le soffitte agli o p e r a i . Il che creava una' frequenza e u n a c o m u n i t à di r a p p o r t i fra ceti diversi quale n o n c'era in nessun'altra città in quell'epoca di classi chiuse e di rigide gerarchie. ^ «La p o p o l a z i o n e di T o r i n o - scriveva il fiorentino Fabb r o n i - a s c e n d e a 7 5 . 0 0 0 p e r s o n e , delle quali 4 0 0 0 sono oziose, 2 0 0 0 s o n o oziose, 8 0 0 0 s o n o oziose, p e r lo m e n o 7000 sono oziose, circa 1000 sono oziose. Alludo ai soldati*, ai p r e t i , ai nobili, ai servi di lusso e ai m e n d i c h i . » Ma n o n e r a vero: i nobili lavoravano, e c o m u n q u e lavoravano gli alfe, tri 50 mila abitanti. Il Caracciolo la definì u n a città noiosa? c o m e «una d i m o r a di convalescenti». E questo doveva essej re vero, dato il rigoroso costume che la C o r t e vi aveva introf dotto e che considerava scandalosa qualsiasi infrazione, j si d e d u c e a n c h e dalla m a n i a del giuoco, c h e nella noia s e m p r e il suo concime, e che fu la rovina di tanti patrimon'' Il m a r c h e s e di Priero dovette fuggire p e r i debiti, q u e l l c d é Malines finì b a r b o n e , d o p o essersi v e n d u t o palazzi e terr Ma il p a n o r a m a della T o r i n o settecentesca resta quello u n a città laboriosa e i n d u s t r e , che si sviluppa metodicamen te senza i sobbalzi, ma a n c h e senza i d i s o r d i n i d e l boom. principio del secolo si c o n t a v a n o già 400 telai, i cui a d d e stavano p a s s a n d o dalla lavorazione a domicilio a quella i fabbrica. Nei q u a r t i e r i l u n g o la D o r a Grossa c'era già c r i di alloggi. E r a n o n a t e b a n c h e e case di commercio. La pub. blica a m m i n i s t r a z i o n e e r a scrupolosa, la m a g i s t r a t u r a e ; polizia severe. U n i c a n o t a s t o n a t a di q u e s t o o r d i n a t o vivere sociale,* t r a t t a m e n t o discriminatorio inflitto a ebrei e protestanti va desi. I p r i m i e r a n o u n a m i n o r a n z a abbastanza forte - 500 in t u t t o il P i e m o n t e , quasi mille nella sola T o r i n o -, ma s p r a t t u t t o p o t e n t e e utilissima nel c a m p o commerciale, f u r o n o r i d o t t i nel g h e t t o , le cui p o r t e di n o t t e veniva 1
484
chiuse, e obbligati a p o r t a r e un fregio giallo sul vestito. I valdesi, quasi tutta g e n t e di banca, f u r o n o il veicolo del capitale straniero che alimentava l'industria locale. Questa attingeva a piene m a n i alle loro tasche, ma q u a n d o si trattava di r i m b o r s a r e il debito, i debitori si r i c o r d a v a n o che i creditori e r a n o «eretici» e minacciavano il pogrom, alla cui origine c'è s e m p r e e s o l t a n t o , c o m e si v e d e , q u a l c h e c a m b i a l e in protesto. Se C a r l o E m a n u e l e fosse, c o m e tutti gli altri Savoia, un devoto autentico, n o n si sa. Ma osservante lo era, e scrupolosissimo. Q u a n d o si trattava di s t r a p p a r e alla Chiesa qualche t e r r a o «beneficio», e r a di m a n o lesta e p e s a n t e . Ma a messa ci a n d a v a tutti i giorni, in umili p a n n i , mescolandosi alla folla, scialava in processioni, e il suo confessore p a d r e Costa e r a a C o r t e un p e r s o n a g g i o di g r a n rilievo. Tanto, che su suo s u g g e r i m e n t o C a r l o E m a n u e l e , n o n o s t a n t e la sua parsimonia, fece b r u c i a r e t r e n t o t t o q u a d r i della galleria di palazzo p e r c h é r a p p r e s e n t a v a n o n u d i femminili. Ma questa n o n fu che la p i ù veniale delle sue concessioni alla Chiesa. Più gravi furono i suoi cedimenti nel c a m p o scolastico e culturale, q u a n d o vescovi e gesuiti scatenarono l'offensiva c o n t r o l'Università ricostituita e laicizzata da Vittorio A m e d e o , a c c u s a n d o l a di e s s e r e u n ' i n c u b a t r i c e di ateismo e calvinismo. Il Re si p r o v ò a resistere, ma l'Ormea, che i n q u e l m o m e n t o stava n e g o z i a n d o u n c o n c o r d a t o c o n l a Chiesa, l ' i n d u s s e a d abolire l ' i n s e g n a m e n t o delle m a t e r i e scientifiche. Gli s t u d e n t i t e n t a r o n o di p r o s e g u i r l i in F r a n cia, ma l'espatrio fu p r o i b i t o c o m e un atto di fellonia, così come la ricerca d ' i m p i e g o in altri Paesi e p e r f i n o il m a t r i monio con stranieri. La c e n s u r a ebbe pieni poteri, e n a t u r a l m e n t e se ne servì nella m a n i e r a più ottusa e odiosa. N i e n t e poteva essere p u b blicato n e a n c h e all'estero senza licenza di stampa, e l'impor' fazione di libri fu s o t t o p o s t a a rigidi controlli. U n a copia delle o p e r e di Voltaire spedita a un diplomatico dell'Ambasciata francese di Torino fu respinta come m e r c e infetta, no485
n o s t a n t e le p r o t e s t e d e l d e s t i n a t a r i o . Gl'intellettuali pie. montesi si sfogarono nella filologia. Sebbene fossero tutti di f o r m a z i o n e c u l t u r a l e francese, si d i e d e r o sotto la g u i d a e l'esempio del Tagliazucchi a italianizzare la lingua, che del resto ne aveva u r g e n t e bisogno. I piemontesi, q u a n d o non p a r l a v a n o il dialetto, p a r l a v a n o il francese. Ma già Vittorio A m e d e o , sebbene figlio di un francese e marito di u n a francese - o forse p r o p r i o p e r questo - ne aveva combattuto l'uso, e un g i o r n o fece frustare un n i p o t e p e r c h é si ostinava a parlarla. P u r nella sua rozzezza, quel soldataccìo aveva capito che il P i e m o n t e n o n poteva svolgere la sua missione italiana se n o n italianizzava la sua cultura. Da allora i letterati torinesi p r e s e r o la b u o n a a b i t u d i n e di scrivere in italiano ciò che seguitavano a p e n s a r e in francese. Dell'uomo Carlo E m a n u e l e e del suo carattere rimangon o p o c h e t e s t i m o n i a n z e , a n c h e p e r c h é e r a s e m p r e «in posa», la posa del Re. «Ha un aspetto spiacevole, statura piccola e faccia antipatica; ma è laborioso, intelligente, bravo politico, valoroso ed abile nell'arte militare» scrive De Brosses, forse l a r g h e g g i a n d o un po'. Q u a n t o alla moglie «il suo labb r o austriaco si nota s e m p r e più, ed è bitorzoluta peggio di c o m e l'abbiamo vista a Digione. A p a r t e questo, il suo volto n o n è spiacevole, ha soprattutto un aspetto nobile e maestoso. O g n i sera tiene circolo, triste q u a n t o si p u ò immaginare. Sta seduta nella p o l t r o n a in mezzo al suo studio; tutte le dame sono allineate i n t o r n o a lei ad u n a certa distanza, ritte in piedi c o m e comari: si m e t t o n o infatti a s e d e r e solo p e r giocare. Di t a n t o in t a n t o , la Regina rivolge q u a l c h e parola a qualcuna di loro, la quale r i s p o n d e a monosillabi». N o n e r a n o di certo, né l'uno né l'altra, esemplari umani da attirare molte simpatie. E p p u r e il cordoglio popolare fu g r a n d e e sincero q u a n d o nel 1773 si sparse la notizia che il Re e r a alla fine. Lo e r a da un pezzo, ma n e s s u n o se n'era accorto p e r c h é fino all'ultimo aveva fatto fronte ai suoi imp e g n i di Re, s e b b e n e le forze lo avessero quasi completam e n t e a b b a n d o n a t o . Ed e r a questo che il p o p o l o aveva ca486
pjto e a m m i r a v a in lui. Q u e l l ' u o m o f r e d d o e i n t r o v e r s o , senza slanci né comunicativa, aveva tuttavia avuto un senso sacerdotale del dovere, e ad esso aveva tutto sacrificato. Nonostante gli e r r o r i e i triboli c h e li a v e v a n o p u n t e g g i a t i , i suoi q u a r a n t a t r e a n n i di r e g n o r a p p r e s e n t a v a n o p e r il Piemonte un capitolo positivo. Negli a m b i e n t i progressisti di T o r i n o , il cambio della guardia sul t r o n o fu salutato come l'inizio di un'era nuova. Ne vedevano u n a garanzia nel Principe che ora vi saliva, e non a torto. In gioventù, Vittorio A m e d e o I I I n o n e r a stato precisamente un ribelle. Ma aveva lasciato capire che, senza la militaresca disciplina di Casa Savoia che esigeva l'incondizionata sottomissione del figlio al p a d r e , a v r e b b e a n c h e p o t u t o esserlo. Era n a t o nel 1726, e a nove a n n i aveva perso la madre. Ma n o n si p u ò d i r e che fosse rimasto senz'affetti p e r ché la m a t r i g n a Elisabetta Teresa, terza moglie di C a r l o Emanuele, n o n gliene aveva fatti m a n c a r e . Essa aveva curato di p e r s o n a l ' e d u c a z i o n e del r a g a z z o , e forse fu p e r suo suggerimento che come precettore gli v e n n e dato n o n il solito colonnello e il solito abate, ma un intellettuale autentico, il savoiardo Vicardel di Fleury, spirito abbastanza a p e r t o e imbevuto di cultura francese. Alla sua scuola, Vittorio A m e d e o sviluppò un certo amore per le discipline umanistiche, specialmente storia e letteratura, e b e n presto ne s e p p e q u a n t o bastava p e r accorgersi che suo p a d r e n o n sapeva n i e n t e . Fece finta di nulla. Accettò la rigida regola di Corte, si uniformò ai suoi puntigliosi cerimoniali, si a t t e n n e alla sua p a r t e di Principe ereditario con tutte le pesanti servitù ch'essa comportava: gli orari da caserma, le ispezioni ai reggimenti e alle fortezze eccetera. Ma, p u r r i n u n z i a n d o a c o n d u r r e la vita che avrebbe p r e ferito di giovane fra i giovani in mezzo alla gente c o m u n e , era riuscito in q u a l c h e m o d o a formarsi u n a piccola c o r t e Personale con uomini di estrazione borghese. In questo circolo, n a t u r a l m e n t e , del Re n o n si poteva p a r l a r e male. Ma 487
in c o m p e n s o si parlava malissimo del Bogino. Lo si rappr _ sentava come un ottuso reazionario, e n o n e r a vero. Il Bogjno era un conservatore, ma intelligente, attaccato alla tradizione, ma n o n del tutto insensibile alle n u o v e idee; e sopratt u t t o un g r a n d e g a l a n t u o m o , fedelissimo allo Stato e alla monarchia. Vittorio A m e d e o condivideva le opinioni dei suoi amici anzi se li e r a p r e s i c o m e amici a p p u n t o p e r c h é avevano quelle opinioni. Ma n o n ci poteva far niente. In Casa Savoia si regnava u n o alla volta. E finché il t u r n o n o n fosse toccato a lui, n o n aveva n e s s u n a possibilità d ' i n t e r v e n i r e . Carlo E m a n u e l e si g u a r d a v a b e n e dal consultarlo. Lo trattava come egli stesso era stato trattato da suo p a d r e , e questi da suo n o n n o , cioè t e n e n d o l o a distanza e sull'attenti. Nel '49 gli aveva o r d i n a t o di sposare la sorella del re F e r d i n a n d o VI di Spagna, Maria Antonietta, e lui aveva obbedito. Aveva già quarantasette anni, q u a n d o Carlo E m a n u e l e si decise finalmente a lasciargli il posto. Il suo p r i m o gesto fu la liquidazione del Bogino, che v e n n e licenziato senza neanche un grazie. Ma le g r a n d i riforme che i progressisti aspettavano e speravano n o n v e n n e r o . Il n u o v o Re aveva già sup e r a t o l'età degli entusiasmi e, u n a volta e n t r a t o nella stanza d e i b o t t o n i , s'era a c c o r t o ch'essi a n d a v a n o pigiati con cautela. A n c h e nel r e g i m e di C o r t e introdusse p o c h e innovazioni. Ne corresse il t o n o taccagno e provinciale dandogli u n ' i m p r o n t a di m a g g i o r e regalità e a u m e n t a n d o n e il personale. Pretese che all'estero i suoi ambasciatori fossero trattati c o m e quelli delle G r a n d i Potenze e u r o p e e . Ma la regola rimase quella di p r i m a : quella di u n a piccola capitale austera, burocratica e formalista. U n ' a l t r a m i s u r a di Vittorio A m e d e o fu la soppressione delle case dei gesuiti. Ma p a r e che lo facesse a malincuore, e lo d i m o s t r a n o le condizioni di favore che riservò alle vittime gratificandole di u n a b u o n a p e n s i o n e e c o n c e d e n d o loro di restare i n Piemonte, a n c h e agli stranieri. U n certo p i g ' v o l u z i o n a r i o e b b e invece l'ospitalità a c c o r d a t a alle l o g g e
u o r 1
e
488
massoniche. Ce n'era già u n a a Chambéry, di cui e r a a capo il marchese Bellegarde. Un'altra ne era nata a Torino, che si chiamava Loggia di San Giovanni della Misteriosa. Ma c o n d u cevano vita g r a m a , con p o c h e diecine d'iscritti, quasi tutti nobili. O r a p e r ò che si trovava sotto il p a t r o n a t o del Re, la massoneria moltiplicò r a p i d a m e n t e i suoi proseliti f a c e n d o n e anche a C o r t e e s o p r a t t u t t o nell'esercito. E fu c e r t a m e n t e per suo mezzo che certi fermenti cominciarono a p e n e t r a r e in q u e s t e tradizionali cittadelle d e l c o n s e r v a t o r i s m o piemontese. Vittorio A m e d e o n o n se ne rese conto che nel '94, q u a n d o q u e i f e r m e n t i sfociarono i n s o t t e r r a n e e s i m p a t i e per la rivoluzione francese, i cui eserciti stavano p e r investire anche il Piemonte. Allora soppresse le logge, ma e r a troppo tardi. La riforma più attesa e r a quella dell'amministrazione. Il Regno di S a r d e g n a n o n e i a mai stato unificato. Esso restava diviso in cinque Stati con pochi o p u n t i nessi fra loro: il Piem o n t e p r o p r i a m e n t e d e t t o col M a r c h e s a t o di Saluzzo e il Ducato di Monferrato, il Ducato d'Aosta, il Ducato di Savoia al di là delle Alpi, la C o n t e a di Nizza col Marchesato di O n e glia incuneato nel vecchio territorio della Repubblica di Genova, e la S a r d e g n a . O g n u n a di q u e s t e r e g i o n i si r e g g e v a con p r o p r i statuti e leggi. In c o m u n e avevano soltanto il Sovrano, r a p p r e s e n t a t o in loco dal g o v e r n a t o r e , dal c o m a n dante militare, d a l l ' i n t e n d e n t e e dal prefetto. Era u n a frantumazione che faceva a p u g n i col centralismo predicato dagl'illuministi, i quali s p e r a v a n o che Vittorio A m e d e o vi p o nesse r i p a r o . Invece il n u o v o Re, o che n o n credesse al rimedio, o che fosse s p a v e n t a t o dalle sue difficoltà, n o n ci si provò n e m m e n o . Tutto s o m m a t o , la sua gestione, che d u r ò dal '73 al '96, cioè ventitré anni, fu piuttosto incolore. Forse vi contribuì il fatto che i Savoia avevano a c u o r e d u e cose sole: la politica estera e la g u e r r a , e Vittorio A m e d e o n o n p o t è fare né u n a cosa né l'altra p e r c h é la situazione e u r o p e a n o n glielo con489
sentiva. La pace di Aquisgrana aveva pietrificato l'Italia. Ci v o r r à il g r a n d e s c o n q u a s s o p r o v o c a t o dalla rivoluzione francese p e r rimescolare le carte del giuoco e offrire occasioni e pretesti all'iniziativa piemontese. Ma bisogna a n c h e d i r e che Vittorio A m e d e o fece b e n poco p e r prepararvisi. Agli eserciti rivoluzionari che lo investivano, il Piemonte o p p o s e u n o Stato disorganico, u n a società t u t t o r a basata sul privilegio ereditario e u n ' e c o n o m i a in dissesto p e r c h é Vittorio A m e d e o fu un pessimo amministrator e . E il r u d e r e crollerà c o m e un castello di carte.
CAPITOLO DODICESIMO
LA LOMBARDIA AUSTRIACA
L a p r i m a m e t à del Settecento fu, p e r Milano, u n o dei p e riodi più tribolati della sua storia. A differenza della Toscana e di Napoli che, nella lunga catena di g u e r r e cominciate con la successione spagnola, furono coinvolte solo sul p i a n o diplomatico, essa lo fu a n c h e sul piano militare. Per d e c e n n i s e g u i t a r o n o a passarle a d d o s s o eserciti su eserciti, e il suo incerto destino d i e d e luogo a divisioni i n t e r n e che incisero a fondo sulla sua vita. Ricapitoliamo alla svelta q u e s t e aggrovigliate v i c e n d e . Q u a n d o Carlo I I , ultimo Asburgo di Spagna, vi diede avvìo col suo testamento, Milano e r a da un secolo e mezzo feudo spagnolo, e c o m e tale avrebbe d o v u t o passare al successore Filippo di B o r b o n e . Ma sulla ghiotta p r e d a si a v v e n t a r o n o anche altri d u e p r e t e n d e n t i : gli A s b u r g o d A u s t r i a e i Savoia, o r a in qualità di nemici o r a in qualità di alleati. L'aristocrazia milanese - e p a r l i a m o di essa p e r c h é le altre classi n o n avevano voce in capitolo - p a r t e g g i ò p e r gli u n i o p e r gli altri, ma alla fine il partito austriacante prevalse p e r d u e motivi: p r i m a di tutto p e r c h é gli austriaci stavano vincendo, eppoi p e r c h é i Savoia minacciavano di annettersi u n a bella fetta di t e r r e l o m b a r d e (la Valsesia, la Lomellina, il Vigevanasco), c o m e poi fecero. Per di più i milanesi furono irritati dal fatto c h e a un c e r t o p u n t o i Savoia r i n u n z i a s s e r o alla Lombardia p e r o t t e n e r e la c o r o n a di Re di Sicilia. «Una sola provincia del n o s t r o Stato - disse un S e n a t o r e m i l a n e s e - vale più del R e g n o di Sicilia e di quello di Napoli messi insieme.» N o n parlò di terroni p e r c h é la parola ancora n o n era stata coniata. Ma il concetto era quello. 491
Il trattato di Utrecht diede Milano all'Austria. E la città 0 stava a d a t t a n d o al n u o v o p a d r o n e , q u a n d o la g u e r r a di s u o l cessione polacca rimise tutto in subbuglio. Il Savoia di turn o , Carlo E m a n u e l e I I I , i r r u p p e nella città quasi c o m p l e t a i m e n t e sguarnita dalle t r u p p e austriache risucchiate in Prussia, facendosi p r e c e d e r e da un p r o c l a m a in cui si parlava di «liberazione dell'Italia». Sebbene la p a r o l a Italia n o n risvegliasse echi in nessun c u o r e , Carlo E m a n u e l e riuscì a susci-' t a r e p a r e c c h i e s i m p a t i e . P u r t r o p p o , il s u o d o m i n i o non^d u r ò che tre a n n i , dal '33 al '36. Poi, p e r i motivi che abbia^ mo già d e t t o , d o v e t t e a b b a n d o n a r e la L o m b a r d i a contenVt a n d o s i di sbocconcellarne solo N o v a r a e T o r t o n a . Gli au* striaci, t o r n a n d o v i , fecero p a g a r caro ai milanesi il loro cok' l a b o r a z i o n i s m o col «nemico invasore»: l ' e p u r a z i o n i fiocca* r o n o . E del r a n c o r e ch'esse s e m i n a r o n o si videro i frutti nei '40, q u a n d o scoppiò la terza g u e r r a di successione, p e r il t r o n o d'Austria. N o n p o t e n d o cospirare p e r i piemontesi, che stavolta c o n gli austriaci e r a n o alleati, p a r t e del p$£' triziato milanese cospirò p e r i franco-spagnoli che volevano assegnare la L o m b a r d i a a Filippo di B o r b o n e , il secondog nito di Elisabetta Farnese, futuro Duca di Parma. La pace di' Aquisgrana del 1748 deluse queste s p e r a n z e . Milano t o r n é all'Austria, il cui castigo fu a n c o r a p i ù p e s a n t e . Molti, pe* sottrarvisi, d o v e t t e r o p r e n d e r e la via dell'esilio: fra di essi la Contessa del Grillo, moglie di un B o r r o m e o e impresa»" del p i ù vivace salotto intellettuale di Milano sul modello % quelli francesi. Ma a q u a l c u n o n e m m e n o la fuga bastò, polizia austriaca n o n esitò a violare la sovranità della Serf nissima p e r c a t t u r a r e il C o n t e Biancani, rifugiatosi nel su t e r r i t o r i o , e m a n d a r l o al patibolo. La milizia l o m b a r d a % sciolta, i poteri delle m a g i s t r a t u r e cittadine v e n n e r o ridottì^ e la provincia semplicemente annessa come p a r t e integrane te dello Stato austriaco.
quella
Da A q u i s g r a n a in p o i q u i n d i , a differenza di q u a n t o c~ toccato alla Toscana e al R e a m e di Napoli, diventati Stati a*, t o n o m i sotto d u e dinastie i n d i g e n e , a n c h e s e p e r n o m e 492
p e r s a n g u e l e g a t e l ' u n a agli A s b u r g o d i V i e n n a , l'altra a i Borbone di M a d r i d , Milano n o n ebbe u n a sua p r o p r i a vita politica, di cui si possa rintracciare la storia. Ne ebbe soltanto u n a economica, sociale e culturale, che in c o m p e n s o acquistò molta i m p o r t a n z a . Ed è di questa che vogliamo occuparci. Quello che emergeva dal l u n g o seguito di g u e r r e di cui aveva costituito u n a delle principali poste, e r a un p a e s e in r e gresso. A n c h e t e r r i t o r i a l m e n t e n o n e r a p i ù il D u c a t o degli Sforza. Anzitutto, aveva p e r s o molte delle sue migliori p r o vince: il C a n t o n Ticino era e n t r a t o a far p a r t e della Confederazione Elvetica, tutto l'oltre T i c i n o e r a stato rosicchiato dal P i e m o n t e , e tutto l'oltre A d d a da Venezia. Così r i d o t t o all'osso, il suo t e r r i t o r i o e r a diviso in circoscrizioni fra cui mancava qualsiasi c o o r d i n a z i o n e p e r c h é sotto il d o m i n i o spagnolo o g n i nesso statale si e r a p e r s o in un inestricabile groviglio di leggi e d'istituti c o n t r a d d i t t o r i . O g n i c o m u n i t à aveva finito col fare p a r t e p e r se stessa, ciascuna coi p r o p r i o r d i n a m e n t i e la p r o p r i a c i n t u r a di dazi. Quasi più nulla restava della vecchia industria l o m b a r d a , soffocata da un sistema corporativo che, c o m e d a p p e r t u t t o altrove, scoraggiava coi suoi privilegi e m o n o p o l i qualsiasi iniziativa. E a n c h e l'agricoltura languiva p e r via del cosiddetto «regime dei campi aperti» che limitava il diritto del p r o p r i e t a r i o al raccolto. Finito il quale, esso era obbligato a m e t t e r e la sua t e r r a a di' sposizione d e l pascolo c o m u n i t a r i o . Ci vuol p o c o a c a p i r e che questo scoraggiava qualsiasi miglioria e bonifica. Agl'inizi del secolo, Milano e r a d u n q u e u n a classica città di provincia spagnola, cioè i n e r t e e parassitaria. I suoi 130 mila abitanti - s t a n d o ai calcoli più accreditati - e r a n o diseg u a l m e n t e distribuiti in circa 5 mila case, che n o n soffriva: no c e r t a m e n t e di asfissia p e r c h é e r a n o b e n l o n t a n e dall'occupare l'intera a r e a recinta dai bastioni della «cerchia» che chiama a p p u n t o «spagnola». E altrettanto d i s e g u a l m e n t e e r a n o divise le classi sociali. A n c h e q u i il n e o - f e u d a l e s i m o S1
493
i s t a u r a t o dalla S p a g n a e dalla Chiesa della C o n t r o r i f o r m a era d o c u m e n t a t o dallo stridente contrasto tra i fastosi palazzi di Porta Orientale (l'attuale zona di Corso Venezia) e i tug u r i della Vigentina, della Fontana e di Porta Tosa. La class e m e d i a n o n aveva a n c o r a u n a sua p r o p r i a a r c h i t e t t u r a p e r c h é n o n aveva né la forza né i mezzi p e r farsela. Milano era u n a delle p o c h e città italiane che di questa classe avesse conservato un brandello. Ma n o n si trattava a p p u n t o che di un b r a n d e l l o . Essa doveva decollare solo verso la m e t à del secolo, grazie alle r i f o r m e p r i m a di M a r i a T e r e s a e p o i di suo figlio G i u s e p p e IL La p r i m a e la più decisiva, che aprì la strada a tutte le altre, fu il catasto. A dire il vero, esso e r a stato iniziato fin dal 1718, ma le g u e r r e in cui si era trovata coinvolta n o n avevano p e r m e s s o all'Austria di p o r t a r l o avanti. Fu solo d o p o Aquisgrana che l ' I m p e r a t r i c e riprese il p r o g e t t o affidandone la realizzazione a un economista fiorentino: P o m p e o Neri. Era u n ' i m p r e s a quasi eroica individuare, in quel labirinto di m a n o m o r t e , di fedecommessi, d ' i p o t e c h e , di eredità c o n t e s t a t e , di diritti feudali, di «campi aperti», di conflitti d e m a n i a l i , i vari p a t r i m o n i , e p r o c e d e r e a u n a stima dei redditi e all'imposizione di aliquote d'imposte. Il Neri c'impiegò oltre dieci a n n i . Ma i risultati c o m p e n s a r o n o lo sforzo. Vediamo subito p e r c h é . Ridotta all'osso, la riforma consisteva in questa operazione: di ogni p a t r i m o n i o , si calcolò ch'esso rendesse il quattro p e r cento del suo valore, quale il catasto lo aveva accertato. Q u e s t o q u a t t r o p e r c e n t o diventava così il cosiddetto «imponibile», cioè la quota su cui si doveva p r e l e v a r e l'imposta. Dalla quale veniva in tal m o d o esentato tutto il r e d d i t o sup e r i o r e al q u a t t r o p e r cento. E facile capire che cosa avvenne. I p r o p r i e t a r i , che nella s t r a g r a n d e m a g g i o r a n z a e r a n o i nobili, fin allora esentati dalle tasse dal loro privilegio di sangue, e q u i n d i assenteisti, d o v e t t e r o rimboccarsi le m a n i c h e p e r fare fronte a un'imp o s t a che colpiva il q u a t t r o p e r c e n t o delle l o r o p r e s u n t e 494
rendite. N o n solo. Ma trovarono un p o t e n t e stimolo ad aumentarle nel fatto che su queste maggiorazioni invece n o n avrebbero p a g a t o nulla. N a t u r a l m e n t e a p r e n d e r e l'aìre fu anzitutto l'agricoltura. E lo si vide subito dalla trasformazione della villa. Fin allora essa era stata soltanto u n a succursale del palazzo di città. Il nobile p r o p r i e t a r i o se l'era attrezzata u n i c a m e n t e p e r i suoi riposi e svaghi estivi e a u t u n n a l i : g r a n d i sale di r a p p r e s e n tanza, belle gallerie, s p l e n d i d i g i a r d i n i g r e m i t i di s t a t u e e fontane. Ma n i e n t e che la qualificasse ad attività p r o d u t t i v e e amministrative, p e r c h é il p r o p r i e t a r i o n o n vi p r o d u c e v a né vi amministrava nulla, e spesso a d d i r i t t u r a ignorava quali fossero i confini delle sue t e r r e , limitandosi a p e r c e p i r n e le r e n d i t e dal suo amministratore. Subito d o p o l ' i n t r o d u z i o n e del catasto, la villa d i v e n t a u n a «cascina», o se ne costruisce u n a c o m e « d i p e n d e n z a » . Essa fa da c e n t r o direzionale di u n a vera e p r o p r i a «azienda» che, p e r d i v e n t a r e «economica», deve r a g g i u n g e r e u n r e d d i t o s u p e r i o r e al q u a t t r o p e r cento. Q u i il p r o p r i e t a r i o studia coi suoi tecnici il m o d o di «svegrare» le t e r r e incolte e di migliorare quelle già coltivate. Qui egli comincia a p r e n dere confidenza coi libri di contabilità, coi costi di p r o d u z i o ne, con l'esigenze del «mercato». Q u i i n s o m m a finisce il redditiere e comincia l ' i m p r e n d i t o r e . N o n p e r nulla L o m b a r dia e Toscana sono le u n i c h e regioni che v e d o n o la nobiltà in veste di protagonista del decollo capitalistico. In u n ' e p o ca in cui la ricchezza è quasi esclusivamente t e r r i e r a e i n o bili ne sono i quasi esclusivi titolari, è logico ch'essi siano anche i soli a d i s p o r r e di capitali da investire. Ma lo fanno sotto la frusta di un catasto che, a n c h e se di confezione italiana, è di brevetto austriaco, e infatti trova la sua applicazione nelle d u e province austriache, L o m b a r d i a e Toscana. Gli effetti n o n sono soltanto economici, ma a n c h e sociali. U b r a n d e l l o di borghesia sopravvissuto alla rifeudalizzazione del C i n q u e e Seicento vede subito nello sviluppo capitalistico dell'agricoltura la g r a n d e occasione p e r r i p r e n d e r e l'i495
niziativa. A n c h e in L o m b a r d i a il tipo di c o n d u z i o n e che prevale è la mezzadria, la m e n o a d a t t a alla razionalizzazione richiesta da u n ' a g r i c o l t u r a c o n c e p i t a e p r a t i c a t a c o m e «impresa». Il «podere» che la famiglia del c o n t a d i n o si tram a n d a di generazione in generazione è stato l'architrave di un r e g i m e patriarcale e immobilistico, da cui il vecchio p r o prietario n o n sa decidersi a divorziare. Egli «svegra», bonifica, canalizza, riduce la villa a «fattoria» i m p i a n t a n d o v i cantin e , uffici, stalle e depositi di attrezzi. Magari a n c h e distrugge il g i a r d i n o , un t e m p o suo orgoglio e blasone, p e r farne un orto o un p o m a i o . Ma di fronte al «podere» si ferma, come ci si ferma il suo collega toscano. E allora, a differenza di q u a n t o avviene a p p u n t o in Toscana, si fa avanti, in qualità di affittuario, il b o r g h e s e . Costui, g a r a n t e n d o g l i un c à n o n e in o g n i caso s u p e r i o r e al famoso q u a t t r o p e r cento del suo valore, si fa d a r e in gestione dal nobile la sua p r o p r i e t à . E senza tanti complimenti p e r il m e z z a d r o e il suo p o d e r e , cui nulla s e n t i m e n t a l m e n t e lo lega, p r o c e d e alla loro smobilitazione. Q u e s t o n u o v o protagonista n o n si contenta più della «rendita» tradizionale, neanc h e m a g g i o r a t a . Cerca il «profitto». E il profitto esige l'acc o r p a m e n t o della terra al di sopra del p o d e r e ed esclude la spartizione del p r o d o t t o in parti eguali col m e z z a d r o . Così l'ascesa di questo n u o v o ceto i n t e r m e d i o , dal quale poi v e r r a n n o in g r a n p a r t e i pionieri dell'industria, coincide con la crisi di quello m e z z a d r i l e e la p r o v o c a . T u t t a la pubblicistica sociale del secolo r i s u o n e r à di gridi d'allarme p e r l ' i m m i s e r i m e n t o e la c r e s c e n t e p r o l e t a r i z z a z i o n e dei m e z z a d r i . Sul f o n d a m e n t o e la validità di q u e s t e d e n u n c e n o n ci son dubbi. I mezzadri furono le p r i m e vittime di questo nascente capitalismo applicato all'agricoltura. Ma altrettanto certo è che fu questa rivoluzione a fare di quella lomb a r d a n o n solo l'agricoltura più avanzata ed efficiente d'Italia, ma a n c h e la scuola e la palestra dell'impresa industriale. Lo dimostra il raffronto con la Toscana dove, p e r mancanza di un ceto i n t e r m e d i o di affittuari, la mezzadria resiste. La 496
«fattoria» n o n diventò mai u n a vera e p r o p r i a «azienda», e lo spirito i m p r e n d i t o r i a l e n o n vi nacque. Il t e r r i e r o toscano del Sette e dell'Ottocento migliorò notevolmente le sue terre e le sue r e n d i t e , ma al «profitto» n o n ci arrivò. C o m ' e r a da a t t e n d e r s i , l'affittuario fu subito in g u e r r a col r e g i m e dei «campi aperti», che r a p p r e s e n t a v a il p i ù grave ostacolo alla sua o p e r a di trasformazione. La battaglia fu d u r a p e r c h é il diritto di libero pascolo sulle ristoppie e sui maggesi avanzati dal raccolto, oltre ad essere ancorato a un costume vecchio di secoli, e r a u n a delle p o c h e risorse della popolazione del contado. Ma e r a chiaro che questo sistema, p e r f e t t a m e n t e i n t o n a t o a l l ' e c o n o m i a p a s t o r a l e del M e d i o Evo, n o n lo e r a p i ù a quella di un Settecento già avviata agli sfruttamenti intensivi. Più che da leggi di riforma, esso fu liquidato dal giuoco della concorrenza. Proprietari e affittuari con sapienti irrigazioni si d i e d e r o a coltivare grassi pascoli. Su di essi p r o s p e r ò un bestiame p r o d u t t o r e di carne e di latticini di migliore qualità e m o l t o p i ù a b u o n m e r c a t o di quelli p r o d o t t i dalla pastorizia dei «campi aperti» c h e ne venne sbaraccata. Anzi, fu questa dei latticini u n a delle prime industrie l o m b a r d e . N a t u r a l m e n t e q u e s t o inizio di rivoluzione capitalistica, che p r e n d e v a l'aìre dalla t e r r a , esigeva u n a bonifica finanziaria. E q u e s t a a sua volta e r a c o n d i z i o n a t a d a l r i o r d i n o a m m i n i s t r a t i v o . Di a m m i n i s t r a z i o n e , gli s p a g n o l i e r a n o s e m p r e stati digiuni. E a n c h e a Milano se n ' e r a n o lavate le mani col sistema degli appalti. Avevano appaltato tutto: dazi, d o g a n e , regalie, il m o n o p o l i o del sale, quello dei tabacchi, quello della p o l v e r e da s p a r o , servizi, p o s t e , t r a s p o r t i eccetera. Il p r i m o g o v e r n a t o r e a u s t r i a c o , c h e fu E u g e n i o di Savoia, grandissimo soldato, ma piuttosto s p r o v v e d u t o in fatto di leggi e di economia, n o n osò m e t t e r le m a n i in quel garbuglio. Ma p i ù t a r d i il Pallavicini affrontò il p r o b l e m a , sia p u r e p e r g r a d i . N o n revocò subito il sistema degli appalti, ma li unificò in u n a Ferma generale affidandola a un g r u p p o 497
di capitalisti che avevano già dato convincenti prove di efficienza, in base a un contratto che stabiliva la ripartizione dei redditi fra loro e Io Stato. Vi partecipò in veste di controllore a n c h e l'illuminista Pietro Verri, che n o n dovette restare soddisfatto del f u n z i o n a m e n t o p e r c h é n o n si stancò di den u n c i a r e il sistema e di c h i e d e r e che Io Stato assumesse in p r o p r i o la gestione di tutte quelle attività, abolendo i privati i n t e r m e d i a r i . Fu u n a l u n g a battaglia, ma alla fine la vinse. La Ferma fu abolita nel '70, e così finì il secolare scandalo di u n a speculazione privata inserita fra Io Stato e il cittadino. A questa riforma seguì il r i o r d i n o delle circoscrizioni territoriali, che fin allora e r a n o state un autentico caos. Strettam e n t e agganciata c o m ' e r a al governo centrale di Vienna, la L o m b a r d i a n o n p o t è d i v e n t a r e u n o Stato v e r o e p r o p r i o , ma diventò se n o n altro u n a regione b e n s t r u t t u r a t a e funz i o n a n t e . I l s u p r e m o p o t e r e n a t u r a l m e n t e e r a nelle mani del proconsole austriaco, che d a p p r i m a si chiamò Governat o r e e lo fu a n c h e di fatto, con assoluta responsabilità di fronte al suo Sovrano; e p p o i «Capitano Generale e Amminis t r a t o r e Serenissimo della L o m b a r d i a » , f i g u r a p u r a m e n t e r a p p r e s e n t a t i v a , di solito i n c a r n a t a da q u a l c h e Principe di s a n g u e reale - c o m e Francesco Maria d'Este e F e r d i n a n d o d'Austria, figlio di Maria Teresa -, sotto i quali il p o t e r e esecutivo e r a affidato a Cancellieri, che in seguito cambiarono la loro qualifica in quella di Ministri Plenipotenziari. Fra i Capitani tuttavia ce ne fu u n o che esercitò un'influenza ef-, fettiva a n c h e p e r c h é r i m a s e in carica v e n t i c i n q u ' a n n i : il C o n t e Firmian, un t r e n t i n o di cervello lucido e di tratto discreto, che s e p p e svolgere u n a saggia o p e r a di mediazione fra Vienna e Milano. N o n era facile p e r c h é Vienna, d o p o i p r e c e d e n t i a cui abbiamo accennato, diffidava di Milano, e infatti in c a m p o politico n o n le concesse nessuna a u t o n o m i a . Viceversa fu larga in fatto di amministrazione. Ed è forse questo che seguita a m a r c a r e il c a r a t t e r e civico dei l o m b a r d i , cattivi politici ed eccellenti amministratori. 498
Per ridurla ai suoi tratti essenziali, la riforma austriaca riconobbe a ogni C o m u n e il suo «convocato», cioè il suo consiglio c o m u n a l e , composto di «censiti», cioè di p r o p r i e t a r i , i quali eleggevano il capo dell'amministrazione, cioè il sindaco. La provincia aveva un c o r p o consultivo d e t t o «delegazione». E tutti questi «enti locali», c o m e oggi si c h i a m a n o , facevano capo alla «Congregazione di Stato» di Milano, che esercitava su di essi u n a funzione t u t o r i a e di controllo. Il vecchio Senato, la magistratura a cui i milanesi e r a n o più affezionati, n o n è s c o m p a r s o , ma ha m u t a t o attribuzioni che n o n sono più n é politiche n é a m m i n i s t r a t i v e , m a giudiziarie. Esso è u n a specie di s u p r e m o t r i b u n a l e con tre sezioni di varia c o m p e t e n z a . L'organo p i ù i m p o r t a n t e è il Consiglio di Governo, vero e p r o p r i o ministero. Bisogna riconoscere che questi organi locali si m o s t r a r o no spesso m o l t o p i ù retrivi, t i m o r a t i e b a c c h e t t o n i del gov e r n o di V i e n n a . Q u a n d o fu decisa la c o m p i l a z i o n e di un nuovo codice che rendesse il meccanismo della giustizia più svelto e intelligibile al cittadino, a osteggiare il p r o g e t t o fu il collegio degli avvocati. E fu c o n t r o il p a r e r e del S e n a t o , il quale voleva m a n t e n e r l a , che Maria Teresa abolì la t o r t u r a . Più tardi suo figlio G i u s e p p e eliminò anche la p e n a di morte, salvo che p e r il r e a t o di ribellione allo Stato. Ma ad a p p l a u d i r e q u e s t a civile m i s u r a f u r o n o soltanto, o quasi soltanto, il Beccaria, che l'aveva suggerita, e i suoi amici. U g u a l m e n t e avversate furono le riforme sociali che miravano a smantellare privilegi e m o n o p o l i . Anche a Milano bisognava vedersela con le corporazioni, questi residuati di Medio Evo, che si ostinavano a d i f e n d e r e l'organizzazione pulviscolare e a n t i e c o n o m i c a delle b o t t e g h e a r t i g i a n e , le prerogative dei «maestri» e dei loro piccoli consorzi, i divieti che ostacolavano la libera circolazione della m a n o d o p e r a . A r e g o l a r e questi r u g g i n o s i meccanismi e r a n o le Giunte di commercio, composte quasi s e m p r e di «notabili» p a r r u c c o n i e i n c o m p e t e n t i . Il g o v e r n o le abolì p e r r i m p i a z z a r l e con un Supremo Consiglio di economia, composto di gente che se n'in499
t e n d e v a c o m e dimostra il fatto che fra i suoi c o m p o n e n t i ci fu a n c h e Pietro Verri, e p p o i con un m i n i s t e r o v e r o e p r o prio. Le corporazioni rimasero, ma solo di n o m e . Esse n o n ebb e r o più la forza d ' i m p e d i r e quei c o n c e n t r a m e n t i di capitali e di energie che c o n d u s s e r o alla nascita dello stabilimento. Il p r i m o o u n o dei primi fu un filatoio mosso da un mulino ad acqua invece che a m a n o , impiantato dai fratelli Bianchi a Porta Nuova. Ma la g r a n d e novità n o n e r a questa, e nemm e n o il p r o d o t t o che p e r qualità gareggiava con quelli francesi e olandesi. La g r a n d e novità e r a che i lavoranti n o n venivano a portarci il frutto del lavoro fatto a casa con telai di loro p r o p r i e t à ; lo facevano lì in fabbrica coi telai del p a d r o n e . N o n e r a n o più artigiani. E r a n o diventati operai. Nel '47 un Clerici f o n d ò la p r i m a fabbrica m i l a n e s e di maioliche e ceramiche e p p o i u n a tessitura di pelo di capra e di cammello. I suoi c a p a n n o n i ospitavano b e n cinquecento o p e r a i di a m b o i sessi, divisi in s q u a d r e specializzate ognuna p e r u n a certa fase della lavorazione. L'esempio fu imitato dai fratelli R h o che, n o n riuscendo a trovare o p e r a i esperti in filatura di tele gregge, a n d a r o n o a r e c l u t a r n e in Svizzera e Alsazia con g r a n d e s c a n d a l o delle c o r p o r a z i o n i , ma col p i e n o assenso del g o v e r n o . La l o r o i m p r e s a poi passò ai Cramer, che furono - c r e d i a m o - la p r i m a delle molte dinastie svizzere che in seguito v e n n e r o a impiantarsi a Milano e svolsero, nel suo decollo industriale, u n a p a r t e di protagoniste. Essi i n t r o d u s s e r o u n a novità c h e fece scuola: a d d e s t r a r o n o alla filatura a domicilio un g r a n n u m e r o di contadini, assicurandogli così u n a fonte di lavoro nei mesi invernali che li esentavano dalle fatiche, ma a n c h e dai guadagni, della t e r r a . Q u a s i c o n t e m p o r a n e a m e n t e u n lionese, Poid, i m p o r t a v a a Milano i segreti della lustratura dei drappiCitiamo questi esempi p e r c h é servono a illuminare un tipico carattere di Milano, destinato a farne la fortuna: la sua totale m a n c a n z a di xenofobìa. Fin d ' a l l o r a M i l a n o fu u n a città a braccia aperte. Q u a l u n q u e cosa le portassero e di do500
v u n q u e venisse, se era b u o n o , lo p r e n d e v a e lo faceva suo. Ma questo n o n deve far c r e d e r e che il suo decollo fu o p e r a soltanto di stranieri. Abbiamo visto la nobiltà t e r r i e r a fare il suo tirocinio imp r e n d i t o r i a l e nella «cascina». N o n fu s o l t a n t o il catasto a spingervela. Fu a n c h e la disoccupazione. Il nobile p i e m o n tese e quello veneziano svolgevano un'attività p e r c h é avevano u n o Stato che provvedeva a dargliela: nell'esercito, nella diplomazia, nella m a g i s t r a t u r a . Il nobile r o m a n o stava in Curia a servire (e a sfruttare) il Papa. Quello n a p o l e t a n o stava nell'anticamera del Re a fare il cortigiano. Il nobile lomb a r d o n o n aveva n é u n Re, n é u n o Stato, n é u n a Corte, n é un esercito, né u n a d i p l o m a z i a . I privilegi c h e il g o v e r n o austriaco gli aveva riconosciuto e r a n o il diritto a un cuscino sull'inginocchiatoio di chiesa, allo s t e m m a sulla carrozza, al fiocco sulla testa dei cavalli eccetera. Dal p o t e r e , e q u i n d i dal «servizio», era t e n u t o l o n t a n o . Ecco p e r c h é ebbe tutto il tempo e a n c h e lo stimolo a gettarsi nell'impresa industriale. E q u e s t o p r o v o c ò u n a curiosa i n v e r s i o n e di t e n d e n z e c h e ebbe un suo p r o f o n d o riflesso sul costume. M e n t r e d a p p e r tutto altrove la borghesia cercava di nobilitarsi c o m p r a n d o il blasone e a d o t t a n d o il m o d o di vita degli aristocratici, cioè accettando i valori della società feudale, le sue gerarchie e la sua mentalità immobilistica e r e d d i t i e r a , in L o m b a r d i a e r a la nobiltà che si a d e g u a v a alla borghesia, al suo spirito d'iniziativa e al suo slancio imprenditoriale. In questa fusione di classi e facilità di r i c a m b i è il g r a n d e s e g r e t o del p r i m a t o l o m b a r d o c h e fin d'allora si d e l i n e ò . La vittoria della b o r ghesia e r a l a vittoria d e l m o n d o m o d e r n o sugli avanzi d i quello m e d i e v a l e c h e t u t t o r a i n g o m b r a v a n o il r e s t o della penisola. Lo c o n f e r m a n o a n c h e le cifre statistiche. Secondo i calcoli del Vianello, a Milano c'erano 5600 nobili, 6600 religiosi, 93.000 popolani, e b e n 21.000 borghesi. In nessuna città italiana il ceto m e d i o era, a n c h e n u m e r i c a m e n t e , così forte. E ù" suo a v a n z a m e n t o sul p i a n o culturale è d i m o s t r a t o da un 501
altro censimento del Vianello sulle scuole di Brera: su circa 1000 iscritti, 46 e r a n o «gentiluomini» cioè nobili, 300 «civili» cioè borghesi, e gli altri «residui», cioè p o p o l a n i che il titolo di studio p r o m u o v e v a a borghesi infoltendone i ranghi. I n t r a p r e n d e n t e e spregiudicato, questo fu il ceto che più beneficiò del riformismo austriaco. I n t a n t o , esso ebbe a disposizione il g r a n d e m e r c a t o d e l l ' I m p e r o asburgico, di cui le industrie milanesi, e s o p r a t t u t t o le lane, le tele, la seta, le maioliche, la carta e gli s t r u m e n t i di precisione, diventarono le fornitrici. Poi, le b a r r i e r e doganali che le misero al rip a r o dalla c o n c o r r e n z a s t r a n i e r a . Sia M a r i a T e r e s a che G i u s e p p e mossero g u e r r a ai dazi, ma solo a quelli interni. Quelli esterni li rafforzarono, p e r c h é la loro concezione restava mercantilista, cioè autarchica. E q u i n d i l'industria milanese g o d e t t e , d e n t r o i confini d e l l ' I m p e r o , di u n a posizione quasi di m o n o p o l i o . Infine, la legislazione del lavoro. I n q u e s t o c a m p o , l o Stato m e r c a n t i l i s t a e r a , c o m e dice S o m b a r t , s p i e t a t o . Esso e q u i p a r a v a i v a g a b o n d i ai delinq u e n t i spingendoli così ad a r r u o l a r s i nelle fabbriche; dettava n o n i m i n i m i , ma i massimi delle r e t r i b u z i o n i in m o d o da c o n t e n e r l e sul livello più basso; fissava la giornata lavorativa p r o t r a e n d o l a dall'alba al t r a m o n t o ; e proibiva le associazioni dei lavoratori. I n s o m m a , spianava la strada al capitalismo più sfrenato. I risultati economici furono eccellenti. Le basse mercedi del lavoro, specie in u n ' e p o c a in cui le macchine e r a n o ancora r u d i m e n t a l i e q u i n d i il lavoro era la «voce» che più incideva sul costo del p r o d o t t o , consentirono agl'imprenditori grossi profitti, q u i n d i grossi accumuli di capitale e grossi investimenti. Ma le cose s'ingarbugliarono sul piano sociale. I lavoratori n o n l a m e n t a v a n o soltanto i bassi salari e l'orario spossante. L a m e n t a v a n o a n c h e , e forse di più, quello che oggi si c h i a m e r e b b e «il processo di alienazione». Da secoli e r a n o abituati alla piccola i n d u s t r i a artigiana basata su t u t t ' a l t r a organizzazione. Essa gli consentiva di l a v o r a r e a casa, d o p o un c e r t o n u m e r o di a n n i li p r o m u o v e v a «mae502
stri», e insomma gli garantiva u n a carriera sicura, il cui concime era p i ù l'anzianità che l'efficienza. La corporazione difendeva i loro diritti e le loro p a g h e , e li metteva al r i p a r o dalla c o n c o r r e n z a i m p e d e n d o l'assunzione di m a n o d o p e r a che n o n fosse iscritta nelle sue chiuse liste. Essi si sentivano quindi protetti come d e n t r o u n a patriarcale famiglia, in cui la solidarietà sovente trascendeva nell'omertà. Questa famiglia fu distrutta dallo stabilimento, d e n t r o i cui c a p a n n o n i gli o p e r a i si sentirono improvvisamente orfani e alla mercé d ' i m p r e n d i t o r i e di dirigenti con cui n o n potevano stabilire quei r a p p o r t i diretti e u m a n i che avevano avuto col vecchio «maestro». Le d e s a u t o r a t e corporazioni a p p r o fittarono subito del loro disagio p e r cercar di r i p r e n d e r e il sopravvento sui lavoratori aizzandoli alla ribellione. Siccome la legge proibiva lo sciopero, si ricorse a sabotaggi e boicottaggi. I l l i c e n z i a m e n t o n o n e r a t e m u t o p e r c h é i n q u e l proliferìo di fabbriche il bisogno di m a n o d o p e r a era in continuo a u m e n t o . Il g o v e r n o ricorse a decreti d r a c o n i a n i che però rivelarono subito la loro inefficacia. La fabbrica aveva creato il «proletariato». E a q u e s t o p r o l e t a r i a t o n o n c'era legge che potesse i m p e d i r e di riconoscersi tale e di organizzarsi. È in q u e s t i a n n i c h e nasce il « m o v i m e n t o o p e r a i o » . La sua p r i m a manifestazione fu un a m m u t i n a m e n t o nel g r a n de lanificio Guaita di C o m o . G l ' i m p r e n d i t o r i r e c l a m a r o n o processi e g a l e r e . Le l o r o p r o p o s t e , t r a s m e s s e al Supremo Consiglio di economia, passarono p e r le m a n i del Beccaria che le bocciò. Egli si recò sul posto, parlò ai ribelli, ne sedò i furori, e stese u n a relazione in cui additava nel negoziato l'unico m e t o d o p e r p r e v e n i r e i conflitti. Le sue conclusioni erano sacrosante, ma p r e m a t u r e . Sia la classe p a d r o n a l e che quella o p e r a i a e r a n o t r o p p o a c e r b e p e r c o m p r e n d e r n e l a saggezza. Il c o n t r a s t o c h e t u t t o r a le divide in Italia è così acuto, p e r c h é fin d'allora il r a p p o r t o fu male i m p o s t a t o . A u n capitalismo r e t r i v o c o r r i s p o n d e s e m p r e u n socialismo massimalista, e viceversa. 503
Quello che abbiamo tracciato n o n è n a t u r a l m e n t e il q u a d r o ! della L o m b a r d i a , ma soltanto un s o m m a r i o abbozzo. E non 1 v o r r e m m o c h e il l e t t o r e ne fosse fuorviato fino a farsene i u n ' i d e a tutta e soltanto in rosa. La seconda m e t à del S e t t e - 1 c e n t o n o n fu, p e r Milano, l'età dell'oro. N o n t u t t e le rifor,- i me i n t r o d o t t e dall'Austria a n d a r o n o a s e g n o . Per q u a n t o f notevole, il processo di sviluppo capitalistico seguitava a trovare sulla sua strada parecchi intralci. La nobiltà che vi diede il p r i m o impulso n o n e r a del tutto guarita dal vizio spa- ! gnolesco del fasto che seguitava ad assorbire g r a n p a r t e delle s u e r e n d i t e r i d u c e n d o il r i s p a r m i o e q u i n d i gl'investi- • m e n t i . Di questi ultimi, all'agricoltura seguitava ad essere ' destinata un'aliquota t r o p p o grossa, che lasciava scarso mar- gine all'industria. Il protezionismo, g a r a n t e n d o il mercato, n o n invogliava a migliorìe tecniche c h e m e t t e s s e r o la p r ò * d u z i o n e l o m b a r d a i n g r a d o d i c o m p e t e r e c o n quelle strar n i e r e , bloccate al confine dalla d o g a n a . Q u e s t a dava all'in*- v dustria l o m b a r d a u n a posizione di privilegio all'interno delv l ' I m p e r o , ma la isolava dal resto d ' E u r o p a , e creava in ess^, la b r u t t a vocazione ai m o n o p o l i . 'ià Nel c o n t a d o la crisi della mezzadria provocò gravi scorn-ì quassi e la nascita di un p r o l e t a r i a t o a g r a r i o in condizioni, a n c o r a più lamentevoli di quello operaio. Le riforme eccle-; siastiche che avrebbero dovuto r i d u r r e il n u m e r o dei religiosi, le loro inframettenze e il loro parassitismo i n c o n t r a r o n o grosse resistenze a n c h e d a p a r t e d i u n ' o p i n i o n e pubblicai;' molto più a r r e t r a t a dei governanti. I b e n i del clero, i cui tito> li d a t a v a n o da p r i m a del 1575, r i m a s e r o esenti da tasse!quelli di titolo posteriore, colpiti solo a metà. Molti conventt v e n n e r o aboliti, e i compiti di beneficenza e di cultura ch'esr • si m a l a m e n t e assolvevano f u r o n o assunti dallo Stato eh©;' p e r ò n o n li assolse molto meglio. La censura fu tolta ai preti* . ma rimase, e dei civili che la esercitavano il Verri diceva: «Sor no così cretini che fanno r i m p i a n g e r e i frati domenicani!» s T u t t a v i a il p a n o r a m a è l a r g a m e n t e positivo, specie $e. r a p p o r t a t o al resto della penisola. Q u e s t a L o m b a r d i a borei ;
1
1
;
s
504
ghese, e a p p u n t o p e r c h é tale, era l'unica r e g i o n e italiana in cui si respirasse aria d ' E u r o p a . C o m e funzionava, filtrato da un p o t e n t e e b e n articolato ceto m e d i o , il r i c a m b i o delle classi, così funzionava la circolazione delle idee. Il loro raggio e r a limitato ai salotti e alle A c c a d e m i e . Ma sulle a l t r e sonnacchiose città della penisola, Milano faceva spicco p e r le sue vibrazioni. In q u e s t o secolo dei «lumi», essa fu la p r i m a a illuminars i a n c h e m a t e r i a l m e n t e , con u n sistema d i l a m p a d e (ad olio, s'intende) sospese, c h e d i e d e r o il via a u n a c e r t a vita n o t t u r n a . Così c o m e fu la p r i m a ad a d o t t a r e la n u m e r a z i o ne delle case. Fin allora, orientarvisi e r a stata u n a scienza di specialisti. Il Valsecchi ha ripescato l'indirizzo di un m e dico così c o n c e p i t o : «Giù dal p o n t e di San Celso, l u n g o il naviglio alla diritta, la p e n u l t i m a p o r t a p r i m a d ' a r r i v a r e al m o n a s t e r o della Vecchiabbia». P e r c h é n e a n c h e l e s t r a d e avevano n o m e , m e n o le p o c h e che lo derivavano da chiese o da altre particolarità locali: O l m e t t o , Poslaghetto, Passerella eccetera. Alla base di questo progresso c'era n o n soltanto lo svilupp o e c o n o m i c o , m a a n c h e quello c u l t u r a l e c h e d e l r e s t o s i condizionavano a vicenda. L'istruzione e r a a n c o r a un'esclusiva dei p r e t i che, a v e n d o n e d e t e n u t o da s e m p r e il m o n o polio, e r a n o gli unici c h e d i s p o n e v a n o di p e r s o n a l e insegnante. Ma G i u s e p p e II riuscì a statizzare la scuola elementare e a i n t r o d u r v i nuovi metodi didattici basati n o n più sulla frusta e l'autorità, ma sulla p e r s u a s i o n e e la dolcezza: un riflesso delle idee di Rousseau. Q u a n t o all'Università, Pavia dovette s p a r t i r n e il m o n o p o l i o con Milano le cui Scuole Palatine furono organizzate con criteri p i ù m o d e r n i . Sin da questo m o m e n t o la cultura l o m b a r d a si orienta in un senso assai diverso da quello di tutto il resto della p e n i sola, eccettuata la Toscana che molto le somigliò. L u n g i dall'isolarsi negli studi umanistici rimasticandone i vecchi schemi, cercò i contatti con la vita m o d e r n a e ne accolse le esigenze. Essa c o m p r e s e la rivoluzione industriale e rispose al505
le sue sollecitazioni. C o n c r e t e z z a e praticità f u r o n o le sue caratteristiche. Invece di ripudiarla c o m e un sottoprodotto, essa sposò la Tecnica, se ne n u t r ì e la n u t r ì . Lo si vide dalle Accademie. Anche Milano ebbe le sue, ma di un tipo speciale. Quella dei Cavalieri, fondata dall'Archinti, ricalcava la consorella fiorentina del Cimento, allineando accanto ai libri un nutrito repertorio di strumenti di sperimentazione. Vi si discuteva di filosofia, ma a n c h e di meccanica e di scienze naturali. Più tardi, su ispirazione dello stesso governo, fu istituita u n a Società patriottica, di cui dice il Vianello: «Se al principio del secolo, le Accademie s'erano dilettate di c o r o n a r i in o n o r e di u n a cagnolina o di cicalate sui fichi, i principali temi trattati dalla Società furono i seguenti: sui rimedi contro il contagio nei gelsi, sulla coltivazione delle brughiere, sul miglioramento della p r o d u z i o n e dei vini, sui parassiti delle viti, sulla natura e sui rimedi della pellagra...»: gli stessi temi dei Georgofili fiorentini. Ed è significativo che a Milano abortisse il tentativo c o m p i u t o da un p a d r e somasco d'impiantarvi u n a succursale dell'Arcadia, questa maledizione della c u l t u r a italiana, deposito e incubatrice del p i ù falso, convenzionale, tarmato e maleodorante lctteratume. Della più famosa di queste conventicole, la Società dei Pugili, d i r e m o a p r o p o s i t o del Verri e del Beccaria. Ma n o n si p u ò c h i u d e r e questo s o m m a r i o c e n n o alla vita milanese senza r i f e r i r n e l ' a v v e n i m e n t o p r i n c i p a l e : la nascita di quello ch'era destinato a diventare e a restare fino ai nostri giorni, nella considerazione di tutto il m o n d o , il sacro t e m p i o della lirica e del m e l o d r a m m a . C o m e in t u t t e le altre g r a n d i città d e l l ' I m p e r o , a n c h e a Milano c ' e r a un T e a t r o di C o r t e . Ma n e l febbraio del '76 b r u c i ò , e i milanesi chiesero di p o t e r n e c o s t r u i r e un altro. Maria Teresa autorizzò la concessione di u n ' a r e a p e r il n u o vo locale, ma n o n di un soldo p e r la sua c o s t r u z i o n e . Ma q u a n d o in maggio vide il bozzetto dell'architetto Piermarini se n'entusiasmò al p u n t o che mise a carico dello Stato il tetto e gli esterni. 506
In un a n n o e mezzo i lavori furono condotti a t e r m i n e . Il teatro prese il suo n o m e da quello della chiesa di Santa Maria della Scala nella cui area sorgeva. E p r i m a ancora che s'inaugurasse, e r a già diventato celebre in tutta E u r o p a p e r la sua stupefacente acustica. Era costato grossi sacrifici al p o vero c o n t r i b u e n t e milanese. Ma n e s s u n o li rimpianse q u a n do, u n a sera d'agosto, i battenti si a p r i r o n o , e l'orchestra attaccò il p r e l u d i o d e l l ' a u r o r a riconosciuta, o p e r a del m a e s t r o Salieri composta su libretto dell'abate Mattia Verazi. Il locale, si capisce, n o n aveva il fasto e l'eleganza di quello d'oggi. All'illuminazione p r o v v e d e v a n o solo d u e l a m p a de a olio che n a t u r a l m e n t e n o n i l l u m i n a v a n o nulla, ma in c o m p e n s o a p p e s t a v a n o l ' a m b i e n t e col l o r o fumo p e r c h é non avevano n e a n c h e il tubo di vetro. Per dargli sfogo, s'era dovuto lasciare dei buchi nel tetto. Siccome era estate, nessuno p r e s e raffreddori. Ma d ' i n v e r n o , sembrava d ' e n t r a r e in u n a ghiacciaia. Solo nel ridotto c'era u n a stufa, su cui negl'intervalli tutti si avventavano p e r r i m e t t e r e in circolazione il sangue intirizzito. Malgrado queste deficienze, la Scala diventò subito il Foro, la vetrina e il salotto della m o n d a n i t à milanese. A d a r l e il tono e r a n o n a t u r a l m e n t e i palchi, di cui e r a n o titolari le famiglie nobili. Esteriormente, e r a n o tutti uguali. Ma o g n u n o recava sulla balaustra lo s t e m m a gentilizio, e la decorazione i n t e r n a e r a lasciata al g u s t o e al capriccio d e l l ' i n q u i l i n o . Questi vi si c o m p o r t a v a c o m e in un suo a p p a r t a m e n t o privato organizzandovi cene, partite a carte, e a n c h e altre cose m e n o confessabili. A p r o t e g g e r n e la privatezza c ' e r a u n a tenda, che di solito veniva a p e r t a solo al m o m e n t o della rom a n z a o della «cavatina», poi si r i c h i u d e v a . Per la Milano del Settecento il palco della Scala fu quello c h e p e r Parigi era il salotto: il p u n t o d ' i n c o n t r o fra m o n d a n i t à e c u l t u r a , fra politici e intellettuali. Q u i , fra un intermezzo e un do di petto, il Parini d a v a in a n t e p r i m a q u a l c h e saggio d e i suoi versi, q u i i Verri e il Beccaria, con u n o scaldino in m a n o , mettevano a p u n t o gli articoli p e r il Caffè, qui si discutevano 507
le riforme, si p r o p a l a v a n o i pettegolezzi, qui scoppiavano i litigi e si p r e p a r a v a n o i duelli. Ecco p e r c h é Milano è ancora così v i s c e r a l m e n t e attaccata al suo t e a t r o : esso è p a r t e che p a r t e ! - della sua storia. Il suo settore più pittoresco era la platea, gremita di «sedie volanti» e di c a n a p è a d u e o a tre posti, e capace di circa 700 p e r s o n e . U n a grossa a l i q u o t a e r a riservata alle cosiddette Cappe nere, i servitori dei palchettisti, p r o n t i ad accorr e r e a un c e n n o del loro signore m a g a r i p e r a g g r e d i r n e un altro. Essi c o n s i d e r a v a n o l'ingresso g r a t u i t o un loro sacrosanto diritto, e nessun i m p r e s a r i o riuscì mai a fargli pagare il biglietto a n c h e p e r c h é fra di l o r o c ' e r a n o i segugi delle p e r s o n a l i t à del g o v e r n o della cui a u t o r i t à si sentivano anch'essi investiti. In Italia la figura del «portoghese» era già istituzionalizzata. La cosa m e n o i m p o r t a n t e di questo t e m p i o della musica e r a la musica, c o m p l e t a m e n t e sopraffatta dai r u m o r i della sala. S t e n d h a l racconta che u n ' o p e r a dovett'essere sospesa p e r dieci minuti p e r c h é un alterco scoppiato in un palco per cause di giuoco n o n p e r m e t t e v a n e m m e n o al direttore d'orchestra di sentire le voci dei cantanti. Costoro si comportavano esattamente come il pubblico. Spesso fingevano di cantare m u o v e n d o la bocca e risparmiavano la voce p e r la cavatina, q u a n d o le t e n d e dei palchi si aprivano e p e r un attimo il brusìo si quietava. Altrimenti fiutavano tabacco, discorrevano con gli spettatori, litigavano con l'orchestra. E r a n o talm e n t e capricciosi e bizzosi che g l ' i m p r e s a r i a v e v a n o fatto c o s t r u i r e sotto il palcoscenico un c a m e r i n o - p r i g i o n e p e r 1 p i ù agitati. Quest'aria tra di fiera e di bazar sconcertava gli stranieri. Scrive De Brosses: «La p l a t e a è pazza o u b r i a c a , o l'una e l'altra cosa insieme: n e m m e n o al mercato si fa tanto chiasso. N o n basta che o g n u n o faccia conversazione g r i d a n d o a perdifiato e saluti con urli i c a n t a n t i q u a n d o si p r e s e n t a n o e m e n t r e c a n t a n o , senza ascoltarli. N o , i signori della platea e s p r i m o n o la l o r o a m m i r a z i o n e p i c c h i a n d o i l o r o bastoni e
508
u i b a n c h i . E a q u e s t o s e g n a l e , gli s p e t t a t o r i del l o g g i o n e lanciano milioni di fogli stampati con sonetti di lode del virtuoso o della virtuosa». Il baccano era tale che molto spesso i palchettisti dalle t e n d i n e abbassate n o n si accorgevano della fine dello spettacolo. E r a n o gl'inservienti che gliel'annunziavano b u s s a n d o alla porta. Ma n o n tutti se ne d a v a n o p e r intesi. Stendhal dice che c'era a n c h e chi in palco ci dormiva, solo o in c o m p a g n i a . s
CAPITOLO TREDICESIMO
VENEZIA: I L D E C L I N O P O L I T I C O
«Noi n o n abbiamo più forze terrestri, n o n abbiamo più forze di m a r e , n o n a b b i a m o p i ù alleanze, viviamo alla m e r c é del destino e del caso, senz'altro pensiero che la prudenza.» Sono parole di Paolo Renier, u n o degli ultimi Dogi di Venezia, a conclusione di un secolo di fallimenti. Q u e s t o secolo - il Settecento - n o n era cominciato male p e r la Serenissima. P r o p r i o alla vigilia del Giubileo che lo i n a u g u r a v a (1699), la pace di Carlowitz, u n a delle tante treg u e d e l l ' e t e r n o conflitto coi T u r c h i , le aveva a s s e g n a t o la Morea, come allora si chiamava il Peloponneso, cioè il grosso della Grecia, Egina, Santa M a u r a , L e u c a d e , Zante. Q u e sti acquisti venivano ad a r r o t o n d a r e un p a t r i m o n i o già cospicuo: sulla terraferma, la b a n d i e r a col leone di San Marco sventolava su tutto il Veneto compresi il Friuli, Brescia, Berg a m o , Belluno, e su tutta la fascia costiera dirimpettaia d'Istria, Dalmazia e Albania fino a Corfù. Sia p u r e ridotto, era p u r s e m p r e un i m p e r o , da cui u n a città di 140 mila abitanti, q u a l e r a allora Venezia, p o t e v a t r a r r e sufficiente alimento economico e politico. P u r c h é , si capisce, la m e t r o p o l i fosse riuscita a organizzarlo. Venezia ci si p r o v ò . Forse d a p p r i n c i p i o ci si p r o v ò anche t r o p p o , c o n c e n t r a n d o s o p r a t t u t t o i suoi sforzi sul Peloponneso. La vecchia «culla della civiltà» n o n era mai stata florida, ma dai l u n g h i secoli della d o m i n a z i o n e o t t o m a n a emergeva i n condizioni a d d i r i t t u r a disastrose. L a c o n t r a d a a v r e b b e a v u t o b i s o g n o n o n soltanto della b u o n a a m m i n i strazione che Venezia tentò di darle (e in p a r t e ci riuscì), ma a n c h e di larghi investimenti che la strappassero alla sua con510
dizione di area depressa. Sebbene stremata dalla p r e c e d e n te g u e r r a di Creta, Venezia affrontò l'impegno. Ma p r o p r i o q u a n d o la sua o p e r a di r e d e n z i o n e cominciava a d a r e qualche frutto, i Turchi t o r n a r o n o alla riscossa. N e m m e n o d o p o Carlowitz le loro navi p i r a t e a v e v a n o d a t o t r e g u a a quelle veneziane. Nel 1714 la Serenissima ne catturò una, e i Turchi ne p r e s e r o pretesto p e r dichiararle g u e r r a . Venezia ne aveva affrontato il rischio p e r c h é n o n era sola. C o n t r o i Turchi già marciavano gli eserciti austriaci condotti dal g r a n d e E u g e n i o di Savoia. A questa c a m p a g n a abbiamo già accennato nel capitolo sull'Alberoni, che coi Turchi trescava p e r c h é gli tenessero lontana l'Austria dall'Italia e, q u a n d o si lasciavano b a t t e r e , li chiamava «bestiazze». Le occasioni p e r ripetere questa parola n o n gli m a n c a r o n o perché E u g e n i o passò di vittoria in vittoria, e a P e t e r v a r a d i n o riportò quella decisiva. Ma Venezia n o n riuscì ad approfittarne. La d i p l o m a z i a t u r c a la b a t t é sul t e m p o s t i p u l a n d o con Vienna un armistizio che p r a t i c a m e n t e isolava la Serenissima. Q u e s t a aveva già constatato la p r o p r i a i m p o t e n z a . Le sue flotte invecchiate e le sue sguarnite fortezze n o n erano riuscite a d i f e n d e r e i p u n t i - c h i a v e di C o r i n t o , Argo e Nauplia. I suoi r e s i d u i a v a m p o s t i di C r e t a - S u d a , Spinalonga, Santa M a u r a - n o n avevano ritrovato né un Bragadin né un Morosini, ed e r a n o caduti quasi senza resistenza. Sebbene t u t t o r a alleati del vincitore, i plenipotenziari di Venezia si sedettero al tavolo della pace a Passarowitz (1718) come i r a p p r e s e n t a n t i di u n a potenza sconfitta e senz'amici: l'Austria, o r m a i installata nel c u o r e dei Balcani, l'aveva abbandonata, anzi già cominciava a n o n vedere in essa che un ostacolo alle sue a m b i z i o n i di e g e m o n i a sull'Adriatico. E quindi, invece che a rifarsi delle p e r d i t e patite, l'aiutò a subirne delle altre. Passarowitz tolse a Venezia il P e l o p o n n e s o con t u t t e le isole dell'Egeo e fissò in m a n i e r a definitiva i limiti del suo residuo i m p e r o . Essa o t t e n n e qualche piccolo c o m p e n s o in Albania e Dalmazia; Corfù, a n c h e stavolta difesa con dispe511
r a t o i m p e g n o dall'assalto t u r c o , d i v e n n e il suo e s t r e m o a v a m p o s t o verso Sud e il M e d i t e r r a n e o . La gloriosa Dominante n o n d o m i n a v a più che l'Adriatico. Poteva a n c h ' e s s e r e un benefico r i d i m e n s i o n a m e n t o . Da q u a n d o la potenza o t t o m a n a si era affermata nel Mediterran e o orientale c h i u d e n d o n e tutti gli sbocchi, e le g r a n d i correnti del traffico marittimo si e r a n o spostate verso l'Atlantico e il M a r e del N o r d (i d u e a v v e n i m e n t i e r a n o stati quasi c o n t e m p o r a n e i e risalivano alla seconda m e t à del Quattrocento), il g r a n d e i m p e r o veneziano era diventato u n a p u r a finzione, che la Serenissima aveva t e n u t o in piedi con u n o sforzo logorante. Da oltre d u e secoli essa viveva al di sopra dei suoi mezzi. E in questo accanimento c'era, sì, un ammirevole orgoglio, ma a n c h e u n a certa cecità. O r a che il sogno si era definitivamente dileguato, Venezia poteva affrontare realisticamente la n u o v a situazione e adeguarvisi. In fondo, n o n e i a u n a situazione d i s p e r a t a . Davanti, Venezia aveva ancora un m a r e tutto suo, l'Adriatico; e alle spalle u n a vasta p r o v i n c i a , il Veneto, fra le p i ù floride, a l m e n o potenzialm e n t e , d'Italia. M a s a r e b b e occorsa u n a classe d i r i g e n t e n u o v a p e r c h é quella vecchia, legata a tutt'altra esperienza, n o n era in grado di affrontare i problemi che o r a si p r e s e n t a v a n o . Per farlo, n o n le m a n c a v a n o soltanto gl'istituti. Gliene mancava anche la mentalità. Osserviamo un p o ' meglio questo fenomeno in cui si c o m p e n d i a la crisi di Venezia. Il patriziato veneziano n o n era uniforme. Era anzi diviso in varie categorie, differenziate p e r blasone e censo. Però in c o m u n e esse avevano l'origine e la vocazione. Il patrizio ven e z i a n o n o n e r a u o m o d i t e r r a e d ' i n d u s t r i a c o m e quello fiorentino e l o m b a r d o , anzi t e n e v a q u e s t e attività in gran d i s p r e g i o . E r a u o m o di n a v e e di «fondaco», m a r i n a i o e m e r c a n t e , d u e qualità che quasi s e m p r e si c u m u l a v a n o nella stessa persona. Molti, come si suol dire, «non nascevano». D i v e n t a v a n o nobili grazie ai successi riportati p r i m a come capitani di navi altrui, poi di quelle p r o p r i e , e infine come 512
armatori di flotte, di cui e r a n o essi stessi gli ammiragli sia in pace c h e in g u e r r a , a n c h e p e r c h é fra q u e s t a e quella n o n c ' e r a n o n e t t e differenze: a n c h e q u a n d o n o n c'era g u e r r a g u e r r e g g i a t a , c'era s e m p r e quella di corsa, che t e n e v a com a n d a n t i e d e q u i p a g g i i n p e r p e t u o a l l e n a m e n t o militare. Ecco p e r c h é la m a r i n e r i a veneziana fu, fino al Morosini, invincibile: p e r c h é era tutta da g u e r r a , a n c h e quella m e r c a n tile, e composta di u o m i n i che passavano con la più g r a n d e disinvoltura dal pallottoliere al c a n n o n e e viceversa. I profitti di q u e s t o c o m m e r c i o a r m a t o , n a t u r a l m e n t e , e r a n o p r o p o r z i o n a t i ai rischi. Chi riusciva a sopravvivervi, si costruiva un palazzo e si dava alla politica, che r a p p r e s e n tava il p r e m i o del suo coraggio, della sua accortezza e anche, si capisce, della sua fortuna. Quali conseguenze ne d e rivassero, è facile capire. Anzitutto, u n a relativa onestà. La classe d i r i g e n t e veneziana n o n rubava p e r c h é era composta di u o m i n i che di arricchirsi n o n a v e v a n o b i s o g n o : vi a v e v a n o già p r o v v e d u t o prima. Secondo, la praticità. I suoi e s p o n e n t i p o r t a v a n o nella politica il frutto di un'esperienza i n t e n s a m e n t e vissuta, ed era questo che dava al g o v e r n o e all'amministrazione veneziana quel c a r a t t e r e c o n c r e t o e p r a g m a t i c o c h e ne fece un modello di efficienza, cui s'ispirarono gli stessi inglesi. Terzo, la coralità. Il p o t e r e e r a talmente ambito che, p e r evitare pericolose frustrazioni, bisognava assicurarne un bocconcino a tutti. Per tutti n a t u r a l m e n t e s'intende i nobili, p e r c h é la Costituzione e r a di m a r c a dichiaratamente e o s e r e m m o dire spud o r a t a m e n t e oligarchica, e solo ai nobili riconosceva la qualifica di «cittadini». Gli altri e r a n o «sudditi», e q u i n d i esclusi dai diritti politici. Ebbene, da un censimento del 1769 risulta che di nobili qualificati a c a r i c h e p u b b l i c h e ce n ' e r a n o 962; e di queste cariche, fra g r a n d i e piccole, 824. C o m e si e d e , la macchina statale di Venezia e r a c o n g e g n a t a in m o do da fornire q u a l c h e posto di c o m a n d o a tutti coloro che avevano i requisiti p e r aspirarvi. Ma tali requisiti restavano v
513
m o n o p o l i o di u n a sola c a t e g o r i a , che p e r di p i ù si veniva deteriorando. Q u e s t o f e n o m e n o e r a il frutto della sclerosi sociale e professionale. Finché Venezia era stata un i m p e r o in espansion e , la sua élite e r a rimasta a p e r t a . Essa assorbiva, facendoli nobili, tutti coloro che si distinguevano nella conquista milit a r e e c o m m e r c i a l e e che, c o m e a b b i a m o d e t t o , d o p o aver fatto dei traffici il loro mestiere, facevano del p o t e r e politico il loro p r e m i o di consolazione. Ma da q u a n d o e r a cominciata la crisi, ed essi avevano p e r s o le flotte, i noli e i mercati, la politica era diventata n o n p i ù il loro p r e m i o , ma la loro professione e industria. Ecco p e r c h é si accanivano tanto a d i f e n d e r n e l'esclusiva, c o m e s u c c e d e v a in t u t t o il resto d'Italia. Se essi riuscirono a m a n t e n e r l a più a l u n g o , fu perché avevano validi motivi p e r giustificarla: la difesa della laguna. C o m e abbiamo già spiegato ne LTtalia del Seicento (ma lo r i p e t i a m o p e r c h é il p r o b l e m a è p i ù che mai attuale), la lag u n a è u n a distesa d ' a c q u a mezzo dolce, mezzo salata, racchiusa fra la terraferma e il m a r e , da cui la s e p a r a n o alcuni tenui lidi di terra. Essa riposa su un equilibrio precario che, a b b a n d o n a t o a se stesso, n o n regge: o è la t e r r a che se l'app r o p r i a col limo dei fiumi che vi sboccano, o se la fagocita il m a r e r o m p e n d o gli s b a r r a m e n t i dei lidi. Abbiamo già detto come Venezia si salvò dal p r i m o di questi d u e pericoli dirott a n d o i tre fiumi - il Brenta, il Piave e il Sile - che sboccavano in laguna: faraonica i m p r e s a che destò la meraviglia del m o n d o ; e più tardi d i r e m o c o m e nel Settecento si salvò dalla s e c o n d a . Ma u n a cosa risulta c h i a r a : c h e Venezia, da q u a n d o è nata, ha s e m p r e d o v u t o d a r e il p r i m o posto, nella lista dei suoi problemi, a quello della sopravvivenza. Esso richiede un costante i n t e r v e n t o correttivo d e l l ' u o m o sul suo a m b i e n t e che, c o m e a b b i a m o d e t t o , a b b a n d o n a t o alla p r o p r i a n a t u r a l e evoluzione, sarebbe p r e s t o sovvertito. Di qui la necessità di a n t e p o r r e l'efficienza a qualsiasi altra esigenza e il prevalere, sugli s t r u m e n t i politici, di quelli tecnocrati514
l Venezia è un e s e m p i o di «pianificazione» avanti lettera. Nulla e r a a b b a n d o n a t o al caso o al capriccio degli u o m i n i , più che in m a n o al Doge, figura p u r a m e n t e r a p p r e s e n t a t i va, e ai suoi Consigli che si occupavano quasi esclusivamente di politica estera e militare, la vita della città e r a regolata dai «Savi» cioè dai tecnici fra i quali primeggiava quello «alle acque». Era i n s o m m a la l a g u n a che condizionava la politica interna veneziana, i m p o n e n d o l e un r e g i m e stabile e autoritario, capace d ' i n t e r v e n i r e con la massima p r o n t e z z a a difesa del suo delicato ambiente, e in cui l'idraulico contava più dell'ideologo. Bisogna riconoscere che a questi compiti operativi la classe dirigente veneziana fu pari a n c h e in questo secolo di decadenza. Q u a n d o essa si accorse che, d o p o la minaccia della terra sventata col d i r o t t a m e n t o dei t r e fiumi, si profilava quella del m a r e , l'affrontò senza lasciarsi s g o m e n t a r e da costi e difficoltà. La l a g u n a deve difendersi dal m a r e , ma n o n può farne a m e n o . Se esso n o n venisse a spazzarla con le sue quotidiane m a r e e , le acque lagunari i m p u t r i d i r e b b e r o e div e n t e r e b b e r o u n focolaio d'infezione. Venezia n o n p o t e v a quindi divorziarne s b a r r a n d o le tre bocche di p o r t o che all'Adriatico collegano la l a g u n a fra lido e lido. Doveva soltanto fare i n m o d o c h e l ' o n d a m a r i n a arrivasse i n l a g u n a senza carica esplosiva. Ma col passare del t e m p o i lidi si e r a n o indeboliti, e nei giorni di t e m p e s t a l'ondata li scavalcava scompaginandoli. I Savi decisero di metterli al r i p a r o di un a n t e m u r a l e che facesse da frangiflutti: i cosiddetti murazzi. Era u n ' o p e r a colossale p e r c h é si estendeva p e r quasi sei chilometri. Ma a stupirci n o n s o n o t a n t o le sue d i m e n s i o n i , q u a n t o la tecnica con cui v e n n e eseguita. I Savi si resero conto che n e a n c h e il murazzo avrebbe resistito se si fosse lasciato investire frontalmente, e perciò lo costruirono a scalini d i g r a d a n t i sotto la superficie dell'acqua in m o d o che l'onda arrivasse sulla p a r te e m e r g e n t e solo d o p o essersi r o t t a sui suoi g r a d i n i . N o n solo. Ma r i c o r s e r o a n c h e a un m a t e r i a l e speciale, la p i e t r a c
515
d ' I s t r i a , p e r c h é l ' e s p e r i e n z a gli aveva i n s e g n a t o che solo quella resisteva alla salsedine. L'impresa, iniziata nel 1744 fu p o r t a t a a t e r m i n e nel 1782. E ad essa deve la sua sopravvivenza, n o n soltanto Venezia, ma a n c h e la sua classe dirigente: la quale a n c h e in quel p e r i o d o di declino s e p p e fare più e meglio di q u a n t o sappia fare oggi lo Stato italiano. Altrettanto p e r ò n o n p u ò dirsi della sua sagacia e lungim i r a n z a politica. Abituata ad a m m i n i s t r a r e un i m p e r o , essa seguitava a c o n s i d e r a r e i p o s s e d i m e n t i di t e r r a f e r m a come altrettante colonie. N o n riusciva a concepirli c o m e qualcosa di organico che facesse c o r p o con la città. Per i governanti veneziani, la Repubblica di Venezia era soltanto Venezia. Il resto, sebbene inglobasse città vivaci, e c o n o m i c a m e n t e e cult u r a l m e n t e p r o g r e d i t e c o m e Padova, Treviso, Vicenza, Brescia, B e r g a m o , U d i n e , n o n e r a n o c h e t e r r e d i conquista, proconsolati. N e m m e n o col patrizio di t e r r a f e r m a , il patrizio veneziano si sentiva solidale. Lo trattava dall'alto in basso c o m e un p a r e n t e p o v e r o , anzi come un b a s t a r d o entrato p e r disgrazia in famiglia, e n o n gli riconosceva diritto di ammissione nel suo «Libro d'oro», l'albo della categoria nobiliare, riservato alle g r a n d i casate cittadine. Ci volle la falcidie della g u e r r a di Creta, dove i patrizi veneziani c a d d e r o a grappoli, p e r consentire a quelli di terraferma d'iscrivervi il loro n o m e . F u r o n o in c e n t o t r e n t a d u e a beneficiare di questo alto o n o r e . Ma o g n u n o di essi dovette g u a d a g n a r s e l o a suon di centomila ducati, u n a cifra che p o r t ò alcuni di loro al fallimento. Facciamo un salto di cento anni, e veniamo al 1775. Altri q u a r a n t a patrizi di t e r r a f e r m a sono ammessi al libro d ' o r o . La tariffa si è dimezzata. Ma dieci soli accettano di pagarla. Il libro d ' o r o ha p e r s o il suo fascino nella stessa misura in cui Venezia sta p e r d e n d o il suo peso. Il motivo f o n d a m e n t a l e è quello economico. «A Venezia n o n a r r i v a n o - scrive di questi t e m p i M o n t e s q u i e u - che u n a v e n t i n a di vascelli francesi, e la m a g g i o r p a r t e sono a nolo. Si trasporta a Venezia un p o ' di zucchero dalle isole e se n'esporta un p o ' di f r u m e n t o . Q u e s t o pressappoco è tut516
io il c o m m e r c i o c h e vi si fa.» M o n t e s q u i e u e s a g e r a v a : la realtà era un p o ' m e n o catastrofica di c o m e lui la descriveva. Ma di catastrofe si trattava. N o n era tanto il n u m e r o dei vascelli ch'era diminuito, q u a n t o la destinazione dei loro carichi c h ' e r a mutata. Un t e m p o essi si fermavano a Venezia, che ne r a p p r e s e n t a v a il g r a n d e «mercato» dove affluivano trafficanti di tutte le nazioni. O r a i carichi, a p p e n a sbarcati, p r e n d e v a n o i m m e d i a t a m e n t e la via di Padova, di Verona, di Vicenza. Solo il «fondaco dei tedeschi» vi m a n t e n e v a i suoi magazzini e uffici: tutti gli altri e r a n o emigrati. Venezia era diventata soltanto il p o r t o , lo sbocco al m a r e del suo territorio. E lo dicevano i censimenti. Nel 1760 la città contava ancora 150 mila abitanti. T r e n t ' a n n i d o p o e r a n o r i d o t t i a 135 mila. E m i g r a v a n o p e r disoccupazione. I «Savi alla Mercanzia» istituiti apposta p e r p a r a r e a questo salasso, facevano quel che p o t e v a n o , anzi si p u ò dire che, dopo quella della laguna, la difesa del c o m m e r c i o fu il m a g giore assillo dei g o v e r n a n t i veneziani, c o m ' e r a logico visto ch'erano tutti di origine mercantile. Ridussero quasi a zero le tariffe doganali, un t e m p o fra i maggiori introiti dello Stato. Scesero ad accordi umilianti coi Bey di Tunisi e di Algeri per m e t t e r e le loro navi al r i p a r o dagli attacchi dei pirati e renderle così più appetitose ai noleggiatori forestieri. Aprirono agenzie a Cadice e a Lisbona. Offrirono fondachi gratuiti all'Inghilterra, alla Danimarca, alla Russia. Si g e t t a r o no nella d i s p e n d i o s i s s i m a c o s t r u z i o n e di u n a carrozzabile per il T i r o l o e di u n ' a l t r a p e r i Grigioni. Ma e r a u n ' a z i o n e impostata più sui rimpianti che sulla realtà. Venezia n o n era più né più poteva ridiventare il centro di un g r a n d e i m p e r o coloniale, qual e r a stata: l'Austria che le incombeva addosso da tutte le parti di terra, e i Turchi che le sbarravano il Med i t e r r a n e o , gliel'impedivano. Poteva essere solo la capitale di u n o Stato v e n e t o . Ma ci voleva lo Stato. E Venezia n o n seppe c r e a r l o p e r c h é la sua classe d i r i g e n t e n o n v e d e v a e non capiva che Venezia. Q u e s t o limite si rivelò nel fallimento delle riforme eco517
n o m i c h e . Venezia n o n s'intendeva d'industrie p e r c h é di suo n e aveva s e m p r e a v u t e p o c h e , e q u e s t e p o c h e n o n erano che artigianato di lusso c o m e i vetri di M u r a n o . Ma nel Veneto u n o sviluppo industriale c'era stato. I tessuti di Vicenza, di Padova, di Belluno, così c o m e le a r m i di Brescia, ora che avevano perso i mercati orientali, avrebbero p o t u t o cerc a r n e degli altri in Austria, in G e r m a n i a , in Svizzera. Ma questo avrebbe necessitato d u e cose: anzitutto u n a liberalizzazione degli scambi che Venezia, f e r m a m e n t e a n c o r a t a ai p r i n c ì p i mercantilisti, rifiutava; e p p o i lo s m a n t e l l a m e n t o delle b a r d a t u r e corporative che rarefacevano la m a n o d o p e ra t e n e n d o n e alti i salari e i m p e d i v a n o l'assunzione di tecnici s t r a n i e r i p i ù a g g i o r n a t i . E q u e s t o , Venezia n o n poteva consentirlo p e r c h é la corporazione serviva alla sua classe dir i g e n t e p e r c o n t e n t a r e quelle lavoratrici g a r a n t e n d o loro l'esclusiva del «mestiere» e svogliarle da ogni rivendicazione politica che mettesse in pericolo il suo m o n o p o l i o . I Savi fecero qualche timido tentativo di liberare l'industria dai controlli che l'inceppavano. Ma n o n e b b e r o il coraggio di cond u r l o a t e r m i n e , e così finirono p e r r o v i n a r e a n c h e coloro che volevano p r o t e g g e r e . Già al principio del secolo Murano e r a in crisi: Venezia n o n aveva p i ù quella cosmopolita clientela ch'era stata la m a g g i o r e acquirente dei suoi preziosi vetri. E molti artigiani, rimasti senza lavoro, emigravano in Francia e in I n g h i l t e r r a che così s ' i m p a d r o n i v a n o dei loro segreti. A n c h e la Toscana ne ospitò q u a l c u n o e diede avvìo a u n a sua p r o p r i a p r o d u z i o n e . Ma forse la b o c c i a t u r a p i ù clamorosa il patriziato veneziano la subì nel c a m p o dell'agricoltura. Da q u a n d o i traffici si e r a n o contratti, i nobili della Serenissima avevano cominciato a investire i loro capitali in t e r r e dell'interno. Ma senza portarvi n e s s u n o spirito i m p r e n d i t o r i a l e p e r c h é di terra n o n si e r a n o mai intesi. Le ville che vi si costruirono erano s p l e n d i d e . Ma n o n a v e v a n o né la r o n z a n t e operosità della «cascina» l o m b a r d a , già d i v e n t a t a u n a piccola i n d u s t r i a di t r a s f o r m a z i o n e , né la severità a m m i n i s t r a t i v a della «fatto518
ja» toscana coi suoi magazzini e c a n t i n e . E r a n o ville e basta. Nei loro viali decorati di statue e allietati da fontane, il patrizio v e n e z i a n o passeggiava coi suoi p a r i p a r l a n d o n o n di fieno e di concimi o di latte e di formaggi, ma di Stato, di Gran Consiglio, di Senato, di diplomazia. Di t e r r a n o n s'interessava. L'aveva c o m p r a t a p e r c h é altro n o n gli restava in cui investire i suoi soldi, veniva a passarci qualche m e s e l'anno, ma n o n si occupava della sua gestione. La dava in a p palto a degli affittuari che gli garantivano un certo c à n o n e , e che se ne rivalevano sui salari dei braccianti. Questo f e n o m e n o di conversione sbagliata alla t e r r a n o n era di piccole p r o p o r z i o n i . Nel 1740 risultava che il p a t r i ziato v e n e z i a n o si e r a a c c a p a r r a t o il c i n q u a n t a p e r c e n t o delle p r o p r i e t à di t e r r a f e r m a . E cosa p o t e s s e r i s u l t a r e da una miscela di p r o p r i e t a r i assenteisti, di fittavoli rapaci e di braccianti sfruttati, ci vuol poco a capirlo: un'agricoltura di rapina, refrattaria a bonifiche di fondo e a migliorie a l u n g a scadenza. Trasferitosi sulla t e r r a , l'antico m e r c a n t e - a m m i r a glio veneziano, che aveva sbalordito il m o n d o col suo coraggio, con la sua iniziativa, con la sua i n t r a p r e n d e n z a , si e r a trasformato in un p i g r o e assenteista redditiero. N a t u r a l m e n t e , p i ù le sue r e n d i t e d i m i n u i v a n o (e c o n quei criteri amministrativi dovevano d i m i n u i r e a vista d'occhio), più cresceva la sua cupidigia di posti di p o t e r e politico e la tentazione di sfruttarli c o m e licenze di saccheggio del pubblico d e n a r o . La classe dirigente si c o r r o m p e v a . La corruzione a n d a v a a scapito del suo prestigio. E la situazione interna ne risentiva. Il malcontento cominciò a f e r m e n t a r e , e di converso s'irrigidirono le resistenze dell'autorità. C o m e t u t t e le oligarchie, quella veneziana aveva s e m p r e avuto u n a polizia efficientissima. Essa faceva c a p o a u n o speciale Consiglio, il «Consiglio dei Dieci» istituito fin dal 1310, al cui spionaggio non sfuggiva n u l l a . F i n c h é la S e r e n i s s i m a e r a stata u n a grande potenza, q u e s t ' o r g a n o aveva assolto i compiti di un servizio d'informazioni p e r la sicurezza dello Stato vaglianr
519
do i r a p p o r t i dei suoi agenti all'estero e t e n e n d o sotto co trollo gli stranieri e i cittadini che con essi avevano contati Ma da q u a n d o il r a n g o di Venezia e r a scaduto, lo spiona gio e r a diventato solo lo s t r u m e n t o di difesa della casta m i n a n t e . S p r e g i u d i c a t o e ciaccione, violava il domicilio dM cittadini, c o r r o m p e v a i servitori, apriva la corrispondenzay .seguiva persino le tresche a m o r o s e (Dio sa che archivi dovek va avere) p e r r i c a t t a r n e all'occorrenza i protagonisti. M a i ( suo fiscTalismo si esercitava s o p r a t t u t t o sugl'intellettuali, coirne al solito i più sensibili alle n u o v e idee in circolazione m o n d o e p r o n t i a d i v e n t a r n e il veicolo. La casta dominanti capiva che, p e r il suo m o n o p o l i o del p o t e r e , quelle idee er; n o dinamite. Ma la rivolta c o n t r o il r e g i m e poliziesco o r m a i incubavi Verso il 1780 d u e patrizi, Pisani e Contarini, d e n u n z i a r o n o p u b b l i c a m e n t e il sistema poliziesco. Forse all'origine del lì ro atto d'accusa c'erano a n c h e dei motivi personali. Essi apj p a r t e n e v a n o ai Barnabotti, c o m e si c h i a m a v a n o quei n o b d e c a d u t i e impoveriti cui lo Stato concedeva gratuitame; un alloggio nel q u a r t i e r e di San B a r n a b a . Ma q u e s t o noj toglie nulla al loro coraggio e alla nobiltà del loro i m p e g novatore. Essi p r o p o s e r o u n a serie di radicali riforme intesi alla revisione in senso democratico delle istituzioni, a misi re fiscali che attenuassero le sperequazioni economiche e la r i d u z i o n e del p o t e r e dei Dieci. Costoro esitarono pareì chio p r i m a di r e a g i r e : la p u b b l i c a o p i n i o n e aveva acco* con entusiasmo le p r o p o s t e dei d u e ribelli, e nei sestieri p< polari si respirava aria di sommossa. Ma q u a n d o la polizi; di sorpresa, fece sparire il Pisani nelle carceri di Verona e C o n t a r i n i in quelle di C à t t a r o , n e s s u n o si mosse. E quell nerzia dimostrò che, a furia di essere t e n u t a ai m a r g i n r d e k la vita politica, la popolazione veneziana vi aveva perso ogni interesse, ed e r a p r o n t a a subire qualsiasi sopraffazione. D ' a l t r o n d e , n o n p o t e v a e s s e r e d i v e r s a m e n t e , vista m a n c a n z a di u n a classe m e d i a in g r a d o di fornire dei qu< d r i a un m o v i m e n t o rivoluzionario, o a n c h e semplieem& 520
.riformista. Q u e l p o ' di b o r g h e s i a c h e si e r a f o r m a t a , e r a composta quasi esclusivamente di «statali», legatissimi alla classe d o m i n a n t e , di cui copiavano il costume e gli atteggiamene- Anch'essi a v e v a n o un libro, il Libro d'argento, in cui potevano essere iscritti solo i cittadini nati a Venezia, e p r o prietari di beni stabili. F o r m a v a n o la m e d i a e alta b u r o c r a zia, di cui d i f e n d e v a n o il m o n o p o l i o con lo stesso spirito di casta con cui i p a t r i z i d i f e n d e v a n o q u e l l o politico. L'altra borghesia, quella del c o m m e r c i o e delle professioni liberali, composta i n b u o n a p a r t e d i ebrei, e r a s c a d u t a d i n u m e r o , aveva p e r s o il p o t e r e economico col declinare di Venezia come centro mercantile, ed e r a tenuta dai Dieci sotto rigoroso controllo. I censimenti, anche se imprecisi, p a r l a n o chiaro. Verso la fine del secolo, su u n a p o p o l a z i o n e di 135 mila abitanti, si c o n t a v a n o o l t r e 23 mila m e n d i c a n t i e 13 mila servi. Il De Brosses vi a g g i u n g e cervelloticamente 60 mila g o n d o l i e r i , che invece e r a n o circa q u a t t r o m i l a . Ma è c h i a r o c h e t u t t o questo proletariato formava, con le famiglie, a l m e n o i quattro quinti della cittadinanza. E il b r a n d e l l o di classe m e d i a che ne a v a n z a v a n o n t r o v a v a in esso n e s s u n a eco alla sua ansia di riforme. Ecco a quale mummificazione della società aveva condotto il r e g i m e oligarchico da q u a n d o , finita la g r a n d e avventura imperiale di cui e r a stato senza d u b b i o il brillante artefice e protagonista, n o n aveva più b a d a t o che a d i f e n d e r e i privilegi della casta. Esso n o n aveva scavato soltanto un irreparabile solco nella popolazione dividendola in d u e categorie - i d o m i n a n t i e i d o m i n a t i , i p a d r o n i e i servi - senza ceti i n t e r m e d i né interessi in c o m u n e . Aveva a n c h e contribuito a e s t r a n i a r e s e m p r e p i ù Venezia dalle altre p r o v i n c e della Repubblica, dove invece il p o t e r e economico stava lentamente p a s s a n d o nelle m a n i di u n a borghesia più n u m e r o sa, attiva e sensibile alle idee di riforma. Q u e s t a classe n o n poteva intendersi col patriziato veneziano, che la considerava focolare e veicolo di pericolose ideologie. E a n c h e questo 521
i m p e d ì a Venezia di diventare un vero e p r o p r i o Stato. Am_ m a l a t a di r i m p i a n t i , essa seguitò a c o n s i d e r a r s i «la Dominante» e a trattare la terraferma c o m e u n a colonia. Gli effetti si v e d r a n n o alla fine del secolo, q u a n d o q u e s t a colonia spalancherà le p o r t e agli eserciti francesi e lascerà che la Repubblica della Serenissima venga cancellata con un tratto di p e n n a e r i d o t t a a sua volta a colonia, p r i m a della Francia, poi dell'Austria.
CAPITOLO QUATTORDICESIMO
VENEZIA: FASTO E FESTE
Quanto più stringeva i freni del suo controllo politico, tanto più questo r e g i m e poliziesco li allentava in fatto di costumi. Il fenomeno è tipico degli autoritarismi che nascono nel p u ritanismo e m u o i o n o nella dissolutezza, e del resto ha la sua logica: i piaceri c o m p e n s a n o l'oppressione e contribuiscono a sopportarla. La casta d o m i n a n t e veneziana ne fu un'eccellente dispensatrice e regista. «Tutto in questa città - scriveva Goudar - è spettacolo, divertimento e voluttà.» N e a n c h e la Roma di P e t r o n i o e la Bisanzio della d e c a d e n z a a v e v a n o avuto u n ' a g o n i a così festosa e fastosa. Il c a l e n d a r i o v e n e z i a n o e r a g r e m i t o di «ricorrenze», o g n u n a delle quali aveva il suo rituale: mai si era assistito a una così massiccia mobilitazione di Santi e di anniversari. Si cominciava a c a p o d a n n o , q u a n d o il D o g e a n d a v a in San Marco ad a d o r a r e il Santissimo, e n o n si sapeva chi dei d u e più guazzasse nei monili. Il 3 c'era la g r a n d e p a r a t a nella piazza, col Doge che incedeva in p a r a m e n t i di seta e di velluto, p r e c e d u t o dai t r o m b e t t i e r i con le chiarine d ' a r g e n t o , protetto da un parasole d ' o r o , e seguito dal clero e dalla n o biltà in alta u n i f o r m e . Le sue apparizioni si ripetevano p e r l'Epifania, p e r San Pietro Orseolo, p e r la traslazione di San Marco, p e r l ' A n n u n c i a z i o n e , e così via. Vesti, gesti, passi, movimenti: tutto e r a fatto p e r la platea che del resto rispondeva con corale entusiasmo. Le chiese n o n e r a n o p i ù chiese, ma teatri. O g n u n a di esse aveva il suo Santo, ogni Santo il suo anniversario, e ogni anniversario la sua processione, cui n o n soltanto i parrocchiani, ma tutta la città si sentiva tenuta a intervenire. 523
Ma lo spettacolo più g r a n d i o s o e r a lo Sposalizio del mare che la Signoria inscenava il giorno dell'Ascensione, la Sensa Celebrazione allegorica della p o t e n z a m a r i n a r a della Serenissima, essa aveva acquistato in sfarzo t u t t o ciò che aveva p e r s o in c o n t e n u t o . Stivata sulle g o n d o l e , tutta Venezia seguiva il favoloso Bucintoro con cui il Doge attraversava la lag u n a e, giunto all'imboccatura del p o r t o di S. Niccolò di Lid o , versava in m a r e un secchio di acqua b e n e d e t t a dal Patriarca e p r o n u n c i a v a le fatidiche parole: «Sposiamo te, mare nostro, in segno di vero e p e r p e t u o dominio». Il dominio n o n c'era più. Era rimasta la festa. «In tutti i Paesi d ' E u r o p a - scriveva a n c o r a G o u d a r - la follia del Carnevale d u r a pochi giorni; qui se ne gode le stravaganze sei mesi all'anno.» C o n quali accorgimenti di calendario i veneziani riuscissero a prolungarlo tanto, n o n sappiam o . Ma che ci riuscissero è un fatto. Il carnevale cominciava la prima domenica d'ottobre. Faceva pausa, o per meglio dire cedeva il passo alle ricorrenze intercalate fra il Natale e l'Epifania. R i p r e n d e v a fino alla Q u a r e s i m a . D o p o questa pausa imposta più dall'esaurimento fisico che dalla devozione, tornava a impazzare per la Fiera. E ogni pretesto, compresa l'elezione di qualche magistrato, era b u o n o p e r ravvivarlo. Più che u n a festa, era u n a t r e g u a che le a u t o r i t à civili e religiose a c c o r d a v a n o a l p o p o l o p e r fargli m e n o sentire l'oppressione e le ingiustizie di cui e r a vittima. Ne avevano bisogno a n c h e i nobili, che un ipocrita c o n f o r m i s m o obbligava t u t t o r a a u n a c e r t a a u s t e r i t à . Essi n o n p o t e v a n o p e r e s e m p i o f r e q u e n t a r e locali pubblici, né mostrarsi con donn e , così c o m e le loro s i g n o r e n o n p o t e v a n o a n d a r e in giro s e n z ' a c c o m p a g n a m e n t o di cavalier serventi e di valletti. Il carnevale liberava tutti da queste pastoie. Il tabarro - n e r a cappa, l u n g a fino ai piedi - e la bautta - fìtto velo che di sotto il tricorno ricadeva sulla faccia c o p r e n d o l a - parificavano ceti e sessi. C h e bastassero a n a s c o n d e r e l'identità, ne dubit i a m o . Ma e r a r e g o l a , da tutti s c r u p o l o s a m e n t e osservata, che n e s s u n o riconoscesse nessuno. 524
Facciamo p u r e u n a t a r a alle descrizioni c h e d i q u e s t a g r a n d e m o r a t o r i a ci sono p e r v e n u t e attraverso il t e a t r o , la letteratura, il memorialismo, n a t u r a l m e n t e sollecitati a lavorar di fantasia. Ma che il g e n e r a l e a n o n i m a t o si prestasse a ogni sorta di tresche e di licenze, n o n c'è dubbio. II palazzo patrizio n o n p o t e v a i m p e d i r e l'accesso a chi si p r e s e n t a s s e mascherato, e figuriamoci se i plebei n o n ne approfittavano per i r r o m p e r v i . Sotto il coperto della bautta, la m o n a c a p o teva uscire dal chiostro e la g r a n d e d a m a e n t r a r e in u n a taverna; e figuriamoci se vi rinunciavano. «Si v e d o n o - scriveva Pietro G i a n n o n e - d o n n e d'ogni ceto e condizione, sposate, nubili o vedove, frammischiarsi alle cortigiane, poiché la m a s c h e r a r e n d e tutti uguali, e n o n si d a n n o impudicizie alle quali esse n o n si a b b a n d o n i n o con chi le desideri, giovani o vecchi.» In queste folle p r o m i s c u e passavano saltellando i p e r s o naggi della «commedia dell'arte» nei loro tradizionali costumi: il «Mattacino» dal cappello p i u m a t o che lanciava gusci d'uovo pieni d'acque odorose, il «Brighella» con le sue brache bianche a b a n d e verdi, il «dottor Balanzone» con la sua toga n e r a , il sentenzioso «Magnifico» in z i m a r r a e corsetto rosso, il variopinto e gesticoloso «Arlecchino». O g n u n o p o teva essere quel che voleva: un pastore, u n a ninfa, un g u e r riero t a r t a r o . Casanova ne approfittava p e r essere tutto in u n a volta: s u o n a t o r e di violino, m a e s t r o di s c h e r m a , alchimista i n t e n t o a p r a t i c h e di magia, c o r r u t t o r e di m i n o r e n n i e r e d e n t o r e di prostitute. Anche lui avrà lavorato di fantasia nel resoconto di queste avventure. Ma un fondo di verità c'è di certo. L'immaginativa dei cattivi r o m a n z i e r i presta a questa Venezia settecentesca u n a cronaca n e r a folta di delitti. E falso. N o n o s t a n t e la m a s c h e r a e la pessima illuminazione che di notte r e n d e v a le strette e tortuose calli propizie agli agguati, la criminalità di Venezia, a detta dei visitatori stranieri, e r a la più bassa d'Italia. «Questa gente - scriveva L a l a n d e - n o n è i r r e q u i e t a né feroce, bensì gaia, mite, pacifica e facile da 525
trattare.» Secondo De Brosses, in m e d i a n o n si lamentavano più di q u a t t r o omicidi l'anno. Per le autorità, l'unica vera preoccupazione era il giuoco Tutti e r a n o contaminati da questo d è m o n e , che n o n si scatenava soltanto di carnevale. Secondo alcuni storici, esso era nel s a n g u e dei veneziani p e r via della loro vecchia abitudine al rischio. L ' a r m a t o r e - m e r c a n t e che, alla b a r r a della nave, partiva col suo carico affrontando rotte infestate dai pirati e di cui n o n conosceva o conosceva m a l e il tracciato, giuocava d ' a z z a r d o e ne aveva c o n t r a t t o il vizio. O r a che i mari gii e r a n o preclusi, lo sfogava al tavolo del casinò. Ce n ' e r a n o d o v u n q u e . Ma il p i ù celebre e r a il Ridotto. Il g o v e r n o Io teneva in vita p e r c h é e r a la sua più ricca fonte d'introiti. Ma alla fine si rese conto che, inghiottendo i patrim o n i della nobiltà, esso la indeboliva anche politicamente, e nel 1774 ne decretò la soppressione. Il rimedio si rivelò peggiore del male. «Tutti i veneziani - scrisse G o u d a r - sono caduti in u n a crisi d'ipocondria. I mercanti n o n riescono a vend e r e più nulla, i fabbricanti di m a s c h e r e sono alla fame, e i nobili B a r n a b o t t i , che m a n e g g i a v a n o le carte dieci o r e al giorno, h a n n o le mani atrofizzate. I vizi sono assolutamente necessari alla vita dello Stato.» I r i m e d i f u r o n o p r e s t o trovati. Visto c h e il Ridotto era abolito, t u t t o si t r a s f o r m ò in R i d o t t o : i salotti, i circoli, i caffè, le case delie c o r t i g i a n e . Il Ballarino così li descrive: «Vi si v e d o n o mescolati d a m e delle maggiori famiglie e miserabili d'infima estrazione. Il p r o c u r a t o r e Morosini e molti altri nobili signori vi si affiancano a u n a t u r b a infame. In ogni angolo si gioca di panfilo. Qualche d o n n a rimasta a corto di d e n a r o , p e r p o t e r c o n t i n u a r e a giocare e a divertirsi, si presta a p e r t a m e n t e al piacere di chi la vuole». Un giuoco era diventato a n c h e l'amore, o p e r meglio dire il sesso. A sentire certi memorialisti, specie nelle classi alt e n o n c'era p i ù u n m a t r i m o n i o d e g n o d i q u e s t o n o m e . P r e n d i a m o l a p u r e con beneficio d'inventario. Ma è indubbio che, a l e g g e r e le c r o n a c h e dell'epoca, risulta che certe 526
parole c o m e fedeltà, onore, virtù, sono scomparse dal vocabolario, c o m e s e m p r e succede q u a n d o l'amore diventa galanteria. Q u a l c u n o dice che fu colpa delle scarpe. Fino a quasi tutto il Seicento, le d a m e v e n e z i a n e n o n a v e v a n o conosciuto altra calzatura che gli zoccoli: sandali di legno che fermavano il piede con u n a striscia di cuoio, e le cui suole poggiavano su d u e s u p p o r t i alti a n c h e quindici o venti c e n t i m e t r i . Erano stati inventati al t e m p o in cui le calli, n o n a n c o r a lastricate, e r a n o p i e n e di mota e di p o z z a n g h e r e che solo su quei t r a m p o l i si p o t e v a n o a t t r a v e r s a r e senza sporcarsi. Ma anche d o p o la p a v i m e n t a z i o n e , le d o n n e e r a n o rimaste fedeli a quella m o d a p e r i ghiribizzi e le fantasie che consentiva. Al m u s e o civico se ne conservano d u e esemplari, u n o di q u a r a n t a t r e , l'altro di c i n q u a n t u n centimetri: segno che, di fronte a g l ' i m p e r a t i v i e alle bizze della m o d a , la d o n n a è sempre stata quell'animale conformista e senza cervello che conosciamo anche oggi. N a t u r a l m e n t e , a r r a m p i c a t e su quei trespoli n o n p o t e v a n o uscire s e n z ' a c c o m p a g n a m e n t o d i qualche famiglio che ve le sorreggesse. E questo toglieva loro ogni libertà di m o v i m e n t i , e q u i n d i a n c h e di a v v e n t u r e . Ma sulla fine del secolo a d o t t a r o n o la scarpetta di marocchino, o di laminato d'argento, o di broccato d'oro, che, affrancandole dal seguito, le liberava a n c h e dalla sorveglianza. E dalla libertà dei piedi nacque la libertà dei costumi. C o m e paradosso, possiamo accettarlo, ma solo come paradosso. La licenza e r a un frutto n o n delle scarpe, ma della c o r r u z i o n e che s e m p r e a c c o m p a g n a le società in d e c a d e n za. Ne e r a n o contaminati a n c h e i conventi che, a dire il vero, avevano smesso da un pezzo di essere le cittadelle della virtù. La società feudale rinata dalla Controriforma n o n tollerava la s u d d i v i s i o n e dei p a t r i m o n i . S e c o n d o il d i r i t t o di maggiorascato, l'intera eredità toccava al p r i m o g e n i t o , continuatore del n o m e . Le femmine, rimaste senza dote, se n o n t r o v a v a n o m a r i t o , d o v e v a n o farsi m o n a c h e . N o n s o r r e t t e dalla vocazione, n a t u r a l m e n t e esse si p i e g a v a n o malvolen527
tieri al sacrificio, e m o l t e o t t e n e v a n o che le regole conven" tuali fossero p e r loro a t t e n u a t e . Secondo un libello del tern*p o , esse ricevevano in p a r l a t o r i o i loro ganzi, di carnevale uscivano mascherate e scollate, e si servivano delle converse c o m e m e z z a n e delle l o r o tresche. De Brosses racconta che nel '37 scoppiò u n a rissa fra tre monasteri che si contende* vano l'onore di fornire u n ' a m a n t e al n u o v o N u n z i o Pontificio. Un t e m p o assolute p a d r o n e del mercato erotico, le corr tigiane o r a si l a m e n t a v a n o della sleale c o n c o r r e n z a e parecchie di esse c a m b i a r o n o mestiere. «Venezia - scriveva un vi* sitatore francese - n o n ha bordelli. Lo è.» Un riflesso di questi allentati costumi lo si coglie a n c h e nella p i t t u r a . Essa ha acquistato in grazia t u t t o ciò che ha p e r s o in grandezza. N o n ha p i ù il tocco, il piglio, il respiro dei Bellini, dei C a r p a c c i o , dei G i o r g i o n e , dei T i z i a n o , dei V e r o n e s e , dei T i n t o r e t t o . P u r c o n s e r v a n d o n e l'eccellenza tecnica, si è a d e g u a t a alle p i ù m o d e s t e d i m e n s i o n i di u n a ' società provinciale, che ha p e r s o il senso degli alti motivi e il gusto dei vasti orizzonti. Il Canaletto, il G u a r d i , il LongruV sono anch'essi g r a n d i maestri, ma di formato dialettale, c h e ' con minuziosa e affettuosa precisione si limitano a r e g i s t r a i re gli aspetti più m i n u t i e vernacoli della loro città. Il p i ù r a p p r e s e n t a t i v o fu il T i e p o l o che, p e r b r a v u r a d i : p e n n e l l o e ricchezza di fantasia, p u ò stare alla p a r i del l'ititoretto. Ma n o n p e r il n e r b o . La p i t t u r a p e r lui n o n fu mai né un p r o b l e m a né un t o r m e n t o . Si sente che ci si dedicava c o n u n a gioia t a n t o p i ù g r a n d e q u a n t o p i ù vaste e r a n o l e superfici che gli d a v a n o da d e c o r a r e . Le sue figure, che sia*' no d o n n e o M a d o n n e , Santi o guerrieri, briganti o cherubini, sprizzano b u o n a salute. Perfino i Cristi in croce trasudano gioia di vivere. La sensualità gli faceva v e d e r e tutto tur- ' gido, butirroso e d o r a t o . Anche i negri, sotto il suo pennello, s e m b r a n o dei b i o n d i passati all'henne. Era p r o p r i o il pittore di quella Venezia g a u d e n t e che, nel p r e s e n t i m e n t o deli naufragio, dava fondo alle sue cambuse. Felice in tutto, nel!-' la famiglia, negli adulteri, nella salute, nella carriera, Tiep©* ;
528
lo ne fu il p e r f e t t o i n t e r p r e t e . E fra le altre v e n t u r e , e b b e a n c h e quella d i n o n v e d e r l a f i n e d i q u e l suo v o l u t t u o s o m o n d o p e r c h é m o r ì nel 1770, o n o r a t o da tutti, g r a n d i e piccoli. Venezia e r a diventata la Mecca della p i t t u r a p e r c h é il governo accordava a quest'arte u n a particolare protezione. Esso aveva capito l ' i m p o r t a n z a del p a t r i m o n i o artistico, e fin dal secolo p r e c e d e n t e lo aveva in certo qual m o d o nazionalizzato v i e t a n d o n e a n c h e ai privati la vendita all'estero. Essi dovevano c o n s i d e r a r s i i d e p o s i t a r i , n o n i p r o p r i e t a r i delle loro gallerie e pinacoteche. N o n e r a u n a n o r m a codificata. Ma i d o m e n i c a n i di San Giovanni e Paolo furono minacciati di m o r t e se n o n r i m b o r s a v a n o i 18.000 ducati al m e r c a n t e che da essi aveva c o m p r a t o il «San Pietro Martire» del Tiziano. E q u a n d o - racconta il Molmenti - i G r i m a n i si accingevano a impaccare la statua di Marco A g r i p p a v e n d u t a sotto banco a un collezionista forestiero, ricevettero la visita di un Inquisitore che gli disse: «Il s u p r e m o tribunale, a v e n d o a p preso che il signor Marco sta p e r lasciare questa città, m'invia ad a u g u r a r g l i b u o n viaggio, così c o m e a Sua Eccellenza Grimani». L'Eccellenza capì e a n n u l l ò il contratto. Nel Settecento questa pratica protezionista si tradusse in legge, e così il p a t r i m o n i o artistico veneziano fu salvo. Ma il governo volle a n c h e arricchirlo, e p e r questo fece condizioni di favore agli artisti a p r e n d o p e r l o r o pubbliche accademie e i n c o r a g g i a n d o i privati a fare altrettanto. Si dipingeva d o v u n q u e , al chiuso e all'aperto, e d o v u n q u e si esponeva: al Ponte di Rialto, in C a m p o S a n Rocco, sulle M e r c e r i e . Il G u a r d i teneva le sue «personali» sotto le Procuratìe. Un'altra attività molto incoraggiata e r a la musica, consid e r a t a u n a specie di servizio di Stato c o m e la beneficenza. Q u a t t r o g r a n d i conservatori infatti n a c q u e r o c o m e «dipendenze» dei quattro g r a n d i ospedali cittadini. I violinisti, i clavicembalisti e i cantanti che ne ottenevano il d i p l o m a e r a n o scritturati a scatola chiusa dai g r a n d i teatri di Francia, Inghilterra e G e r m a n i a , tale era il credito di cui queste scuole 529
godevano in tutto il m o n d o . A Venezia venivano a farsi consacrare «maestri» i Tartini, i Porpora, gli Scarlatti. «Fra tutte le ouvertures che ho ascoltato - scriveva il G o u d a r -, trovo che solo un certo Vivaldi, veneziano, ha saputo e s p r i m e r e qualcosa di sinfonico.» E De Brosses: «A Venezia la musica è un'incredibile passione». Ne e r a n o p a r t e c i p i tutti: n o n soltanto i patrizi, che p r o f o n d e v a n o in concerti le loro ultime risorse, ma anche il popolino. C o m e d a p p e r t u t t o si dipingeva e si esponeva, così d a p p e r t u t t o si suonava e si cantava: motivi d ' o p e r a , oratori, canzoni popolari, sentimentali o ribalde. «Si canta nelle piazze - scrisse G o l d o n i -, nelle vie e sui canali; i bottegai m e n t r e v e n d o n o la loro mercanzia, gli o p e r a i m e n t r e lavor a n o , i gondolieri m e n t r e aspettano i clienti.» Forse gli unici luoghi in cui s u o n a r e e c a n t a r e n o n si sentiva e r a n o i teatri p e r via del b a c c a n o c h e facevano gli s p e t t a t o r i , i n t e n t i ad apostrofarsi da p l a t e a a l o g g i o n e , la moglie col cicisbeo, il m a r i t o con la c o r t i g i a n a , il barcaiolo con la s a r t i n a , in un volteggiare di vassoi coi sorbetti, le paste e i gotti di vino. La moglie di un ambasciatore veneziano a Parigi scriveva a u n a sua amica: «I teatri di qui sono m o l t o differenti dai nostri. Figuratevi che ci si va p e r stare zitti e ascoltare...» Dell'altro teatro, quello di prosa, che fa p a r t e di un rinn o v a m e n t o culturale n o n soltanto veneziano, d i r e m o a proposito di G o l d o n i e di Gozzi. Ma questa Venezia del Settec e n t o doveva essere d a v v e r o u n a città incantevole. E, p u r con tutti i loro difetti, bisogna a m m i r a r n e i governanti che, n o n p o t e n d o p i ù m a n t e n e r l a capitale d i u n i m p e r o , riuscivano a n c o r a a farne la capitale del piacere.
CAPITOLO QUINDICESIMO
GLI U L T I M I M E D I C I
Con Eltalia del Seicento abbiamo lasciato la Toscana nelle mani del più coscienzioso e rovinoso dei suoi G r a n d u c h i : Cosimo I I I . In u n a galleria come quella dei Medici, fornitrice di personaggi a tutto sbalzo sia p e r gusto e intelligenza che p e r canaglieria e dissipatezza, egli fa spicco solo p e r il suo squallore. D u e preoccupazioni lo d o m i n a v a n o fino all'ossessione: le fortune della casata e la salvezza dell'anima. Dell'anima, non s a p p i a m o che sorte le toccò. Della casata, fu il liquidatore. Forse fu a n c h e vittima di certe situazioni domestiche. L'aria che da r a g a z z o r e s p i r ò in famiglia n o n e r a delle p i ù adatte alla formazione di un c a r a t t e r e equilibrato. Suo padre, F e r d i n a n d o I I , era un s o v r a n o amabile, colto e p i e n o di calore u m a n o . Ma c o m e m a r i t o ed e d u c a t o r e , fu u n ' a u tentica disgrazia. La moglie Vittoria Della R o v e r e , d o n n a austera e autoritaria, subì un vero e p r o p r i o t r a u m a q u a n do, poco d o p o avergli d a t o il p r i m o figlio, Cosimo, lo sorprese fra le braccia di un paggio. In casa Medici i paggi erano s e m p r e stati di m o d a , ma Maria Vittoria n o n si rassegnò a quella c o n c o r r e n z a , ne fece un d r a m m a , e p e r a n n i si c o m p o r t ò d a v e d o v a d i u n o sposo vivo, c h e dal c a n t o suo non si lasciò t u r b a r e dalla rappresaglia e c o n t i n u ò nella sua vita di g a u d e n t e . Poi gli si riavvicinò q u a n t o bastava p e r dargli un secondo figlio: Francesco Maria. P r o b a b i l m e n t e su Cosimo influirono gli a m a r i u m o r i di quella m a d r e umiliata e frustrata, cui del resto molto somigliava di d e n t r o e di fuori. Il p a d r e poco si occupava di lui, tutto p r e s o c o m ' e r a dalle sue cacce, dalle sue feste e dalle 531
discussioni coi dotti dell'Accademia del C i m e n t o , di cui era l'alto p r o t e t t o r e . E forse fu p r o p r i o in reazione a questo atteggiamento p a t e r n o che il figlio sviluppò un carattere chiuso, diffidente, formalista e conformista. N o n ebbe giovinezza p e r c h é l'ultima volta c h e fu visto s o r r i d e r e fu q u a n d o aveva sedici anni. I cronisti dicono che fu u n a caduta da cavallo a dargli quell'aria e t e r n a m e n t e seriosa e corrucciata. Ma è da escludere, visto che l'incidente n o n gii aveva p r o c u r a t o alcuna lesione. Già da p r i m a aveva p r e s o a f r e q u e n t a r e solo chiese e p r e t i . Coi c o e t a n e i n o n s'imbrancava p r i m a di tutto p e r c h é n o n ne considerava ness u n o di r a n g o pari al suo, e p p o i p e r c h é le loro scapestratezze lo riempivano di s d e g n o e d ' o r r o r e . A q u a n t o p a r e , rimase casto fino al m a t r i m o n i o . Q u e s t o fu deciso in base ai soliti calcoli di convenienza dinastica, che indussero F e r d i n a n d o a scegliergli come sposa u n a principessa d ' O r l é a n s , M a r g h e r i t a Luisa, n i p o t e di Luigi XIV. Cosimo n o n la conobbe che attraverso i rapporti inviati al G r a n d u c a dai suoi emissari a Parigi, i quali forniv a n o tutte le garanzie. O l t r e alla p a r e n t e l a col più potente sovrano d ' E u r o p a , la sposa p o r t a v a in d o t e un bel viso, un petto m o r b i d o e r o t o n d o , un bacino da fattrice, e soprattutto un carattere allegro e docile. Sicuro di aver trovato il paradiso, Cosimo si trovò piombato nell'inferno. Forse a fare di Margherita Luisa un'isterica aggressiva e afflitta da m a n i a di p e r s e c u z i o n e contribuì a n c h e lui con la sua malaccortezza e frigidità. Incapace com'era di abbandoni, i suoi r a p p o r t i con lei furono fin dapprincipio r a d i e frettolosi. Invece dell'amore, fra i d u e nacq u e l'odio. E dall'odio più che dall'amore n a c q u e r o tre figli - d u e maschi e u n a femmina - che probabilmente ne portavano nel sangue il marchio degenerativo. D o p o a n n i di scenate intercalate da m o m e n t a n e e e sforzate riconciliazioni, i d u e coniugi si s e p a r a r o n o definitivamente, e lei se ne torno a Parigi, senza più curarsi n e a n c h e delle sue creature. Q u e s t o fallimento aveva a n c o r a più accentuato l'ipocon532
d r i a di C o s i m o e il suo zelo b i g o t t o . Misogino e p r i v o di quegl'interessi artistici e culturali c h ' e r a n o s e m p r e stati la specialità dei Medici, si e r a u n i c a m e n t e c o n c e n t r a t o sui suoi i m p e g n i di s o v r a n o , ma i n t e r p r e t a n d o l i a m o d o suo. I m m e r s e n o n solo la C o r t e , ma F i r e n z e e tutta la Toscana in un b a g n o di p u r i t a n i s m o . La sua s m a n i a di bonifica si e r a a b b a t t u t a p r i n c i p a l m e n t e sulle p r o s t i t u t e , c o n t r o l e quali aveva istituito un a p p o s i t o «Ufficio del D e c o r o Pubblico» incaricato della persecuzione. Esse venivano fustigate in s t r a d a , c o s t r e t t e a p o r t a r e un cartello c o n la scritta: «Meretrici!» e i m p r i g i o n a t e nel carcere delle «Stinche» dove restavano finché n o n si decidevano a e n t r a r e in convento. C h e valore potesse avere u n a conversione s t r a p p a t a con simili m e t o d i , n o n si sa. Ma questo e r a il concetto che Cosimo aveva della p i e t à : essa p e r lui e r a il r o s a r i o , a n c h e se biasciato c o n t r o voglia. Di altrettanti attenzioni faceva bersaglio gli ebrei, n o n o s t a n t e gli e n o r m i servigi che rendevano all'economia toscana, specie a Livorno. Li sottoponeva a o g n i sorta di discriminazioni e soprusi p e r i n d u r l i al battesimo. Diceva di farlo p e r la salvezza della loro a n i m a , e il guaio è che lo c r e d e v a v e r a m e n t e . «Non so p e r quale accidente, tutto il Paese è s o m m e r s o da un diluvio di frati e preti» scrisse un viaggiatore capitato a Firenze in quegli anni. Ce n ' e r a n o oltre diecimila, in quella città di sessantamila abitanti, ed è n a t u r a l e p e r c h é era diventato il loro r e g n o . Essi avevano il m o n o p o l i o della scuola, la usavano esclusivamente p e r fabbricare altri preti, e ten e v a n o t u t t a la città n e l t e r r o r e di u n o s p i o n a g g i o che si serviva sfacciatamente a n c h e del confessionale. L'Inquisizione aveva assoluta priorità sulla polizia di Stato e m a n o libera c o n t r o i deviazionisti. Q u e s t o faceva sì che un assassino p r o n t o a recitare un salmo se la cavasse più a b u o n mercato di un b e s t e m m i a t o r e che p e r un moccolo si vedeva affibbiati fino a c i n q u e a n n i di galera. Ed è forse p e r q u e s t o che 1 toscani sono d i v e n t a t i t a n t o blasfemi. «Tutta la vita civica - scrive Acton - e r a r i d o t t a a u n a m o s t r u o s a p a r o d i a di 534
quella monastica: u n a vita c o m u n i t a r i a in cui la libertà di azione, di p e n s i e r o , di opinioni, di affetti, di abitudini, era proibita o regolata da editti e metodi inquisitori.» Bisogna r i c o n o s c e r e c h e il p r i m o a d a r e l ' e s e m p i o dell'austerità era Cosimo. La sua vita, r e g o l a t a da u n a m i n u ziosa etichetta, trascorreva senza calore di affetti tra le scartoffie e l'inginocchiatoio. Mai si e r a visto un Medici arrabattarsi t a n t o ai suoi d o v e r i di ufficio. Aveva a c c e n t r a t o t u t t o nelle sue m a n i , e q u e s t o era il guaio p e r c h é t u t t o recava il sigillo del suo ottuso p u n t i g l i o . Da q u a n d o l'industria e le banche fiorentine e r a n o state a n n i e n t a t e dalla c o n c o r r e n z a dei Paesi protestanti, la Toscana era diventata un Paese quasi esclusivamente agricolo, e di u n ' a g r i c o l t u r a p o v e r a p e r giunta, d a t a la sua n a t u r a collinosa. I n v e c e di facilitare i contadini con incentivi alle migliorìe, agevolazioni fiscali e i n c o r a g g i a m e n t i all'esportazione, Cosimo li colpì con o g n i sorta di tasse e gabelle c o n d a n n a n d o la Toscana all'invecchiamento di tutte le sue s t r u t t u r e e e s t r a n i a n d o l a s e m p r e di più dal m o n d o m o d e r n o . U n o dei motivi p e r cui p e r s e guitò l'Università di Pisa era p e r c h é quello era rimasto l'unico focolare di u n a cultura laica e libera, ch'egli considerava portatrice d'infezione e di dissoluzione. Cosimo n o n aveva il senso dello Stato, cioè lo confondeva con la dinastia. Di politica e s t e r a ne fece s e m p r e poca. Ma quella poca era u n i c a m e n t e d o m i n a t a dall'ambizione di trasformare il G r a n d u c a t o in un Regno. Era i n g e n u a m e n t e convinto che anche i suoi sudditi n o n ne vedessero l'ora, come se q u e s t o avesse p o t u t o m i g l i o r a r e la loro m i s e r a b i l e condizione. E perciò la massima p a r t e degl'introiti veniva devoluta a spese di r a p p r e s e n t a n z a . Di suo, Cosimo n o n era spendaccione. Anzi, u n p o ' p e r austerità, m a u n p o ' a n c h e per avarizia, aveva abolito i fasti e le feste di C o r t e . Ma q u a n d o si trattava di ricevere un sovrano di passaggio, Palazzo Pitti veniva r i m e s s o a n u o v o p e r offrire all'ospite u n ' i m m a g i n e di Firenze che giustificasse la sua ambizione a diventare la capitale di un R e g n o . Memorabili r i m a s e r o le 535
accoglienze al Re di D a n i m a r c a e quelle al Re di Spagna in visita a Livorno. L u m i n a r i e , p a r a t e , cortei e tornei si sprecavano e si concludevano con larghe distribuzioni di doni. Ivf questi s p l e n d o r i n o n a v e v a n o nulla di m e d i c e o . C'era soltanto l'ossessione pacchiana della «bella figura». Il c a r t e g g i o di C o s i m o coi suoi a m b a s c i a t o r i a Parigi, V i e n n a , a L o n d r a , a M a d r i d è d o m i n a t o dal leit-motiv del « T r a t t a m e n t o Regio». Q u a n d o , sulla fine del Seicento, in cambio della sua alleanza con la Spagna e l'Austria, Vittorio A m e d e o di Savoia, p u r essendo ancora soltanto Duca, aveva o t t e n u t o da q u e s t e d u e Potenze il diritto di essere trattato da Re (il che consisteva s o p r a t t u t t o in q u e s t o : che davanti agli altri Re, né lui né i suoi ambasciatori e r a n o più tenuti a togliersi il cappello), Cosimo ne fece u n a malattia. I n o n d ò le Corti e u r o p e e di lettere di protesta, in cui diceva che nella gerarchia italiana il G r a n d u c a di Firenze e r a s e m p r e ven u t o d o p o il Doge di Venezia, ma p r i m a del Duca di Savoia. E forse decise di d a r e sua figlia Ludovica in sposa al Princip e Elettore del Palatinato p e r c h é costui, e s s e n d o fratello dell'Imperatrice d'Austria, la inducesse a riconoscere le sue pretese come infatti avvenne. A Cosimo parve di aver vinto u n a g u e r r a q u a n d o da Vienna gli giunse l'autorizzazione a m e t t e r e u n a sbarra sul d i a d e m a e farsi c h i a m a r e nelle lettere ufficiali «Altezza Reale» e «Serenissimo Principe». Distrib u ì soldi e vino alla p o p o l a z i o n e , convinto ch'essa partecipasse al suo t r i p u d i o . E trascorse il resto del suo l u n g o reg n o a sollevare incidenti con le Potenze che gli contestavano il «Trattamento». Nei r a p p o r t i che gli g i u n g e v a n o dai suoi ambasciatori, le notizie circa le g u e r r e , le alleanze, le paci, i trattati commerciali o c c u p a n o pochissimo spazio. Le uniche cose che interessavano Cosimo e r a n o le nascite, le morti, 1 m a t r i m o n i , le p a r e n t e l e , i titoli e le «precedenze» fra i vari Principi. N o n ebbe pace e n o n b a d ò a spese finché n o n ebbe o t t e n u t o dal Papa l'investitura a «canonico del Laterano». a
a
L'altra sua ossessione e r a ovviamente la continuità della dinastia, che p e r il m o m e n t o sembrava garantita dai d u e fi536
gli maschi: F e r d i n a n d o e Gian Gastone. Era, fra tanti guai, l'unica gioia che gli aveva d a t o la moglie. Ma i s e n t i m e n t i non c'entravano. Cosimo n o n ebbe mai dei palpiti p a t e r n i , o per lo m e n o n o n ne mostrò. I tre ragazzi crebbero orfani, e un p o ' di calore d'affetto lo t r o v a r o n o solo nella n o n n a Vittoria. C o s i m o n o n vedeva i n l o r o dei f i g l i , m a s o l t a n t o dei Principi, c o m e tali esigette c h e fossero allevati, e mai si curò di capire che u o m i n i fossero. Se qualche speciale c u r a dedicò a F e r d i n a n d o , fu solo p e r c h é costui, come p r i m o g e nito, era destinato alla successione. Ma n o n si accorse n e m m e n o c h e e r a il p i ù refrattario p e r c h é lo vedeva di r a d o e sempre attraverso lo s b a r r a m e n t o dell'etichetta. L'educazione del ragazzo era stata affidata al m a r c h e s e Albizzi, scelto p e r la sua severità e il suo puntiglio formalistico. E r a n o le doti m e n o adatte p e r un allievo come quello. Ferdinando tirava più dalla m a d r e che dal p a d r e . C o m e lei era estroso, sensibile e cangevole. M i s c r e d e n t e e libertino, odiava i preti, li chiamava «baron fottuti», e agli affari di Stato preferiva la musica, suonava il clavicembalo, e aveva p e r gli artisti lirici u n a passione che n o n si limitava al p i a n o vocale. U n a sera si lasciò a n d a r e a tali manifestazioni di e n t u siasmo verso u n o di essi, suo g r a n d e favorito, Petrillo, che costui si precipitò davanti a tutti fra le sue braccia e lo baciò, non sappiamo se sulle gote o sulla bocca. Albizzi i n t e r v e n n e con aria così severa che F e r d i n a n d o n o n osò p r e n d e r e le difese di Petrillo, il quale a b b a n d o n ò in tutta fretta la C o r t e , Firenze e la Toscana dove n o n si fece mai più vedere. Lungi dallo screditarlo, la dissolutezza giovò alla popolarità del Principe a n c h e p e r c h é faceva da c o n t r a p p u n t o alla bigotteria del p a d r e , c h e tutti a v e v a n o in uggia. Il frivolo giovanotto, che aveva trasformato la sua villa di Pratolino in un c o n v e g n o di artisti e vi aveva a n c h e inscenato u n ' o p e r a lirica, si rivelava a l m e n o in questo un b u o n Medici, e trovava un valido alleato nello zio c a r d i n a l e , F r a n c e s c o M a r i a , fratello di Cosimo, che condivideva tutti i suoi vizi e passioni. Per r o m p e r e questa alleanza fra g a u d e n t i e p o r r e fine ai 537
loro scandali, Cosimo n o m i n ò Francesco Maria governatore di Siena e commissionò p e r F e r d i n a n d o u n a moglie. La prescelta fu u n a p r i n c i p e s s a di Baviera, Violante c h e , oltre a fornire b u o n e garanzie di fecondità, avrebbe assicurato l'amicizia di u n o dei più autorevoli Principi di G e r m a n i a , con cui l ' I m p e r a t o r e doveva fare i conti. Ferdinando n o n la conosceva, ma p e r il fatto che volevano dargliela in moglie, la prese in uggia p r i m a di vederla, e andò a passare la sua ultima stagione di celibe a Venezia, la città più gaia d'Italia. Qui trovò un altro Petrillo in un certo Cecchino De Castris, così chiamato p e r ragioni facilmente intuibili, e se lo portò al seguito nel ritorno a Firenze. Il matrimonio ebbe luogo, c o m e al solito, p e r p r o c u r a . Poi Ferdinando a n d ò incontro alla sposa che, a p p e n a lo vide, s'innamorò perd u t a m e n t e di lui. Era u n a ragazza p e r b e n e e romantica, che si era scrupolosamente p r e p a r a t a ai suoi compiti di sovrana, parlava otto lingue compresa la nostra, aveva studiato a fondo la storia dell'arte fiorentina e credeva che gl'italiani fossero c r e a t u r e appassionate e sentimentali. Era i n s o m m a tutto quello che n o n avrebbe d o v u t o essere p e r piacere a Ferdin a n d o , il quale provò subito u n a violenta repulsione p e r lei, e fin dal p r i m o m o m e n t o n o n fece nulla p e r nasconderla. Forse n o n si provò n e m m e n o a compiere il suo dovere coniugale. C o m u n q u e , fu subito chiaro che e r e d i n o n c'era da aspettarne, e l'incubo di u n a estinzione della casata cominciò a t o r m e n t a r e Cosimo. Nella sua costernazione, finì p e r dare ascolto a un c e r t o Pizzichi, che gli consigliava di elevare su u n a colonna un m o n u m e n t o a Sant'Antonio perché facesse il miracolo. La colonna fu elevata, e i fiorentini ci scrissero sotto questo distico ribaldo: «Pizzichi mio, a i n g r a v i d a r le d o n n e - Ci vogliono c..., e n o n colonne». Violante p o r t ò con ammirevole dignità la sua disgrazia, n o n se ne lasciò inasprire, non ne fece mai parola con nessuno, e solo u n a volta, a u n a dama di Corte che si lamentava di un marito brutale, rispose: «Signora, provo compassione di voi. Ma sotto le mie ampie maniche nascondo ferite più profonde delle vostre». 538
N o n contento di trascurarla, F e r d i n a n d o umiliava la m o glie o s t e n t a n d o anche in pubblico i suoi r a p p o r t i con l'arrogante e capriccioso Cecchino. Insieme a lui decise di lì a un po' di t o r n a r e a Venezia p e r un altro b u o n b a g n o nelle giocondità di quella capitale godereccia. A q u a n t o p a r e lì s'inn a m o r ò - finalmente! - di u n a signora che, p e r q u a n t o ricambiasse i suoi sentimenti, d a p p r i n c i p i o gli resistè. I n v a n o Cecchino, v e d e n d o in pericolo la sua posizione, cercò di distrarlo. F e r d i n a n d o s'intestardì a n c h e p e r c h é credette c h e a insidiargli la p r e d a fosse il Duca di Mantova, cui un Medici non poteva c e d e r e il passo. La signora lo avvertì che n o n si trattava d i q u e s t o , m a d i u n a malattia v e n e r e a d i cui essa era contagiata e di cui n o n voleva a sua volta c o n t a g i a r l o . Ferdinando rispose ch'era u n a scusa, tanto fece che o t t e n n e ciò che voleva, e r i e n t r ò a F i r e n z e p o r t a n d o s i nel s a n g u e , come trofeo di quell'avventura, la sifilide. Poco d o p o cominciò a manifestare sintomi di paralisi progressiva. Violante si vestì da infermiera e l'assistè con t r e p i d o e devoto zelo per i lunghi anni del suo d e c a d i m e n t o . Fu allora che Cosimo cominciò a m o s t r a r e qualche sollecitudine p e r Gian Gastone, di cui fin lì si era b e n poco curato. Il ragazzo e r a cresciuto come il cenerentolo di casa, e ne portava il segno nel carattere malinconico e abulico. L u n i c o che gli aveva mostrato un po' d'affetto era l'allegro zio Francesco Maria frattanto diventato Cardinale, che q u a n d o tornava da R o m a lo invitava spesso nella sua villa di L a p p e g g i , dove ne succedevano di tutti i colori, ma specialmente «balletti verdi». Gian Gastone n o n aveva la gaiezza spensierata, e piuttosto grossolanotta, dello zio; ma a n c h e lui preferiva le canaglie, di cui questi si circondava, alla società aristocratica di Palazzo Pitti, dalla quale n o n aveva ricevuto che umiliazioni. Q u a n t o a sesso, e r a fratello di suo fratello. N o n si ribellò all'ordine p a t e r n o di sposarsi p e r c h é n o n si era mai ribellato a nulla. «Farò c o m e nelle m a t e r i e di fede - scrisse - che, b e n c h é n o n ci capacitino, si china il capo si ubbidisce.» N o n volle i n t r o m e t t e r s i n e a n c h e nella scele
539
ta della sposa r i m e t t e n d o s i a quella del p a d r e , che, c o m e al solito, la sbagliò. E curioso c o m e Cosimo, p u r v o l e n d o con tutte le sue forze e sopra ogni altra cosa degli eredi, a tutto pensasse fuorché a ciò che ne r a p p r e s e n t a la condizione: la gradevolezza dell'amplesso. La principessa A n n a Maria di S a s s o n i a - L a u e n b u r g e r a r i m a s t a v e d o v a del C o n t e Palatin o , e fin qui nulla di male. Ma n o n aveva voglia di risposarsi, e p e r di p i ù e r a b r u t t a e rozza: u n a specie di massaia rurale con un grosso s e d e r e e polpacci pelosi. Q u e s t o risultava a b b a s t a n z a c h i a r a m e n t e dalle i n f o r m a z i o n i che a Cosimo aveva m a n d a t o la sua figliola sposata in G e r m a n i a che di A n n a Maria e r a a n c h e cognata. E p p u r e il G r a n d u c a mise di mezzo perfino l ' I m p e r a t o r e p e r c h é inducesse la renit e n t e v e d o v a a c o n c e d e r e la m a n o a suo figlio, e m a n d ò q u e s t ' u l t i m o in p e l l e g r i n a g g i o a L o r e t o p e r i m p e t r a r e la grazia. S'impegnò a n c h e a consentire che Gian Gastone risiedesse p e r un t e m p o i n d e t e r m i n a t o nella casa di lei, a Reichstadt in Boemia. E fu qui infatti che si s p o s a r o n o e si accasarono. Reichstadt n o n e r a che un agglomerato di casupole, adagiato in u n a buia valle e s o r m o n t a t o da u n a m o n t a g n o l a in vetta alla quale s'issava la cosiddetta Reggia: u n a scaratterizzata fattoria, che di bello aveva solo la stalla p e r c h é il solo lusso e la sola p a s s i o n e di A n n a M a r i a e r a n o i cavalli. Ins o m m a , il posto più adatto a trasformare l'abituale mestizia di G i a n G a s t o n e in v e r a e p r o p r i a i p o c o n d r i a . Sebbene se l'aspettasse b r u t t a , la sposa gli p a r v e a n c o r a p i ù b r u t t a di c o m e se l'aspettava, e p e r di p i ù a u t o r i t a r i a e bisbetica. O d i a v a gl'italiani, e diffidava p a r t i c o l a r m e n t e d e i Medici p e r c h é il suo confessore le aveva d e t t o che in quella famiglia tutte le d o n n e e r a n o m o r t e avvelenate dai loro mariti. A n c h e di q u e s t o m a t r i m o n i o , n o n s a p p i a m o se sia mai stato c o n s u m a t o . S a p p i a m o soltanto, dalle sue lettere, che Gian Gastone s p r o f o n d ò nella più n e r a malinconia, cui cercava r i m e d i o nel vino e nella c o m p a g n i a di Giuliano Darni, un palafreniere che si e r a p o r t a t o da Firenze e che d'allora 540
in poi fu s e m p r e la sua vera moglie: un bel «fusto» m o r d a c e , insolente e rotto a qualsiasi t u r p i t u d i n e . S c a m p a t o a un i n v e r n o rigidissimo che su quel desolato p a n o r a m a aveva steso un funebre sudario di neve, a primavera Gian Gastone volle a n d a r e a p r e n d e r e u n a boccata d'aria. Fece p r i m a sosta nel Palatinato p e r u n a visita a sua sorella che n o n aveva avuto figli n e a n c h e lei. Poi seguitò p e r Parigi e chiese di v e d e r e la m a d r e che n o n gli m a n d ò n e m m e n o la c a r r o z z a e lo accolse c o m e un e s t r a n e o . C o s i m o , q u a n d o lo s e p p e , a n d ò su tutte le furie, e gli o r d i n ò di tornare dalla moglie. Voleva un e r e d e , e Gian Gastone gli assicurò che stava facendo il possibile. Ma n o n e r a vero. Della moglie n o n aveva più voluto s a p e r e , e n e m m e n o di Reichstadt. S'era istallato a Praga che n o n e r a Firenze, ma tuttavia u n a vita cittadina l'aveva. E lì, col suo fido Giuliano, s'era i m b r a n c a t o con le p e g g i o r i canaglie e passava le notti a bere e a giuocare. Fu u n a lettera dell'Arcivescovo di quella città che alla fine tolse a Cosimo le ultime illusioni. La Principessa gli aveva detto che si rifiutava di seguire a Firenze un marito con cui n o n aveva r a p p o r t i . Cosimo d o v e t t e p r e n d e r e atto del fallimento di quel m a t r i m o n i o e, vista l'inutilità della p e r manenza di Gian Gastone in Boemia, lo richiamò. I fiorentini s t e n t a r o n o a riconoscerlo. Sebbene n o n avesse che t r e n t a s e t t e a n n i , e r a d i v e n t a t o bolso e c a d e n t e . P u r abitando a palazzo, c o n d u s s e vita a p p a r t a t a , estraniandosi completamente dagli affari di Stato p e r i quali del resto n o n aveva m a i m o s t r a t o n e s s u n a vocazione e dalla società di Corte che seguitava a odiare. I n g a n n a v a il suo t e m p o l e g g i u c c h i a n d o o p e r e scientifiche, specie di botanica, e raccogliendo oggetti di antiquariato di cui era b u o n intenditore. Unici suoi c o m p a g n i e r a n o il Dami, i furfanti c h e costui gli p o r t a v a in casa, il vino, e la malinconia. S e m p r e più ossessionato dal p r o b l e m a della successione n o n p o t e n d o s p e r a r l a da q u e i d u e figli ridotti a rottami, e
541
Cosimo p r e s e u n a decisione eroica: chiese al fratello di riè n u n z i a r e alla p o r p o r a e di p r e n d e r moglie. Francesco Mairia n o n ne aveva n e s s u n a voglia: la p o r p o r a n o n gli aveva m a i i m p e d i t o di fare i suoi c o m o d i , anzi gliene garantiva l ' i m p u n i t à e p e r di p i ù gli assicurava larghi introili. Per le' d o n n e n o n p r o v a v a t r a s p o r t i , e i n o l t r e aveva q u a r a n t o t t o a n n i , che a quei t e m p i e r a considerata vecchiaia avanzata, e nel caso specifico lo era. I vizi e le sregolatezze avevano lasciato il loro segno nel fisico dell'allegro Cardinale ridotto a un ammasso di pasta frolla e t o r m e n t a t o dal c a t a r r o e dalla gotta, la d a n n a z i o n e di casa Medici. Ma la r a g i o n di Stato esigeva l'erede, ed egli vi si rassegnò. C o m e al solito, la scelta fu fatta in base ad accertamenti-* che tutto attestavano fuorché la disponibilità della sposa aK' l ' a m p l e s s o d i u n o sposo c o m e quello. E l e o n o r a G o n z a g a , aveva tutto in o r d i n e : i q u a r t i di nobiltà, la d o t e , la salute^' l'avvenenza. Le mancava u n a cosa sola: lo stoicismo. Glienesarebbe occorso molto p e r ricambiare i trasporti di quel con i u g e catarroso e prostatico, dagli occhi porcini e sbrodolerà si nel faccione gonfio e rubizzo. Egli si sottomise paziente* m e n t e alle c u r e tonificanti che i medici gli prescrissero. Sua', nipote, che aveva attivamente collaborato alla combinazione;, di quel m a t r i m o n i o , c o m e già a quello di Gian Gastone, gli\ scriveva dalla G e r m a n i a p e r fargli coraggio: «Io c r e d o che. q u a n d o vi togliete l'abito, se ne v e d r a n n o delle belle in ca*. m e r a vostra!» ~& Invece si vide soltanto che la sposina n o n ci stava. Invano-' v e n n e r o convocati p r e t i p e r richiamarla ai doveri coniugali e stregoni p e r p r o p i n a r l e filtri d ' a m o r e . I n v a n o Cosimo sì a p p e l l ò al p a d r e di lei con la sua e t e r n a ottusa pretesa che>' tutto, a n c h e l'amore, si potesse risolvere con l'autorità. L'u> • nico che accettò con filosofia il fiasco senza m o s t r a r s e n e p o i , t r o p p o a d d o l o r a t o fu lo sposo c h e r i m p i a n s e soltanto di : aver sacrificato p e r nulla la sua p o r p o r a , i suoi g u a d a g n i suoi c o m o d i di vecchio scapolo g a u d e n t e . Morì poco dopò*> ' e i fiorentini ne d i e d e r o a n n u n z i o con q u e s t o funebre 4
542
fjjifesto affìsso di notte sulle m u r a di Palazzo Pitti: «Appigion a s i in q u e s t ' a n n o - C h e i Medici se ne vanno». Era vero. A Cosimo, che già aveva d o p p i a t o il capo della ' s e t t a n t i n a , n o n restava p i ù n e s s u n o su cui investire le s u e speranze dinastiche. F e r d i n a n d o , ridotto a u n a t r e m u l a larva, m o r ì nel 1713. G i a n G a s t o n e seguitava a v e g e t a r e , disfatto dall'alcol e c o n t o r n a t o di canaglie. E gli ambasciatori dislocati all'estero segnalavano che in tutte le Corti e u r o p e e si era già s c a t e n a t a u n a c o r s a di sciacalli p e r l ' a c c a p a r r a mento dell'eredità. Parve p e r u n m o m e n t o che l'incombente catastrofe svegliasse nel vecchio G r a n d u c a un s e n t i m e n t o patriottico di cui n o n aveva mai dato segno. Egli accennò all'intenzione d i n o m i n a r e c o m e s u o e r e d e i l p o p o l o , restituendogli alla p r o p r i a m o r t e i vecchi o r d i n a m e n t i repubblicani: se la Toscana n o n poteva più essere dei Medici, meglio che restasse di se stessa. I n c a r i c ò un s u o d i p l o m a t i c o , il Rinuccini, di a n d a r e a p a r l a r n e agl'inglesi e agli o l a n d e s i c h e , un p o ' p e r le l o r o pregiudiziali d e m o c r a t i c h e , u n p o ' p e r c h é n o n avevano diritti da a c c a m p a r e sul G r a n d u c a t o , e r a n o i p i ù indicati ad accogliere la p r o p o s t a . Il l o r o a i u t o e r a necessario p e r c h é già il p r o b l e m a d e l l ' i n v e s t i t u r a e r a sul t a p p e t o . I Medici avevano riavuto la Toscana da Carlo V, perciò alla loro estinzione essa doveva t o r n a r e a l l ' I m p e r a t o r e . Ma nei loro d u e secoli di G r a n d u c a t o , i Medici n o n avevano p e r s o occasione per c o n t e s t a r e q u e s t a tesi ed a f f e r m a r e la totale i n d i p e n denza della Toscana d a l l ' I m p e r o . O r a si trattava di trovare delle Potenze disposte a riconoscerla. I n g h i l t e r r a e O l a n d a lo fecero con entusiasmo e dissero a Rinuccini che il G r a n d u c a proclamasse a p e r t a m e n t e le sue intenzioni: esse le a v r e b b e r o sostenute. Ma il timoroso e tiniorato C o s i m o ci aveva già r i p e n s a t o . P r o p o s e c h e alla m o r t e sua e a quella di Gian Gastone, l'eredità passasse alla figlia Ludovica, e che caso mai fosse costei a r i p r i s t i n a r e la Repubblica. Q u e s t o significava complicare a n c o r a di più la già intricata questione facendo nascere e giustificando vel543
leità ereditarie nella p a r e n t e l a tedesca dell'Elettrice. Delu e irritati, gl'inglesi e gli olandesi lasciarono c a d e r e le p r o p o ste di Cosimo, che così p e r s e la g r a n d e occasione di chiude* re la sua inutile vita con l'unico gesto che avrebbe p o t u t o ri, scattarla. ^ Rimasta vedova dell'Elettore Palatino, Ludovica tornò.a Firenze, convinta di essere lei a succedere al p a d r e , o r a che F e r d i n a n d o era calato nella t o m b a e Gian Gastone s e m b r a i va che ci avesse già un p i e d e . E r a forse l'unica c r e a t u r a al m o n d o p e r cui Cosimo avesse avuto qualche palpito d'affefc to e la sola che n o n lo avesse deluso. Ludovica condivideva' il suo p u n t i g l i o s o senso d e l d o v e r e , il culto dell'etichetta^ l'alto concetto del r a n g o , lo zelo bigotto, ma a n c h e la regale dignità. S e b b e n e n o n Io vedesse da ventisei a n n i , e r a semi p r e rimasta in stretti r a p p o r t i epistolari con suo p a d r e , ne, aveva t e n a c e m e n t e difeso gl'interessi presso la parentela te> desca e gli aveva p r e s t a t o tutto il suo a p p o g g i o a n c h e nella; c o m b i n a z i o n e d e i disgraziati m a t r i m o n i d e i fratelli e dello; zio. Risoluta e autoritaria, incuteva p i ù soggezione che simg, patia, ma al n o m e faceva o n o r e . P a d r e e figlia si misero a die p a n a r e la matassa della successione. C r e d e v a n o di poterla; m e r c a n t e g g i a r e con l ' i m p e r a t o r e Carlo VI p r o m e t t e n d o l a q u a l c u n o dei suoi A s b u r g o , in c a m b i o di P i o m b i n o e dèi, Presidi tuttora in m a n i austriache. P u r s a p e n d o che stavantf p e r p e r d e r e il G r a n d u c a t o , si p r e o c c u p a v a n o di aggiunger-? vi quei d u e palmi di terra. Carlo n o n gli volle d a r e n e m m e | : no questa piccola soddisfazione, conscio c o m ' e r a che il dee' stino della Toscana n o n si decideva in Toscana. Abbiamo già' visto di quali c o m p l i c a t e t r a n s a z i o n i esso fu la p o s t a li i i B o r b o n e di M a d r i d e gli Asburgo di Vienna. Solo a cose fafo te - p e r il m o m e n t o - Cosimo fu informato che il successo» dei Medici sarebbe stato Carlo, il figlio di Filippo V di Spa* g n a e di Elisabetta Farnese. Le sue note di p r o t e s t a furo»» accolte con alzate di spalle. ' Visto c h e sulla t e r r a n o n trovava p r o t e t t o r i , Cosimo n% cercò u n o in cielo a s s e g n a n d o a Firenze un p a t r o n o oltre sai. • 4
544
£ _ San Giovanni e San Zanobi - che già aveva. E volle il più autorevole di tutti, San G i u s e p p e , p r o c l a m a n d o n e l'investitura c o n solenni c e r i m o n i e . Poi, p e r propiziarselo ancora di p i ù , scatenò u n a v e r a e p r o p r i a crociata c o n t r o le opere d'arte che i preti consideravano scandalose, facendole togliere n o t t e t e m p o dalla cattedrale e dagli Uffizi. . Fu il suo ultimo gesto, del tutto in carattere col suo carattere. I n p u n t o d i m o r t e , chiese p e r d o n o a l p o p o l o n o n p e r il cattivo g o v e r n o , ma p e r il cattivo e s e m p i o c h e gli aveva dato, e gli r a c c o m a n d ò di a n d a r e in chiesa e di confessarsi più spesso di q u a n t o avesse fatto lui, che n o n aveva fatto altro. N o n a v e n d o p o t u t o evitare che a succedergli fosse Gian Gastone invece che Ludovica c o m e lui avrebbe voluto, p e r ché la legge dinastica glielo impediva, negli ultimi giorni se lo era associato c o m e r e g g e n t e , ma fino all'ultimo aveva voluto v e d e r e e firmare tutto di p e r s o n a . Per attaccamento al dovere e impavidità di fronte alla m o r t e , fu all'altezza di un Filippo II cui in piccolo, in piccolissimo, somigliava. E finì da Re, lui che in vita aveva tanto smaniato di diventarlo senza riuscirci. u e
:
Nel salire sul t r o n o che il p a d r e gli aveva lasciato, Gian Gastone disse: «Mi p a r d'essere un attore che fa la p a r t e del Re i n u n a c o m m e d i a » . N o n aveva t o r t o . C o n u n ' e c o n o m i a d a area depressa, quale la Toscana si e r a ridotta, lo Stato aveva le casse v u o t e e n o n sapeva c o m e f r o n t e g g i a r e l ' e n d e m i c o disavanzo e il d e b i t o p u b b l i c o c h e negli ultimi a n n i si e r a s e m p r e p i ù a g g r a v a t o . Della flotta t o s c a n a n o n r e s t a v a n o che tre galere accudite da u n a c i u r m a di d u e c e n t o marinai. Dell'efficienza dell'esercito, ci fornisce u n ' i d e a un catalogo di soldati r i p r o d o t t o da H a r o l d Acton: «Domenico C a m p a na, soldato, a n n i 70, di servizio 34, n o n ci v e d e p e r l'età e c a m m i n a c o n u n b a s t o n e . G i o v a n Battista L e o n a r d i , a n n i 70, di servizio 40, ha p e r s o la vista. Michele Ricci, a n n i 80, di servizio 59, decrepito con bastone», e via di questo passo. U n a totale m a n c a n z a di classi d i r i g e n t i p e r via dell'accen545
t r a m e n t o di t u t t o il p o t e r e nelle m a n i del G r a n d u c a e per u n a selezione o p e r a t a n o n sui meriti di servizio ma sulla devozione in chiesa. Le scuole ridotte ad a p p e n d i c i del seminario, compresa l'Università di Pisa, un t e m p o faro del pensiero laico e m o d e r n o . E infine la m a n c a n z a di un domani: a c h i u n q u e fosse toccato, il G r a n d u c a t o finiva con la sua dinastia i n d i g e n a , p e r d i v e n t a r e l a p r o v i n c i a , l ' a p p e n d i c e d ' u n altra potenza. Ce n'era abbastanza p e r s p e g n e r e gli entusiasmi anche di un Sovrano che ne avesse avuti. E Gian Gastone n o n ne aveva. N o n covava ambizioni, il lavoro gli pesava, e mostrarsi in pubblico era p e r lui un t o r m e n t o . Infatti vi c o m p a r v e solo nei p r i m i tempi, poi rimase confinato d a p p r i m a nei suoi a p p a r t a m e n t i , poi nella sua c a m e r a , e infine nel suo letto, che p e r a n n i si rifiutò di a b b a n d o n a r e . Q u i riceveva i suoi ministri e collaboratori, coi quali sbrigava alla svelta le pratiche di ufficio. Poi faceva s b a r r a r e la p o r t a p e r restarsene col suo Giuliano e le canaglie che costui gli p o r t a v a . Ne aveva r e c l u t a t o q u a l c h e c e n t i n a i o nei bassifondi della città, e li aveva fatti a s s u m e r e in r e g o l a r e servizio col n o m e di «ruspanti» p e r c h é v e n i v a n o p a g a t i con quegli zecchini che si chiamavano «ruspi». Tutta Firenze parlava - ma più con divertimento che con s c a n d a l o - dei baccanali c h e si svolgevano negli a p p a r t a m e n t i del G r a n d u c a . E r a n o gli stessi protagonisti a d a r n e i resoconti forse e s a g e r a n d o p e r vanteria. Ma che ne succedessero di tutti i colori, è accertato. C o m e spesso capita ai signori di g r a n d e razza e di s a n g u e t r o p p o raffinato, il Granduca aveva il gusto dell'abbiezione, e la praticava facendosi vilipendere, insultare e spesso a n c h e picchiare da quei furfanti. U n a volta dovettero levarlo di forza dalle m a n i di certi saltimbanchi polacchi ch'egli aveva provocato lanciandogli in faccia i bicchieri d o p o essersi ubriacato con loro. Provava un sadico piacere a lasciarsi a n c h e d e r u b a r e . Il Dami faceva m a n bassa sui suoi oggetti di antiquariato rivendendoli a dei mercanti che poi t o r n a v a n o a offrirli al Granduca. 546
Questi, riconoscendoli, diceva: «Toh, chi n o n m u o r e si rivede!», e li ricomprava. Spesso dava feste sontuose a quei parassiti e si divertiva a chiamarli coi n o m i altisonanti dei suoi ministri e cortigiani. A soffrire di questi scandali era soprattutto la sorella Ludovica, che dal p a d r e aveva ereditato l'orgoglio del n o m e e del r a n g o . Ma Gian Gastone l'odiava p e r la p a r t e che aveva avuto nel suo infelice m a t r i m o n i o , e forse e r a anche p e r far dispetto a lei che ostentava la p r o p r i a d e g r a d a z i o n e . U n a volta essa lo convinse a d a r e finalmente un p r a n z o ai nobili di Corte. Gian Gastone li convitò in massa, si ubriacò, si mise a r u t t a r e r u m o r o s a m e n t e , vomitò sulla tovaglia e si pulì la bocca coi riccioli del p a r r u c c o n e . N o n v o l e n d o alzarsi dal letto n e a n c h e p e r p r e n d e r e u n b a g n o , n o n a m m e t t e v a che n e s s u n o glielo rifacesse. D a quella cuccia da cani si s p r i g i o n a v a n o tali o d o r i , c h e u n a volta sua c o g n a t a Violante p e r p o c o n o n s v e n n e . Essa e r a l'unica p e r s o n a di famiglia cui il G r a n d u c a fosse r e a l m e n t e affezionato e a cui consentisse di e n t r a r e nella sua c a m e r a . Ma q u a n d o essa si a m m a l ò e in p u n t o di m o r t e chiese di vederlo p e r l'ultima volta, egli vi si rifiutò e anzi indisse u n ' e n nesima orgia coi r u s p a n t i . La m o r t e lo sgomentava, voleva dimenticare di esserne incalzato a n c h e lui. E siccome in città correva voce che stava p e r e s s e r n e g h e r m i t o , decise di dim o s t r a r e che n o n e r a vero lasciandosi p o r t a r e in carrozza alla festa di San Giovanni. I fiorentini videro passare p e r le loro strade u n a specie di foca disfatta nel grasso con gli occhi inebetiti sotto la p a r r u c c a a sghimbescio. Per vincere il terrore che la folla gl'ispirava, aveva bevuto più del solito, e ogni tanto si sporgeva dal finestrino p e r v o m i t a r e . E p p u r e lo acclamarono u g u a l m e n t e , e con un affetto di cui Cosimo non aveva mai g o d u t o . Perché questo del «barbone» debosciato era u n o dei d u e volti di Gian Gastone. Ma poi ce n'era a n c h e un altro che gli faceva da c o n t r a p p u n t o . Incredibile a dirsi, q u e s t ' u o m o ridotto a un r o t t a m e dall'alcol, d a i vizi e p r o b a b i l m e n t e da 547
u n a di quelle malattie psichiche e r e d i t a r i e nella sua famiglia, di cui G a e t a n o Pieraccini ci ha lasciato un accurato e a p p r o f o n d i t o studio nel suo libro La stirpe dei Medici di Cafaggiolo, si e r a mostrato un Sovrano saggio, e q u a n i m e e per molti versi illuminato. Aveva i n a u g u r a t o la sua gestione revocando le misure discriminatorie contro gli ebrei, e ponendo fine a quelle «cacce alle streghe» di cui facevano le spese s o p r a t t u t t o le p r o s t i t u t e . In un b a t t e r d'occhio F i r e n z e si scosse di dosso quel sudario di claustrale austerità, d'ipocrita bigotteria che Cosimo le aveva imposto, e ritrovò un cos t u m e di vita più libero, a n c h e se più libertino, e sincero. Gian Gastone, di cui H a r o l d Acton ha dipinto nel suo lib r o Gli ultimi Medici un ritratto esemplare, n o n fu un grande riformatore p e r c h é n o n ne aveva l'energia, e forse nemm e n o la possibilità. N o n p o t è ricostituire un'amministrazione efficiente a n c h e p e r m a n c a n z a di uomini, di un esercito, d i u n a m a r i n a . M a rimise u n p o ' d ' o r d i n e d a p p e r t u t t o e specialmente nelle finanze r i d u c e n d o drasticamente le spese di C o r t e e quei fasti di « r a p p r e s e n t a n z a » , di cui suo pad r e aveva fatto tanto scialo p e r crescere nella gerarchia delle dinastie r e g n a n t i . P u r evitandola e p r e f e r e n d o l e quella dei r u s p a n t i , egli dette alla società fiorentina un t o n o diverso, a d e g u a t o alla m o d e s t i a di u n a città e di u n o Stato che n o n e r a n o più quelli dello splendido Rinascimento. Montesquieu, che ci capitò in quegli anni, scrisse: «Non c'è città in cui si viva più m o d e s t a m e n t e che a Firenze: con u n a lanterna cieca p e r la notte e un ombrello da pioggia, si è complet a m e n t e equipaggiati. C'è un g o v e r n o molto mite: nessuno conosce e si accorge del G r a n d u c a e della sua C o r t e . Prop r i o p e r tale ragione, questo piccolo Stato sembra grande». E cita il caso del Marchese Corsini che, a v e n d o d o v u t o spend e r e 180.000 scudi p e r la canonizzazione di un suo antenato, r a c c o m a n d a v a ai figli: «Ragazzi miei, siate virtuosi, ma n o n santi. I santi costano troppo». Ma i veri g r a n d i meriti di Gian Gastone furono altri due. II p r i m o fu quello di liberare lo Stato dalle interferenze del548
la Chiesa cui Cosimo lo aveva totalmente asservito. Q u a n d o l'Arcivescovo reclamò l'applicazione di certi atti di un Sinodo diocesano in c o n t r a s t o col codice civile, il G r a n d u c a gli ordinò di occuparsi degli affari suoi, cioè di quelli dell'anima. E q u a n d o il P a p a g l ' i n g i u n s e di licenziare il M i n i s t r o Rucellai, n o t o anticlericale, il G r a n d u c a n o n gli rispose n e m m e n o . Q u e s t ' u o m o p i g r o e abulico c h e n o n a m a v a il potere, amava p e r ò la libertà, e nel difenderla dalle prevaricazioni dei p r e t i sapeva d i v e n t a r e perfino risoluto e coraggioso. E altro suo g r a n d e m e r i t o fu di r i d a r e dignità ed efficienza all'Università di Pisa che suo p a d r e aveva avversato c o m e un focolaio d'infezione. Fece restituire la c a t t e d r a di filosofia a Pasquale Giannetti, lasciò p u b b l i c a r e le o p e r e di Gassendi c o n d a n n a t e dalla Chiesa, e o r d i n ò solenni o n o r a n z e a Galileo in Santa Croce. Scrisse Rucellai: «Un solo ostacolo, l'Università di Pisa, i m p e d ì c h e la T o s c a n a fosse r i d o t t a a quello stato d ' i g n o r a n z a che soffocava tutto il resto d'Italia». E questo ostacolo lo resuscitò Gian Gastone. Sui negoziati internazionali da cui sarebbe dipeso, d o p o la sua m o r t e , il d e s t i n o del G r a n d u c a t o , n o n p o t è influire perché il giuoco era più g r a n d e di lui. Ma ebbe il b u o n senso di capirlo subito e di n o n i m p e g n a r s i in m a n o v r e che gli sarebbero costate molto senza rendergli nulla. Si limitò a seguire con attenzione quelle delle G r a n d i Potenze c e r c a n d o di far sì che la successione avvenisse pacificamente e fosse la m e n o d a n n o s a agl'interessi della Toscana. C'è da chiedersi s'egli n o n a v r e b b e p o t u t o c o m p i e r e il g r a n gesto, c h e suo p a d r e n o n aveva osato, d i r i p r i s t i n a r e gli o r d i n a m e n t i r e pubblicani. Ma q u a n d o salì al p o t e r e , questa soluzione e r a già pregiudicata dalle decisioni che le Potenze avevano p r e so col p r i m o trattato di Vienna. E p e r o p p o r s i alla loro volontà ci sarebbe voluto n o n soltanto un gesto di g r a n coraggio da p a r t e di Gian Gastone, ma a n c h e u n a ferma volontà, da p a r t e dei Toscani, di d i f e n d e r e la p r o p r i a i n d i p e n d e n z a come ai t e m p i di Pier C a p p o n i . Di c a p p o n i a Firenze ce n'e549
ra a n c o r a tanti, ma con la c m i n u s c o l a . E Gian G a s t o n e lo sapeva. Dapprincipio aveva carezzato il sogno di lasciare il Grand u c a t o a un n i p o t e bavarese di Violante. Ma la diplomazia e u r o p e a lo mise di fronte al fatto c o m p i u t o . Senza neanche interpellarlo, stabilì che il suo successore sarebbe stato Carlo, il figlio di Filippo V di S p a g n a e di Elisabetta Farnese, come a b b i a m o già spiegato nei capitoli I I I e IV. C o m e tutti i malinconici, G i a n G a s t o n e aveva un certo u m o r i s m o . Q u a n d o gli a n n u n z i a r o n o l a visita d e l l ' e r e d e ; disse: «Vediamo di che figliolo m ' h a n n o fatto p a d r e a sess a n t a n n i » . Ma, a p p e n a lo vide, lungi dal p r e n d e r l o in uggia c o m e un i n t r u s o - q u a l e r a -, ne r i m a s e c o n q u i s t a t o , e ne aveva di c h e , p e r c h é C a r l o p o s s e d e v a t u t t o p e r p i a c e r e a tutti. Capì al volo la disperata solitudine di quel p o v e r o vecchio confinato nel suo sudicio letto e, lungi dall'indignarsi p e r la sua d e g r a d a z i o n e , la c o m p a t ì . Gian G a s t o n e si sentì riscaldato dal calore u m a n o di quel ragazzo, e in occasione della festa di San Giovanni (1732), invitò il p o p o l o a r e n d e r gli o m a g g i o c o m e al s u o legittimo successore. Il gesto dispiacque all'Austria, che seguitava a n u t r i r e ambizioni sulla Toscana e chiese c h e la p r o c l a m a z i o n e venisse revocata'. U n a n u o v a g u e r r a stava p e r scatenarsi in E u r o p a , e il Grand u c a t e m e t t e di trovarcisi coinvolto a causa di quel suo avventato gesto. Tergiversò r i n v i a n d o la p r o t e s t a al Senato, e frattanto la g u e r r a scoppiò davvero. A provocarla fu, c o m e abbiamo già visto, la successione al t r o n o di Polonia. Essa n o n r i g u a r d a v a d i r e t t a m e n t e l'Italia, ma rimescolava tutte le carte di un giuoco in cui a n c h e l'Italia e r a coinvolta. Infatti, visto che l'Austria era i m p e g n a t a in Polonia, gli spagnoli ne a p p r o f i t t a r o n o p e r sbarcare t r u p p e a Livorno nella speranza di accaparrarsi n o n soltanto la Toscana, ma tutta la penisola. C o m e si risolvesse questo e n n e simo conflitto, lo a b b i a m o già d e t t o : c o n l'assegnazione di N a p o l i e della Sicilia a C a r l o , e quella d e l G r a n d u c a t o a Francesco di L o r e n a . 550
Anche di questa transazione, Gian Gastone fu informato solo a cose fatte. E ne fu p r o f o n d a m e n t e dispiaciuto. Preferiva gli spagnoli agli austriaci, a n c h e p e r c h é p i ù l o n t a n i e m e n o p o t e n t i , si e r a affezionato a Carlo e lo considerava il sovrano più a d a t t o a g o v e r n a r e degl'italiani a n c h e p e r c h é era mezzo italiano a n c h e lui p e r via della m a d r e F a r n e s e . Ma sapeva di n o n poterci far nulla. E q u a n d o gli dissero che a succedergli s a r e b b e stato il L o r e n a , c o m m e n t ò scetticamente: «Chissà c o m e sarà quest'altro figlio di cui le Potenze mi h a n n o reso padre!» N e m m e n o in quegli u l t i m i a n n i aveva c a m b i a t o vita e abitudini. Ci volle un medico p e r snidarlo d'autorità da quel letto «pieno di sudiciume» e trasferirlo in un altro che s'insudiciò subito anch'esso p e r c h é il G r a n d u c a n o n si lavava. E lì seguitò a disfarsi nell'accidia, da cui riuscivano a distrarlo solo i r u s p a n t i . G o d e v a di sentirsi c h i a m a r e da loro con gli epiteti più spregiosi. I suoi vestiti e r a n o in brandelli, la p a r rucca spettinata gli p e n d e v a da tutte le p a r t i a n c h e p e r c h é egli ne adibiva i boccoli a tovaglioli, e «aveva» scrive un cronista «le u g n e delle m a n i e dei piedi c o m e un astore», cioè ripiegate in d e n t r o ad artiglio p e r c h é rifiutava di farsele tagliare. Tutti a v e v a n o g i u r a t o c h e s a r e b b e m o r t o p r i m a d i suo p a d r e , e q u a n d o gli successe, nel ' 2 3 , e r a n o convinti c h e non avrebbe d u r a t o più di qualche m e s e . Invece e r a rimasto sul t r o n o q u a t t o r d i c i a n n i a r r i v a n d o fino ai sessantasei che a quei t e m p i era un'età rispettabile a n c h e p e r gente sana e robusta. Nel g i u g n o del '37 il Principe di Craon, venuto a r e n d e r g l i visita p e r conto del Duca di L o r e n a , scrisse: «Ho trovato il G r a n d u c a in condizioni da far pietà: n o n e r a in g r a d o di alzarsi dal letto, aveva la b a r b a lunga, i lenzuoli sudici, la b i a n c h e r i a in d i s o r d i n e e senza t r i n e , e nel complesso dava l'impressione di n o n avere un mese di vita». Pochi g i o r n i d o p o l'Elettrice L u d o v i c a forzò il divieto ch'egli le aveva fatto di c o m p a r i r g l i d a v a n t i , e a t t r a v e r s o delle porticine segrete e n t r ò nella sua c a m e r a p e r i n d u r l o al 551
p e n t i m e n t o e alla c o m u n i o n e . Il m o r e n t e t r o v ò a n c o r a la forza p e r cacciarla via chiamandola «puttana». Ma poi si arrese alle insistenze di tutti, accettò la visita di un sacerdote; chiese il viatico, e invocò clemenza p e r i suoi peccati. Ne aveva commessi tanti. Li aveva commessi tutti. Eppure n o n ci s t u p i r e m m o di sapere un giorno che è finito in paradiso e che n o n ci ha trovato suo p a d r e , che di peccati non ne aveva commessi p u n t i .
CAPITOLO SEDICESIMO
FIRENZE: LUNGO INTERMEZZO
Uno dei p r i m i lorenesi che v e n n e r o a p r e n d e r possesso di Firenze in n o m e del n u o v o G r a n d u c a Francesco, fu un certo Castelmur, che in realtà era svizzero, ma siccome parlava tedesco, passava p e r lorenese a n c h e lui. N o n aveva nulla a che fare con la politica. Si o c c u p a v a di caffè, u n a b e v a n d a ancora quasi sconosciuta in Italia. E p e r i n t r o d u r v e l a , a p r ì un locale in via Calzaioli, che subito diventò il p u n t o di raccolta dei partigiani dei L o r e n a . Figuriamoci se i fiorentini p o t e v a n o r i n u n c i a r e a quella bella occasione di dividersi in d u e fazioni. Molti r i m p i a n g e vano che l'eredità g r a n d u c a l e n o n fosse toccata a Carlo di Borbone un p o ' p e r c h é costui, q u a n d ' e r a v e n u t o in visita da Gian Gastone, aveva suscitato molte simpatie; un p o ' p e r c h é portava il n o m e di u n a dinastia che s e m b r a v a fornire ai timorati b e n p e n s a n t i maggiori garanzie di rispetto dello statu quo. A questa categoria a p p a r t e n e v a s o p r a t t u t t o la vecchia nobiltà, s p a v e n t a t a dal v e n t o di r i f o r m e c h e soffiava da Vienna. M a siccome quelli l o r o n o n e r a n o c h e sterili r i m pianti, gli avversari li chiamavano p e r dileggio «gli orsi» dal proverbio p o p o l a r e secondo cui «gli orsi s o g n a n o le pere». Gli orsi reciprocavano la corbellatura d a n d o di «lupi» ai p r o - l o r e n e s i , e ne a v e v a n o di c h e . I n u o v i p a d r o n i infatti non facevano complimenti. N o n solo si e r a n o subito a p p r o priate le cariche più r e m u n e r a t i v e , ma trattavano la città come u n a p r e d a bellica, m e t t e n d o spicciativamente all'asta i mobili, gli arazzi, i q u a d r i di palazzo Pitti, e le stoviglie e suppellettili delle ville m e d i c e e . T u t t o fu v e n d u t o , dice un cronista, «a r o t t a di collo», e ai difensori del n u o v o r e g i m e 553
n o n rimase altro a r g o m e n t o che il caffè di Castelmur. Questa fu l'unica loro vittoria. Il caffè piacque moltissimo ai fior e n t i n i , le cui case c o m i n c i a r o n o a r i e m p i r s i di c u c c u m e e chicchere. Solo gli orsi si rifiutarono di convertircisi, consid e r a n d o l o u n a delle tante diavolerie m o d e r n i s t e degli aborriti L o r e n a . Da allora l'uso del caffè diventò u n a dichiarazione di fede ideologica. Francesco n o n si e r a d e g n a t o di venire a d a r e un'occhiata al suo G r a n d u c a t o , e n o n aveva voluto n e m m e n o adott a r n e l'ordine dinastico. C o m e G r a n d u c a di Toscana infatti avrebbe d o v u t o a s s u m e r e il n o m e di Francesco I I . Ma preferì restare Francesco I I I c o m e gli sarebbe toccato in Lorena, sebbene a questo Ducato avesse ormai d o v u t o rinunciare in favore del Leczynski. I fiorentini n o n c o n o b b e r o il suo volto che dall'effigie incisa sulle m o n e t e . O g n u n a di esse valeva il d o p p i o di quelle locali, i «paoli», secondo un cambio fissato a r b i t r a r i a m e n t e a tutto v a n t a g g i o dei nuovi venuti. A t t o r n o ai tavoli di Castelmur, i lupi - quasi tutti a p p a r t e n e n t i alla borghesia e alle professioni liberali - avevano un bel magnificare le riforme austriache. La g e n t e li guardava c o m e collaborazionisti degli occupanti e complici delle loro rapine. Solo oltre d u e a n n i d o p o l'investitura, Francesco si decise a r e n d e r visita alla città insieme alla moglie Maria Teresa. Gli a u g u s t i ospiti n o n fecero, lì p e r lì, cattiva impressione. Anzi, suscitarono p a r e c c h i e simpatie con la loro affabilità. Visitarono i m o n u m e n t i c o m e semplici turisti, e i b e n p e n santi f u r o n o g r a d e v o l m e n t e s o r p r e s i nello s c o p r i r e che Francesco, fin allora r i t e n u t o massone e m a n g i a p r e t i , conosceva m o l t o b e n e la musica sacra e «cantava a cappella» in coro coi frati. La regale coppia a n d ò anche, via A r n o , a Pisa e a Livorno p e r raccoglierne l'omaggio, e rinunziò ai festeggiamenti p r o g r a m m a t i p e r il r i t o r n o q u a n d o s e p p e che Ludovica e r a c a d u t a a m m a l a t a . A n c h e questo fece b u o n a imp r e s s i o n e . E più a n c o r a ne fece l'offerta, che Francesco rivolse alla vecchia Elettrice Palatina, di a s s u m e r e la reggenza 554
del G r a n d u c a t o in suo n o m e . L'offerta fu declinata, ma parve a tutti generosa e cavalleresca. Tutto si guastò al m o m e n t o della partenza, q u a n d o i fiorentini videro incolonnarsi l u n g o la via Bolognese un interminabile c o r t e o di b a r r o c c i tirati da muli e b u o i , e carichi del tesoro di casa Medici, c h e n o n aveva forse l'eguale in Europa. E vero che di quel tesoro il L o r e n a era l'erede. Ma i fiorentini r i t e n e v a n o sottinteso che fosse da c o n s i d e r a r e connesso al titolo, e q u i n d i inamovibile. Q u e l b r u t a l e saccheggio li r i e m p ì di s d e g n o . I c a r r i c o n t i n u a r o n o a sfilare per dieci g i o r n i . Li seguiva soltanto M a r i a T e r e s a p e r c h é Francesco e r a t o r n a t o a Livorno, dove avrebbe d o v u t o imbarcarsi p e r Trieste e r a g g i u n g e r e l ' a r m a t a i m p e r i a l e in marcia nei Balcani c o n t r o i T u r c h i . U n a libecciata gliel'impedì, obbligandolo a p r e n d e r e anche lui la via Bolognese. I fiorentini facevano l'elenco degli oggetti s c o m p a r s i e cominciavano a g u a r d a r e c o n s i m p a t ì a L u d o v i c a , u l t i m a erede di u n a casata, da cui Firenze e r a s e m p r e stata arricchita, n o n d e p r e d a t a . Fin allora essa n o n era mai stata molto p o p o l a r e . La gente rivedeva in lei suo p a d r e Cosimo, cui nel carattere somigliava, e aveva p a r t e g g i a t o p e r Gian Gastone q u a n d o questi l'aveva confinata nella villa di L a p p e g gi. O r a e r a t o r n a t a a palazzo Pitti e, sebbene vi conducesse una vita m o l t o a p p a r t a t a , restava all'altezza del n o m e che portava. Riceveva i visitatori sotto un g r a n d e b a l d a c c h i n o nero, a lutto p e r l'estinta dinastia, trattandoli c o m e se fossero ancora i suoi sudditi. Invecchiando, era diventata a n c o r a più d u r a e arcigna, ma il suo tratto e r a rimasto regale. L'accusavano di avarizia p e r c h é n o n faceva mai elemosine. Ma in compenso s p e n d e v a a piene m a n i p e r c o n d u r r e a compimento le o p e r e iniziate dai suoi antenati, c o m e la facciata di San L o r e n z o d i s e g n a t a d a M i c h e l a n g e l o . S u u n a c a r r o z z a tirata da q u a t t r o pariglie di cavalli, a n d a v a a rovistare le botteghe di antiquariato p e r arricchire le collezioni di famiglia. Da b u o n a Medici, aveva il gusto degli oggetti d'arte, e sapeva riconoscerli a p r i m a vista. 555
Era p e r orgoglio e p e r n o n essere costretta ad avallare l r u b e r i e lorenesi che aveva rifiutato la r e g g e n z a offertagli da-' Francesco. Voleva che dell'ultima Medici i fiorentini conser-" vassero un ricordo d e g n o del n o m e , e ci riuscì. Questa vecchia signora vestita di n e r o che discuteva da intenditrice con p i t t o r i , scultori e architetti e i n s i e m e ad essi r i o r d i n a v a le gallerie di Pitti e degli Uffizi, faceva c o n t r a s t o con la pacc h i a n e r i a dei lorenesi c h e valutavano i q u a d r i solo in base alle l o r o d i m e n s i o n i , e la m e t t e v a in risalto. N o n p e r d e v a occasione p e r confonderli e mortificarli con b a t t u t e taglienti che facevano il giro della città suscitandovi divertiti c o n t sensi. Ma lo schiaffo p i ù grosso ai saccheggiatori di Firenze lo dette col suo testamento, con cui lasciava alla città l'intero, i m m e n s o p a t r i m o n i o di famiglia: le Gallerie Pitti e Uffizi, il gabinetto delle g e m m e , le collezioni delle statue, dei b r o n zetti, delle medaglie e dei c a m m e i , la Sacrestia N u o v a di Michelangelo, le biblioteche laurenziana e palatina, i reliquiari sacri. A patto che niente venisse asportato da Firenze. Morì a s e t t a n t a c i n q u e a n n i , nel 1743. E tutti i fiorentini s e g u i r o n o il suo feretro, c o m p r e s i i lupi p r o - l o r e n e s i , compresi i m e n d i c a n t i cui essa aveva rifiutato le sue elemosine. Tutti sentivano che con q u e s t a vecchia signora autoritaria e cipigliosa s c o m p a r i v a l ' u l t i m o vestigio d e l l a g r a n d e z z a f i o r e n t i n a e si c o n c l u d e v a il ciclo di u n a c u l t u r a e di u n a civiltà. ! D u e a n n i d o p o , il G r a n d u c a di Toscana saliva sul t r o n o i m p e r i a l e . Per la precisione, a salirci e r a sua moglie Maria Teresa, s u c c e d u t a nel '40 a suo p a d r e Carlo VI grazie alla Prammatica Sanzione. Abbiamo già accennato alla complicata controversia che ne e r a derivata e alle difficoltà che la nuova I m p e r a t r i c e aveva d o v u t o s o r m o n t a r e p e r essere riconosciuta c o m e tale. Il m a r i t o diventava I m p e r a t o r e di riflesso a lei, c o m e «coadiutore degli Stati». E i fiorentini sperarono che, così salito di r a n g o , il loro G r a n d u c a avrebbe smesso di spolparli come aveva seguitato a fare. Ma subito d o v e t t e r o accorgersi che si trattava di p u r a ile
556
Iusione. Francesco e r a un parsimonioso a m m i n i s t r a t o r e del patrimonio di famiglia, cui aveva d o v u t o d a r fondo p e r far valere i diritti suoi e di sua moglie. E ora, p e r c o l m a r n e le falle, appesantiva il suo fiscalismo. Sotto gli ultimi Medici, la Toscana aveva g o d u t o di u n ' a m m i n i s t r a z i o n e p i ù b o n a r i a che b u o n a . Il fisco e r a ingiusto in q u a n t o colpiva p i ù severamente le classi p o v e r e di quelle ricche, ma n o n esoso. Il suo gettito e r a quasi tutto assorbito dagli s t i p e n d i dei funzionari che lo r i m e t t e v a n o in circolo. Allo Stato restavano le briciole, e al G r a n d u c a , ricco di suo, quasi nulla. C o n questi criteri, la Toscana aveva p r o gredito p o c o p e r m a n c a n z a di spirito i m p r e n d i t o r i a l e e di capitali d a investire i n g r a n d i o p e r e p u b b l i c h e , m a i l s u o m o d e s t o b e n e s s e r e e r a a b b a s t a n z a diffuso e g a r a n t i t o da u n a burocrazia mal p a g a t a e piuttosto inefficiente, ma accom o d a n t e e soccorrevole. I lorenesi i s t a u r a r o n o altri m e t o d i , di r a p i n a . Essi liquid a r o n o tutto l'apparato amministrativo d a n d o n e i servizi in appalto ai privati. C o m i n c i a r o n o con le d o g a n e e le gabelle, poi le poste, poi la zecca, poi la m a g o n a . Alla fine a p p a l t a r o no a n c h e la p r o d u z i o n e e la d i s t r i b u z i o n e del ghiaccio, e perfino il m a n t e n i m e n t o delle ville e i giardini medicei. Con questo sistema, e l i m i n a r o n o il g r a v a m e degli stipendi e dei salari. L'appalto e r a messo all'incanto. L'otteneva chi s'impegnava a pagarlo di più. N a t u r a l m e n t e il vincitore si rifaceva dell'esborso t o r c h i a n d o sia gl'impiegati che gli u t e n t i . Erano c o s t o r o , in definitiva, a fare le spese di un sistema c h e mirava ad assicurare il p i ù largo m a r g i n e di utile a d u e soli beneficiari: l ' a p p a l t a t o r e e lo Stato, cioè il G r a n d u c a : un G r a n d u c a che a Firenze n o n si e r a fatto più v e d e r e e ne risucchiava t u t t e le r e n d i t e a Vienna. S e c o n d o alcuni e c o n o misti, era il sessanta p e r c e n t o del r e d d i t o l o r d o toscano che p r e n d e v a quella strada: un salasso da m e t t e r e in ginocchio anche l'economia di un Paese florido, quale la Toscana n o n era. A regolare questo p r e d a t o r i o meccanismo, Francesco ave557
va designato un «Reggente» che d a p p r i n c i p i o fu il Principe di C r a o n . N o n aveva altro merito che quello di essere stato p r e c e t t o r e del L o r e n a e di avergli combinato il matrimonio con Maria Teresa. I fiorentini l'odiavano c o n s i d e r a n d o l o il responsabile del saccheggio. In realtà e r a un b u o n diavolo che, anche se avesse voluto, n o n avrebbe p o t u t o disobbedire agli ordini del suo avido Sovrano. E gli stessi suoi denigratori f u r o n o costretti a r i m p i a n g e r l o , q u a n d o il suo p o s t o fu preso p r i m a dal Richecourt e poi dal Botta-Adorno. P u r di origine italiana, costui aveva fatto tutta la sua carr i e r a , fino al g r a d o di Maresciallo, nell'esercito imperiale. Anzi, era stato lui il c o m a n d a n t e di quel c o r p o di spedizione austriaco che i genovesi, guidati da Balilla, avevano scacciato a sassate dalla loro città. La situazione che trovò a Firenze n o n e r a delle p i ù invitanti. Se il C r a o n si e r a limitato a soddisfare l ' a p p e t i t o del G r a n d u c a , il R i c h e c o u r t vi aveva aggiunto il suo facendo tale m a n bassa che, calato in Toscana «coi b u c h i nelle calze», ne era ripartito con un p a t r i m o nio di oltre 500 mila d u c a t i . La città n o n ne p o t e v a più di questi salassi, il m a l c o n t e n t o dilagava, ma il Botta-Adorno n o n era u o m o da p r e o c c u p a r s e n e . A differenza del suo predecessore, n o n era ladro. Ma era un ottuso esecutore di ordini, un u o m o di caserma, senza intuito politico né capacità amministrative. Q u a n d o la Toscana fu investita dalla carestia del '64, n o n s e p p e i n v e n t a r e nulla p e r farvi fronte. L'unica sua preoccupazione fu l'ordine pubblico. La gente morisse p u r e di fame, ma n o n calpestasse le aiuole. E q u a n d o il G r a n d u c a gli chiese, oltre quello di soldi, un tributo di uomini da a r r u o l a r e nei suoi eserciti, egli n o n esitò a requisirli p r o v o c a n d o u n a massiccia fuga di contadini nei vicini Stati Pontifici. «Per lui» scrisse un cronista «i toscani contano per un di più.» N o n solo li voleva docili. Ma p r e t e n d e v a anche che si associassero ai fasti e ai nefasti della famiglia regnante, c o n d i v i d e n d o la gioia delle culle che la rallegravano e il dolore delle b a r e che l'attristavano. Solo n e l '65 i fiorentini soddisfecero questa sua pretesa: 558
m a n d o d a V i e n n a g i u n s e l ' a n n u n z i o che i l G r a n d u c a t o c r e b b e avuto n o n più un Reggente, ma un vero e p r o p r i o itolare. Questi, secondo l'impegno della «secondogenitura» contratto a n c h e dall'Austria ad Aquisgrana, avrebbe d o v u t o essere Carlo Giuseppe, c h ' e r a a p p u n t o il secondogenito della dinastia. Ma il giovane Principe e r a m o r t o , e q u i n d i la Toscana s a r e b b e toccata al t e r z o g e n i t o Pietro L e o p o l d o , c h e altrimenti avrebbe d o v u t o contentarsi del Ducato di M o d e na e Massa. Sebbene n o n avesse che diciassette a n n i , si provvide subito ad accasarlo con l'Infanta di S p a g n a , Maria Luisa. Come quasi s e m p r e capitava in questi m a t r i m o n i reali, i d u e giovani n o n si c o n o s c e v a n o . Si v i d e r o p e r la p r i m a volta q u a n d o s'incontrarono a I n n s b r u c k p e r le nozze, e a q u a n t o pare si p i a c q u e r o , sebbene la loro l u n a di miele cominciasse male assai: p r i m a con u n a colite da p a r t e di lui, c h e l'obbligò a disertare il letto coniugale; poi p e r l'improvvisa m o r te d e l l ' i m p e r a t o r e Francesco, stroncato da un infarto m e n tre tornava da teatro. Per quest'ultimo l u g u b r e evento, il Botta-Adorno avrebbe voluto c h e i fiorentini p r e n d e s s e r o il l u t t o . Essi invece non nascosero la loro contentezza un p o ' p e r c h é di Francesco a v e v a n o poco d a r i m p i a n g e r e , u n p o ' p e r c h é l a sua scomparsa affrettava e r e n d e v a più radicale il g r a n cambiam e n t o . Vivo suo p a d r e , Pietro L e o p o l d o a v r e b b e d o v u t o contentarsi del titolo di G o v e r n a t o r e G e n e r a l e . O r a invece poteva a s s u m e r e senz'altro quello di Nono Granduca e assolu-
to Signore di Toscana. I fiorentini n o n sapevano nulla di lui. Ma s p e r a v a n o che un G r a n d u c a r e s i d e n t e in Toscana e s e n z ' a l t r o titolo c h e quello di Toscana, avrebbe finito p e r sentirsi solidale con la Toscana e p e r farne gl'interessi.
CAPITOLO DICIASSETTESIMO LA T O S C A N A DI P I E T R O L E O P O L D O
«Leopoldo ha avuto dalla n a t u r a un c u o r e b u o n o , generoso e sensibile. Ma è i n d o l e n t e e p i g r o , con u n a forte tendenza a formarsi idee p r e c o n c e t t e , cui p o i r i n u n c i a con difficoltà p e r c h é ha t r o p p o alta o p i n i o n e di se stesso e n o n a m a chied e r e consigli, né seguire quelli che gli v e n g o n o dati. Cerca di r a g g i u n g e r e i suoi fini con l'astuzia e p e r vie traverse. Vorrei che nell'aspetto e nel c o n t e g n o diventasse p i ù libero, franco e sicuro, m e n o rozzo n e l l ' a c c e n t o e nella voce, più avvincente nel m o d o di comportarsi e di esprimersi. Ha una g r a n d e preferenza p e r la piccola gente e predilezione p e r le cose p i a t t e e i n s i p i d e . V o r r e b b ' e s s e r e c o r t e s e , ma difficilm e n t e ci riesce.» Così M a r i a Teresa in u n a «Istruzione» al p r e c e t t o r e di suo figlio. Il giudizio e r a a b b a s t a n z a esatto, nel m o m e n t o in cui v e n n e formulato. L'adolescente n o n lasciava presagire gran che di b u o n o . Partecipava svogliatamente alla vita di Corte, aveva in u g g i a l'etichetta, si a n n o i a v a alle feste, detestava l'esercito, le uniformi, le p a r a t e militari, e r a trascurato nel vestire, usava un linguaggio da stalliere, sputava in terra, si mangiava le u n g h i e , soffriva di malinconia e di disturbi intestinali, e si m o s t r a v a a suo agio solo con la servitù che lo adorava. P r o b a b i l m e n t e questi u m o r i d i p e n d e v a n o , c o m e oggi si d i r e b b e , da un c o m p l e s s o di «frustrazione». Maria Teresa era u n a chioccia che, p e r t r o p p o covarli, rischiava di soffocare i suoi pulcini. Era p e r difendersene che Pietro Leopoldo r i c o r r e v a alle «vie traverse». Per di p i ù , il suo avvenire s e m b r a v a privo di prospettive, visto che il t r o n o imperiale 560
era destinato al p r i m o g e n i t o G i u s e p p e e il G r a n d u c a t o di Toscana al secondogenito Carlo. A lui, terzogenito, sarebbe toccato al massimo il Ducato di M o d e n a e Massa, dove n o n gli sarebbe rimasto che vegetare. Le u n g h i e rose, la malinconia, la colite, il «capellonismo», e r a n o il risultato di questo disagio. Forse a v r e b b e finito p e r incanaglirsi nei b a g o r d i , se la morte di Carlo, nel '60, n o n gli avesse a p e r t o la successione al G r a n d u c a t o . Il G r a n d u c a t o significava l ' a l l o n t a n a m e n t o da Vienna, cioè dalle soffocanti gonnelle di sua m a d r e , l'indipendenza, la responsabilità, il p o t e r e . Tutto, di colpo, p e r lui cambiò. E di colpo cambiò a n c h e lui. I g r u m i del suo carattere si sciolsero, le crisi di m a l i n c o n i a si d i r a d a r o n o , trovò perfino piacere a c o m a n d a r e un r e p a r t o di cavalleria in u n a p a r a t a militare. E q u a n d o lo avviarono al m a t r i m o nio con l'Infanta Maria Luisa di B o r b o n e , figlia di Carlo I I I (quello che, p r i m a di d i v e n t a r e Re di Napoli, e p o i di Spagna, avrebbe d o v u t o essere lui il G r a n d u c a di Toscana), ci andò con entusiasmo, p e r c h é sapeva che subito d o p o avrebbe proseguito p e r l'Italia. Il ragazzo «indolente e pigro» di cui parlava sua m a d r e era divorato dalla smania di fare e di far bene. Non aveva che diciotto a n n i , q u a n d o g i u n s e a F i r e n z e con la sposa, e con un «consigliere», il C o n t e v o n T h u r n . Costui in realtà doveva assolvere le mansioni di sorvegliante per conto d e l l ' I m p e r a t r i c e , la quale n o n si rassegnava all'idea che i suoi pulcini crescessero e facessero da sé. La città, sentendosi restituita grazie a lui al r a n g o di capitale, lo accolse festosamente: «Questi giovani sposi fanno ringiovanire tutta la Toscana» scrisse un cronista. E l'entusiasmo salì alle stelle q u a n d o il n u o v o Sovrano, a p p e n a insediato, licenziò il Botta-Adorno e tutti i lorenesi del p e r i o d o di r e g g e n za, che a v e v a n o t a n t o i r r i t a t o i fiorentini. E r a c h i a r o c h e Leopoldo voleva g o v e r n a r e la Toscana coi toscani. T u t t o ciò d i s p i a c q u e a M a r i a T e r e s a . Per lei, L e o p o l d o doveva r e s t a r e un figlio e la Toscana u n o Stato satellite da 561
g o v e r n a r e con gli u o m i n i e secondo gl'interessi di Vienna M a n d ò lettere p i e n e di rimbrotti a L e o p o l d o p e r c h é , senza n e a n c h e avvertirla, aveva fatto un giro n e l G r a n d u c a t o e c o m m i n ò la disgrazia al T h u r n p e r c h é , lungi dall'impedirglielo, ne difendeva l'operato. Il poveretto, già gravemente malato, ne morì. E il suo posto fu p r e s o dal principe Rosenberg, destinato a esercitare un'azione tanto discreta, quanto i m p o r t a n t e sul giovane Sovrano. Q u e s t i e r a stato c a l o r o s a m e n t e festeggiato in t u t t e le città, specie a Livorno, dove p e r la p r i m a volta aveva visto il m a r e , se n'era i n n a m o r a t o e aveva deciso d ' i n c r e m e n t a r e la flotta. Fra i n u m e r o s i s s i m i s t r a n i e r i c h e , divisi p e r «nazioni», popolavano quella città resa florida dal «porto franco», i p i ù p o t e n t i e r a n o gli e b r e i , i quali c a p i r o n o subito che in q u e l G r a n d u c a a v e v a n o t r o v a t o u n a m i c o , cioè u n amico della libertà e del p r o g r e s s o . I fatti d o v e v a n o d i m o s t r a r e che n o n si e r a n o sbagliati. L u n g i dallo scoraggiarsi p e r i rabbuffi della m a d r e , Leop o l d o a c c e n t u ò la p r o p r i a i n d i p e n d e n z a fino a e n t r a r e in conflitto col fratello G i u s e p p e cui, secondo il testamento del loro p a d r e Francesco, avrebbe d o v u t o versare tutto ciò che si trovava nelle casse dello Stato g r a n d u c a l e : un milione e duecentomila fiorini. Era un b r u t t o colpo p e r le salassate fin a n z e toscane, e L e o p o l d o cercò di p a r a r l o con tutti i mezzi. Si r a s s e g n ò a c e d e r e solo d o p o u n o scambio di lettere m o l t o a s p r e , che c o m p r o m i s e i suoi b u o n i r a p p o r t i sia col fratello che con la m a d r e . Per fortuna p r o p r i o allora, d o p o u n a femmina, Maria Luisa mise al m o n d o un maschio, che a u t o m a t i c a m e n t e diventava e r e d e al t r o n o imperiale, essendo G i u s e p p e rimasto d u e volte vedovo e senza figli. Il fausto evento r i p o r t ò l'armonia tra i d u e fratelli. Lo zio, felice, a s s e g n ò al n i p o t i n o in culla u n a p e n s i o n e di sessantamila fiorini all'anno. La crisi in cui versavano le finanze granducali d o p o quell'ultimo d r e n a g g i o spinse L e o p o l d o ad anticipare il suo prog r a m m a di riforme. Si vide subito che le idee n o n gli man562
cavano. Se Fera formate nell'atmosfera illuministica di Vienna e alia scuola di un p r e c e t t o r e francese, Sauboin, n u t r i t o di fisiocrazia, c h e lo aveva seguito a n c h e a Firenze. Ma gli occorrevano gli s t r u m e n t i , cioè gli u o m i n i e le leggi. Di u o m i n i , in q u e s t a città c h e n ' e r a stata a suo t e m p o tanto p r o d i g a , o r a c'era g r a n carestia p e r c h é l'asfissiante regime di Cosimo n o n ne aveva certo favorito la p r o d u z i o ne. Palazzo Pitti e r a rimasto in balìa dei p r e t i e di un vecchio patriziato conservatore e misoneista. L e o p o l d o in q u e sto a m b i e n t e n o n frugò n e m m e n o , t a n t o lo disprezzava. "I preti li mise alla p o r t a . I nobili c e r c ò di n o n inimicarseli gratificandoli d i o r d i n i cavallereschi, n u o v e p i ù r u t i l a n t i divise e i n c a r i c h i onorifici. Ma già l'etichetta i s t a u r a t a a Corte d e n u n z i a v a o r i e n t a m e n t i novatori e democratici. La p o m p a e r a stata b a n d i t a e il rituale semplificato. O g n i venerdì le p o r t e del palazzo si a p r i v a n o a c h i u n q u e volesse dire o c h i e d e r e qualcosa al G r a n d u c a , che riceveva tutti e con tutti s ' i n t r a t t e n e v a affabilmente. Q u a l c u n o dice c h e , più che d e m o c r a z i a , q u e s t o e r a s p i o n a g g i o bell'e b u o n o . P r o b a b i l m e n t e e r a u n a cosa e l'altra. Lo s p a r a g n i n o L e o poldo si serviva di questi i n c o n t r i un p o ' p e r stabilire r a p porti d i r e t t i coi s u d d i t i , u n p o ' p e r s a p e r e d a l o r o - g r a tis - cosa succedeva in città. C o m u n q u e , la cosa c o n t r i b u ì alla p o p o l a r i t à d e l G r a n d u c a . Ai fiorentini piaceva il suo tratto alla m a n o . Piacevano le sue frequenti apparizioni nei teatri, c o m p r e s i quelli più proletari, da s p e t t a t o r e qualsiasi. Piacevano la sua frugalità e p a r s i m o n i a , in cui tutti riconoscevano un carattere nazionale. Piaceva perfino il suo libertinaggio, d o p o il l u n g o b a g n o di austerità subito al t e m p o di Cosimo. E forse p r o p r i o p e r c h é piaceva, la voce popolare gliene accreditò più del d o v u t o . In realtà L e o p o l d o n o n sacrificò mai ai piaceri di alcova i doveri coniugali: lo d i m o strano i sedici figli che fece snocciolare alla moglie, e la p e r fetta a r m o n i a dei suoi r a p p o r t i con lei e con loro. Delle sue scappatelle, Maria Luisa era informata. Q u a n d o p o r t a v a la tediata alle Cascine e i bambini p e r strada li salutavano, es563
sa diceva ai suoi: «Rispondete... P o t r e b b e r o essere tutti vo^ stri fratelli...» Ma quello che soprattutto piaceva di L e o p o l d o era il suo m e t o d o o r d i n a t o di lavoro e i collaboratori che si e r a scelto Se li e r a cercati nel ceto m e d i o , quello n a t u r a l m e n t e più a p e r t o alle sollecitazioni riformiste, ma senza un criterio rig i d a m e n t e ideologico. Più tardi Mirabeau p a d r e - il famoso «amico degli uomini» - esaltò in L e o p o l d o «il g r a n d e fisiocratico». Forse così L e o p o l d o aveva voluto a p p a r i r g l i perché M i r a b e a u lo e r a e ai suoi elogi ci teneva. In realtà era un empirico che gli u o m i n i li valutava, più che sulla dottrina, sull'esperienza. Il p r i m o c h e a s s u n s e ai suoi servizi fu P o m p e o Neri. E n o n tanto p e r il n o m e che si era fatto come professore di diritto pubblico a Pisa, q u a n t o p e r le p r o v e che aveva dato come riformatore del catasto in L o m b a r d i a . L e o p o l d o , che sec o n d o lo Zobi «possedeva finissimo tatto nel d i s c e r n e r e gli u o m i n i più adatti a effettuare i suoi divisamenti», ma nonostante la giovanissima età era cauto e s e m p r e in g u a r d i a anche dai p r o p r i entusiasmi, p r i m a lo s p e r i m e n t ò in alcuni incarichi operativi. E solo q u a n d o ne ebbe toccato con m a n o le qualità di equilibrio e di efficienza, gli affidò la direzione del Consiglio di Stato, facendone così il «primo motore» del vasto p r o g r a m m a di r i f o r m e che aveva in m e n t e . Insieme essi o p e r a r o n o le altre scelte: quella di Gian Francesco Gianni al m i n i s t e r o (che allora si c h i a m a v a segreteria) delle fir n a n z e , e quella di Rucellai p e r i delicati r a p p o r t i con la Chiesa che di lì a poco dovevano ingarbugliarsi. Più tardi si sarebbe fatto avanti un altro protagonista, il Tavanti, destin a t o a s u c c e d e r e al N e r i . Ma l'abbozzo del n u o v o Stato fu o p e r a dei p r i m i tre e di pochi altri, p e r c h é L e o p o l d o era hir fedele solo con le d o n n e . Ai collaboratori era fedelissimo e nel suo l u n g o r e g n o ne c a m b i ò b e n p o c h i . Apertissimo fu invece s e m p r e ai consigli di tanti altri, che chiamava la sera a consulto, p e r c h é soleva d i r e che «dieci occhi v e d o n o meglio di due», e critiche e obbiezioni n o n lo infastidivano, an564
il le sollecitava. Tutti dicevano che con lui si lavorava molto, ma si lavorava b e n e . E questa voce finalmente r a g g i u n s e anche Vienna, dove si r a s s e g n a r o n o a lasciarlo fare. «La Toscana» scriveva in quegli a n n i Giorgio Santi «ha vulcani estinti; ha f r e q u e n t i m o n t i ; ha colline, p i a n u r e e valli diversificate in mille amenissime guise; fonti limpidissime, torrenti precipitosi, fiumi reali e laghi; e t u t t o q u e s t o così vario suolo è a b b o n d a n t e in animali d'ogni g e n e r e , in piante, in miniere metalliche, in zolfo, in b i t u m e , in pietre r a r e , in sali...» C o m e scampolo di pubblicità turistica, va b e n e . C o m e ritratto, un p o ' m e n o . La Toscana e r a già allora, effettivamente, la più bella regione d'Italia, e forse del m o n d o , la più varia, c o m p l e t a e a r m o n i o s a ; ma p e r v o l o n t à degli u o m i n i , non p e r grazia di Dio. «Un i m m e n s o d e p o s i t o di fatiche» avrebbe d e t t o C a t t a n e o . E infatti c'era v o l u t o il s u d o r e di generazioni e generazioni p e r pettinare quella t e r r a in b u o na p a r t e irsuta e avara, e s p r e m e r n e dei frutti. L'acqua scarseggiava, di fiumi reali n e a n c h e l'ombra, e i t o r r e n t i precipitosi e r a n o più u n a minaccia che u n a benedizione. Materie prime ce n ' e r a n o effettivamente molte, ma in scarsa q u a n tità e di difficile estrazione. L'unica sua vera ricchezza e r a n o il puntiglio, la frugalità e la parsimonia degli abitanti. Dagli sconquassi m o n e t a r i del secolo p r e c e d e n t e e dalla c o n c o r r e n z a del neo-capitalismo p r o t e s t a n t e che, p a d r o n e dei mari, si era accaparrato tutti i mercati dell'Occidente, la Toscana e r a riuscita a salvare solo q u a l c h e b r a n d e l l o delle sue d u e i n d u s t r i e un t e m p o p i ù floride: la lana e la seta. Il m a r m o di C a r r a r a , il m e r c u r i o dell'Armata, l'alabastro di Volterra, il ferro dell'Elba a l i m e n t a v a n o un artigianato ancora a b b a s t a n z a vivo e ricco d'inventiva. Ma n e m m e n o la Toscana e r a sfuggita al processo di ruralizzazione provocato dalla C o n t r o r i f o r m a e dal d o m i n i o spagnolo sulla penisola. La restaurazione di un tipo di società che p o n e v a al vertice dei valori il titolo ereditario e la qualifica di r e d d i t i e r o , che 565
n o n conosceva altra ricchezza che quella misurabile in ettari, e c h e t e n e v a a vile «le arti m e c c a n i c h e » , cioè il lavoro aveva p r o v o c a t o i r r e p a r a b i l i guasti a n c h e in q u e s t o paese d ' i m p r e n d i t o r i , di banchieri e di mercanti. C o m e d a p p e r t u t t o altrove, la base della sua economia e r a l'agricoltura. I contadini toscani facevano tesoro di tutto, a n c h e della p o v e r t à delle loro t e r r e s p r e m e n d o n e l'olio e il vino migliori. E la dieta vi si era a d e g u a t a . Nessuna cucina, c o m e quella toscana, sa sfruttare in m a n i e r a così raffinata i p r o d o t t i più rustici: l'erbe selvatiche, i fagioli, le patate, le castagne. Pochi c o n d i m e n t i , niente salse, tutto ridotto all'essenziale. Alla base, p e r tutti, dal p i ù g r a n d e s i g n o r e al p i ù umile bracciante, e oggetto quasi di religiosa adorazio,n e , il p a n e . Fu al p a n e che L e o p o l d o dedicò le sue p r i m e misure. Es.so n o n era sicuro p e r c h é il raccolto del g r a n o bastava al fabbisogno solo nelle a n n a t e b u o n e . In quelle cattive, occorreva i m p o r t a r l o : u n ' o p e r a z i o n e impacciata da tariffe doganali, a n c h e fra C o m u n e e C o m u n e , c h e ne m a g g i o r a v a n o il prezzo al p u n t o da r e n d e r l o proibitivo alla popolazione più p o v e r a e bisognosa. L e o p o l d o le abolì a n t i c i p a n d o la riforma liberalizzatrice di T u r g o t in Francia e fornendogliene il modello. Egli si era accorto che nel p o r t o di Livorno transitavano molti carichi di g r a n o da e p e r l'Oriente. Abolendo il dazio, egli pensava che, in caso di carestia e q u i n d i di prezzi alti, ai m e r c a n t i sarebbe c o n v e n u t o scaricare e v e n d e r e sul posto, il che avrebbe a u t o m a t i c a m e n t e fatto ribassare i prezzi con g r a n sollievo dei consumatori; in caso di abbondanza e di prezzi bassi, ai m e r c a n t i sarebbe c o n v e n u t o c o m p r a r e sul posto, con g r a n sollievo dei p r o d u t t o r i . I fatti gli d e t t e r o r a g i o n e , ma n o n del t u t t o . C o m e poi doveva accadere in Francia, gli speculatori, v e d e n d o minaci ciato il giuoco dei rialzi ch'essi stessi d e t e r m i n a v a n o incett a n d o e n a s c o n d e n d o la m e r c e , moltiplicarono i loro sotterfugi e malizie p e r p r o v o c a r e con a c c a p a r r a m e n t i carestie aotificiali a d a n n o del p o p o l i n o che se la riprese col governo. 566
Ma questo rimase fedele alla sua riforma, smantellando tutl e b a r d a t u r e d o g a n a l i , avanzo d i privilegi medievali, sia sui confini c h e a l l ' i n t e r n o . E la b o n t à dei risultati è d i m o strata dal fatto che l'Inghilterra, d o p o averne a t t e n t a m e n t e seguito gli sviluppi, copiò la riforma tal quale. Ma L e o p o l d o n o n si fermò a questo. A v e n d o capito che cosa il p a n e r a p p r e s e n t a v a p e r i toscani, volle a l m e n o in questo r e n d e r l i i n d i p e n d e n t i , cioè autarchici. Perciò bisognava i n c r e m e n t a r e la p r o d u z i o n e . Il paese n o n e r a tutto a cultura: l'aratro si e r a fermato sul limitare della M a r e m m a , della Val di C h i a n a e della Valdinievole, r e s p i n t o dagli acquitrini e dalla malaria. L e o p o l d o e i suoi collaboratori p r e disposero un vasto p i a n o di r e d e n z i o n e , u n a specie di Cassa del Mezzogiorno, c h i a m a n d o p e r ò a collaborarvi i privati. Fu così che la vecchia classe t e r r i e r a , da un pezzo a d d o r mentatasi nel r e g i m e di mezzadria che garantiva al p r o p r i e tario r e n d i t e m o d e s t e , ma sicure, senza chiedergli molto impegno, dovette, p e r affrontare questa impresa pionieristica, richiamare in servizio l'antico spirito i m p r e n d i t o r i a l e , che fu alla base delle g r a n d i bonifiche. N a t u r a l m e n t e L e o p o l d o non fece in t e m p o a v e d e r n e e g o d e r n e i frutti. Ma fu lui a darle avvìo, r e a l i z z a n d o le p r e m e s s e di un r i n n o v a m e n t o , che nel secolo successivo avrebbe fatto della Toscana n o n la regione p i ù ricca, ma la più equilibrata e civile d'Italia. Di pari passo a n d ò la liquidazione delle b a r d a t u r e c o r p o rative. Firenze era stata la patria delle corporazioni o, c o m e allora si chiamavano, delle «Arti», che ai loro t e m p i avevano assolto un c o m p i t o utilissimo. Esse e r a n o state degli Stati nello Stato con istituti p r o p r i , p r o p r i e leggi, perfino p r o p r i tribunali e p r o p r i agenti diplomatici, i «Consoli». O r a e r a n o diventate le cittadelle del privilegio e r e d i t a r i o e dei m o n o poli più esosi. I m p e d i v a n o la nascita d ' i m p r e s e concorrenti per garantirsi il m e r c a t o , e l'assunzione di n u o v a m a n o d o pera p e r difendere gli alti salari. Q u e s t o provocava un alto eosto di p r o d u z i o n e e q u i n d i gli alti prezzi del p r o d o t t o , a tutto scapito dei consumatori. Era n a t u r a l m e n t e un sistema te
567
che si reggeva solo sul p r o t e z i o n i s m o , cioè su u n a barriera d o g a n a l e c h e , caricandoli di dazi, s b a r r a v a il passo ai proj. dotti stranieri. ^ Tutto ciò s'intonava perfettamente alle teorie mercantili.ste che fin allora avevano d o m i n a t o e c h e , identificando La ricchezza nel d e n a r o (il quale invece ne è solo lo strumento e la misura), spingevano gli Stati a e s p o r t a r e il più possibile p e r a c c a p a r r a r e valuta e a i m p o r t a r e il m e n o possibile per n o n s b o r s a r n e : col solo risultato d i u n c o n g e l a m e n t o dej c o m m e r c i o internazionale che si basa invece sull'interscanu bio. Ma era in stridente contrasto coi princìpi liberalizzatotidi L e o p o l d o . Il q u a l e tuttavia, a differenza di suo fratello Giuseppe, si rese conto che u n a smobilitazione drastica e ratdicale d e l l ' a p p a r a t o protezionistico avrebbe messo in crisi lap r o d u z i o n e toscana lasciandola alla m e r c é dei c o n c o r r e n t e più agguerriti. Perciò p r o c e d e t t e p e r gradi, p r i m a unificali* do le corporazioni in u n a C a m e r a di C o m m e r c i o , poi trasfi» r e n d o n e le c o m p e t e n z e a un «provveditore», e solo in segui^ to a b o l e n d o anche questo. i*t I balzelli e i p e d a g g i i n t e r n i c a d d e r o con la riforma atolministrativa, di cui N e r i fu il g r a n d e artefice. Da b u o n Sor v r a n o dell'assolutismo i l l u m i n a t o , L e o p o l d o n o n poteva s o p p o r t a r e i particolarismi. E in Toscana ce n ' e r a n o a josas. Per n o n stuzzicare le suscettibilità d e m o c r a t i c h e di Firenze; i Medici ne avevano lasciato sopravvivere tutte le magistra-, t u r e , c o m p r e s e le p i ù a n a c r o n i s t i c h e , c o m e i «Capitani d i . Parte Guelfa» istituiti nel 1250 p e r sventare ogni rivalsa ghi? bellina. Di guelfi e ghibellini o r m a i n o n restava n e a n c h e il r i c o r d o . Ma r e s t a v a n o i «Capitani», c o m e restavano i nove «conservatori del d o m i n i o fiorentino» e i t r e «Uffiziali dei fiumi» e infinite altre cariche, svuotate dalla Signoria medi cea di ogni c o n t e n u t o politico, e ridotte a malcerte compe? tenze fra l'amministrativo e il giudiziario. *t Ma la confusione più grossa r e g n a v a nei r a p p o r t i f r a i a , capitale, Firenze, e le altre città e C o m u n i . Firenze era ere*., sciuta p e r annessioni p i ù o m e n o violente, e aveva senapi**
4
1
1
f
568
gercato di farsele p e r d o n a r e dalle vittime rispettando la facciata delle loro a u t o n o m i e , cioè gl'istituti che le incarnavano. O g n i città aveva i suoi, ma c o m p l e t a m e n t e e s a u t o r a t i dal governo centralizzatore dei Medici. Inabilitati a svolgere , le funzioni amministrative che oggi v e n g o n o assolte - q u a n do v e n g o n o assolte - dai cosiddetti «enti locali», C o m u n i e Province, essi cercavano di giustificare la p r o p r i a sopravvivenza con u n a s o r d a g u e r r i g l i a di «competenze» c o n t r o le autorità fiorentine, s o t t o p o n e n d o così a d u e taglieggiamenti burocratici il p o v e r o cittadino. Qui, la riforma del N e r i o p e r ò a forbice, con tagli netti. I Intanto, da b u o n giurista, egli s e p a r ò in m a n i e r a definitiva i > compiti giurisdizionali da quelli amministrativi. N e r i aveva •• un'idea chiara dello Stato di diritto, cioè della divisione dei poteri, e n o n a m m e t t e v a contaminazioni fra l'uno e l'altro, f In secondo luogo creò u n a Camera delle Comunità p e r esercil tare sui C o m u n i p r e s s a p p o c o quel controllo che oggi eserci: ta il Prefetto. Q u e s t o istituto fu limitato p e r il m o m e n t o ai l C o m u n i del c o n t a d o fiorentino, p e r c h é il c a u t o L e o p o l d o volle p r i m a v e d e r e c o m e funzionava. Ma funzionò in m o d o , tale che i C o m u n i rimasti fuori chiesero di e n t r a r e a farne parte. Per la ragione semplicissima che la Camera, p u r aven> do abolito i r u d e r i delle vecchie a u t o n o m i e , aveva restituito i ai C o m u n i certi compiti amministrativi c o m e la r e d a z i o n e ; del bilancio, la n o m i n a degl'impiegati municipali, la costru; zione di strade, la m a n u t e n z i o n e degli ospedali eccetera. La [ riforma i n s o m m a , nel m o m e n t o stesso in cui accentrava le : direttive p r o g r a m m a t i c h e , ne decentrava l'esecuzione c o m e oggi si cerca di fare con le Regioni. Perché il sogno che Leo[ poldo e Neri p e r s e g u i v a n o e r a questo: risvegliare nei citta• dini l'interesse alla cosa pubblica avvicinandogliela in centri di p o t e r e locali, abilitati a esercitarla sia p u r e in un c a m p o i P u r a m e n t e amministrativo, e n o n politico. ' Il successo di questa riforma è d i m o s t r a t o dall'incalzare delle sue t a p p e . Senza p u n t e forzature, nel '74 essa fu estesa tutto il distretto di Firenze, d u e a n n i d o p o a quello di Pia
569
sa, nel '78 a Siena. Ma in questo caso sulla parola «success " bisogna intendersi. Nei piccoli c o m u n i di c a m p a g n a esso fi' notevole: n o n solo p e r c h é il municipio e i suoi problemi erano a p o r t a t a di tutti, ma a n c h e p e r c h é il signore e il c o n t a d i n o , il p a r r o c o e il fedele e r a n o già abituati a u n a stretta coni' vivenza e collaborazione. In città le differenze di ceto e di" c o n d i z i o n e c r e a v a n o ostacoli e allergie, c h e il G r a n d u c a cercò di c o m b a t t e r e a n c h e con l'esempio dei p r o p r i attegi giamenti democratici, ma senza riuscire a debellarli. Un se* colo e mezzo di C o n t r o r i f o r m a , con le sue concezioni autoe ritarie e le sue ipersensibilità di casta, n o n e r a passato invano n e a n c h e a Firenze. Ma un risultato fu c o m u n q u e ottenneto: con la liquidazione del Consiglio dei Duecento e del Senato^ i d u e s u p r e m i organi del vecchio Stato composti quasi escila sivamente di fiorentini, la Toscana n o n si sentì più, o si senl| molto m e n o , «oppressa» da Firenze. La riforma leopoldina che fece più effetto nel m o n d o per i g r a n d i princìpi morali che vi e r a n o coinvolti fu quella del codice p e n a l e . L e o p o l d o la r u m i n ò coi suoi consiglieri per oltre v e n t ' a n n i e la v a r ò solo nell'86. Fin lì si e r a limitato a" qualche ritocco della vecchia legislazione m i t i g a n d o la seve?rità d e i castighi. Ma il codice c o n s a c r ò d e f i n i t i v a m e n t e t e più g r a n d i conquiste del p e n s i e r o giuridico m o d e r n o , abol e n d o d ' u n sol colpo i q u a t t r o p i ù infami residuati del Me* dio Evo: i cosiddetti delitti di lesa maestà, la confisca dei be* ni, la t o r t u r a , e la p e n a di m o r t e . C e s a r e Beccaria e tutti i progressisti d ' E u r o p a esultaron o , e Mirabeau chiamò L e o p o l d o «il n u o v o Solone». 1 timorati b e n p e n s a n t i g r i d a r o n o allo scandalo e p r o n o s t i c a r o n o u n a Toscana alla m e r c é dei criminali e dei terroristi. 1 fatti li s m e n t i r o n o clamorosamente. Q u a n d o L e o p o l d o v e n n e a Fir e n z e , nel ' 6 5 , la m e d i a dei delitti e r a di circa d u e m i l a all'anno. Q u a n d o ne ripartì, essa e r a calata a trecento. ; L e o p o l d o e r a così sicuro del risultato, che a n c o r a prima di varare il codice aveva o r d i n a t o al Gianni, da poco succed u t o al N e r i , di sciogliere l'esercito s o s t i t u e n d o l o c o n u n a 570
.^milizia civica». Aveva s e m p r e avuto in uggia le divise militari, e n o n capiva p e r c h é doveva c o m p r o m e t t e r e il bilancio di u n o Stato, che n o n aveva di che scialare, p e r m a n t e n e r e delle forze a r m a t e che n o n gli sarebbero servite mai a nulla, jrgli odiava la g u e r r a , e la Toscana n o n aveva né mire espansionistiche, n é vicini che n e avessero. C o m p o s t o i n b u o n a parte di m e r c e n a r i , che molto spesso disertavano, l'esercito serviva soltanto p e r la sicurezza i n t e r n a cui, col n u o v o codice, sarebbe bastata a p r o v v e d e r e la polizia. Anche questa smobilitazione fu o p e r a t a p e r gradi. Prima v e n n e r o sciolti la g u a r n i g i o n e e il c o r p o d'artiglieria di Firenze, e la Fortezza da Basso fu trasformata in un istituto di correzione p e r m i n o r e n n i . Poi, col Commissariato alla guerra, fu liquidato tutto il resto e sostituito con r e p a r t i di «milizia civica». Quest'ultima fu un fiasco, tanto che, alla fine del suo r e g n o , L e o p o l d o l'abolì. Ma la fine dell'esercito n o n fu rimpianta che da coloro che ci c a m p a v a n o sopra. N e a n c h e i toscani a m a v a n o e a m a n o la g u e r r a , m e n o quella civile. Ma sotto L e o p o l d o n o n ne e r a n o tentati. In u n a d e l l e s u e Istruzioni i m p a r t i t a g l i al m o m e n t o della sua investitura a G r a n d u c a , Maria Teresa aveva r a c c o m a n dato a L e o p o l d o fermezza e i n t r a n s i g e n z a c o n t r o le i n t r o missioni della Chiesa negli affari di Stato, ma o b b e d i e n z a filiale al Pontefice in fatto di d o g m a . A questa regola si e r a a t t e n u t a essa stessa, s c r u p o l o s a o s s e r v a n t e , ma p r o n t a a mettere alla p o r t a a n c h e il p r o p r i o confessore se avesse cercato d'interferire nei suoi compiti di Sovrana. E L e o p o l d o ne aveva seguito l'esempio. P u r senza le bigotterie di Cosim o , e r a un p r a t i c a n t e s c r u p o l o s o , e p e r il p r e t e in chiesa aveva il m a s s i m o rispetto. Ma a quello fuori chiesa n o n riconosceva privilegi. C o n le sue leggi aveva posto un rigido freno a l l ' e s t e n d e r s i delle p r o p r i e t à ecclesiastiche e aveva cercato di r i p a r t i r l e p i ù e q u a m e n t e a v a n t a g g i o del basso clero. La resistenza che aveva i n c o n t r a t o da p a r t e di quello alto f o r t e m e n t e sostenuto dalla C u r i a r o m a n a lo aveva p e r 571
suaso ad affrontare con m a g g i o r e risolutezza i r a p p o r t i fr Stato e Chiesa. J Su questa s t r a d a lo aveva s e m p r e spinto il Rucellai, fer missimo nelle sue convinzioni laiche. Ma l'agnosticismo di Rucellai n o n esercitava n e s s u n fascino sul G r a n d u c a che,' p u r c o m b a t t e n d o la Chiesa sul p i a n o t e m p o r a l e , lo faceva' da c r e d e n t e e n o n senza p r o f o n d i t u r b a m e n t i di coscienza.. Da ragazzo, L e o p o l d o aveva avuto u n a b u o n a istruzione re^ligiosa p e r c h é sua m a d r e teneva di riserva p e r lui la carrie* ra ecclesiastica, e il giovane aveva p o r t a t o in questi studi un' c e r t o e n t u s i a s m o . C o m e molti u o m i n i del suo t e m p o , egli;, cercava di conciliare le idee illuministe con le esigenze della* fede, c o m e t e n t a v a n o di fare i giansenisti. L e o p o l d o n o n si'' considerava dei loro. Ma lo era: se n o n p e r le convinzioni^, c e r t o p e r il t e m p e r a m e n t o . Q u e s t o libertino e r a afflitto daB; un r i g o r e m o r a l e c h e lo m e t t e v a in serio c o n t r a s t o con se' stesso, e d o p o o g n i a v v e n t u r a si tuffava nella Imitazione df Cristo del Kempis, che n o n figurava fra gli autori giansenisti, solo p e r c h é era vissuto d u e secoli p r i m a di loro, ma solo per; questo. N o n c'è q u i n d i da stupirsi ch'egli si sentisse profonda;-' m e n t e attirato da un u o m o c o m e Scipione d e ' Ricci e ne fa* • cesse il p r o p r i o d i r e t t o r e di coscienza. Il Ricci discende\ a da u n a famiglia di vecchio blasone, e sua m a d r e e r a u n a Rica*soli. A differenza di molti giovani del suo r a n g o che in sa-, c e r d o z i o e n t r a v a n o solo p e r far c a r r i e r a , egli lo aveva abbracciato p e r a u t e n t i c a vocazione. Aveva s t u d i a t o a Roma nel collegio dei Gesuiti, il cui G e n e r a l e e r a un suo lontano p a r e n t e , e nei cui r a n g h i aveva intenzione di arruolarsi. Ma p e r strada aveva incontrato ed era c a d u t o sotto il fascino di d u e prelati toscani, il Bottari e il Foggini, e n t r a m b i gianser nisti. Il giansenismo italiano aveva u n a sua particolare colorar tura. A differenza di quello francese i m p e g n a t o soprattutto sui p r o b l e m i teologici della Grazia e della predestinazione,, esso perseguiva interessi più pratici: la riforma del costume s
?
t
572
p della disciplina ecclesiastica, e u n a lotta a oltranza c o n t r o » ^assolutismo e il centralismo di R o m a . Il Ricci si convertì a queste idee con tutto l ' a r d o r e del suo spirito i n q u i e t o e i n t r e p i d o , e p e r p o t e r l e p r o p a g a n d a r e e »' praticare r e s p i n s e l'offerta di e n t r a r e in C u r i a con t u t t e le £- allettanti prospettive che questa gli avrebbe schiuso. Preferì s t o r n a r e a F i r e n z e c o m e vicario dell'Arcivescovo I n c o n t r i f e , p u r n o n e s s e n d o u n giansenista d i c h i a r a t o , n o n na| scondeva le sue simpatie p e r certe tesi gianseniste, e sopratI tutto era un u o m o libero e coraggioso che n o n aveva esitato | a mettersi in c o n t r a s t o col Sant'Uffizio. Sotto la sua p r o t e | zione, il Ricci aveva p r e p a r a t o l ' e d i z i o n e c o m p l e t a delle opere del Machiavelli, che i giansenisti consideravano (piuttosto a r b i t r a r i a m e n t e ) un loro p r e c u r s o r e p e r il suo deciso anticurialismo, cioè p e r la sua f e r m a opposizione all'intromissione della Chiesa negli affari di Stato, e p i a n o p i a n o stava sostituendo in tutta la diocesi il catechismo del Bellarmin o con quello d i C o l b e r t d e Croissy, u n o d e i g r a n d i p a d r i del giansenismo. Leopoldo, d o p o averlo fatto n o m i n a r e Vescovo di Pistoia e Prato, se lo p r e s e c o m e consigliere. Il Rucellai era m o r t o . Ed e r a m o r t a a n c h e M a r i a Teresa c h e , da viva, n o n si e r a mai stancata di metterlo in g u a r d i a dai pericoli di u n a lotta aperta con la Chiesa. O r a al suo posto c'era G i u s e p p e che in questa lotta s'era i m p e g n a t o fino al collo. E L e o p o l d o p o t e va c o n t a r e sul suo valido a p p o g g i o . In pai-ole p o v e r e , egli voleva fare dell'episcopato toscano u n o s t r u m e n t o dello Stato sottraendolo, t r a n n e che nel c a m p o spirituale, a ogni dip e n d e n z a da R o m a , c o m e a v e v a n o fatto i Re di Francia. E su questa strada il Ricci lo spingeva con tutto l'impeto delle sue convinzioni. E n t r a m b i volevano un clero più colto e m o ralmente rigoroso, dalla cui selezione R o m a fosse esclusa. Nel 1781 l'Incontri morì. Forse L e o p o l d o avrebbe voluto p r o p o r r e c o m e successore il Ricci, ma questi e r a t r o p p o giovane e vescovo solo da p o c h i mesi. Per caso in q u e i g i o r n i Passò da Firenze e v e n n e in visita a Pitti un prelato pratese c n
573
emigrato in Piemonte, Antonio Martini, considerato u n dei più g r a n d i conoscitori di testi biblici e molto vicino agli a m b i e n t i giansenisti. L e o p o l d o n e rimase t a l m e n t e colpit c h e , c o n t r a v v e n e n d o alla sua abituale c a u t e l a , gli offrì su d u e piedi TArcivescovado. La n o m i n a fu c o n s i d e r a t a dal Ricci e dai suoi simpatizzanti c o m e il definitivo trionfo del p a r t i t o r i f o r m a t o r e . E j fatti p a r v e r o confermarlo. Subito d o p o v e n n e abolito il Trib u n a l e dell'Inquisizione che in realtà negli ultimi t e m p i aveva p e r s o g r a n p a r t e delle sue attribuzioni, ma che esisteva da o l t r e c i n q u e secoli. Poi v e n n e p o s t o un r i g i d o freno al d r e n a g g i o di fondi che la C u r i a r o m a n a o p e r a v a sul patrim o n i o ecclesiastico toscano, le cui r e n d i t e f u r o n o riservate al clero locale. In seguito ebbe inizio la pubblicazione degli Annali ecclesiastici d'ispirazione n e t t a m e n t e giansenista, nonché la t r a d u z i o n e in opuscoli a c a r a t t e r e p o p o l a r e dei più accreditati testi del p e n s i e r o giansenista francese e olandese. Su iniziativa del Ricci, fu decisa u n a drastica riduzione di congregazioni e confraternite e il trasferimento dei beni ecclesiastici dalla s u p e r v i s i o n e a m m i n i s t r a t i v a dei vescovi a quella del governo. Infine, la c o m p e t e n z a dei tribunali episcopali v e n n e ridotta alle sole materie religiose e i loro poteri punitivi limitati a semplici c o n t r a v v e n z i o n i . Per i delitti c o m u n i , anche il sacerdote e r a sottoposto al tribunale civile. Le p r o t e s t e di R o m a s o r p r e s e r o e a l l a r m a r o n o Leopold o , che forse si e r a lasciato p r e n d e r e un p o ' la m a n o . Solo o r a p r o b a b i l m e n t e s'accorgeva ch'era difficile s e p a r a r e il politico dallo spirituale e che o g n i colpo assestato alla Chiesa c o m e istituzione t e m p o r a l e colpiva a n c h e il suo Magistero. Il suo m a g g i o r biografo, W a n d r u s z k a , dice c h e q u a n d o il G r a n d u c a si appressava all'altare p e r ricevere il sacramento della c o m u n i o n e , i suoi occhi e r a n o pieni di lacrime. Nel 1786 Ricci decise di scendere in c a m p o a p e r t o , conv o c a n d o a Pistoia un s i n o d o d i o c e s a n o , cioè u n a specie di piccolo Concilio, che sancisse u n a vera e p r o p r i a «Riforma» giansenista. I Padri Conciliari n o n e r a n o che i 260 parroci 0
0
574
della diocesi. Ma Ricci, c h ' e r a a n c h e un infaticabile a g e n t e di pubbliche relazioni, aveva già fatto un tale scampanìo intorno all'avvenimento, che dall'Italia e dall'estero p i o m b a rono a Pistoia i più agguerriti teologi. S o p r a t t u t t o i giansenisti, si capisce, e r a n o accorsi in massa, convinti che lì si giocasse u n a partita decisiva e che la Toscana avrebbe offerto il primo m o d e l l o di u n a Chiesa nazional-cattolica svincolata da ogni d i p e n d e n z a disciplinare da Roma, a n c h e sul p i a n o della dottrina. Pur senza parteciparvi di p e r s o n a , L e o p o l d o , avvertendone la gravità, seguì con g r a n d e ansia quella battaglia che, come tutte le cose italiane, ebbe risvolti di d r a m m a e di farsa. Dei quindici Vescovi toscani, d u e soli si s c h i e r a r o n o col Ricci. Gli altri furono c o n t r o di lui, chiamato p e r dileggio «il Papa di Pistoia», e alla loro testa era l'Arcivescovo, salutato il giorno della n o m i n a c o m e «l'uomo dei riformatori». Qualcuno dice che a spingerlo all'opposizione e r a stata la gelosia per il Ricci, t r o p p o spavaldamente presentatosi come il p r o tagonista dell'avvenimento. Forse c'entrava a n c h e quella: il Martini aveva u n a personalità t r o p p o forte p e r rassegnarsi a u n a p a r t e di c o m p r i m a r i o , e il Ricci t r o p p o poca diplomazia p e r n o n fargli p e s a r e la sua. Ma a n c o r a di p i ù d o v e t t e giuocare in lui e in altri il senso della responsabilità. Il Martini si e r a mostrato spregiudicato finché n o n i m p e g n a v a che la p r o p r i a coscienza. Ma da q u a n d o e r a Arcivescovo, in lui avevano prevalso i doveri verso la Chiesa. Q u a n t o ai 260 p a r r o c i , essi e r a n o tutti p e r Ricci. Ma si trattava di bravi p r e t i di c a m p a g n a e di m o n t a g n a , unicam e n t e interessati ai piccoli p r o b l e m i pratici delle loro p a r rocchie. Nel dibattito, che i teologi dell'una e dell'altra p a r te avevano subito spostato sul p i a n o della Grazia e della p r e destinazione, si t r o v a r o n o spaesati, v'interloquirono a sproposito e spesso con battute i n v o l o n t a r i a m e n t e umoristiche. Questo n o n i m p e d ì ai giansenisti di tutta E u r o p a di esaltare il sinodo di Pistoia c o m e un loro trionfo. Ma consentì a n c h e ai loro a v v e r s a r i di r i d u r l o a u n a b u r l e t t a . C o m u n q u e , le 575
sue 86 «proposizioni» furono rifiutate dall'episcopato tose n o . E questa bocciatura consentì al Papa di n o n interveni" con c o n d a n n e che p o t e v a n o esporlo ad accuse di prevarica' zione ideologica. Egli infatti lasciò che il g r a n baccano susci" tato da quella polemica si placasse da sé. Solo otto anni do p o , con la Bolla Auctorem Fidei c o n d a n n ò sette di quelle proposizioni c o m e eretiche e definì t u t t e le altre «prossime l'eresia, false e scandalose». Per L e o p o l d o , la delusione fu grossa. Dapprincipio perwì' sò di r a d d o p p i a r e la posta, l a n c i a n d o la p r o p o s t a di uré Concilio nazionale. Ma capì che, se n o n e r a riuscito quello" toscano, dove il giansenismo aveva le sue più forti cittadelle^ sul p i a n o nazionale lo smacco sarebbe stato ancora più grar ve. Convocò i suoi quindici Vescovi a palazzo Pitti, nella speS r a n z a di riunirli in un fronte c o m u n e c o n t r o le interferenze^ di R o m a . La folla riunita davanti al p o r t o n e accolse i riform a t o r i con insulti e minacce. Le avevano d a t o ad i n t e n d e r e ch'essi v o l e v a n o r i m u o v e r e d a l D u o m o u n a reliquia d e l l * Vergine, c h ' e r a s e m p r e stata oggetto della v e n e r a z i o n e pop o l a r e . Q u e s t a «insurrezione p e r la M a d o n n a » scatenò una caccia alle streghe. Tutti i sacerdoti sospetti di giansenismo f u r o n o costretti a p o r t a r e in p r o c e s s i o n e le i m m a g i n i dei Santi. ). Resi più forti da questa reazione della piazza, ch'essi stesasi a v e v a n o p r o v o c a t o , gli o p p o s i t o r i inflissero al Ricci u n a sconfitta che in realtà e r a la sconfitta del G r a n d u c a . Tutte le riforme v e n n e r o revocate. Nella messa il latino riprese il posto dell'italiano, che il Ricci aveva i n t r o d o t t o . La recitazione a voce alta delle p r e g h i e r e v e n n e abolita c o m e profanazione del mistero. I messali giansenisti furono dati alle fiamme. ' L e o p o l d o a s p e t t ò che i t u m u l t i si placassero. Poi ne castigò gli aizzatori francescani e c a p p u c c i n i c h i u d e n d o n e i c o n v e n t i . Il Ricci v e n n e a c h i e d e r e c l e m e n z a p e r loro, offrendo le p r o p r i e dimissioni. Il G r a n d u c a le rifiutò e seguitò a testimoniargli la sua amicizia e considerazione. Solo quando ebbe rimpiazzato suo fratello sul t r o n o imperiale di Vien576
a avendo saputo che a Pistoia e r a n o scoppiati nuovi torbii consigliò a F e r d i n a n d o , suo figlio e successore a Firenze, allontanare il Ricci, ma assegnandogli un b u o n canonicato decorosa p e n s i o n e . L a sua azione nei confronti della Chiesa e r a d i v e n t a t a p i ù cauta. M a l e sue i d e e n o n e r a n o Aiutate. Seguitava a p e n s a r e che solo u n a riforma in senso giansenista a v r e b b e risolto in m a n i e r a c h i a r a e definitiva il problema dei r a p p o r t i fra Stato e Chiesa e restituito a q u e st'ultima un compito di p r o m o z i o n e spirituale. Q u e s t o devoto ribelle seguitava a s o g n a r e un clero capace di g u i d a r e la società m o d e r n a facendole da battistrada, e in Ricci vedeva un pioniere sconfitto dalla superstizione e dal conformismo autoritario. u
n
a
Il 6 febbraio 1790 l'imperatore G i u s e p p e scriveva a Leopoldo di tenersi p r o n t o . I medici gli avevano detto che p e r lui ormai n o n c'era p i ù speranza. Era la lettera di un u o m o coraggioso, d i s p e r a t o n o n p e r la p r o p r i a fine, ma p e r il fallimento della p r o p r i a o p e r a . La situazione e r a infatti rovinosa. Le province b e l g h e in rivolta p o t e v a n o considerarsi p e r dute, dacché I n g h i l t e r r a , Prussia e O l a n d a si e r a n o coalizzate p e r s o s t e n e r n e la ribellione. L'esercito e r a i m p e g n a t o nella interminabile g u e r r a balcanica c o n t r o i Turchi. E l'Ungheria stava anch'essa p e r e s p l o d e r e sotto la g u i d a dei suoi nobili minacciati nei loro privilegi dalle riforme d e m o c r a t i che del Sovrano illuminista. D u e g i o r n i d o p o , con u n a lettera a n c o r a p i ù p r e s s a n t e , Giuseppe scongiurava L e o p o l d o di accorrere subito e di ass u m e r e p e r i n t a n t o la carica di «coreggente» ch'egli stesso aveva p e r un pezzo esercitato al fianco di sua m a d r e : la situazione n o n c o n s e n t i v a n e a n c h e u n i n t e r r e g n o d i p o c h i giorni, ci voleva q u a l c u n o che vigilasse e decidesse, e lui n o n era più in g r a d o di farlo. L e o p o l d o , che si trovava a Pisa, r i e n t r ò precipitosamente a Firenze, n o m i n ò un Consiglio di Reggenza che esercitasse il p o t e r e fino alla m a g g i o r e età d e l figlio F e r d i n a n d o , ma 577
n o n partì. Il motivo di questa renitenza, che poi gli fu aspra, m e n t e r i m p r o v e r a t a , n o n si è mai saputo. Egli a d d u s s e queìé lo di un'indisposizione. Wandruszka sospetta che n o n voles-i se arrivare p r i m a della m o r t e di G i u s e p p e p e r n o n farsene' c o n d i z i o n a r e nelle s u e decisioni. È l'ipotesi p i ù probabile poiché egli trascorse quei giorni d'attesa a scrivere lettere a fratelli e sorelle in cui è chiaro il suo proposito di rettificare, e in certi casi di capovolgere, la politica di G i u s e p p e . Voleva far la pace coi Turchi, p r e v e n i r e o g n i complicazione con la Prussia, revocare le riforme in U n g h e r i a . C o m u n q u e , è un fatto che solo d o p o aver ricevuto la notizia che il fratello era spirato, si decise a dire a d d i o a Firenze. , «Io accetto la volontà della Provvidenza: ho già p r e s o tutf te le disposizioni in vista di a b b a n d o n a r e definitivamente un paese al quale mi sono affezionato. Vi lascerò infatti tutti i miei amici e b u o n a p a r t e , a l m e n o p e r ora, della mia gente: ' Alla mia età, con gli acciacchi che cominciano, coi capelli che s t a n n o d i v e n t a n d o b i a n c h i , s o n o costretto in m e z z o a una spaventosa confusione a cominciare a n c o r a u n a volta dacca- ' po», aveva scritto pochi giorni p r i m a alla sorella Maria Carolina, Regina di Napoli. :ì Fra le disposizioni che aveva p r e s o c'era a n c h e un lungo r a p p o r t o a suo figlio che r a p p r e s e n t a un v e r o e p r o p r i o bilancio dei suoi v e n t i c i n q u e a n n i di r e g n o in Toscana. Esso comincia con questo ritratto dei suoi sudditi, che ci sembra c o n s e r v a r e u n a c e r t a attualità: «Il c a r a t t e r e degli abitanti in g e n e r e è dolce, docile, di p o c o coraggio, ma accorto, poco sincero, di m o l t a finezza, p o r t a t o all'interesse ed a ceric a r e c o n r a g g i r o d i p e r v e n i r e a i suoi fini. S o n o e s t r e m a m e n t e p o r t a t i alla curiosità e a i n d a g a r e i fatti altrui. Semp r e disuniti fra l o r o , diffidenti e invidiosi l ' u n o dell'altro, e c c e s s i v a m e n t e m i n u t i , s f o g a n o il l o r o cattivo u m o r e in maldicenze, in ciarle, in c a l u n n i e e intrighi di piccolissimo momento...» Ed ecco quello del suo m a g g i o r collaboratore: «Il Sena? tore Gianni è u o m o di molto talento e capacità, che conosce 578
p e r i o r r n e n t e a q u a l u n q u e altra p e r s o n a in Toscana lo stato del paese, le sue forze e circostanze; ma è pericoloso p e r il suo c a r a t t e r e , p i e n o di p e r s o n a l i t à a favore o c o n t r o le p e r s o n e , e di s e c o n d i fini, a t e n o r d e i quali r e g o l a le s u e proposizioni, vuole in tutti gli affari sostenere le sue opinioni ed aver s e m p r e r a g i o n e , d i s p r e z z a n d o t u t t o . . . È m o l t o ambizioso ed accorto, e le sue m i r e t e n d o n o fino da l u n g a mano a r e n d e r s i p a d r o n e di tutti gli affari...» C o m e si v e d e , l ' a m o r e p e r Firenze e i fiorentini n o n gli faceva velo. N o n gli faceva velo nessun sentimento, a m m e s so che ne avesse. L'uomo e r a caldo solo di sensi, che aveva sempre in subbuglio. Ma di c u o r e e di cervello e r a freddo, e questo fu il p r i m o segreto del suo successo. G u a r d a v a uomini e cose con distacco senza mai lasciarsi travolgere da simpatie o antipatie. Passioni n o n ne aveva, m e n o quella del lavoro. Il lavoro era la sua m e d i c i n a c o n t r o l'ipocondria che lo affliggeva. N o n o s t a n t e le f r e q u e n t i a v v e n t u r e di alcova, non era affatto un g a u d e n t e . Riempiva la sua giornata d'impegni p e r c h é aveva p a u r a di restare a t u p p e r t ù con la p r o pria inquieta coscienza. N o n aveva né distrazioni né hobbies, neanche la caccia. Aveva bisogno di fare. E, d o p o aver fatto, aveva bisogno di scrivere ciò che aveva fatto. Scriveva tutto, in u n o stile d i s a d o r n o e stilisticamente scalcinato, ma efficace, a n n o t a n d o m i n u z i o s a m e n t e a n c h e i più piccoli particolari. N o n lo faceva p e r a i u t a r e soltanto la p r o p r i a m e m o r i a , ma a n c h e quella dei posteri. II d e m o c r a t i c o L e o p o l d o , n e mico della p o m p a , dei titoli, dei galloni, delle uniformi, e r a in realtà un u o m o ambizioso. Sapeva di essere un p r o t a g o nista, e voleva che a n c h e gli altri lo sapessero. «Durante tutto il suo regno» dice W a n d r u s z k a «aveva c u r a t o con consumata perizia il suo Ufficio stampa r i c e v e n d o p e r s o n a l m e n t e qualsiasi s t r a n i e r o di r i g u a r d o che capitasse a F i r e n z e , fac e n d o n e un suo a m m i r a t o r e e p r o p a g a n d i s t a , e sollecitando libri e articoli che illustrassero le sue riforme.» C'era s p l e n d i d a m e n t e riuscito. Grazie a lui, negli ultimi sU
579
quindici a n n i , gli s g u a r d i di tutta E u r o p a e r a n o rimasti a p u n t a t i sulla Toscana, considerata il banco di p r o v a e il g b i n e t t o s p e r i m e n t a l e dell'assolutismo illuminato. Le rifor me leopoldine e r a n o seguite, discusse, contestate e a m m i r te in t u t t e le capitali. A d i f f o n d e r n e l'eco e r a s o p r a t t u t t o A g r a n d e «Internazionale» fisiocratica con cui L e o p o l d o aveva, a v u t o l'accortezza di r e s t a r e in stretto c o n t a t t o . Egli avev$, capito q u a n t o o r m a i contasse la pubblica o p i n i o n e e quam; to, sulla pubblica o p i n i o n e , contasse quella delle minoranze' intellettuali. Perciò n o n tralasciò n u l l a p e r c o n q u i s t a r l e e p e r m e t t e r e a loro disposizione tutti i d o c u m e n t i di cui po^tessero aver bisogno. ?; Alcuni storici d i c o n o c h e , n o n o s t a n t e lo scatto di g r a d o d a l t r o n o g r a n d u c a l e a quello i m p e r i a l e , p a r t ì da Firenze «con la m o r t e nel cuore». In realtà, più che a d d o l o r a t o pe^ quello che lasciava, e r a p r e o c c u p a t o di ciò che stava p e r trovare a Vienna. Il suo a t t a c c a m e n t o alla Toscana e r a l'attactc a m e n t o ai v e n t i c i n q u e a n n i di vita che vi aveva trascorso, n a t u r a l m e n t e i p i ù belli p e r c h é e r a n o stati quelli della gio ventù e della maturità. Firenze aveva r a p p r e s e n t a t o p e r lui la liberazione dalla tirannia m a t e r n a , il p o t e r e , le soddisfazioni, il successo. A n c h e se n o n e r a riuscito a farne lo Stato-modello che voleva, ci s'era avvicinato. A quel paese dissestato e diviso, a r r e t r a t o e mal governato, aveva dato le migliori leggi d'Italia, la migliore a m m i n i s t r a z i o n e , un bit lancio i n p a r e g g i o , u n a m o n e t a sicura, u n a notevole o m o geneità e a n c h e un certo slancio i m p r e n d i t o r i a l e . Ecco cosa L e o p o l d o amava nella Toscana: la sua c r e a t u r a , il frutto del p r o p r i o lavoro, e niente altro. Tant'è vero che, tornatoci in visita l'anno d o p o , ci si sentì talmente a disagio e deluso che abbreviò il soggiorno. N o n era già più la sua creatura. Forse il solo r i m p i a n t o che p r o v ò il g i o r n o dell'addio fu p e r la Livia R a i m o n d i , l'ultima e la p i ù d u r a t u r a delle sue «relazioni». Era u n a ragazza del p o p o l o , f i g l i a d ' u n camer i e r e d'Albano, un certo G e p p e t t o che cercava d'industrializzare la sua a v v e n e n z a facendole far la ballerina. Gli stur
580
enti di Pisa, di fronte a cui si esibiva, t r o v a r o n o che le sue ambe e r a n o , sì, da esposizione, ma n o n da d a n z a , e la fischiarono s o n o r a m e n t e . G e p p e t t o chiese u d i e n z a al G r a n d u c a e, m o s t r a n d o g l i q u e l p o ' p o ' di figliola, gli chiese se trovava giusti q u e i fischi. Il G r a n d u c a li trovò del tutto ingiusti, e p r o p o s e alla ragazza un altro g e n e r e di «scrittura»: p r o p r i o quella su cui G e p p e t t o p r o b a b i l m e n t e aveva fatto assegnamento. I l capriccio d i v e n t ò u n a cotta, c h e p r o v o c ò u n m e z z o d r a m m a : n o n da p a r t e della g r a n d u c h e s s a Maria Luisa, ormai allenatissima a quegl'incidenti, ma della favorita in carica, Anna Cowper, moglie di un L o r d inglese, che i fiorentini chiamavano «Miledi». L e o p o l d o fece sistemare p e r Livia un buen retiro, dove oggi è insediato il «Circolo degli Ufficiali» in piazza S a n M a r c o , e d o v e t u t t o r a si c o n s e r v a u n a «Sala della Livia» col soffitto d e c o r a t o da un affresco che r a p p r e senta u n a cicogna circondata di puttihi. L'allusione è chiara, e del resto c o n f e r m a t a dai d o c u m e n t i : Livia e r a incinta, e poco d o p o mise al m o n d o un figlio, cui fu d a t o il n o m e di Luigi. L'arredo di questo «nido del peccato» rivela tutto il carattere d i L e o p o l d o . Nella c a m e r a d a letto c'era u n a bella stampa in cornice d o r a t a che r a p p r e s e n t a v a la famiglia reale al completo: G r a n d u c a , G r a n d u c h e s s a e i sedici principini. L e o p o l d o li voleva sotto gli occhi a n c h e q u a n d o faceva l'amore con Livia, e voleva che Livia s'ispirasse a quella bella a r m o n i a domestica. C o m e libri di c o m o d i n o , L e o p o l d o le aveva regalato le Riflessioni morali della Bibbia di R o y a u m o n t e la Imitazione di Cristo: d u e testi di rigorosa ispirazione giansenista. I n s o m m a , voleva in q u a l c h e m o d o moralizzare a n che la garsonnière, l'amante e il b a s t a r d o . A q u e s t a s e c o n d a famiglia e r a a n c o r a m o l t o attaccato, q u a n d o dovette p a r t i r e p e r Vienna: lo d i m o s t r a n o le lettere che di là scrisse a Livia. T a n t o c h e , p o c o d o p o , essa ve lo r a g g i u n s e i n s i e m e al b a m b i n o , ai g e n i t o r i , e ai fratelli, c h e L e o p o l d o aveva assunto al p r o p r i o servizio. Ma e r a già pas581
sato quasi un a n n o dalla s e p a r a z i o n e , e L e o p o l d o n o n era u o m o da potersi lasciare s e n t i m e n t a l m e n t e disoccupato per* t a n t o t e m p o . Q u a n d o essa g i u n s e , lo t r o v ò già riaccasato'' con u n a contessa b o e m a . Riprese col figlioletto la via di Fir e n z e , d o v e l'aspettava la notizia dell'improvvisa m o r t e di Leopoldo. Q u e s t i aveva tuttavia p r o v v e d u t o a n c h e a lei facendole u n a b u o n a dote e assicurandole u n a p e n s i o n e che il figlio e successore seguitò p u n t u a l m e n t e a p a g a r l e a n c h e d o p o ch'essa si fu sposata. Q u a n t o a Luigi, gli fu dato il cognome v a g a m e n t e araldico di v o n G r ù n , fece i suoi studi all'Università di Vienna, e n t r ò nell'amministrazione, e m o r ì ancora giovane di u n a malattia p o l m o n a r e . Al m o m e n t o della scomparsa di L e o p o l d o , la sorella Maria Carolina aveva scritto alla figlia: «Aveva delle debolezze, ma e r a un b u o n p a d r e di famiglia!» Giudizio esatto. Ma lo s a r e b b e a n c o r a di p i ù se, invece c h e famiglia, avesse detto famiglie.
CAPITOLO DICIOTTESIMO
G L I STATI P O N T I F I C I
«La forma di g o v e r n o - scriveva De Brosses da R o m a n e l 1740 - è q u a n t o di p e g g i o si possa i m m a g i n a r e : g i u s t o il * contrario di quello che Niccolò Machiavelli e T o m m a s o Moro a v e v a n o i m m a g i n a t o nelle l o r o u t o p i e . Figuratevi cosa può essere u n a popolazione composta p e r un terzo di sacerdoti, p e r un t e r z o di p e r s o n e c h e l a v o r a n o p o c o e p e r un I terzo di p e r s o n e che n o n lavorano affatto. Un paese p r i v o d'agricoltura, c o m m e r c i o e industria, posto in mezzo a u n a campagna fertile e l u n g o un fiume navigabile; ma il cui sovrano, s e m p r e vecchio, di scarsa d u r a t a , spesso incapacitato ad agire e circondato di p a r e n t i u n i c a m e n t e tesi a far ciccia finché d u r a , e d o v e o g n i c a m b i a m e n t o significa l'arrivo di una n u o v a b a n d a di ladri affamati al posto di quelli già sazi; un paese che assicura l'immunità a c h i u n q u e delinqua p u r ché sia amico d ' u n p o t e n t e o si trovi sul limite d ' u n l u o g o sacro; e dove il r e d d i t o nazionale consiste nei contributi dei paesi stranieri in progressiva diminuzione...» C o m e al solito, De Brosses esagerava. Ma n o n mentiva. Di consistente, gli Stati Pontifici avevano solo le dimensioni territoriali e la p o s i z i o n e . Estesi dal T i r r e n o all'Adriatico, inglobavano il Lazio, l'Umbria, le Marche, la R o m a g n a e la più grossa fetta dell'Emilia c o m p r e s a la capitale B o l o g n a , cioè il c u o r e della p e n i s o l a , o l t r e al f e u d o di A v i g n o n e in Francia e a quello di B e n e v e n t o e Pontecorvo. Ma q u a n t o a peso politico e d e c o n o m i c o , n o n n'esercitavano p u n t o p e r mancanza di ossatura. Si c h i a m a v a n o Stati a p p u n t o p e r c h é u n o Stato n o n c'era. C o m e gli altri P r i n c i p a t i laici, a n c h e quello della Chiesa e r a cresciuto p e r successive usurpazioni
s
583
su quelli circonvicini, di cui in c o m p e n s o aveva d o v u t o rico-' noscere gli usi e i privilegi particolari. Delle 13 Province i cui si dividevano, q u a t t r o (Bologna, Ferrara, R a v e n n a , Urbino) si c h i a m a v a n o Legazioni ed e r a n o g o v e r n a t e da un C a r d i n a l e L e g a t o ; le a l t r e da p r e l a t i a titolo diverso. Ma o g n u n a conservava le p r o p r i e leggi e istituti. Nei documenti ufficiali, a n c h e dei paesetti c o m e Castro e Ronciglione venivano qualificati c o m e Stati e se ne d a v a n o le arie. Il caso limite era quello di Bologna che, oltre ad aver conservato tutte le sue magistrature e franchigie, rivendicava perfino il diritto di t e n e r e un p r o p r i o ambasciatore presso il Pontefice c o m e u n a p o t e n z a straniera. Trascinato dall'esempio delle m o n a r c h i e assolutiste, anche il Papato nel Settecento tentò di affermare il p o t e r e centrale, e specialmente l'Alberoni - l ' e x - o n n i p o t e n t e ministro di Filippo V e di Elisabetta Farnese, o r a Cardinale-Legato a R a v e n n a - abbozzò a l c u n e e n e r g i c h e riforme. Ma, più che nelle resistenze locali, u r t ò in quelle del suo stesso governo, assolutamente allergico a ogni concezione di Stato, nel quale il Papato aveva s e m p r e visto il p r o p r i o nemico, e infatti in t u t t a E u r o p a n o n c e n ' e r a u n o c h e , p e r affermarsi, n o n avesse d o v u t o d u r a m e n t e lottare c o n t r o di esso e le sue interferenze. Millesettecento a n n i di storia c r e a n o u n a mentalità. E lo si vedeva dal guazzabuglio di p o t e r i , dall'inefficienza, dall ' i n c o m p e t e n z a c h e c a r a t t e r i z z a v a n o il r e g i m e p a p a l i n o . T u t t o e r a in m a n o a u n a b u r o c r a z i a c o m p o s t a - s t a n d o a certe valutazioni del t e m p o - di 53.000 sacerdoti fra centrali e periferici: l'elemento laico n o n deteneva che p o c h e posizioni s u b a l t e r n e , e solo q u a n d o r i e n t r a v a nella clientela di qualche alto prelato. La cosiddetta «stanza dei bottoni» era r a p p r e s e n t a t a dalle «congregazioni», specie d i m i n i s t e n presieduti da cardinali, cioè da u o m i n i che di solito n o n ven i v a n o dalla p r a t i c a a m m i n i s t r a t i v a , e c h e anzi spesso confondevano ( q u a n d o a n d a v a bene) l'amministrazione con la carità. Ma la cosa p i ù grave è che questi organi cumulava-
:
n
584
po insieme compiti civili e religiosi senza linea di d e m a r c a zione fra loro: il che li autorizzava a qualsiasi ingerenza. Per esempio, la C o n g r e g a z i o n e della Consulta, investita insieme della g i u r i s d i z i o n e c r i m i n a l e e civile, o l t r e c h e dei ricorsi contro i funzionari - il che r a p p r e s e n t a v a già u n a bella confusione - doveva «invigilare alla salute delle p r o v i n c e e dispensarvi li necessari o r d i n i p e r t e n e r l o n t a n i li contagiosi mali che minacciassero di assalire», cioè agire a n c h e da ministero della p u b b l i c a sanità. Così la Propaganda Fide c h e , stando al n o m e , avrebbe d o v u t o occuparsi solo di apostolato, svolgeva a n c h e m a n s i o n i a m m i n i s t r a t i v e , o p e r meglio dire se le accaparrava profittando di u n a totale carenza istituzionale. A p r o v v e d e r e alla distribuzione delle c o m p e t e n z e avrebbe dovuto essere il Segretario di Stato, sorta di p r i m o ministro nelle cui m a n i si accentravano tutti gli affari ecclesiastici, politici ed economici. Ma n a t u r a l m e n t e , n o n essendo ancorata a un preciso o r g a n i g r a m m a , la loro distribuzione dipendeva dalle sue preferenze, se n o n a d d i r i t t u r a dal suo arbitrio. E tutto a n d a v a avanti alla carlona, secondo giuochi di corridoio, d'influenze, di p a r e n t e l e e di g h e n g h e . Altra carica di g r a n d e rilievo e r a quella del C a r d i n a l e C a m e r l e n g o , capo della r e v e r e n d a C a m e r a Apostolica, che approssimativamente assolveva ai compiti di ministro delle finanze. Ma è a s s o l u t a m e n t e impossibile r i c o s t r u i r e il filo di un labirinto di uffici cui ogni poco se ne a g g i u n g e v a n o di n u o vi p e r sistemare qualche p r o t e t t o . D'invariato e invariabile, c'era soltanto il p o t e r e assoluto del Papa. Ma il suo assolutismo e r a d i v e r s o d a quello dei R e d e l S e t t e c e n t o . D a u n a parte e r a p i ù completo in q u a n t o , c u m u l a n d o le qualifiche di capo dello Stato e di capo della Chiesa, assommava nella sua p e r s o n a i d u e p o t e r i : quello t e m p o r a l e e quello spirituale. Dall'altra l o e r a m e n o i n q u a n t o q u e s t o p o t e r e n o n era ereditario, m a elettivo. U n t e m p o questo e r a stato, p e r " Papa, un motivo di g r a n d e debolezza p e r c h é Io metteva, almeno inizialmente, in condizioni di d i p e n d e n z a dal colle585
gio di Cardinali che lo aveva eletto. Ma a questo aveva posto r i m e d i o il Concilio di T r e n t o ratificando in m a n i e r a defini, tiva la sua infallibilità, cioè la sua insindacabilità, di cui i Gesuiti r a p p r e s e n t a v a n o la «guardia bianca». Quali che fossero g l ' i m p e g n i presi con gli elettori p e r o t t e n e r n e il voto, una volta eletto il Papa poteva anche scordarsene. E questo ribadiva il suo assolutismo: un assolutismo basato su u n a infallibilità che in teoria valeva soltanto p e r le cose spirituali; ma che in pratica, data la commistione fra i d u e poteri, si estendeva automaticamente anche al c a m p o temporale provocandovi u n a completa discrezionalità. I n s o m m a , era il totalitarismo assoluto c o m e s e m p r e lo sono le teocrazie. E come s e m p r e Io sono i totalitarismi, a n c h e questo e r a refrattario a leggi istituzionali c h e finiscono s e m p r e p e r p o r r e dei limiti al suo esercizio. N o n solo il d e c e n t r a m e n t o , ma a n c h e l'acc e n t r a m e n t o , q u a n d o viene p o r t a t o all'estremo, provoca il caos. E questo e r a il caso del g o v e r n o pontificio: u n a tirannia corretta dal disordine. Ad esso strettamente legato era l'unico ceto laico che contava qualcosa, ma che contava a p p u n t o p e r c h é era legato al clero: l'aristocrazia. Q u a l c u n o ha detto che i r o m a n i antichi p r e t e n d e v a n o di discendere dagli Dei, e quelli m o d e r n i dai r o m a n i antichi. N a t u r a l m e n t e di questi ultimi si e r a persa ogni traccia con le invasioni. Il p r i m o patriziato r o m a n o che si ricreò d o p o di esse e r a formato dai soliti caperonzoli ted e s c h i , scesi al s e g u i t o d e i l o r o Re e I m p e r a t o r i . E r a n o i F r a n g i p a n e , i Gottifredi, i Cenci che dai loro castelli tenevano nel t e r r o r e la città m e t t e n d o l a a sacco, p r e n d e n d o prigionieri a n c h e i Papi e m a g a r i istallando al loro posto qualc u n o dei loro. Ma queste famiglie o r m a i si e r a n o o e r a n o state quasi tutte estinte e avevano c e d u t o il p o s t o a u n ' a l t r a aristocrazia, l'aristocrazia «nera». L'avevano formata i Papi Farnese, Ald o b r a n d i n i , Borghese, Barberini, Chigi, Sforza, Odescalchi eccetera c o n c e d e n d o ai loro familiari titoli e blasoni. Ecco p e r c h é fra clero e nobiltà n o n c'era, né poteva esserci, con586
a p p o s i z i o n e , e n e m m e n o c o m p e t i z i o n e . E r a n o legati d a vincoli di sangue. Il C a r d i n a l e diventava Principe, e il Principe diventava Cardinale. Via via che un Papa veniva eletto, i suoi familiari e r a n o a u t o m a t i c a m e n t e iscritti nel «Libro d'oro» del patriziato r o m a n o , nel q u a l e v e n i v a n o reclutati gli Assistenti al Soglio, i Marescialli del Conclave, i Gonfalonieri di Santa Chiesa, i Conti Palatini del L a t e r a n o , i Senatori, e i n s o m m a tutti quei dignitari laici che facevano corona al p o t e r e ecclesiastico, e che a v e v a n o tutti u n o zio o un fratello o un cognato in Curia. Borghesia vera e p r o p r i a a R o m a c'era. O meglio c'era un suo caricaturale s u r r o g a t o che si chiamava, e tuttora si chiama, «generone», composto da famiglie che di p a d r e in figlio si t r a m a n d a v a n o alcune professioni c o m e quelle di notai, avvocati, cancellieri, medici, anch'essi n a t u r a l m e n t e al servizio della Chiesa in cui e r a d'obbligo, p e r ogni g e n e r a z i o n e , arruolare un figlio. Era un ambiente p l u m b e o e sussiegoso, assolutamente privo di quei fremiti intellettuali che scuotevano tutte le altre borghesie settecentesche. Il «generone» romano viveva in case cupe, fredde e compassate, piene d'inginocchiatoi e crocifissi, e prive di libri che n o n fossero codici polverosi o agiografie di Santi. La famiglia e r a i m p e r n i a t a sull'autorità assoluta e insindacabile del p a d r e , cui a n c h e la moglie dava del voi c h i a m a n d o l o «signor Pietro» o «signor Paolo», e cui tutti dovevano baciare la m a n o . La giornata si riduceva a un rito p u n t e g g i a t o da p a t e r n o s t r i e a v e m a r i e . L'educazione dei maschi, sia in casa che a scuola, era affidata soprattutto alla frusta. Quella delle f e m m i n e si fermava all'alfabeto: poi, se n o n trovavano m a r i t o , venivano messe in convento. A n c h e la foggia degli abiti s'intonava al c o s t u m e clericale: le frivolezze settecentesche n o n e r a n o state accolte o avevano d o v u t o adattarsi all'austerità prelatizia. Il colore di m o d a e r a rimasto il n e r o , e la foggia e r a giudicata tanto più di b u o n g u s t o q u a n t o p i ù si avvicinava a quella talare. Anche chi n o n lo era, cercava di passare almeno p e r un abate. I p a n n i civili e r a n o giudicati segno di basso rango. 587
L'unico ceto vivo e vero era il p o p o l i n o : i g n o r a n t e , irrequieto, superstizioso, p r o t e r v o e scansafatiche, talvolta vio l e n t o e s a n g u i n a r i o , ma festaiolo e ricco di un suo humour mescolato di scetticismo e di sarcasmo. Bisognava fare i conti con le sue «battute» e coi suoi coltelli, u g u a l m e n t e taglienti. Accettava la p r o p r i a miseria, ma n o n e r a servile verso chi g l i e l ' i m p o n e v a . Il v e t t u r i n o d a v a del tu al P r i n c i p e e, p u essendo devoto al Papa, si riservava il diritto di fischiarlo. A Dio n o n ci c r e d e v a , ma c r e d e v a ai Santi e p i ù a n c o r a al Monsignore di cui era cliente. Bisogna infatti p r e n d e r e con beneficio d'inventario una certa libellistica anticlericale che d i p i n g e la R o m a papalina c o m e il r e g n o del sopruso e del t e r r o r e poliziesco. In questa città sgangherata, inefficiente, priva di servizi, tanto ricca di chiese e conventi q u a n t o p o v e r a di scuole, i contrasti sociali e r a n o stridenti e visibili a n c h e nell'urbanistica coi suoi palazzi fra i più fastosi del m o n d o al centro di u n a ragnatela di miserabili t u g u r i . Ma i r a p p o r t i sociali e r a n o a m m o r b i d i t i d a u n c o s t u m e b o n a r i o , d a u n « p e r e n n e scambio d i b u o n i uffici e di concessioni reciproche»; raccomandazioni, bustarelle, i n d u l g e n z e . N o n e r a s o l t a n t o p e r s p a c c o n e r i a che i nobili e gli alti prelati che formavano il vertice di questa società n o n si m o s t r a v a n o mai in pubblico senza un folto seguito di cappellani, maestri di cerimonie, camerieri di cappa e spada, paggi, valletti e palafrenieri; era a n c h e perché si sentivano tenuti ad a s s u m e r e al loro servizio c h i u n q u e glielo chiedesse. Specialmente i Cardinali, o g n u n o dei quali si c o n s i d e r a v a «un p a p a in piccolo» e c o m e lui t e n e v a corte, e r a n o di manica larga e di bocca b u o n a : spesso tra i loro famigli allignavano p a t e n t a t e canaglie cui la protezione e la liv r e a d i Sua E m i n e n z a s e r v i v a n o p e r sfuggire all'arresto. Perché a n c h e la polizia e r a bonaria: un po' p e r lo spirito di a c c o m o d a m e n t o e di c o m p r o m e s s o cui s'intonava tutto il regime, un p o ' p e r m a n c a n z a di mezzi. Reclutati fra i teppisti di Trastevere, mal pagati, mal c o m a n d a t i , sottoposti a u n a disciplina fatta di negligenza e di tolleranza, essi n o n erano, r
588
dice Dupaty, che «dei briganti privilegiati che fanno la guerra a dei briganti n o n privilegiati», con cui restavano fondam e n t a l m e n t e solidali. Il L a m b e r t i n i , q u a n d o ascese al Soglio col n o m e di B e n e d e t t o XIV, definì quello pontificio un regime «dove il Papa c o m a n d a , i Cardinali disobbediscono, e il p o p o l o fa quel che gli pare». E un diplomatico straniero, in un r a p p o r t o sulla situazione, scriveva: «Al m o n d o n o n v'è sovrano p i ù v e n e r a t o dai sudditi del Pontefice, e m e n o temuto e obbedito». C o m e i r o m a n i antichi usavano accogliere anche Cesare, di r i t o r n o dalle sue conquiste, sbeffeggiandolo e corbellandolo p e r c h é n o n si montasse la testa, quelli del Settecento bersagliavano il Papa in carica con satire e libelli appesi alla statua di Pasquino. D u r a n t e il conclave del 7 5 , ce ne fu u n o particolarmente feroce. L'autore, scoperto, fu c o n d a n n a t o a m o r t e . Ma i n t e r v e n n e subito la grazia; e il destinatario d e l l ' e p i g r a m m a , u n C a r d i n a l e , gli m a n d ò a n che cento scudi in regalo. Di cosa R o m a vivesse, è un m i s t e r o c h e n e s s u n o è mai riuscito a spiegare. S e c o n d o i calcoli del Madelin, un b u o n quarto della sua popolazione e r a n o impiegati, cioè personale improduttivo. Altrettanto lo era l'immensa coorte dei servitori. Il resto e r a n o artigiani e bottegai. Tutto il p a t r i m o n i o immobiliare cittadino e r a p e r m e t à della Chiesa, p e r m e t à dei nobili, alcuni dei quali possedevano intere strade e q u a r tieri. I d e n t i c a e r a la d i s t r i b u z i o n e t e r r i e r a nel c o n t a d o : i d u e c e n t o e più mila ettari dell'agro e r a n o feudi p e r m e t à ecclesiastici, p e r m e t à patrizi. La sola famiglia B o r g h e s e ne possedeva settantadue. Per il g o v e r n o pontificio, l'economia politica e r a il sanscrito. Il suo unico p r o b l e m a e r a n o i rifornimenti della città a cominciare dal p a n e , p e r c h é il p a n e e r a l'unica cosa p e r cui la plebe r o m a n a e r a p r o n t a a salire sulle b a r r i c a t e . Ma bisognò a s p e t t a r e B e n e d e t t o X I V p e r c h é venissero abolite le gabelle c h e ostacolavano il c o m m e r c i o del g r a n o . Pio VI fu considerato p o c o m e n o che m a t t o p e r c h é avanzò il p r o getto di migliorare le c u l t u r e e di d a r e avvìo a un p o ' d'in589
dustria. Ma m a n c a v a n o le cose più i m p o r t a n t i : l'energie imp r e n d i t o r i a l i , i tecnici e i capitali. I capitali, i camerlenghi p e n s a r o n o che il mezzo p i ù r a p i d o di reperirli e r a di stamp a r e carta-moneta. E gli effetti ve li lasciamo immaginare. I contributi dei Paesi stranieri, su cui R o m a aveva s e m p r e vissuto, si e r a n o assottigliati, e con essi si e r a n o assottigliate le riserve di valuta p r e g i a t a . L'unico serbatoio a cui attingere e r a n o le province. Ma p e r q u e s t o sarebbe occorso un fisco efficiente, quale c e r t a m e n t e n o n era quello papalino gestito dai preti, i quali n o n h a n n o mai capito la differenza che passa fra la tassa e l'elemosina. Per l o r o , le i m p o s t e facevano p a r t e di un sistema caritativo, regolabile caso p e r caso a furia di compromessi. Di risorse effettive, c'era solo il t u r i s m o , t u t t o r a molto florido. E n o n soltanto p e r le bellezze m o n u m e n t a l i dell'Urbe, ma a n c h e p e r l'aria che vi si respirava. «Da questa città in sfacelo» scrive un c o n t e m p o r a n e o , il Fantuzzi, «emana il p i g r o fascino di un colorito e malinconico tramonto.» Doveva esser così p e r c h é i visitatori ci piovevano da ogni p a r t e . E n o n si t r a t t a v a solo di artisti s q u a t t r i n a t i c o m e Winckelm a n n e Mengs, ma a n c h e di Re, Principi e g r a n d i borghesi del Settentrione. Un soggiorno a R o m a era considerato tappa d'obbligo p e r la formazione d ' u n a p e r s o n a colta e civile. Lo stesso m a l i g n o De Brosses riconosce che «per l'estrema libertà che vi r e g n a , p e r l'amabilità della gente, piacevole e cordiale più che in ogni altra p a r t e d'Italia», R o m a esercitava ancora u n a grossa attrazione. Ma agl'influssi culturali di q u e s t o a m b i e n t e c o s m o p o l i t a essa restava e r m e t i c a m e n t e chiusa. N o n si trattava, c o m e q u a l c u n o dice, di un ostracis m o i m p o s t o dall'alto a furia di polizia e di c e n s u r a , ent r a m b e inefficienti, ma di u n a congenita sordità d o v u t a alla sua s t r u t t u r a sociale. In altri Stati italiani c o m e la Lombardia e la Toscana il s e m e illuminista d i e d e i suoi frutti n o n solo p e r c h é a seminarlo c ' e r a n o i governi austriaci, ma anche p e r c h é a concimarlo c'era u n a borghesia. Il «generone» r o m a n o vi e r a a s s o l u t a m e n t e refrattario. E infatti gli unici 590
luoghi in cui gli ospiti s t r a n i e r i t r o v a v a n o accoglienza e le loro idee qualche ascolto e r a n o i salotti dei nobili e dei Cardinali- I quali, e s s e n d o i p u n t e l l i del «sistema», p o t e v a n o consentirsi qualsiasi libertà; ma qualsiasi libertà si consentissero, restavano solidali col «sistema». Si trattava i n s o m m a di p u r a accademia, discussioni fra iniziati, che n o n sortivano alcun effetto sulla vita della città e del r e g i m e . La c u l t u r a r o m a n a restava un fatto di clan, e di un clan strettissimam e n t e l e g a t o al p o t e r e , u n i c o d a t o r e di lavoro e fonte di qualsiasi carriera. E ora cerchiamo di riassumere, nella vicenda dei suoi Papi, la politica di questa teocrazia.
CAPITOLO DICIANNOVESIMO
IL D E C L I N O DEL PAPATO
Neil' arco del secolo la cattedra di San Pietro conobbe nove titolari, la cui d u r a t a m e d i a fu d u n q u e di circa un decennio p e r o g n u n o . E questo è il motivo più appariscente della debolezza del r e g i m e . O g n i conclave, cioè o g n i elezione, era u n a crisi, e m o l t o spesso r a p p r e s e n t a v a u n ' i n v e r s i o n e di t e n d e n z e . I Re, p e r q u a n t o assoluti, dovevano rispettare le direttrici dell'interesse dinastico, e questo creava u n a certa continuità. Il Papa n o n aveva dinastia: le sue direttrici erano soltanto le sue convinzioni rese insindacabili dall'infallibilità. P r o p r i o l'anno del Giubileo vide l'ascesa al Soglio, col nome di C l e m e n t e X I , di Francesco Albani. Era di U r b i n o , e aveva a p p e n a c i n q u a n t a n n i : u n ' e t à inconsueta p e r la tiara che di solito viene data a gente che offra garanzie di lasciarla v a c a n t e a b r e v e t e r m i n e . E r a un p r e l a t o in t u t t ' i sensi i n a p p u n t a b i l e c o m e p r e p a r a z i o n e intellettuale, r i g o r e morale e zelo. Ne d i e d e subito la p r o v a v i e t a n d o ai p a r e n t i di m e t t e r p i e d e a R o m a e f a c e n d o così eccezione al «nepotismo», r e g o l a r m e n t e praticato dai suoi predecessori e fonte di tutto il malcostume. Forse voleva essere l'inizio di u n a più p r o f o n d a bonifica. Ma C l e m e n t e ne fu distratto dalla situazione politica internazionale, in cui dovette i m p e g n a r e tutte le sue energie. Era il m o m e n t o in cui a M a d r i d moriva senza e r e d i maschi l'ultimo Asburgo, Carlo I I , e si apriva il p r o b l e m a della sua successione. C o m e a b b i a m o già r a c c o n t a t o , Carlo, esitante se testare in favore dei p a r e n t i Asburgo austriaci, o di u n B o r b o n e francese, n i p o t e d i sua sorella, aveva chiesto 592
consiglio al p a p a I n n o c e n z o X I I . E il Papa a sua volta aveva -chiesto consiglio al Cardinale Albani, il quale si e r a p r o n u n ciato in favore del B o r b o n e . La scelta aveva i suoi p e r c h é . L'eredità c o m p o r t a v a a n c h e i p o s s e d i m e n t i spagnoli in Italia, L o m b a r d i a e R e a m e di Napoli. E la Chiesa n o n voleva istallato in questi punti-chiave un ospite t r o p p o i n g o m b r a n te quale sarebbe stato un I m p e r a t o r e Asburgo, p a d r o n e nello stesso t e m p o d'Austria e di Spagna. N o n era u n a questione religiosa p e r c h é quelle in lizza e r a n o tutte dinastie e p o tenze cattoliche. Si t r a t t a v a di « r a g i o n e di Stato». Q u e l l o pontificio, c h e n o n aveva m a i r i n u n z i a t o ad essere lo Stato-guida della penisola, preferiva vederci accasata la F r a n cia. Salito al Soglio p r o p r i o in quei frangenti, Albani n o n era stato avaro d ' i n c o r a g g i a m e n t i alle t r u p p e francesi c h e difendevano il t r o n o spagnolo del loro Principe. Ma poi la fortuna aveva cambiato cavallo. Gli eserciti asburgici dilagarono in Italia e m i n a c c i a r o n o d ' i n v a d e r e il t e r r i t o r i o pontificio se il Papa n o n riconosceva i diritti del loro c a n d i d a t o . E Clemente dovette piegarsi inimicandosi la Francia p r o p r i o nel m o m e n t o in cui questa r i p r e n d e v a invece il sopravvento e r e n d e v a irrevocabile la successione borbonica sul t r o n o di Madrid. Così il Papato si p r e s e n t ò in veste di sconfitto alle trattative di Utrecht e di Rastadt che p o n e v a n o fine a quella guerra, o p e r meglio d i r e ne fu tagliato fuori. E lo si toccò con mano. Fin allora, mai le Potenze avevano p r o c e d u t o a regolamenti di conti in Italia senza i n t e r p e l l a r e il P a p a e attribuirgli a l m e n o u n a platonica funzione d i a r b i t r o . Stavolta n o n lo consultarono n e m m e n o sulle sorti del Ducato di Parma e Piacenza, su cui da s e m p r e si era riconosciuto al Papa il diritto d'investitura. Esso fu disinvoltamente assegnato al p r i m o g e n i t o della R e g i n a d i S p a g n a Elisabetta F a r n e s e , Carlo, che in seguito lo avrebbe lasciato a suo fratello Filippo. Clemente protestò. Ma n e s s u n o gli diede retta. Fu il p r i m o segno di u n a p e r d i t a di peso in c a m p o inter593
nazionale, che in realtà e r a in atto da un pezzo, ma che d'ora in poi precipitò. Gli austriaci di Napoli espulsero il Nunzio pontificio col foglio di via come un qualsiasi «indesiderabile», solo d o p o m o l t e insistenze lo riammisero, poi tornar o n o a espellerlo. In Sicilia alcuni ecclesiastici che si mostravano t r o p p o ligi agli ordini di R o m a furono impacchettati e riportati di forza negli Stati pontifici. Perfino nella cattolicissima Spagna, che p e r di più era governata da un cardinale italiano, l'Alberoni, la N u n z i a t u r a v e n n e chiusa. M e n t r e in tutti gli Stati della penisola, e s o p r a t t u t t o in Toscana, si aff e r m a v a s e m p r e p i ù vigorosa la t e n d e n z a ad a t t r i b u i r e le cariche ecclesiastiche ai sacerdoti locali in m o d o da sottrarli alle influenze della Curia. Per C l e m e n t e , coscienziosissimo servitore della Chiesa, fu un d r a m m a . Egli forse attribuì questi smacchi ai p r o p r i e r r o r i . Ma sbagliava. Gli e r r o r i a v e v a n o solo affrettato un processo che niente e n e s s u n o avrebbe in ogni caso arrestato, e che infatti c o n t i n u ò a n c h e sotto i suoi successori. Fra costoro, quello di m a g g i o r rilievo, a n c h e p e r c h é ebbe la v e n t u r a di restare sul Soglio b e n diciotto a n n i , fu Ben e d e t t o XIV, al secolo P r o s p e r o L a m b e r t i n i : un personaggio ricco di u m a n i t à , di calore e di colore, che un po' ricorda, a n c h e fisicamente, Giovanni X X I I I . Era bolognese, e a p p a r t e n e v a a u n a famiglia dove le vocazioni n o n e r a n o m a n c a t e . Nel suo albero genealogico c'er a n o b e n d u e b e a t e . P r o s p e r o n o n aveva avuto dubbi sulle sue scelte. Fin da ragazzo, s'era dedicato al diritto canonico e alla teologia. Poi, d i v e n t a t o avvocato concistoriale, aveva fatto tutta la sua c a r r i e r a in C u r i a : canonico di San Pietro, consultore dell'Inquisizione, m e m b r o della Congregazione dei riti, Arcivescovo di Ancona, e finalmente Cardinale nella sua Bologna dove, dice un c o n t e m p o r a n e o , arrivò senz'altro seguito che le sue virtù. Ne aveva molte. Ma quella più preziosa, a n c h e perché la più rara, era di n o n farle p e s a r e agli altri. Anzi, di p r i m o acchito p o t e v a a n c h e s e m b r a r e u n o di quegli scettici prelati 594
che della Chiesa facevano soltanto un m e s t i e r e , così frequenti in un secolo in cui l'unico mestiere che aprisse delle prospettive era la Chiesa. Aveva infatti la battuta frizzante e talvolta perfino sconveniente. N o n s a p p i a m o se sia vero che una volta, a v e n d o g l i q u a l c u n o riferito con d r a m m a t i c i accenti che u n a suora e r a rimasta incinta, rispose: «Lo dite come se si trattasse di un frate!» Ma era c o m u n q u e u n a risposta degna di lui. Il fatto è che, come osservava Montfaucon, L a m b e r t i n i aveva d u e a n i m e : u n a p e r l a r e l i g i o n e , l'altra per la società. In società e r a arguto, scanzonato, paradossale. In religione, rigorosissimo, ma senza bigotterie. I suoi gusti e r a n o semplici, e n o n li cambiò n e m m e n o dopo aver assunto la tiara. Il suo p r i m o gesto fu u n a lettera al fratello con cui gli proibiva di venire a R o m a se n o n dietro suo invito: un invito che n o n gli fece mai. Un p o e t a gli m a n d ò u n a satira c o m p o s t a in cattivi versi c o n t r o di lui. Lambertini gliela restituì c o r r e t t a di suo p u g n o . Rifiutò di sottomettersi ai rituali c h e i m p a c c i a v a n o la vita di C u r i a . Sebbene andasse a letto molto tardi p e r c h é la sera amava fare conversazione con gli u o m i n i di cultura che aveva subito sbrancato e raccolto i n t o r n o a sé, la mattina si alzava all'alba, celebrava la messa, sbrigava le faccende di Stato, e p p o i usciva a passeggiare. Nei primi t e m p i i guardiani del cerimoniale riuscirono a limitare queste sue sortite ai giardini vaticani. Ma in seguito egli si ribellò a questa clausura, e da allora diventò facile incontrarlo p e r le vie della città, vestito da semplice m o n s i g n o r e e con u n a c a n n a spagnola in m a n o . Col suo solido b u o n senso, n o n s'illuse di p o t e r restituire al Papato, in c a m p o i n t e r n a z i o n a l e , la posizione di privilegio di cui esso aveva g o d u t o fino al Seicento. Cercò soltanto di a d a t t a r n e le s t r u t t u r e alle n u o v e esigenze p e r conservargli l'unico p o t e r e cui a n c o r a p o t e v a a s p i r a r e : quello spirituale. Nelle trattative con gli Stati c h ' e r a n o e n t r a t i in conflitto con la Chiesa p e r via delle sue interferenze nella loro vita interna, la sua diplomazia fu elastica e a r r e n d e v o l e . Cominciò col riconoscere alla S p a g n a il diritto di d i s p o r r e dei 595
benefici ecclesiastici, ma facendosene r i m b o r s a r e il capitale sia p u r e a un prezzo di liquidazione, togliendo così di mezzo u n a causa di attrito e nello stesso t e m p o r i m p o l p a n d o l'esauste f i n a n z e pontifìcie. I d e n t i c a c o m p r e n s i o n e mostrò verso il R e g n o di Napoli accettando la riforma del Tanucci che sottoponeva alla tassazione a n c h e i b e n i ecclesiastici. £ infine, con g r a n d e scandalo di molti suoi collaboratori, porse compiacente orecchio al ministro p o r t o g h e s e Pombal che gli chiedeva un energico intervento contro la Compagnia di Gesù, trasformatasi a Lisbona in u n a cricca commerciale e finanziaria decisamente ostile alla politica economica del gov e r n o . Papa B e n e d e t t o n o m i n ò u n a commissione d'inchiesta affidandone la presidenza al cardinale Saldanha, grande amico di Pombal e g r a n d e nemico dell'Ordine. L'indagine si concluse col p e r m e s s o a c c o r d a t o ai funzionari governativi d ' i n c a m e r a r e tutte le ditte e società dei Gesuiti coi loro capitali e mercanzie. A s p r a m e n t e criticato dai suoi, il P a p a rispose che queste severe m i s u r e m i r a v a n o n o n a d i s t r u g g e r e la C o m p a g n i a , ma a salvarla. E i fatti d o v e v a n o d i m o s t r a r e q u a n t o avesse ragione. Molto p r o b a b i l m e n t e egli si p r o p o n e v a u n a seria e sostanziale riforma d e l l ' O r d i n e , c h e n o n gli s e m b r a v a più c o n f o r m e ai t e m p i , e n o n lo e r a . Ma la m o r t e n o n gliene dette il t e m p o . Colui che col n o m e di C l e m e n t e X I I I salì al suo posto, il veneziano Carlo Rezzonico, era u o m o di tutt'altra pasta e di tutt'altre idee, e forse p r o p r i o p e r questo salì al suo posto. E m o l t o p r o b a b i l e c h e i m a n e g g i o n i del conclave cercassero q u a l c u n o che rimediasse all'arrendevolezza di Lambertini. E altrettanto probabile è che trovassero un valido aiuto nei Gesuiti, b e n decisi a o t t e n e r e u n a rivincita. Il m o v i m e n t o c o n t r o di loro dal Portogallo si e r a p r o p a g a t o alla Spagna, alla Francia, all'Austria, e q u i n d i agli Stati italiani che dell'Austria e della S p a g n a e r a n o satelliti. Ci voleva un Papa risoluto a difenderli. E Rezzonico lo era. Da q u a n d o aveva acquistato voce in capitolo, l'aveva usata solo p e r d e p l o r a r e e 596
jtigmatizzare le c o n t i n u e abdicazioni della Chiesa ai suoi privilegi c h e s e c o n d o lui e r a n o solo l ' e s p r e s s i o n e t e r r e n a dei suoi divini diritti e attributi. Il Papato, diceva, n o n poteva r i n u n c i a r e al suo p r i m a t o , visto c h ' e r a Dio ad averglielo affidato. E fu con queste convinzioni ch'egli affrontò la battaglia. Fra i nemici dei Gesuiti, egli scelse, p e r attaccare, quello più debole: il Duca di Parma, e ne ricevette u n a risposta addirittura brutale. S p a g n a e Francia si schierarono immediatamente col ribelle, p a s s a n d o a vie di fatto. La Francia occupò il feudo pontificio di Avignone, e la S p a g n a fece occupare dai suoi satelliti n a p o l e t a n i B e n e v e n t o e P o n t e c o r v o . Sgomento e atterrito, il Papa b r a n d ì minacciosamente la solita a r m a della s c o m u n i c a , s'avvide ch'essa n o n i m p a u r i v a più nessuno, p i o m b ò in u n a crisi di disperazione e m o r ì lasciando quel Papato, ch'egli si era p r o p o s t o di restituire agli antichi fastigi, in condizioni molto più miserevoli di c o m e lo aveva ereditato dal suo rinunciatario predecessore. Egli aveva c r e d u t o che la crisi dei Gesuiti fosse d o v u t a a un capriccio di u o m i n i , o c o m u n q u e a semplici contingenze politiche. In realtà si trattava di b e n altro. Alla sua base c'era un fatto, c o m e oggi si direbbe, «strutturale». L'Ordine era tuttora u n ' a m m i r e v o l e organizzazione, basata su u n a severissima selezione di u o m i n i e retta dalla ferrea disciplina che le aveva imposto il fondatore Ignazio di Loyola. C o m e p r e p a r a z i o n e , c o m e d e d i z i o n e , c o m e efficienza, i suoi q u a d r i erano i migliori di cui la Chiesa disponesse. Vi mancava u n a cosa sola: il m i n i m o di libertà necessario a d e n u n c i a r e l'inconciliabilità delle sue s t r u t t u r e autoritarie col m o n d o m o d e r n o e a o p e r a r e le necessarie revisioni. Tanta rigidità era logica, al t e m p o in cui l ' O r d i n e era stato creato. Ignazio lo aveva concepito c o m e u n a milizia scelta, un c o r p o d'assalto c o n t r o l'eresia di L u t e r o e di Calvino. Q u a n d o si c o m b a t t e , n o n si ha il t e m p o di discutere. Bisogna o b b e d i r e , e basta. Q u e s t o i Gesuiti a v e v a n o fatto c o n eroico i m p e g n o , sino a contrarvi u n a deformazione m e n t a 597
le, diventata u n a loro s e c o n d a n a t u r a . Il G e n e r a l e n o n discuteva gli o r d i n i del Papa, e i subalterni n o n discutevano gli o r d i n i del G e n e r a l e . Alla loro iniziativa e r a rimesso solt a n t o il m o d o di eseguirli. E d ' a l t r o n o n essendosi mai p r e o c c u p a t a , questa milizia n o n aveva mai p r o c e d u t o a verifiche sull'attualità di questa impostazione. Essa n o n si era accorta che, dalle g r a n d i g u e r r e d i r e l i g i o n e che avevano i n s a n g u i n a t o il C i n q u e e il Seicento, e p r o p r i o grazie alla reazione ch'esse avevano suscitato, il m o n d o era cambiato e lo scontro fra ortodossia ed eresia n o n era più frontale. Oramai i d u e schieramenti si e r a n o solidificati, e o g n u n o di essi aveva rinunziato a convertire o riconvertire l'altro. In quello cattolico e r a n o nati altri nemici, ma molto più insidiosi e inafferrabili: si c h i a m a v a n o revisionismo giansenista, razionalismo, illuminismo. N o n si potevano combattere con l'Inquisizione, i roghi e le forche, ma solo con u n a strategia elastica che consentisse di riassorbirli. E a questo i Gesuiti erano i m p r e p a r a t i p r o p r i o p e r la loro conformazione organizzativa e mentale. Lo si vide dal loro c o m p o r t a m e n t o sul p i a n o della polemica ideologica. E incredibile la p o v e r t à di a r g o m e n t i e l'inefficacia dei testi che i Gesuiti c o n t r a p p o s e r o ai loro assalitori. E v e r o che c o s t o r o si c h i a m a v a n o Voltaire, Diderot, D'Alembert eccetera eccetera. Ma i loro attacchi risultarono t a n t o p i ù micidiali in q u a n t o la difesa dei Gesuiti fu inesistente. Essi risposero attaccandosi alle solite miserie e pignolerie d e l p a r t i c o l a r e i n e s a t t o : u n ' a r t e in cui s o n o tuttora maestri, ma che n o n c o n d u c e a nulla. Ed e r a strano da parte di u o m i n i che con t a n t a c u r a venivano selezionati anche sul p i a n o intellettuale e c h e da d u e secoli t e n e v a n o banco come controversisti. Ma il fatto è ch'essi avevano fatto la m a n o a tutt'altro gen e r e di c o n t r o v e r s i e : quelle che si d i b a t t e v a n o soltanto in chiusi circuiti d'iniziati. Il l o r o c a m p o di battaglia e r a n o 1 Concili, le Congregazioni, i confessionali dei Re - di cui avev a n o l ' a p p a l t o -, le a n t i c a m e r e , le q u i n t e , i c o r r i d o i delle 598
Corti e dei g o v e r n i . Alla lotta in c a m p o a p e r t o n o n e r a n o abituati e n o n ne p o s s e d e v a n o le a r m i . La loro strategia presupponeva quel certo tipo di società feudale in cui tutto si riduceva, come oggi si direbbe, ad operazioni di «vertice» perché solo il vertice c o n t a v a . S e g u i t a v a n o a c r e d e r e c h e , una volta a c c a p a r r a t a s i col confessionale l ' a n i m a d e l Re e con la scuola quelle dei giovani avviati alle posizioni di potere, la loro posizione fosse intoccabile. N o n si e r a n o accorti dell'entrata in scena di un n u o v o protagonista: quella p u b blica o p i n i o n e ch'essi si o s t i n a v a n o a c o n s i d e r a r e e a chiamare «il gregge». Nel Settecento essa n o n aveva i decisivi poteri che ha oggi. Ma i riformatori illuminati di questo p e r i o d o già parlavano in suo n o m e e ne riecheggiavano gli u m o r i . L e o p o l d o e Rucellai a Firenze, Tanucci a Napoli, Pombal in Portogallo, Squillace in S p a g n a n o n volevano, a l m e n o all'inizio della loro azione, s o p p r i m e r e i Gesuiti. Volevano soltanto ch'essi rinunziassero alle loro ostinate e subdole interferenze nella vita dello Stato. I p r e t e s t i di cui si valsero n o n e r a n o c h e pretesti. In Portogallo essi p r i m a accusarono i Gesuiti di un complotto c o n t r o il R e , e p r o b a b i l m e n t e n o n e r a v e r o . In Francia li c o i n v o l s e r o nella b a n c a r o t t a di u n a c o m p a g n i a commerciale, di cui forse n o n e r a n o responsabili. Ma l'indignazione p o p o l a r e suscitata d a q u e s t i scandali p r o b a b i l mente m o n t a t i ad a r t e fu strumentalizzata dal P a r l a m e n t o d i Parigi p e r f o r m u l a r e d u e richieste a l P a p a : p r i m o , che l'Ordine cessasse di avversare certe proposizioni della Chiesa francese che ne a c c e n t u a v a n o la «gallicizzazione», cioè la dipendenza dallo Stato. Secondo, che il G e n e r a l e dell'Ordine r i n u n z i a s s e ad e s i g e r e dai Gesuiti francesi q u e l l ' o b b e dienza assoluta e illimitata che poteva metterli in contrasto coi loro doveri di cittadini. Il G e n e r a l e in quel m o m e n t o era L o r e n z o Ricci ( p a r e n t e dell' o m o n i m o Vescovo g i a n s e n i s t a di Pistoia). S e b b e n e di stoffa loyolana q u a n t o a inflessibilità, egli si disse disposto ad accettare le proposizioni gallicane. Ma sul p u n t o dell'ob599
bedienza fu irriducibile. I Gesuiti, disse, sint ut sunt, aut non sint, d e v o n o essere c o m e sono, o altrimenti è meglio che non siano. La diatriba e r a a q u e s t o p u n t o , q u a n d o il p a p a Clem e n t e , che si e r a schierato con lui, m o r ì . Le sue suppliche le s u e m i n a c c e , le s u e l a c r i m e n o n e r a n o valse a nulla. 1} Portogallo aveva già soppresso l ' O r d i n e i m p a c c h e t t a n d o n e i m e m b r i e sbarcandoli a Civitavecchia. La Francia lo aveva b a n d i t o , d i c h i a r a n d o n e la sopravvivenza incompatibile con le sue leggi. La S p a g n a di Carlo I I I , d o p o averlo incriminato a n c h e lui di complotto ai suoi d a n n i , aveva fatto chiudere tutte le sue r a p p r e s e n t a n z e e o r d i n a t o di fare altrettanto ai suoi satelliti di Napoli e di Parma. Fu in q u e s t o m a r a s m a che, col n o m e di C l e m e n t e XIV, salì al Soglio L o r e n z o Ganganelli. Più tardi i Gesuiti dissero ch'egli si e r a g u a d a g n a t a la tiara con un b a r a t t o , cioè con la p r o m e s s a di sciogliere l'Ordine, e che q u i n d i la sua elezione era viziata di simonia. Di questa colpa p e r ò n o n riuscirono mai ad a d d u r r e alcuna prova, e a noi sembra poco credibile p e r vari motivi. Primo, p e r c h é n o n somiglia al personaggio, che n o n brigò mai nessun posto e che, q u a n d o fu fatto card i n a l e , si rifiutò di a b b a n d o n a r e il suo saio di frate p e r la p o r p o r a , cui concesse solo il b e r r e t t o e le calze. Secondo, p e r c h é di p r o m e s s e n o n aveva nessun bisogno di farne. Da b u o n francescano, n o n aveva mai nascosto le sue antipatie p e r i Gesuiti e, da q u a n d o era scoppiata la crisi, aveva ripet u t a m e n t e detto che a l l ' O r d i n e n o n restava altra scelta che riformarsi o m o r i r e . Se lo elessero, n o n fu q u i n d i p e r un bar a t t o , ma p e r c h é s a p e v a n o ciò ch'egli avrebbe fatto e volevano che lo facesse: a n c h e in Curia c'era u n a forte corrente antigesuitica. L'Ordine n o n b a d ò ai mezzi p e r vincere la sua battaglia, cioè p e r n o n p e r d e r l a . Esso sottopose a un accurato lavaggio del cervello a n c h e la popolazione r o m a n a p r e s e n t a n d o le il n u o v o Papa come un frate sordido e bacchettone da cui n o n c ' e r a n o da a t t e n d e r s i c h e p e n i t e n z e e q u a r e s i m e . A queste dicerie C l e m e n t e fornì materia con la sua frugalità. 600
u o
Tutto il s personale di servizio consisteva in un suo compagno di convento che gli faceva da cuoco, c a m e r i e r e e coni g l i e r e . Avvertendo il f e r m e n t o che r e g n a v a in città, ne affidò il g o v e r n o a M o n s i g n o r P o t e n z i a n i ; r e s t r i n s e sia nei suoi che negli altri Stati cattolici il diritto d'asilo delle chiese, di cui tutti i d e l i n q u e n t i si servivano p e r sfuggire alla polizia; e abolì la lettura, fin allora d'obbligo il giovedì santo in Vaticano, della Bolla detta In Coena Domini che ribadiva tutti i privilegi della Chiesa, anche i p i ù sorpassati, minacciando la scomunica a c h i u n q u e vi attentasse. Voleva assolutamente ristabilire la pace con gli Stati cattolici, di cui aveva capito che la Chiesa n o n poteva più insidiare i sovrani diritti. E p p u r e , q u a n d o l'ambasciatore francese insistette p e r la s o p p r e s s i o n e d e l l ' O r d i n e p r o m e t t e n dogli in c a m b i o la r e s t i t u z i o n e di A v i g n o n e , B e n e v e n t o e Pontecorvo, rispose con dignitosa fermezza che «il Vicario di Cristo è pastore di a n i m e , n o n m e r c a n t e di beni». Voleva dire che su imposizione o p e r b a r a t t o n o n era disposto a far nulla: n e a n c h e le cose che voleva fare. Si r e n d e v a conto che quella m i s u r a c o m p o r t a v a p r o b l e m i gravissimi. I Gesuiti r a p p r e s e n t a v a n o qualcosa d i p i ù d i u n semplice O r d i n e . Rappresentavano u n a certa concezione della Chiesa: quella consacrata dal Concilio di T r e n t o , a c c e n t r a t a , monolitica, basata sul principio d'autorità p o r t a t o alle sue e s t r e m e conseguenze totalitarie. Smantellarla era u n ' i m p r e s a da mettere i brividi nella schiena di c h i u n q u e . D a p p r i m a s e m b r ò infatti che C l e m e n t e volesse limitarsi a una riforma che trasferisse i Gesuiti, nelle varie nazioni, sotto la giurisdizione delle autorità ecclesiastiche locali togliendo loro quel carattere di c o r p o franco extra-territoriale che li rendeva così temibili e invisi. E Carlo di Spagna si affrettò a fargli s a p e r e che n o n chiedeva di più. In realtà il Papa voleva solo g u a d a g n a r t e m p o p e r d a r e a u n a c o m m i s s i o n e pontificia a p p o s i t a m e n t e istituita quello di risolvere il p r o blema canonico se il Concilio di T r e n t o avesse r e a l m e n t e a p provato l ' O r d i n e : il c h e lo a v r e b b e r e s o intoccabile. Ma 601
q u a n d o la commissione rispose che quella del Concilio era stata soltanto u n a citazione, n o n u n a c o n s a c r a z i o n e , Clem e n t e accantonò i dubbi e con la Bolla Dominus ac Realemptor noster, Nostro Signore e R e d e n t o r e , del 21 luglio 1773, soppresse la C o m p a g n i a di Gesù, affidandone ai suoi g e n d a r m i corsi lo sfratto dalle sedi r o m a n e . Istigati dagli sconfitti, i p o p o l a n i si a m m a s s a r o n o in Trastevere. Il Papa vi si p r e s e n t ò di p e r s o n a , e il suo tranquillo coraggio d i s a r m ò a n c h e le teste più calde. La sua sentenza di c o n d a n n a fu p r o n t a m e n t e eseguita in tutto il m o n d o . Gli unici a n o n p r e n d e r l a in considerazione furono u n ' I m p e r a trice di religione greco-ortodossa, C a t e r i n a di Russia, e un Re agnostico, Federico di Prussia, c h e a s s i c u r a r o n o p r o t e zione e ospitalità ai loro Gesuiti. E costoro, che da s e m p r e sostenevano l'infallibilità del Papa, anzi ne e r a n o i più rigidi garanti, e tacciavano di eresia c h i u n q u e la revocasse in d u b bio, r i p a r a r o n o sotto il mantello di questi d u e sovrani eretici, p e r sottrarsi agli o r d i n i del Papa. La s o p p r e s s i o n e della C o m p a g n i a - c h e fu ricostituita, ma con u n a s t r u t t u r a assai diversa, nel 1814 - fu un avvenim e n t o di p o r t a t a storica. I suoi principali significati e r a n o t r e . Anzitutto, la r i n u n z i a della Chiesa a quelle s o t t e r r a n e e interferenze nella vita degli Stati, di cui i Gesuiti e r a n o stati il più a g g u e r r i t o s t r u m e n t o : di questi Stati o r a la Chiesa accettava il c a r a t t e r e laico e l'assoluta sovranità, nei r a p p o r t i civili, a n c h e sui p r o p r i m e m b r i . S e c o n d o , e r a la fine della « g u e r r a calda» c o n t r o le Chiese Riformate, di cui i Gesuiti e r a n o stati a p p u n t o la t r u p p a d ' u r t o . O r m a i quella cattolica accettava il fatto c o m p i u t o della divisione della famiglia cristiana a b b a n d o n a n d o l'illusione di ricostituirne con metodi autoritari l'unità sotto il p r o p r i o Magistero. Q u e s t o n o n significava rinunzia al r e c u p e r o del g r e g g e smarrito. Significava l'adozione di un altro m e t o d o , quello dell'apostolato, c h e implicava u n a n u o v a e d i v e r s a c o n c e z i o n e , in q u a n t o p r e s u p p o n e v a u n a disponibilità e q u i n d i u n a libertà di coscienza che la Chiesa della C o n t r o r i f o r m a , e specialmente i 602
Gesuiti, avevano s e m p r e negato. I roghi e le forche dell'Inquisizione a b d i c a v a n o in favore della p e r s u a s i o n e . T e r z o , era la smobilitazione della s t r u t t u r a monolitica della Chiesa, o a l m e n o un p r i n c i p i o di «disgelo», con t u t t o ciò ch'esso comportava, a cominciare dall'infallibilità del Papa, suo architrave. Papa Ganganelli fece in t e m p o a g o d e r e i primi frutti della sua coraggiosa decisione, che n o n furono tanto il r e c u p e ro di Avignone, B e n e v e n t o e Pontecorvo i m m e d i a t a m e n t e restituiti da Francia e Napoli, q u a n t o il clima di distensione che subito si ristabilì nei r a p p o r t i del P a p a t o con tutti gli Stati, e n o n soltanto cattolici. Ma la sua gioia fu di breve d u rata. C o m e ci sono stati t r a m a n d a t i dai cronisti del t e m p o , i sintomi della terribile malattia da cui fu colto destano, a dir poco, grosse p e r p l e s s i t à . F u r o n o p r i m a vomiti e c a p o g i r i violenti, poi terribili convulsioni, e infine un c u p o e ossessivo t e r r o r e della m o r t e spinto fino a manifestazioni d e m e n ziali. Di n o t t e lo u d i v a n o u r l a r e c h i e d e n d o pietà. Sul volto repentinamente increspatosi di profonde rughe, e r a n o comparse macchie giallastre. L'agonia fu spaventosa, e d u r ò più d ' u n mese. I medici chiamati a imbalsamare il cadavere lo t r o v a r o n o con le l a b b r a n e r e , la pelle c o m p l e t a m e n t e s q u a m a t a su t u t t o il c o r p o , le ossa d e c o m p o s t e , senza p i ù unghie né capelli. Le indecenti manifestazioni di gioia a cui i Gesuiti si abb a n d o n a r o n o d i e d e r o c o r p o alla voce che fossero stati loro ad avvelenarlo. N a t u r a l m e n t e essi smentirono, o p e r meglio dire t r a s f e r i r o n o le r e s p o n s a b i l i t à al b u o n Dio, d i c e n d o ch'era stato Lui a castigarlo dell'empietà commessa con la soppressione della C o m p a g n i a . Speravano che il successore ne traesse qualche m o n i t o . Il successore e r a Giovannangelo Braschi, che aveva p r e so il n o m e di Pio VI. N o n era la p r i m a volta che il Conclave elevava al Soglio l'antitesi u m a n a di chi l'aveva in p r e c e d e n za o c c u p a t o . Anzi, q u e s t o e r a il criterio di regola s e g u i t o , ^raschi era un p r e l a t o di r e p e r t o r i o rinascimentale: bello, 603
elegante, colto, m o n d a n o , m e c e n a t e e nepotista. Ma se i Gesuiti confidavano in u n a inversione di c o r r e n t e , furono presto disingannati. Il n u o v o Papa aveva altro da p e n s a r e che a loro. Sua p r i m a c u r a fu di n o m i n a r e Cardinali u n o zio e un n i p o t e , e p p o i di a r r u o l a r e u n a folta schiera di pittori e di poeti - fra cui il giovanissimo Vincenzo Monti - p e r c h é con la p e n n a e col p e n n e l l o esaltassero i m e r i t i della famiglia B raschi e ne eternassero la gloria. I r o m a n i ne furono felici, v e d e n d o in queste grandezzate il segno di un r i t o r n o ai bei t e m p i dei Papi munifici e spendaccioni. E n o n si sbagliavano p e r c h é della stessa generosità Pio VI fece sfoggio a n c h e c o n l o r o . Architetti e i m p r e s a r i edili ricevettero allettanti c o m m e s s e p e r lavori pubblici di vasto respiro. Afflitto dal mal della pietra, il Pontefice passava p i ù t e m p o nei cantieri che in chiesa. Q u a n d o e n u n c i ò il proposito di r e d i m e r e le p a l u d i p o n t i n e da Ostia a Terracina, qualcuno gli fece osservare che n e m m e n o Giulio Cesare c ' e r a riuscito. Ma q u e s t o , l u n g i dallo s c o r a g g i a r l o , lo stimolò: e r a il m o d o migliore p e r iscrivere nella Storia il prop r i o n o m e (il n o m e di Braschi, più che quello di Pio). La far a o n i c a i m p r e s a fu c o n d o t t a con n o t e v o l e efficienza e discreti risultati. Ma a un t r a t t o il P a p a si accorse di essere s p r o f o n d a t o in u n a v o r a g i n e di debiti: ne aveva p e r più di cento milioni di scudi: un deficit, p e r quei tempi, spaventoso. N o n se ne c u r ò . D i s i n v o l t a m e n t e razziò e r i v e n d e t t e a privati i tesori pubblici, compresi quelli delle chiese e delle o p e r e pie, e a un certo p u n t o saccheggiò p e r f i n o la Santa Casa di L o r e t o a s p o r t a n d o n e tutto l'argento. T u t t o p r e s o d a q u e s t a attività d i c o s t r u t t o r e urbanista, n o n si p r e o c c u p ò n e m m e n o dei suoi Stati che in questi anni t o c c a v a n o il f o n d o d e l l a d i s o r g a n i z z a z i o n e . O g n i p r o vincia, o g n i città, o g n i c o m u n e a n d a v a n o p e r c o n t o p r o p r i o , r i f i u t a n d o le d i r e t t i v e d e l c e n t r o e c h i u d e n d o s i in p r o t e r v e a u t a r c h i e , m e n t r e nelle c a m p a g n e s e m p r e più infieriva il b a n d i t i s m o . Il P a p a n o n v e d e v a e n o n si curava che di R o m a . Da p a d r o n e di casa cinquecentesco vi riceve604
va s p l e n d i d a m e n t e i g r a n d i p e r s o n a g g i che venivano a t r o varlo, e ne v e n i v a n o moltissimi p e r c h é n e i r a p p o r t i internazionali egli aveva p r o s e g u i t o la politica distensiva di Clemente. Con un solo s o v r a n o n o n riuscì a evitare il c o n t r a s t o : l'imperatore G i u s e p p e II d'Austria, alle cui drastiche riforme abbiamo già accennato. G i u s e p p e stava r e c i d e n d o tutti i vincoli che legavano il clero austriaco a Roma, e ora p r e t e n deva di esser lui ad a m m i n i s t r a r e i beni della Chiesa nei suoi Stati. Ma, c o n t r a r i a m e n t e al p a r e r e dei suoi consiglieri che 10 e s o r t a v a n o a u s a r e la m a n i e r a forte, il Braschi p r e f e r ì usare quella m o r b i d a , e decise di a n d a r e a Vienna, convinto che il suo fascino s a r e b b e bastato a r i d u r r e alla r a g i o n e il p r e p o t e n t e m o n a r c a . Il viaggio fece epoca: e r a n o secoli che 11 P a p a n o n si s c o m o d a v a p e r r e n d e r visita a un s o v r a n o s t r a n i e r o . In Austria folle o s a n n a n t i si a c c a l c a r o n o al suo passaggio, lo stesso I m p e r a t o r e gli v e n n e incontro p e r fargli scorta, e Vienna gli riservò un'accoglienza entusiastica. Col suo c o n s u m a t o uso di m o n d o , con la sua maestà e regalità, il Papa fece g r a n d e i m p r e s s i o n e su tutti, ma c o m m i s e u n a grossa m a l a c c o r t e z z a q u a n d o , nel ricevere l ' o m a g g i o del Principe Kaunitz, gli disse in un t o n o offensivamente paterno: «Vecchio c o m e siete, avete poco t e m p o p e r ravvedervi». Orgoglioso e i m p e r i o s o , l ' o n n i p o t e n t e p r i m o m i n i s t r o e r a un u o m o che n o n se l'era mai lasciate dire da n e s s u n o , n e m m e n o dalla g r a n d e M a r i a Teresa. Al rabbuffo del P a p a rispose facendo i m m e d i a t a m e n t e pubblicare un libello di Eybel, Quid est Papa, cos'è un Papa, feroce requisitoria c o n t r o le prevaricazioni della Chiesa. La visita n o n fruttò a Pio VI che un a b b o n d a n t e raccolto di feste, r i c e v i m e n t i e b a t t i m a n i . R i e n t r a n d o a R o m a , vi trovò la notizia c h e i vescovi austriaci e l o m b a r d i a v e v a n o già ricevuto dall'imperial g o v e r n o la notificazione delle leggi, ch'egli era a n d a t o a Vienna a p p u n t o p e r scongiurare. Il Papa t e n n e un concistoro in cui diede un completo resoconto del suo viaggio e fece con molto realismo il p u n t o sulla si605
t u a z i o n e polìtica: u n a situazione su cui lo Stato Pontificio disse, n o n esercitava più alcun peso. Alla fine del 1783 G i u s e p p e v e n n e a R o m a a restituire la visita. Ma fra i d o n i che portava al Papa n o n c'era la più piccola concessione. Poco d o p o F e r d i n a n d o di Napoli a n n u n ziò a Pio che d ' o r a in avanti, p e r la festa di San Pietro e Paolo, n o n avrebbe p i ù m a n d a t o il solito t r i b u t o , d e t t o chinea. N o n era che un cavallo bianco, ma simboleggiava il vassallaggio del R e a m e alla Chiesa. F e r d i n a n d o p r o p o n e v a di sostituirlo con un'offerta in d e n a r o . Il Papa n a t u r a l m e n t e rifiutò con sdegno. E F e r d i n a n d o n o n m a n d ò né il d e n a r o né il cavallo. In c a m p o t e m p o r a l e , il vassallaggio alla Chiesa e r a agli sgoccioli perfino in Italia.
CAPITOLO VENTESIMO I B O R B O N E DI N A P O L I : CARLO
Alla fine del '600, quello c h e poi si c h i a m ò il «Regno delle D u e Sicilie» n o n e r a a n c o r a tale. Al suo posto c ' e r a n o d u e Vicereami, quello di Napoli e quello di Palermo che, sebbene fossero e n t r a m b i sotto sovranità spagnola, restavano amministrativamente separati. Gli Asburgo di M a d r i d n o n avevano mai voluto ricostituire nella sua unità il vecchio Reame dei N o r m a n n i e del g r a n d e Federico I I . E q u e s t o irritava Napoli, a b i t u a t a a essere la capitale di u n o Stato che c o m p r e n d e v a tutto il Sud dall'Abruzzo ad Agrigento. Ecco p e r c h é , alla m o r t e d e l l ' u l t i m o A s b u r g o s p a g n o l o , Carlo I I , alcuni nobili fecero a p p e l l o a l l ' I m p e r a t o r e d'Austria L e o p o l d o p e r c h é ricostituisse il R e a m e affidandone la sovranità al suo secondogenito Carlo. C o m e il lettore ricorderà, costui avrebbe d o v u t o succedere al suo o m o n i m o spagnolo sul t r o n o di Madrid. Ma questo t r o n o gli fu strappato dal francese Filippo di B o r b o n e , n i p o t e di Luigi XIV, in quella che v e n n e a p p u n t o chiamata la g u e r r a di successione spagnola. I nobili n a p o l e t a n i c e r c a r o n o d'inserirvisi p r o v o cando u n a rivolta. Ma la rivolta fallì p e r c h é il p o p o l o n o n vi partecipò. II Viceré spagnolo p r o c e d e t t e a un e s e m p l a r e castigo tagliando alcune teste, e nel 1702 Filippo, come n u o v o titolare del t r o n o di Madrid, v e n n e a p r e n d e r e possesso anche di Napoli, accolto da g r a n d i fèste. N o n p o t è trattenercisi a l u n g o p e r c h é gli eserciti austriaci, al c o m a n d o dell'invincibile E u g e n i o di Savoia, già discendevano la penisola. Emissari n a p o l e t a n i p o r t a r o n o al g r a n de Generale un messaggio in cui si diceva che «Napoli n o n apriva le p o r t e a un n e m i c o vittorioso, ma accettava c o n 607
gioia u n n u o v o p a d r o n e » . Q u e s t o p a d r o n e era rappresentato d a l Maresciallo D a u n che si sbarazzò facilmente delle scarse g u a r n i g i o n i spagnole e p r e s e possesso del R e a m e in n o m e dell'Arciduca Carlo, ormai rimasto senza t r o n o dopo la forzata rinunzia a quello di Madrid. Così Napoli ebbe per un a t t i m o l'illusione di essere r i d i v e n t a t a la capitale di un R e g n o a u t o n o m o , a n c h e se legato da vincoli dinastici agli Asburgo di Vienna. Ma il sogno d u r ò poco p e r c h é nel 1711 l'imperatore Gius e p p e I, succeduto al p a d r e L e o p o l d o , m o r ì senza eredi maschi. E siccome la legge dinastica - p r i m a che venisse riform a t a con la Prammatica Sanzione - proibiva la successione in linea femminile, a p r e n d e r e il suo posto fu il fratello Carlo, che tuttavia volle conservare anche la corona di Napoli. Così il R e a m e dovette rassegnarsi a restare ancora un Vicereame alle dirette d i p e n d e n z e di Vienna. Q u e s t a situazione rimase p r e s s a p p o c o i m m u t a t a p e r un b u o n q u a r t o di secolo p e r c h é , c o m e il l e t t o r e r i c o r d e r à , i trattati di Utrecht e di Rastadt che posero fine alla g u e r r a di successione spagnola, s m e m b r a r o n o il R e a m e a s s e g n a n d o la Sicilia ai Savoia, ma c o n f e r m a r o n o la sovranità austriaca su Napoli. Fu un p e r i o d o tribolato p e r le vicende che abbiam o già s u c c i n t a m e n t e r i c a p i t o l a t o nella p r i m a p a r t e . Sospinto dalla sua regina Elisabetta, il Cardinale Alberoni, dopo la riconquista della S a r d e g n a , t e n t ò a n c h e quella della Sicilia. I napoletani d o v e t t e r o a n d a r e a combattervi, e l'isola finì p e r t o r n a r e in m a n i a u s t r i a c h e (i Savoia ne v e n n e r o c o m p e n s a t i con la S a r d e g n a ) , ma fu ricostituita nel solito Vicereame separato da Napoli. S o v r a n o u m a n o e i l l u m i n a t o , C a r l o d e t t e a Napoli una discreta a m m i n i s t r a z i o n e . Ma e r a s e m p r e in g u e r r a , le g u e r r e costano d e n a r o , e a n c h e Napoli dovette contribuirvi con le sue m a g r e risorse. Poi successe quel che abbiamo già d e t t o . D o p o il c o n g r e s s o di C a m b r a i del 1722, la Francia, c h e p r i m a si e r a s c h i e r a t a con l'Austria c o n t r o la Spagna, t o r n ò a schierarsi con la S p a g n a c o n t r o l'Austria p e r la fa c_
608
l'i cenda della successione polacca. II conflitto si estese a n c h e all'Italia, rimescolandovi tutte le carte. L'Imperatore era ossessionato dal p r o b l e m a della successione. Per farne riconoscere i titoli alla figlia M a r i a T e r e s a , d o v e t t e s c e n d e r e coi suoi avversari a un c o m p r o m e s s o , che si risolse in un baratto. Al marito di sua figlia, Francesco di L o r e n a , sarebbe toccato il G r a n d u c a t o di Toscana, in p r e c e d e n z a d e s t i n a t o a Carlo di B o r b o n e . Il quale, in c o m p e n s o , avrebbe avuto Napoli e la Sicilia. Q u e s t o fu il r e g o l a m e n t o concordato a Vienna nel 1738. E r i m a s e definitivo, n o n o s t a n t e le successive complicazioni e i conflitti che p r o v o c a r o n o . Carlo era n a t o nel '16, ed era cresciuto da principe spagnolo, di austeri costumi, ligio alla Chiesa e più a n c o r a alla sua terribile m a d r e , Elisabetta Farnese. Il suo p r e c e t t o r e , il conte di Santesteban, p r e o c c u p a t o più della sua a n i m a che della sua m e n t e , gli aveva dato poca istruzione. Ma il ragazzo vi suppliva con un precoce b u o n senso e col d o n o innato della simpatia. Piccolo di statura, con un n a s o s p r o p o r z i o nato al volto rinseccolito e cavallino, con u n a d e n t a t u r a in disordine che lo fece soffrire p e r tutta la vita, n o n e r a bello. Ma conquistava tutti con la sua n a t u r a l e regalità e semplicità di m o d i . Detestava la p o m p a , a m a v a la solitudine e la caccia, sapeva p a r l a r e alla gente. Nel 1 7 3 1 , aveva a p p e n a q u i n d i c i a n n i q u a n d o l'ultimo Farnese, D u c a d i P a r m a , m o r ì , e d Elisabetta, u n i c a e r e d e della dinastia, ne passò il titolo a lui. Carlo, inginocchiato, ricevette da lei l'investitura, la s p a d a di Luigi XIV, un anello di d i a m a n t i , e u n a scorta di d u e c e n t o c i n q u a n t a u o m i n i per r a g g i u n g e r e Parma. Q u e s t a doveva essere solo u n a t a p pa del suo viaggio. Nei calcoli di sua m a d r e p e r lui c'era anche la successione al G r a n d u c a t o di Toscana p e r il g i o r n o in cui l'ultimo Medici, Gian Gastone, si fosse deciso a r e n d e r l o vacante. Visto ch'era lì a d u e passi, Carlo a n d ò a darvi un'occhiata con la scusa di u n a visita di omaggio a Gian Gastone. Quali sentimenti costui potesse n u t r i r e verso un e r e d e impostogli 609
di forza dalle altre Potenze, è facile i m m a g i n a r e . E p p u r e anche lui, come già abbiamo detto, rimase conquistato da quel giovanotto che, invece di scandalizzarsene, mostrò di divertirsi alle sue stramberie. Ma poco d o p o scoppiò la g u e r r a di successione al trono polacco, t u t t a la situazione italiana fu rimessa in giuoco, e Elisabetta ne approfittò p e r far affidare a Carlo il c o m a n d o delle t r u p p e franco-spagnole in Italia con l'ordine di marciare su N a p o l i s t r a p p a n d o l a agli austriaci. C o s t o r o n o n e r a n o in g r a d o di o p p o r r e g r a n resistenza. D o p o la facile vittoria di B i t o n t o , n e l 1734 C a r l o r a g g i u n s e N a p o l i . Gli unici colpi di fucile che i napoletani u d i r o n o li sparò lui, ma ai piccioni che incrociavano i n t o r n o alla t o r r e del castello di M a d d a l o n i , m e n t r e i delegati della città, inginocchiati, gli p o r g e v a n o il b e n v e n u t o . L e accoglienze f u r o n o g r a n d i o s e , c o m e N a p o l i s e m p r e ne riserva al p a d r o n e n u o v o che scaccia quello vecchio. Lo d i v e n t a r o n o a n c o r a di p i ù q u a n d o i n a p o l e t a n i videro che la sua p r i m a visita Carlo la faceva a S. G e n n a r o (il quale reciprocò l'alto o n o r e c o m p i e n d o il suo solito miracolo della liquefazione del sangue). E si t r a s f o r m a r o n o a d d i r i t t u r a in t r i p u d i o q u a n d o il giovane Principe lesse la lettera autografata da Filippo V, ma dettata da Elisabetta, con cui il Sovrano spagnolo faceva solenne rinunzia, in favore del figlio, ai suoi diritti su Napoli, in tal m o d o restituita al suo r a n g o di capitale di un R e g n o a u t o n o m o che inglobava a n c h e la Sicilia. Per altri q u a t t r o a n n i , e cioè fin q u a n d o il t r a t t a t o di Vienna del 1738 n o n ebbe definitivamente sancito la nuova situazione, Carlo dovette c o n t i n u a r e a fare un p o ' di guerra agli austriaci. Ma n o n ci s'impegnò molto a n c h e p e r c h é costoro n o n furono mai in g r a d o d'insidiargli la conquista. Gli affari di Stato r e s t a v a n o affidati al suo vecchio p r e c e t t o r e Santesteban e al m a i x h e s e M o n t a l e g r e , designati da Elisabetta. Di suo, Carlo si era p o r t a t o dalla Toscana solo un certo Tanucci, professore di diritto all'Università di Pisa. 610
La c o r o n a n o n gli aveva p e r nulla dato alla testa. Era rimasto il s e m p l i c e r a g a z z o di p r i m a - n o n aveva a n c o r a vent'anni -, un p o ' timido e dal tratto affabile. I suoi ministri n o n facevano che inseguire quel loro S o v r a n o che n o n faceva che inseguire la selvaggina, ora a Procida p e r le quaglie, ora a Portici p e r i fagiani, o r a a Caserta p e r le pernici e le lepri. Anche q u a n d o era a Napoli, stava s e m p r e vestito di frusti p a n n i da cacciatore, che spesso t r a s p a r i v a n o di sotto l'uniforme di cerimonia. Nel '37 la m a d r e gli o r d i n ò d ' i m p a l m a r e la p r i n c i p e s s a Maria Amelia di Sassonia, figlia del Re di Polonia, e lui n o n mosse obbiezioni s e b b e n e n o n conoscesse la r a g a z z a c h e aveva solo quattordici anni. Sposata c o m e al solito p e r p r o cura, essa lo raggiunse a Portella. S t a n d o a De Brosses, aveva «un naso nodoso, u n a fisionomia di g a m b e r o e u n a voce di gazza», ma lui la trovò attraente, e lo dimostrò con la sua assiduità. In questo e r a p r o p r i o figlio di suo p a d r e , che n o n ebbe mai altre d o n n e all'infuori delle sue d u e mogli, ma in compenso ne fece l'uso p i ù s m o d a t o . Il p o e t a inglese Gray dice che f o r m a v a n o «una delle p i ù b r u t t e coppie del m o n do». E forse a n c h e q u e s t o c o n t r i b u ì alla loro a r m o n i a , che non si d e t e r i o r ò n e m m e n o q u a n d o il carattere di lei si fece aggressivo e bizzoso. Forse vaccinato da quelle di sua m a dre, Carlo subiva le scenate della moglie con stoica pazienza. I d u e avevano in c o m u n e molti gusti, e soprattutto quello della solitudine. Per sottrarsi ai rituali di Corte, a Napoli ci stavano poco. Preferivano u n a vita quieta e senza cerimoniale nelle residenze di c a m p a g n a , dove si facevano seguire solo da pochissime p e r s o n e . È probabile tuttavia che a questa vita a p p a r t a t a Carlo fosse anche spinto, anzi costretto dalle circostanze. Egli sapeva benissimo di essere Re n o n tanto p e r grazia di Dio, q u a n t o per volontà di Elisabetta, che p r e t e n d e v a g o v e r n a i ^ di persona attraverso i suoi fidi Santesteban e Montalegre. Le parole d ' o r d i n e v e n i v a n o da M a d r i d , e Carlo n o n voleva intralciarle n e a n c h e con la sua presenza fisica. Tant'è vero che 611
q u a n d o q u e s t o r a p p o r t o f i n ì , egli m u t ò subito c o n d o t t a e d i m o s t r ò di n o n essere affatto lo scansafatiche che tutti avevano c r e d u t o . Per il m o m e n t o , si limitò ad iniziative da cui Elisabetta n o n poteva sentirsi disturbata. Fece r i p r e n d e r e gli scavi di Ercolano, che deve a lui la sua resurrezione, e più tardi diede avvìo a quelli di P o m p e i . Q u e s t a passione archeologica stupisce a l q u a n t o in un u o m o piuttosto sprovveduto d'interessi artistici e culturali, c o m e dimostrano le sue lettere conservate negli archivi, aride e sgrammaticate. Evidentemente rappresentava u n o sfogo alla sua voglia di fare, che n o n si limitò a queste ricerche. Carlo chiamò da R o m a il Vanvitelli e gli affidò la sistemazione della Reggia - che ne aveva urgente bisogno -, la costruzione del più i m p o n e n t e teatro dell'epoca, il San Carlo, e quella del palazzo reale di Caserta. Un'altra sua passione furono le porcellane. Suo cognato gliene aveva regalata u n a della Sassonia, u n a finissima tazza c h i a m a t a «chicchera del Re». Carlo n o n voleva servirsi che di quella, e n o n ebbe pace finché n o n ebbe attirato a Napoli il chimico tedesco Scheper, l'unico che conoscesse i segreti di quella fabbricazione. I laboratori f u r o n o istallati là dove oggi sorge il m u s e o di C a p o d i m o n t e , e fu lo stesso Re che sovrintese alla scelta dei miniaturisti e modellatori. Questo curioso m o n a r c a che n e s s u n o mai vide con un libro in man o , creò la biblioteca reale p e r allogarvi quella dei Farnese che si era portata al seguito da P a r m a , e rilevò la tipografia di San Severo. Ma la t e n n e inoperosa. La sua marcia di avvicinamento al p o t e r e effettivo fu lenta ed e s t r e m a m e n t e cauta p e r n o n u r t a r e le suscettibilità di sua m a d r e . Il p r i m o s e g n o fu l ' e s t r o m i s s i o n e di Santesteban, il più autorevole dei suoi guardiani. Pare che in questo siluramento avesse avuto g r a n p a r t e Maria Amelia, smaniosa di esercitare quell'influenza che poteva consentirle solo un m a r i t o che ne avesse avuta. Sebbene, s t a n d o a certi pettegolezzi di C o r t e , essa stessa fosse sotto quella della Duchessa di C a s t r o p i g n a n o , sua d a m a di c o m p a g n i a . 612
La caduta di Santesteban p o r t ò in p r i m o p i a n o Montalegre, ma in realtà fu u n a vittoria del Tanucci, che già in quei primi a n n i aveva raccolto nelle sue m a n i le fila del c o m a n do. Q u e s t o toscano r u v i d o e sgraziato aveva dalla sua u n a mostruosa resistenza al lavoro, u n a cristallina onestà e la totale indifferenza alle manifestazioni esteriori del p o t e r e , titoli e galloni, c h e gli p e r m e t t e v a di d i s s i m u l a r e p e r f e t t a mente la sua i m m e n s a ambizione. Secondo Croce, egli cercava nel l a v o r o , u n p o ' c o m e L e o p o l d o d i T o s c a n a , u n o scampo alla sua n a t u r a l e i p o c o n d r i a . E r a ossessionato dal terrore delle malattie. «La p i ù leggera alterazione della sua salute - scriveva l'ambasciatore francese - cambia completamente il suo u m o r e : la vita del R e g n o è alla m e r c é d ' u n suo raffreddore.» Era un hombre de cabinete, come dicono gli spagnoli, u n a n i m a l e d a tavolino, u n culdipietra, s e m p r e t a p pato nel suo studio, di cui i n a p o l e t a n i s e n t i r o n o il p u g n o , ma n o n videro quasi mai il volto. Malgrado la sua allergia ai modi cortigianeschi, o forse p r o p r i o p e r q u e s t o , aveva saputo conquistarsi la p i e n a fiducia sia del Re che della Regina. Sicché q u a n d o , nel 1746, Filippo V m o r ì ed Elisabetta, estromessa dal figliastro F e r d i n a n d o , dovette r i n u n c i a r e alle p r o p r i e interferenze su Napoli, a n c h e Montalegre c a d d e , e Tanucci rimase assoluto p a d r o n e , sebbene seguitasse a fingersi un semplice esecutore degli ordini del Re. Non era precisamente un «illuminista» p e r c h é , c o m e dice Croce, da b u o n toscano era t r o p p o attaccato al concreto p e r lasciarsi condizionare da u n a dottrina, quale che fosse. Ma la sua pratica di g o v e r n o fu u g u a l m e n t e quella di un g r a n d e riformatore b e n deciso ad a d a t t a r e l'assolutismo all'esigenze di u n a società m o d e r n a . La sua c u l t u r a e r a quasi esclusivamente giuridica, e q u e s t o fu il suo limite. « Q u a n d o si va a trattare con lui - scrive il solito ambasciatore francese -, bisogna p r e p a r a r s i a s o s t e n e r e delle tesi g e n e r a l i . Di solito, Parte dalle leggi greche o r o m a n e , e q u a n d o si arriva al p r o blema in discussione, bisogna sottostare al suo cavillo.» Dagli scritti che di lui ci r i m a n g o n o , contorti, costruiti con un p e 613
r i o d a r e arcaico e latineggiante, irti di barbose e barboge form u l e a c c a d e m i c h e , è c h i a r o che la lezione di Voltaire n o n era arrivata fino a lui. Ma, scolaro di G i a n n o n e , il senso dello Stato l'aveva, e in pratica fu lui a costruirlo. N o n era u n ' i m p r e s a da poco p e r c h é di u n o Stato, a Napoli, si e r a p e r s o p e r f i n o il r i c o r d o . La città stessa e r a un caos. La sua popolazione si avvicinava al mezzo milione, sup e r a n d o di p a r e c c h i o quella di Vienna, ma ci viveva come in u n a casbah orientale, senza «servizi», senza nulla che somigliasse a delle s t r u t t u r e u r b a n e . «Le piazze, le vie, le case, i negozi n o n sono abitati, ma i n o n d a t i di abitanti» scrive il Du Paty. E r a la capitale della calca, della confusione, del chiasso e della disoccupazione. A d a r e il t o n o a q u e s t o c o m p o s i t o e r o n z a n t e alveare u m a n o e r a n o i venticinquemiìa nobili, che vi e r a n o confluiti da tutte le province dell'interno. N o n formavano u n a casta unica, anzi e r a n o divisi in specie e sottospecie. C'era la Nobiltà generosa, cioè di vecchia stirpe n o r m a n n a o angioina, e c'era quella di privilegio, diventata tale p e r i servigi resi ai governi vicereali spagnoli. Ma avevano in c o m u n e i difetti: la cupidigia dei titoli, l'adorazione dell'ozio c o m e segno del r a n g o sociale, e la protervia feudale. Si e r a n o modellati sulVhidalgo spagnolo, ma solo e s t e r i o r m e n t e . N o n ne possedevano il senso tragico della vita, né la concezione sacerdotale del «servizio». Infatti da secoli n o n ne assolvevano più ness u n o , n e a n c h e militare. S e b b e n e lo avessero a b b a n d o n a t o p e r venire in città, o g n u n o di essi si c o m p o r t a v a nel p r o p r i o feudo da sovrano assoluto: vi esercitava la p r o p r i a giustizia, vi teneva la p r o p r i a forza a r m a t a , e q u a l c u n o perfino il proprio carnefice. N a t u r a l m e n t e si m a n t e n e v a n o esenti da tasse e da qualsiasi c o n t r i b u t o . Q u a n t o ai loro criteri i m p r e n ditoriali e a m m i n i s t r a t i v i , la loro b o n t à è d i m o s t r a t a dalla massiccia fuga dei contadini. Molti, p e r sottrarsi alla fame, e alle a n g h e r i e , si r i f u g i a r o n o negli Stati della Chiesa. Ma i p i ù v e n n e r o a N a p o l i , c o n t r i b u e n d o alla sua apoplessia e straccioneria. 614
Un'altra cittadella dell'ozio e del parassitismo era il clero, fra i più grassi e o p u l e n t i d'Italia. R a p p r e s e n t a v a il d u e e mezzo p e r c e n t o d e l l ' i n t e r a p o p o l a z i o n e m e r i d i o n a l e , m a inghiottiva un terzo del r e d d i t o generale. Il suo p a t r i m o n i o non smetteva di crescere grazie alle pie donazioni s t r a p p a t e ai peccatori in p u n t o di m o r t e , e n a t u r a l m e n t e era anch'esso esente da tasse. Ciò r e n d e v a la carriera ecclesiastica fra le più ambite. N a p o l i da sola contava p i ù di quindicimila fra preti e monaci, e p e r sorvegliarne la scandalosa c o n d o t t a si era d o v u t o istituire un c o r p o di Scoppettilli, cioè di g u a r d i e che sotto il mantello n a s c o n d e v a n o u n o schioppo e che naturalmente p e r u n a «bustarella» r i n u n z i a v a n o ad estrarlo. Il ceto m e d i o era composto quasi esclusivamente di p e r sonale impiegatizio, medici, notai e avvocati. Mancava u n a borghesia i m p r e n d i t o r i a l e p e r c h é m a n c a v a n o l e i n d u s t r i e per mancanza di tutto: materie p r i m e , capitali e soprattutto iniziativa, svogliata e d e g r a d a t a dal tipo di società feudale r e s t a u r a t a dalla S p a g n a e dalla C o n t r o r i f o r m a , c h e n o n concepivano altra ricchezza che la t e r r a né altro titolo di distinzione che quello di r e d d i t i e r o . L'unico c o n t r i b u t o che il m o n d o degli affari desse alla c a t e g o r i a e r a r a p p r e s e n t a t o dagli a p p a l t a t o r i d ' i m p o s t e e di lavori pubblici, dai beneficiari di licenze p e r l'esportazione, i n s o m m a da quel m o n d o di parassiti e di profittatori d e l sottogoverno che, senza nulla p r o d u r r e , intrallazzavano nella giungla dei m o n o p o l i , dei contingentamenti e di tutti gli altri intralci che i regimi vicereali avevano creato nel loro dissennato protezionismo. Di cosa vivesse il p o p o l i n o di N a p o l i , n e s s u n o storico è mai stato in g r a d o di spiegarlo. U n a grossa aliquota e r a n o domestici reclutati in massa dai nobili, il cui r a n g o si misurava anche dal n u m e r o della servitù. La maggior p a r t e n o n riscuotevano salario, ma ricevevano u n a livrea che gli bastava per affermare u n a superiorità su coloro che n o n avevano n e m m e n o quella. La passione dei n a p o l e t a n i p e r questi segni esteriori di r a n g o era - e in p a r t e è rimasta - patologica. Bergeret de G r a n d c o u r t r a c c o n t a che il suo calzolaio gli si 615
presentava «in abito di velluto con bottoni d'oro, calze bianc h e di seta e g i u s t a c u o r e d ' o r o , s p a d a al fianco e p e n n a c chio bianco». Nessuno che avesse qualche qualifica, anche l p i ù m o d e s t a , circolava p e r s t r a d a senza u n p o ' d i seguito. U n a levatrice n o n a n d a v a a un p a r t o senza farsi p r e c e d e r e «almeno da un piccolo sguattero vestito alla bell'e meglio» e seguire da un codazzo di fantesche. Alcune famiglie aristocratiche a n d a r o n o in rovina p e r le carrozze, dai cui «tiri» di cavalli si misurava il prestigio della casata. Chi p r o p r i o non p o t e v a c o n c e d e r s i n e a n c h e u n a v o l g a r e pariglia, si faceva p o r t a r e in sedia, p e r c h é a p i e d i p o t e v a n o a n d a r e solo gli straccioni. Questi ultimi formavano la g r a n d e massa, e si chiamavano Lazzaretti o Lazzaroni. «E la più formidabile canaglia, la p i ù n a u s e a b o n d a genìa che sia mai strisciata sulla faccia della Terra» scriveva De Brosses col suo solito aristocratico orr o r e p e r la plebe. In realtà questa «canaglia» e r a soltanto la vittima di u n a società basata sulle p i ù c l a m o r o s e e vergognose s p e r e q u a z i o n i . Da secoli g o v e r n a t a con le famose tre effe: farina, forca, festini, reagiva alla p r o p r i a sorte con più mitezza di q u a n t o ci si potesse aspettare: «Non è né sanguin a r i a né vendicativa - scriveva S a i n t - N o n -, anzi con un nulla la si conquista». Infatti, in secoli di oppressione, di ver a m e n t e rivoluzionario n o n aveva espresso che Masaniello. E i g o v e r n i , p e r i m p e d i r e c h e ne nascesse un a l t r o , se lo creavano con le p r o p r i e m a n i n o m i n a n d o un Capo lazzarone e r i c o n o s c e n d o g l i le p r e r o g a t i v e di u n a specie di t r i b u n o della plebe, fra cui quella del libero accesso al Re e ai suoi m i n i s t r i , d i cui n a t u r a l m e n t e egli f i n i v a p e r d i v e n t a r e u n complice. Q u e s t a e r a m o l t o all'ingrosso la capitale dello Stato cui Tanucci si a p p r e s t a v a a d a r e u n ' o s s a t u r a . Cosa succedesse nei suoi r e t r o t e r r a abruzzesi, lucani, calabresi, pugliesi, siciliani, i n s o m m a in q u e l l o che oggi si c h i a m a il «profondo Sud», si p u ò i n d u r l o soltanto dalla p o v e r t à delle informazioni che ce ne restano: c a m p a g n e spopolate dalla malaria e a
616
dal brigantaggio, un c o n t a d i n a m e alla m e r c é dei suoi r a p a ci b a r o n i e p a r r o c i , c o m u n i r u r a l i senza quelle vibrazioni municipali che solo i ceti artigiani e mercantili s a n n o imprim e r e , vita i n t e l l e t t u a l e del t u t t o s t a g n a n t e , m a n c a n z a d i strade e q u i n d i di c o l l e g a m e n t i e di scambi, sfiducia, frustrazione, analfabetismo, pessimismo e rinunzia: un q u a d r o tanto più facile da r i c o s t r u i r e in q u a n t o a n c o r oggi ne sopravvivono le tracce. La p r i m a p r e o c c u p a z i o n e del Tanucci fu l'ordine pubblico. A Napoli, si capisce, p e r c h é il resto del Paese n o n contava. Il brigantaggio vi era dato p e r scontato. I m p r e s a privata, esso metteva in pericolo i privati, n o n il r e g i m e . Il regime poteva essere minacciato solo nella capitale, dove tuttora f e r m e n t a v a u n a c e r t a f r o n d a di nobili a u s t r i a c a n t i . Già Santesteban aveva creato u n a Giunta d'inconfidenza, cioè di diffidenza, c h ' e r a u n a vera e p r o p r i a polizia segreta. Essa liquidò con m a n o d u r a i focolai di opposizione. Ma dal m o d o in cui li colpì, c'è da sospettare che n o n si lasciasse g u i d a r e soltanto da motivi politici. Il castigo consisteva s o p r a t t u t t o nell'esilio e nella confisca dei beni, e a subirlo fu di regola la nobiltà più p o t e n t e , p r e p o t e n t e e ricca. Così in un solo colpo lo Stato eliminò u n a m i n o r a n z a riottosa alle sue leggi e ne incamerò p a t r i m o n i e r e n d i t e . Il s e c o n d o colpo fu la c r e a z i o n e di un catasto g e n e r a l e per il censimento e la tassazione di t u t t e le p r o p r i e t à , comprese quelle dell'aristocrazia e del clero, da secoli intoccabili. Qui la lotta fu a coltello p e r c h é nella difesa del privilegio le categorie minacciate sfoderarono tale energia e ricorsero a tali malizie che in molti casi si dovette scendere al c o m p r o messo. I p r e t i s t r u m e n t a l i z z a r o n o a n c h e l'eruzione del Vesuvio del 1737 p r e s e n t a n d o l a c o m e «un evidente castigo di Dio p e r l'estorsioni che il Re si p e r m e t t e v a c o n t r o di loro». La loro voce trovò eco n o n soltanto nel p o p o l i n o superstizioso e i g n o r a n t e , ma a n c h e n e l l ' a n i m o di C a r l o . Tanucci, costretto a fare i conti con la sincera devozione del sovrano, dovette a n n a c q u a r e il suo p r o g r a m m a laico. U n ' a l t r a voce 617
che i p r e t i m i s e r o in g i r o e r a c h e la r e g i n a , la q u a l e aveva sfornato u n a sull'altra b e n cinque figlie, n o n riusciva a d a r e u n e r e d e m a s c h i o p e r c h é i l g o v e r n o aveva r i a m m e s s o nel R e g n o gli ebrei. Era stato Tanucci a richiamarveli s p e r a n d o ch'essi vi riportassero il soffio di qualche iniziativa industriale e commerciale, c o m e in realtà e r a a v v e n u t o . Ma dovette rassegnarsi a ricacciarli su richiesta del Re, ossessionato dalla p a u r a di restare senza e r e d e , e quel p o ' di rilancio economico che grazie a loro si e r a abbozzato, abortì. D a b u o n giurista, T a n u c c i e b b e d i m i r a s o p r a t t u t t o l a riforma del Codice. La legislazione n a p o l e t a n a era l'arruffata, caotica, c o n t r a d d i t t o r i a s o m m a di quelle greca, r o m a n a ; bizantina, sveva, angioina, a r a g o n e s e e spagnola che si erano s u c c e d u t e , senza c h e n e s s u n o avesse mai p r o v v e d u t o a c o o r d i n a r l e . Coloro che p i ù a c c a n i t a m e n t e vi si o p p o n e v a no e r a n o p r o p r i o gli u o m i n i di legge, gli avvocati o pagliette c o m e venivano chiamati, p e r i quali questa giungla di norme e regolamenti e r a u n a vera m a n n a . Gli avvocati e r a n o a Napoli u n a categoria potentissima, a n c h e p e r il loro n u m e - , ro: ce n'era in m e d i a u n o ogni c e n t o c i n q u a n t a abitanti, semp r e alla ricerca di pretesti p e r f o m e n t a r e liti e p e r farle dur' r a r e all'infinito con o g n i sorta d ' i n g h i p p i e di cavilli. Il Ta * nucci dovette faticare le sette camicie p e r ridurli alla ragione di u n a legge p i ù c o e r e n t e e s o p r a t t u t t o p i ù chiara, e ci riuscì solo a mezzo. Il Codice carolino r a p p r e s e n t a v a certami m e n t e un p r o g r e s s o n o t e v o l e r i s p e t t o al p a s s a t o . Ma n o n • eliminò le malformazioni, s o p r a t t u t t o morali e di costume-;, che r i d u c e v a n o la Giustizia a u n a specie di mistero eleusino ; sottratto alla c o m p r e n s i o n e e q u i n d i al controllo della pub* blica o p i n i o n e , in m o d o da lasciar socchiusa la p o r t a a quaUsiasi abuso, c o m e del resto è a n c o r a in g r a n p a r t e . U g u a l m e n t e avversate e risicate furono le riforme di ori d i n e e c o n o m i c o . L a sua p r o m o z i o n e a R e g n o a u t o n o m a aveva affrancato Napoli dai pesanti contributi che, come Vi* c e r e a m e , essa aveva d o v u t o p a g a r e p r i m a alla S p a g n a e p# all'Austria. O r a i soldi del R e a m e restavano nel Reame, mfa 1
:
?
618
a m m o n t a v a n o a poco. C o n le loro abitudini di fasto, i nobili affluiti in città le d a v a n o un s e m b i a n t e di o p u l e n z a . Ma di questa o p u l e n z a facevano le spese la provincia e la c a m p a gna, d r e n a t e all'osso dai latifondisti parassiti. La p r o d u z i o ne, quasi esclusivamente agricola, invece di a u m e n t a r e , decresceva, e con essa decrescevano gl'introiti dello Stato. Il Tanucci, che di economia s'intendeva poco, d a p p r i m a si limitò alla m i s u r a più facile, ma a n c h e più inefficace e p e ricolosa: l'inasprimento delle tasse di c o n s u m o , che colpivano soprattutto la p o v e r a gente, c o m p r e s o il dazio sulla frutta: quello c h e aveva fatto scattare la rivolta di Masaniello. Ma subito capì di aver sbagliato, fece m a c c h i n a i n d i e t r o e mise allo s t u d i o dei p r o v v e d i m e n t i n o n p e r i n a r i d i r e , m a per c r e a r e delle fonti di ricchezza. N a c q u e così il Supremo magistrato del commercio con a m p i poteri di r e g o l a m e n t a z i o n e e di p r o m o z i o n e . Esso cercò di d a r e avvio a industrie di trasformazione, vetrerie, cristallerie, saponifici, distillerie, manifatture di tabacco, filande, e u r t ò c o n t r o la m a n c a n z a di capitali e di spirito i m p r e n d i t o r i a l e . Ma p e g g i o a n c o r a fu q u a n d o volle attaccare l'intricata selva dei m o n o p o l i e degli appalti, c o m i n c i a n d o d a q u e l l o delle d o g a n e . Per q u a n t o energico e d u r o , il Tanucci n o n riuscì a sgominare le camorre che m a n g i a v a n o a q u e s t e g r e p p i e e c h e a v e v a n o i l o r o protettori e i tributari fin nei più alti uffici governativi e nell'anticamera del Re ( q u a l c u n o dice p e r f i n o nel suo confessionale). L'idea c h e c h i u n q u e fosse investito di un m i n i m o di poteri avesse il diritto di a b u s a r n e s e r v e n d o s e n e c o m e di u n a licenza di s f r u t t a m e n t o del pubblico d e n a r o e r a o r m a i parte del p a t r i m o n i o m o r a l e degl'italiani, specialmente m e ridionali (e seguita ad esserlo). * Tuttavia qualche risultato fu r a g g i u n t o , n o n o s t a n t e i gravi problemi di alloggio e di alimentazione che creava il continuo afflusso di n u o v i immigrati senza occasioni di lavoro. ; Ofelia sua economia di lesina, il Tanucci era riuscito a elimin a r e molte spese, c o m e quelle p e r le forze a r m a t e c h e orWtei si r i d u c e v a n o a u n a flottiglia con p o c h i e q u i p a g g i e a 619
qualche r e p a r t o m e r c e n a r i o . Egli n o n cambiò idea n e m m e no q u a n d o , nel '44, il Re dovette mobilitare p e r far fronte a un r i t o r n o offensivo degli austriaci n u o v a m e n t e in g u e r r a coi franco-spagnoli sobillati da Elisabetta. Carlo fece il suo d o v e r e bloccando il n e m i c o a Velletri e r e s p i n g e n d o l o . Ma dall'inseguirlo si g u a r d ò . N e a n c h e lui a m a v a la g u e r r a e le spese p e r la g u e r r a . Le cose c a m b i a r o n o nel '46 con la m o r t e di Filippo V e l ' a l l o n t a n a m e n t o di Elisabetta da M a d r i d . Ma c a m b i a r o n o solo p e r Carlo che, finalmente liberato dalla tutela m a t e r n a , potè fare davvero il Re. Lo si vide dalle sue abitudini di vita, c h e m u t a r o n o r a d i c a l m e n t e . Egli c o n t i n u ò a d alzarsi alle cinque del m a t t i n o , ma invece d ' a n d a r e a caccia, p r e n d e v a il suo posto a tavolino e s'immergeva negli affari di Stato. Il Tanucci n o n fu più solo a rivedere le bucce dell'amministrazione, ma la sua posizione n o n ne risentì p e r c h é il Re aveva in lui la più assoluta fiducia. E r a tuttavia scritto n e l d e s t i n o di C a r l o ch'egli dovesse soggiacere a qualche influenza femminile. Scomparsa quella della m a d r e , si profilava quella della moglie. L'autorità di Maria Amelia era cresciuta da q u a n d o , d o p o le cinque femm i n e , essa aveva messo al m o n d o il sospirato maschio. Carlo n'era mezzo impazzito di gioia, e ne aveva qualche motivo. A M a d r i d , il fratellastro F e r d i n a n d o , succeduto a Filipp o , e r a r i m a s t o a n c h e lui senza e r e d i e q u i n d i , nel caso di u n a sua scomparsa, toccava a Carlo p r e n d e r n e la successione. Perciò un e r e d e era d o p p i a m e n t e necessario p e r la continuazione della dinastia sia in S p a g n a che a Napoli. P u r t r o p p o il b a m b i n o si rivelò b e n p r e s t o m e n t a l m e n t e tarato. Ma q u a n d o Carlo se ne accorse, Maria Amelia gliene aveva già d a t o un a l t r o , C a r l o A n t o n i o , e subito d o p o un terzo, F e r d i n a n d o . Così e n t r a m b i i troni avevano il loro titolare. E di questo servigio Maria Amelia si fece r i p a g a r e pret e n d e n d o u n a partecipazione diretta al g o v e r n o . Alle prime s e d u t e del G a b i n e t t o assistè nascosta d i e t r o un arazzo. Ma poi volle il suo posto accanto a quello del Re, di cui sempre 620
più p r e s e a c o n t e s t a r e le decisioni. Ne d e r i v a r o n o scene, scenate e scenette che tuttavia, con la sua solita u r b a n i t à e pazienza, C a r l o riuscì a n o n far d e g e n e r a r e in m a l u m o r i p e r m a n e n t i . M a l g r a d o la sua ruvidezza, il Tanucci d o v e t t e esercitare in questi f r a n g e n t i u n ' a c c o r t a azione distensiva p e r c h é r i m a s e nelle grazie sia d e l l ' u n o che dell'altra. E le cose s e g u i t a r o n o ad a n d a r e p e r la l o r o s t r a d a , cioè p e r la strada tracciata da lui. Miracoli n o n ce ne furono né p o t e v a n o essercene. Mettere o r d i n e in quel R e a m e e avviarlo a un equilibrato sviluppo era u n ' i m p r e s a s u p e r i o r e a qualsiasi forza u m a n a . E p p u re fu quella, p e r Napoli, u n a specie di belle epoque, di età dell'oro. Avrebbe p o t u t o esserlo a n c h e di più, se il sovrano e il suo ministro fossero stati sensibili all'esigenza f o n d a m e n t a le: l'istruzione. I n v e c e vi f u r o n o e n t r a m b i a s s o l u t a m e n t e sordi: C a r l o p e r c h é d ' i s t r u z i o n e n e aveva a v u t a p o c a egli stesso, e quella poca l'aveva ricevuta dai preti, i quali la consideravano un veicolo d'infezione; il Tanucci p e r la sua concezione paternalistica. Egli n o n aveva n e s s u n a simpatia p e r i regimi d e m o c r a t i c i e p a r l a m e n t a r i , e n e s s u n a fiducia nel popolo. Lo considerava un pargolo e t e r n a m e n t e bisognoso di u n a balia: lo Stato. Per c o m p i a c e r e alla passione a r c h e o logica del Re, egli p r o m o s s e un'Accademia reale ercolanense, intesa a catalogare gli oggetti rinvenuti negli scavi. Ma nessun c o n t r i b u t o fu d a t o alle scuole e all'Università, c h e anzi d e c a d d e r o s e m p r e più. Il Re si e r a p r e s o c o m e storiografo Gian Battista Vico, ma n o n capì mai chi fosse, e il suo mecenatismo si e r a limitato ai m u s e i , alle p o r c e l l a n e e ai teatri. Sotto il suo r e g n o , la sola vita c u l t u r a l e di Napoli fu il San Carlo, u n o dei g r a n d i templi italiani dell'opera seria. Carlo lo frequentava con assiduità, ma r e g o l a r m e n t e ci si a d d o r mentava. Di suo, avrebbe preferito l'opera buffa. Ma, consid e r a n d o l a pericolosa p e r la m o r a l i t à del p o p o l o , vi r i n u n ziava. Nel 1759 F e r d i n a n d o di S p a g n a m o r ì , e C a r l o fu chiamato a succedergli. Dicono che fu p e r lui un giorno di lutto. 621
Certo, Io fu p e r Napoli che si e r a sinceramente affezionata a questo Re rustico e di m o d i semplici, che le aveva restituito il suo r a n g o di capitale. Egli r i u n ì un'assise di nobili, alti funzionari, medici e ambasciatori stranieri p e r c h é constatassero «lo stato di d e m e n z a in cui si trovava il suo reale figlio p r i m o g e n i t o » , c h e l'obbligava a r i c o n o s c e r e p r i n c i p e ereditario di S p a g n a il secondogenito Carlo Antonio e principe ereditario di Napoli e della Sicilia il terzogenito Ferdinando. Sebbene quest'ultimo n o n avesse che otto a n n i , Carlo lo liberò con c e r i m o n i a solenne dalla p r o p r i a tutela in m o d o da r e n d e r e chiaro sin da quel m o m e n t o «che n o n desidero esercitare a l c u n a a u t o r i t à su un figlio che d i v e n t a sovrano i n d i p e n d e n t e in Italia come io lo sono in Spagna»; e nominò un consiglio di r e g g e n z a che esercitasse il p o t e r e fin q u a n d o il ragazzo avesse r a g g i u n t o la m a g g i o r e età, sedici anni. Il 6 ottobre, il Re discese sul p o r t o , a c c o m p a g n a t o dalla moglie e dai figli, m e n o il d e m e n t e e F e r d i n a n d o , e s'imb a r c ò sulla fregata «Fenice», v e n u t a a p r e n d e r l o con u n a scorta di quindici vascelli di linea. N o n aveva altro bagaglio che gli effetti strettamente personali. Tutti i beni della Corona - gioielli, o p e r e d'arte ecc. - di cui aveva fatto compilare un minuzioso i n v e n t a r i o , e r a n o rimasti a palazzo reale. All'ultimo m o m e n t o s'era accorto di t e n e r e infilato al dito un anello d ' o r o trovato negli scavi di P o m p e i , e restituì anche quello. L'addio della città fu c o m m o s s o e c o m m o v e n t e . Tutti p i a n g e v a n o , q u a n d o la «Fenice» sciolse le vele al vento. In tanta tristezza, l'unico volto allegro e r a quello di Ferdinando c h e - scrisse l ' a m b a s c i a t o r e francese - «non ha versato u n a lacrima e anzi n o n nascondeva la sua contentezza di restarsene a Napoli».
CAPITOLO VENTUNESIMO
I B O R B O N E DI N A P O L I : F E R D I N A N D O
Il presidente del Consiglio di Reggenza, destinato a restare in carica fino alla m a g g i o r e età del n u o v o Re, cioè otto a n n i , era il P r i n c i p e di San N i c a n d r o . Ma si t r a t t a v a soltanto di una controfigura. L'anima e il cervello di quel s u p r e m o consesso era n a t u r a l m e n t e il Tanucci, che n o n si lasciò scappare l'occasione di q u e l l ' i n t e r r e g n o p e r c o n d u r r e a t e r m i n e le riforme a cui più teneva. Nei r a p p o r t i con la Chiesa, la timoratezza di Carlo l'aveva obbligato ad accettare alcuni c o m p r o m e s s i ; e il C o n c o r dato del 1741 era a p p u n t o u n o di questi. O r a che aveva le mani libere, il Tanucci decise di usarle. C o n bella disinvoltura, stabilì che, alla m o r t e di Vescovi e Abati, lo Stato avrebbe disposto dei loro b e n i e benefici ecclesiastici, p e r destin a r n e le r e n d i t e a lavori di pubblica utilità. R i d u s s e e poi abolì le «decime» ecclesiastiche, cioè l'imposta che la Chiesa imponeva sui raccolti, e mise un fermo definitivo alla m a n o morta, cioè ai b e n i immobiliari della Chiesa, v i e t a n d o ogni loro ulteriore espansione. La Chiesa n a t u r a l m e n t e p r o t e s t ò . E Tanucci ne colse il destro p e r d i c h i a r a r e nulla e inefficace nel R e g n o qualsiasi Bolla e lettera p a p a l e che n o n fosse p r i m a a p p r o v a t a dal Re. Non solo. Ma di sua testa p r o c e d e t t e a n c h e allo sfoltimento del clero stabilendo che gli ecclesiastici n o n potessero superare il c i n q u e p e r mille della i n t e r a p o p o l a z i o n e , c h e alla Chiesa n o n dovessero essere avviati i figli unici, che n e s s u n a famiglia potesse contribuirvi con più di un figlio, e che nessuno potesse p r e n d e r e i voti se n o n d i s p o n e v a di un a d e guato p a t r i m o n i o personale. 623
È facile i m m a g i n a r e il r i s e n t i m e n t o n o n soltanto di R , ma, ma a n c h e del R e g n o , dove quella ecclesiastica era consid e r a t a la c a r r i e r a p i ù r e m u n e r a t i v a e l'unica a p e r t a anche ai diseredati. Ma Tanucci, lungi dal lasciarsene scoraggiare approfittò della cacciata dei Gesuiti dalla Francia, Spagna e Portogallo p e r p r e n d e r e la stessa misura. E c o m e la Francia r i s p o n d e v a alla r e a z i o n e del P a p a a n n e t t e n d o s i Avignone così lui vi rispose a n n e t t e n d o s i Benevento e Pontecorvo che a p p a r t e n e v a n o agli Stati Pontifici. In quel m o m e n t o (1767) F e r d i n a n d o , a v e n d o compiuto i sedici a n n i , e r a già e n t r a t o in carica. Ma aveva accettato le decisioni del suo ministro senza n e a n c h e discuterle, perché di d i s c u t e r e n o n aveva n e s s u n a voglia. Da ragazzo, con la sua vivacità, p r o m e t t e v a b e n e ; anzi e r a t a l m e n t e vispo e di scilinguagnolo p r o n t o che suo p a d r e lo chiamava paglietta. Ma dall'adolescenza in poi e r a cresciuto soltanto di scheletro fino a r a g g i u n g e r e l'altezza d ' u n g r a n a t i e r e . Di cervello, era rimasto b a m b i n o . A n n i d o p o , in u n a lettera da N a p o l i a sua m a d r e , Gius e p p e d'Austria, ne dava colpa a Tanucci che, secondo lui, aveva fatto i m p a r t i r e u n a cattiva e d u c a z i o n e a F e r d i n a n d o p e r inabilitarlo al p o t e r e e r e s t a r n e il p a d r o n e . C h e il ministro si fosse poco p r e o c c u p a t o del Principe e della sua educazione, è vero. E forse è a n c h e vero che la sua immaturità n o n gli dispiaceva. Ma d u b i t i a m o che u n a pedagogia più acc u r a t a avrebbe p o t u t o cavare di più da un essere, cui m a d r e n a t u r a aveva n e g a t o qualsiasi senso di responsabilità. N o n era stupido. Era solo t o t a l m e n t e refrattario a qualsiasi serio i m p e g n o , a c o m i n c i a r e da quello dello studio. N o n riuscì mai a a n d a r e oltre le q u a t t r o operazioni aritmetiche, né a i m p a r a r e u n a l i n g u a , n e a n c h e quella italiana. Parlava solo n a p o l e t a n o a n c h e p e r c h é n o n frequentava che gli scugnizzi di strada di cui condivideva le abitudini bighellone. Passava la g i o r n a t a con loro a cacciare, a pescare e a r i v e n d e r e pesce e selvaggina al m e r c a t o c o m e un qualsiasi «bancarellaro». F u r o n o queste abitudini che gli valsero lafQ
624
fettuoso n o m e di Re lazzarone. N o n lo r i s p e t t a v a n o , ma gli volevano b e n e p e r c h é lo s e n t i v a n o d e i l o r o in t u t t o e p e r tutto: nella spensieratezza, nella b o n o m i a , nell'infingardaggine. Anche d o p o che fu salito sul t r o n o , m a n t e n n e queste sue abitudini di strada, si rifiutò di occuparsi degli affari di Stato; e anzi, p e r risparmiarsi a n c h e la fatica di sottoscrivere i documenti, fece fare un timbro con la sua firma e io dette al Tanucci p e r c h é l'apponesse dove voleva. Per sottrarsi alla vita di corte, i cui rituali lo a n n o i a v a n o p r o f o n d a m e n t e , era sempre a caccia fra Caserta e Portici, e invano i gentiluomini di servizio la sera lo a s p e t t a v a n o p e r il p r a n z o . Lo ritrovavano solo la mattina d o p o in qualche c a p a n n a abbracciato a u n a servotta o a u n a c o n t a d i n a , ch'egli preferiva di g r a n lunga alle d a m e di palazzo. In realtà il v e r o Re di Napoli e r a a n c o r a Carlo che, n o nostante il solenne atto di rinuncia p r o n u n c i a t o al m o m e n to della p a r t e n z a , seguitava da M a d r i d a g o v e r n a r e a t t r a verso il fidatissimo Tanucci, che di tutto lo teneva m i n u t a mente al c o r r e n t e . Nel '68 egli decise che F e r d i n a n d o doveva sposarsi p e r assicurare la successione al t r o n o , e la sposa gliela scelse là dove c'era da sceglierne, cioè nella nidiata di Maria Teresa d'Austria. D o p o Maria Antonietta, a n d a t a in moglie a Luigi X V I di Francia, il t u r n o toccava a Maria Giuseppina, che p e r ò p r o p r i o in quel m o m e n t o c a d d e malata e poco d o p o m o r ì . Il suo posto fu p r e s o da Maria Carolina, la prediletta d e l l ' I m p e r a t r i c e p e r il suo a t t a c c a m e n t o alla famiglia. Aveva sedici anni q u a n d o , sposata c o m e al solito p e r procura, intraprese il suo viaggio verso Napoli. F e r d i n a n d o l'aspettava alla Portella, dove suo p a d r e aveva aspettato Maria Amelia. Ma l'incontro n o n fu u g u a l m e n te felice. F e r d i n a n d o rimase senza fiato nel v e d e r e la sposa, tanto era bella, maestosa e regale. E a n c h e lei rimase senza fiato, ma solo p e r la rozzezza di lui. N o n a v e v a n o n u l l a in c o m u n e , n e a n c h e la lingua, p e r c h é lei p a r l a v a un italiano perfetto, ma scolastico e tirato a lustro, e lui soltanto il napoletano. 625
Nell'interno del palazzo un cortigiano maligno aveva affisso la scritta: Essa lo cambierà o lui la guasterà. E nei primi t e m p i l'alternativa fu incerta. Malia Carolina, che aveva ricevuto un'eccellente educazione m o d e r n a e a Vienna aveva r e s p i r a t o l'aria d e l l ' i l l u m i n i s m o , cercò di c o n v e r t i r e quel suo zotico marito ai p r o p r i interessi intellettuali, lo costrinse a subire la c o m p a g n i a della poca gente colta che c'era a Napoli e g l ' i m p o s e a n c h e di f r e q u e n t a r e l ' o p e r a seria al San Carlo. F e r d i n a n d o ce la seguiva c o m e un cane al guinzaglio, ma p e r i n g a n n a r e la noia d u r a n t e la r a p p r e s e n t a z i o n e si faceva servire gli spaghetti, e si metteva a mangiarli alla napoletana, cioè senza forchetta, fra i divertiti applausi della platea. U n a volta Maria Carolina, indignata, si alzò di scatto e uscì. F e r d i n a n d o seguitò a m a n g i a r e i suoi spaghetti come se nulla fosse: o r m a i aveva s u p e r a t o il senso di soggezione c h e d a p p r i n c i p i o gli aveva incusso quella moglie regale e colta, ed era t o r n a t o alle amicizie di strada e agli amori ancillari. La migliore descrizione di questo stravagante personaggio e dei suoi bizzarri costumi ce l'ha lasciata, in u n a lettera alla m a d r e , suo c o g n a t o G i u s e p p e , il f u t u r o I m p e r a t o r e ; q u a n d o v e n n e a Napoli a trovare la sorella: «Alto un metro e ottantacinque, scarno e ossuto, con la schiena curva, dondola sulle g a m b e t r o p p o deboli p e r il peso del c o r p o massiccio. Ha grosse braccia, grossi polsi e grosse m a n i s e m p r e sudice. La testa è piccola con u n a selva di capelli color caffè, c h e n o n i n c i p r i a m a i . II n a s o , via via c h e si distacca dalla fronte, si gonfia in u n a palla, fino alla bocca larghissima e col l a b b r o i n f e r i o r e m o l t o s p o r g e n t e . Per q u a n t o b r u t t o , n o n è del tutto repulsivo. Sta quasi s e m p r e vestito nel suo c o s t u m e d i caccia c o n u n g r a n c a p p e l l o t i r a t o giù d a ogni p a r t e , un giaccone di pelo grigio con le tasche che scendono fino a mezza gamba, calzoni e panciotto di cuoio e un coltello l u n g o c o m e u n a baionetta». G i u s e p p e dice d'aver invano t e n t a t o d ' i n t a v o l a r e con lui un discorso serio: F e r d i n a n d o s'interessava solo alle barzellette basate sulle b u r l e e le ba626
stonature. La sua attività più impegnativa e r a n o le m a n o v r e che ogni mattina faceva eseguire a un battaglione nel cortile del palazzo. «Non riuscii a capire a cosa servono questi esercizi. I t a m b u r i e i pifferi fanno un baccano infernale, m a g giorato dalle urla del Re che impartisce o r d i n i r i d e n d o , dim e n a n d o s i , e a s s e s t a n d o p i a t t o n a t e c o n la sciabola sulla schiena di chi sbaglia. Poi a r r i v a il v i v a n d i e r e su cui tutti, buttate via le armi, si avventano, strappandosi di m a n o cibo e vino.» F e r d i n a n d o , dice G i u s e p p e , n o n conosceva i dieci c o m a n d a m e n t i , p e r ò i n San G e n n a r o c r e d e v a c i e c a m e n t e ed era sicuro che gli angeli fossero bianchi e i diavoli n e r i . Andava a letto con la s p a d a p e r c h é il buio lo spaventava, e non voleva mai restar solo. U n a sera che la r e g i n a cantava al clavicembalo, «egli ci p r e g ò di fargli c o m p a g n i a m e n t r e stava s e d u t o sul vaso. F a c e m m o c o n v e r s a z i o n e p e r p i ù di mezz'ora, e io pensavo ch'egli sarebbe rimasto s e d u t o lì, coi pantaloni calati, Dio s a p e r q u a n t o , q u a n d o u n a t e r r i b i l e puzza ci avvertì che tutto e r a finito. N o n m a n c ò di darci tutti i dettagli dell'operazione, anzi voleva perfino m o s t r a r c e ne i frutti, poi s e m p r e coi p a n t a l o n i calati e col vaso in mano si mise a r i n c o r r e r e d u e dei suoi ospiti che scappavano». E S w i n b u r n e r a c c o n t a che il g i o r n o d o p o F e r d i n a n d o , essendogli scappato un r u m o r e poco in tono con l'etichetta, si rivolse a G i u s e p p e dicendogli: «È necessario p e r la salute, fratello mio!» L a m p i di luce sui c o s t u m i di un secolo c h e , grazie alle sue p a r r u c c h e e ciprie e merletti e nei e cicisbei, passa per raffinato e sofisticato. G i u s e p p e racconta alla madre, c o m e l a cosa p i ù n a t u r a l e d i q u e s t o m o n d o , c h e u n o degli spassi preferiti del Re è quello di assestare t r e m e n d i pizzichi nel sedere delle d a m e di corte, d ' i n t r o d u r r e topi vivi nei loro scolli e di r i e m p i r e di gelati e m a r m e l l a t e le tasche dei loro mariti. I tentativi di Maria Carolina p e r incivilire quello zoticone erano falliti. Alcuni storici dicono c h e a questo fiasco aveva contribuito a n c h e il Tanucci, b e n c o n t e n t o ch'essa n o n acquistasse su F e r d i n a n d o un a s c e n d e n t e che potesse far con627
c o r r e n z a al suo. Fin dal p r i m o giorno la Regina aveva detestato q u e l p r i m o ministro autoritario, b u r b e r o e tabaccoso c h e dal c a n t o suo n o n aveva fatto n u l l a p e r p i a c e r l e . Ma l'antipatia n o n e r a soltanto di pelle, s e b b e n e a n c h e questa p e r Maria Carolina contasse molto. Il fatto è che ai suoi occhi Tanucci r a p p r e s e n t a v a Carlo I I I , cioè il vincolo dinastico che subordinava il R e a m e alla corona di Spagna; m e n t r e agli occhi di Tanucci, Maria Carolina r a p p r e s e n t a v a la lunga m a n o degli Asburgo p e r a t t r a r r e il R e a m e nell'orbita austriaca. E avevano ragione e n t r a m b i . La lotta fra i d u e fu a coltello. Maria Carolina strumentalizzò t u t t e le s c o n t e n t e z z e c h e il T a n u c c i aveva p r o v o c a t o con le sue riforme, specie fra i nobili colpiti nei loro privilegi. Ma la sua a r m a m i g l i o r e fu u n a piccola clausola che la p r e v i d e n t i s s i m a M a r i a Teresa aveva fatto i n s e r i r e n e l suo c o n t r a t t o di nozze. Q u e s t a diceva che, dal m o m e n t o in cui fosse nato un e r e d e maschio, la regina sarebbe stata ammessa con voce deliberativa alle r i u n i o n i del g o v e r n o in m o d o da familiarizzarsi col p o t e r e nel caso di u n a sua reggenza. O r a l'erede c'era, e ad esso ne s e g u i r o n o a n c h e degli altri, s e b b e n e le m a l e l i n g u e dicessero che il vero p a d r e n o n era F e r d i n a n d o . Il giurista Tanucci n o n potè i m p e d i r e la scalata di Maria Carolina alla «stanza dei bottoni». E da q u e l mom e n t o la sua s o r t e fu s e g n a t a . D o p o q u a r a n t a d u e a n n i di fedeltà alla dinastia, l'ottuagenario ministro fu licenziato, e a n c h e con m a l a grazia. Si ritirò d i s g u s t a t o in c a m p a g n a e poco d o p o morì, c o m e succede ai g r a n d i lavoratori q u a n d o sono c o n d a n n a t i all'ozio. Lo s t u p o r e fu g r a n d e q u a n d o si s e p p e che aveva lasciato un p a t r i m o n i o irrisorio. Anche ah lora l'onestà, in Italia, faceva g r a n d e impressione. Colto di sorpresa dal siluramento del suo fiduciario, Carlo I I I ne fu indignato, si m a n t e n n e con lui in stretti r a p p o r ti epistolari, e i n g i u n s e al figlio di sostituirlo con p e r s o n a c h e desse g a r a n z i a di lealtà alla S p a g n a : La S a m b u c a . Ma a p p u n t o p e r c h é d a v a tali g a r a n z i e , a n c h e costui fu subito inviso alla p r e p o t e n t e r e g i n a , p u n g o l a t a dall'ambizione di 628
fare di Napoli u n a forte p o t e n z a asburgica. Autoritaria, capricciosa e dissoluta, da vera femmina essa o r m a i confondeva la politica con l'alcova e p r e t e n d e v a scegliere i collaboratori tra i favoriti. Fra costoro n ' e r a c o m p a r s o u n o che possedeva tutti i requisiti p e r irretirla. Era u n i r l a n d e s e d i n o m e J o h n Acton che, d o p o aver servito nella m a r i n a francese, aveva r a g g i u n to Io zio che c o m a n d a v a quella toscana e ne aveva ereditato il posto. Maria Carolina, a cui il fratello L e o p o l d o aveva magnificato le doti dell'ammiraglio, gli chiese di mandarglielo per consigli, e p p o i lo ingaggiò a titolo p e r m a n e n t e : cosa di cui L e o p o l d o si dolse moltissimo. Fra i motivi che i n d u s s e r o la regina a giuocare quel b r u t to tiro al fratello c'era a n c h e l'idea di fare di Napoli il caposaldo m a r i n a r o d e l l ' I m p e r o austriaco p e r d i s p u t a r e il d o m i nio sul M e d i t e r r a n e o alla S p a g n a e alla Francia. Ma a q u e sto si aggiungeva il fascino d e l l ' u o m o , n o n bello, ma carico di sex-appeal. Maria Carolina se ne i n n a m o r ò a p r i m a vista e lo fece n o m i n a r e ministro della m a r i n a : un dicastero fin allora t a l m e n t e t r a s c u r a t o c h ' e r a stato affidato al m e d i c o di corte. Acton n o n si affrettò a ricambiare i favori della regina, anzi p a r e c h e glieli facesse s o s p i r a r e p a r e c c h i o e c h e sempre gliene concedesse col contagocce. C o m e tutti i grandi ambiziosi, n o n e r a molto p o r t a t o all'alcova, in cui vedeva soltanto un mezzo p e r salire, e aveva b e n capito che quella creatura, con le sue arie di voler d o m i n a r e tutti, n o n era che una p o v e r a d o n n a in cerca di q u a l c u n o che d o m i n a s s e lei. Q u a n t o al Re, n o n chiedeva di meglio che di essere liberato d a g l ' i m p e g n i del p o t e r e e dalla i n c o m b e n t e p r e s e n z a di quella moglie esigente e ciacciona. Col suo stile compassato, Acton li servì e n t r a m b i a dovere, ma p i ù a n c o r a servì se stesso e il suo Paese, cui m o l t o conveniva u n a p o t e n z a m a r i t t i m a anti-spagnola e anti-francese nel M e d i t e r r a n e o . La Sambuca sentì il pericolo e ne avvertì i m m e d i a t a m e n t e il re Carlo che corse ai ripari con lettere di fuoco al figlio. Ma q u e s t e lettere n o n a r r i v a v a n o al 629
destinatario, intercettate dallo spionaggio della Regina e di Acton. A s c o n v o l g e r e F e r d i n a n d o fu soltanto un violento t e r r e m o t o in Calabria dove p e r i r o n o oltre trentamila persone. F e r d i n a n d o , che in fondo era un b u o n diavolo, saccheggiò il p r o p r i o p a t r i m o n i o p e r soccorrere i sinistrati. Sua moglie n o n mosse un dito. Era t r o p p o occupata a p r e p a r a r e la visita a Napoli di suo fratello Giuseppe, che veniva a intendersi con lei e Acton p e r agganciare definitivamente il Reame al c a r r o austriaco. Maria Carolina era p r o n t a a sacrificare a questa operazione a n c h e l'interesse dei suoi figli. Stando a Denon, aveva detto: «Non sono fortunata, coi miei maschi. Sono tutt'e d u e talmente cretini che, se li perdessi, non p e r d e r e i molto. Anzi, sposerei la mia p r i m o g e n i t a al figlio di mio fratello, e così farei t o r n a r e il R e a m e al mio casato». La S a m b u c a t e n t ò di a p r i r e gli occhi a F e r d i n a n d o , ma n o n riuscì a cavarne che qualche velleitaria reazione di stizza. O g n i t a n t o il Re faceva u n a scenata alla moglie minacciando di farla s o r p r e n d e r e , p u g n a l a r e e gettare dalla finestra insieme al suo a m a n t e : p e r c h é che fossero a m a n t i lo sapeva benissimo, ma n o n gliene i m p o r t a v a nulla. Voleva solo essere esentato dai grattacapi, e p e r questo n o n tentò nemm e n o di discolpare il suo ministro q u a n d o la regina e il favorito decisero di sbarazzarsene. A cercar di salvarlo fu ancora Carlo I I I , ma inutilmente. Maria Carolina e Acton non volevano soltanto l i q u i d a r e La Sambuca, ma a n c h e discred i t a r e in lui t u t t o l ' a m b i e n t e filo-borbonico c h e specie a Corte era ancora p o t e n t e . E perciò c e r c a r o n o d'incriminarlo di alto t r a d i m e n t o sottraendogli perfino la corrispondenza privata. Ma n o n ci t r o v a r o n o nulla, e d o v e t t e r o contentarsi di un licenziamento in t r o n c o c o m e avevano fatto con Tanucci. Per evitare rappresaglie da p a r t e di Carlo, il suo posto fu p r e s o n o n da Acton, ma dal m a r c h e s e Caracciolo che passava p e r un b u o n economista: cosa di cui c'era u r g e n t e bisog n o , dato il dissesto in cui versavano le finanze del Reame» d r e n a t e dalle spese di r i a r m o . Caracciolo fece quel che potè, 630
cioè il p o c h i s s i m o che gli c o n s e n t i r o n o la R e g i n a e Acton, f e r m a m e n t e decisi a fare delle D u e Sicilie, c o m e o r m a i il Reame si chiamava, u n a g r a n d e p o t e n z a marittima e militare. Per levarselo dai piedi, essi m a n d a r o n o F e r d i n a n d o in visita al g r a n d u c a L e o p o l d o che gl'impartisse qualche lezione di g o v e r n o . L e o p o l d o gli chiese q u a n t e r i f o r m e aveva fatto a Napoli. «Nessuna» rispose il lazzarone, che poi a sua volta chiese: «Ma q u a n t i n a p o l e t a n i hai al t u o servizio?» «Nessuno» rispose l'altro. «Io invece - ribatté Ferdinando - al mio servizio ho t r e n t a m i l a toscani, i quali si v e d e che, con tutte l e t u e r i f o r m e , nel G r a n d u c a t o n o n h a n n o d a m a n giare.» Poco d o p o Caracciolo morì, e il governo v e n n e ristrutturato - come oggi si direbbe - secondo un o r g a n i g r a m m a che concentrava tutto il p o t e r e nelle m a n i di Acton, il quale tuttavia f o r m a l m e n t e si c o n t e n t ò del titolo di G e n e r a l e . Sempre più la politica estera del R e a m e si distaccò da M a d r i d per orientarsi su Vienna, e la politica estera fu la sola politica che ebbe questo r e g i m e totalmente sordo ai p r o b l e m i interni. N e a n c h e il Tanucci era riuscito a risolverli. Ma qualcuno ne aveva avviato, l i b e r a n d o lo Stato da o g n i ipoteca clericale, r i d u c e n d o l'opulenza e la tracotanza del clero, laicizzando e r e n d e n d o obbligatoria e gratuita - a l m e n o sulla carta - l'istruzione e l e m e n t a r e . In q u e s t o c a m p o a n c h e La Sambuca fece qualcosa, c o n c e d e n d o maggiori finanziamenti all'Università e i s t i t u e n d o v i n u o v e c a t t e d r e . Ma t u t t o si fermò qui, e in pratica r i g u a r d ò soltanto Napoli p e r c h é l'interno rimase a b b a n d o n a t o a se stesso, conteso fra b a r o n i e briganti. Della vita di questo «profondo Sud» senza scambi né ricambi, ribadito nelle sue servitù feudali e mummificato in u n a s t r u t t u r a sociale articolata in d u e sole classi - i servi e i p a d r o n i -, l ' u n a p i ù i g n o r a n t e dell'altra, n o n si sa quasi nulla p e r c h é n o n c'era n e s s u n o in g r a d o di lasciarne qualche testimonianza. I p o c h i in g r a d o di farlo s c a p p a v a n o a Napoli p e r c h é sul posto n o n p o t e v a n o vivere. Sotto il r e g n o di F e r d i n a n d o furono solo p o r t a t e a termi631
ne le o p e r e iniziate da Carlo: gli scavi archeologici di Ercolano e di Pompei, la fabbricazione delle porcellane, Capodim o n t e e il palazzo di Caserta, capolavoro del Vanvitelli. Di suo F e r d i n a n d o fece u n a cosa sola: il teatro dell'opera buffa c h e p r e s e il suo n o m e c o m e quello d e l l ' o p e r a seria aveva p r e s o il n o m e dì suo p a d r e . Essi esemplificano c o m e meglio n o n si p o t r e b b e la differenza tra i d u e personaggi.
CAPITOLO VENTIDUESIMO
I L T R A M O N T O DEI P R I N C I P A T I M I N O R I
Abbiamo passato in rassegna i g r a n d i Stati dello Stivale. Diamo o r a u n o s g u a r d o ai piccoli. Anche questi n a t u r a l m e n t e e r a n o in balìa delle diplomazie e degli eserciti stranieri. Asburgo e B o r b o n e se li disputavano e se li b a r a t t a v a n o ai tavoli delle g r a n d i conferenze internazionali e nei c o r r i d o i delle cancellerie. D e c i d e v a n o alle loro spalle e sulla loro testa, s e c o n d o la logica machiavellica della realpolitik, infischiandosi di sovranità e diritti dinastici. Gli staterelli italiani n o n e r a n o che p e d i n e d ' u n gioco e u r o p e o e p e r sopravvivere si b a r c a m e n a v a n o fra Parigi e Vienna, fra Vienna e Madrid, p a s s a n d o c o n t i n u a m e n t e da un c a m p o all'altro in n o m e n o n di u n a causa, che n o n avevano, m a delle necessità del m o m e n t o , del p r o p r i o t o r n a conto, del p r o p r i o «particulare». Le loro dinastie si e r a n o disfatte a n c h e sul p i a n o biologico p e r via d e i t r o p p o frequenti m a t r i m o n i fra consanguinei ed e r a n o r a p p r e s e n t a t e da squallidi p e r s o n a g g i che ne i n c a r n a v a n o la decadenza. I F a r n e s e e r a n o da d u e c e n t ' a n n i d u c h i di P a r m a e Piacenza, il p i ù piccolo Stato italiano, d o p o Lucca. La sua struttura era quella tipica dell'ancien regime, di stampo paternalistico. Al vertice u n a nobiltà inetta, oziosa, r e t r o g r a d a , c h e campava di r e n d i t e e di privilegi, che n o n forniva né ufficiali all'esercito (come quella p i e m o n t e s e ) , né politici e diplomatici allo Stato (come quella veneziana), né funzionari alla burocrazia, né i m p r e n d i t o r i all'economia (come quelle milanese e genovese). Accanto all'aristocrazia, il clero godeva d'innumerevoli benefici, d'ogni sorta d'esenzioni, esigeva le decime e n o n pagava le tasse. Le sue ricchezze e r a n o e n o r 633
mi. Nel solo Piacentino possedeva, nella s e c o n d a m e t à del secolo, 1.256.553 pertiche. La borghesia era pressoché inesistente e n o n aveva alcuna voce in capitolo. Il popolino era costituito da u n a massa a m o r f a e i n f o r m e di s u d d i t i ignoranti e diseredati. P a d r o n i b o n a r i ma di scarsa fantasia, i Farnese avevano fatto poco o n i e n t e p e r migliorare le sorti del Paese, elevare il t e n o r e di vita, redistribuirne più e q u a m e n t e le ricchezze. Il vento di riforme che soffiava in E u r o p a e negli Stati italiani p i ù evoluti n o n varcò, sotto q u e s t a dinastia o r m a i in sfacelo, le soglie del Ducato. Francesco Maria, salito al trono di P a r m a alla m o r t e del p a d r e Rinuccio, n o n aveva stoffa né di statista, né di condottiero. Tollerante più p e r pigrizia che p e r bontà, lasciava che le cose a n d a s s e r o p e r il loro verso e p e r far fronte alle spese dello Stato n o n trovò di meglio che a u m e n t a r e le tasse e inasprire i dazi. M o r e n d o , lasciò molti debiti, p o c h i r i m p i a n t i e un fratello, A n t o n i o , obeso c o m e lui, c o m e lui sordo alle «istanze» riformatrici e, c o m e lui, senz'eredi. Ad assegnargliene u n o nella p e r s o n a di d o n Carlos di Spagna, figlio del re Filippo e d'Elisabetta Farnese, furono - c o m e abbiamo già d e t t o nella p r i m a parte di questo libro - le g r a n d i p o t e n z e , c o n v e n u t e nel 1720 all'Aja p e r p o r fine alla g u e r r a della Q u a d r u p l i c e Alleanza. Carlo s'installò a P a r m a dodici a n n i d o p o , alla m o r t e di Antonio, sebbene questi, s p i r a n d o , avesse lasciato il Ducato al figlio che la moglie gli aveva detto di avere nel v e n t r e (ma era u n a bugia). Q u a n d o p r e s e possesso del Ducato, Carlo aveva a p p e n a sedici a n n i . N o n fece n e m m e n o i n t e m p o a d a m b i e n t a r s i p e r c h é d u e a n n i d o p o , nel '34, le m e n e della m a d r e e di Alb e r o n i gli p r o c u r a r o n o u n a c o r o n a molto più grossa: quella di Napoli. Prima di lasciare Parma, fece razzia delle più belle o p e r e d'arte che o r n a v a n o i suoi palazzi - q u a d r i , tappeti, arazzi, argenti, mobili - e se le p o r t ò a Napoli. Il Ducato rimase affidato a u n a r e g g e n t e , Dorotea di N e o b u r g o , che lo g o v e r n ò p e r q u a t t o r d i c i a n n i , finché, con la p a c e di Aqu " 1
634
sgrana, esso v e n n e assegnato al fratello m i n o r e di Carlo, Filippo. Filippo n o n aveva l'intelligenza e l'energia del fratello, a possedeva equilibrio, b u o n senso, cultura. A diciannove anni aveva sposato la figlia p r i m o g e n i t a di Luigi XV, Luisa Elisabetta, m e g l i o n o t a c o m e B a b e t t e , c h e ne aveva sei di meno: un m a t r i m o n i o d ' a m o r e , felice e d u r a t u r o . Q u a n d o la c o p p i a g i u n s e a P a r m a n o n t r o v ò n e m m e n o i letti p e r d o r m i r e : C a r l o aveva fatto m a n bassa a n c h e di quelli e ci volle a d d i r i t t u r a un intervento del Re di Francia p e r i n d u r lo a r i m a n d a r e indietro un p o ' di mobili. Un c o d a z z o di s p a g n o l i aveva seguito Filippo e u n a schiera di francesi a c c o m p a g n a v a n o B a b e t t e , che n a t u r a l mente si s p a r t i r o n o i posti chiave dell'amministrazione. All'inizio f u r o n o i p r i m i ad avere il s o p r a v v e n t o ; p o i , con la nomina di Guglielmo du Tillot a segretario di Stato, il potere passò quasi i n t e r a m e n t e nelle m a n i dei secondi. Du Tillot, figlio d ' u n c a m e r i e r e del Re di Spagna, n a t o a Baiona e vissuto fra M a d r i d e Parigi, era un u o m o colto, un conversatore arguto e brillante, un abile cortigiano, un politico a c c o r t o , un d i p l o m a t i c o d u t t i l e , c h e i n c a r n a v a il tipo del perfetto riformatore illuminista. Si mise subito all'opera per trasformare P a r m a e farne u n a piccola succursale di Parigi. «Tutto in questa città ha l'aria oltremontana» scrisse Casanova. S e c o n d o i calcoli dell'abate R i c h a r d , su q u a r a n t a cinquemila abitanti, cinquemila e r a n o francesi, che avevano tutto in m a n o : amministrazione, b a n c h e , commercio, i n d u stria. Perfino l ' i n g r a s s a t o r e delle galline di c o r t e veniva d'Oltralpe. Du Tillot n o n lesinò in sovvenzioni, agevolazioni, incentivi p e r r i d a r e aìre alla stagnante economia. S p u n tarono n u o v e attività, le b o t t e g h e si moltiplicarono, crebbe il volume d'affari, a u m e n t ò il b e n e s s e r e . Più timidi furono invece i tentativi del du Tillot in agricoltura. Niente riforme radicali, in g r a n d e stile, c o m e quelle di L e o p o l d o in Toscana, ma solo occasionali e s p o r a d i c i i n t e r v e n t i , in q u e s t o o quel settore. ro
635
I n c a m p o t r i b u t a r i o d u Tillot s o t t o p o s e l a F e r m a , cioè l'appalto delle imposte, al controllo parziale dello Stato, or* d i n ò l ' a g g i o r n a m e n t o del catasto e il riesame degli estimi e abolì i privilegi p i ù scandalosi e anacronistici. Preti e nobili, che facevano le spese di queste giuste misure, p r o t e s t a r o n o . Ma du Tillot n o n se ne lasciò impressionare e il 13 gennaio 1765 e m a n ò l'editto di p e r e q u a z i o n e , che sottoponeva i be* ni ecclesiastici agli stessi tributi di quelli laici. Nello stesso m e s e dello stesso a n n o istituì u n a Real G i u n t a della giuri* sdizione incaricata di regolare i r a p p o r t i col clero, attraverso il placet e Yexequatur: limitazione dei poteri del foro eccle* siastico, disciplina del clero regolare, inchieste sul patrimonio degli o r d i n i religiosi, abolizione di alcuni conventi. E fin a l m e n t e , nel febbraio del 1768, d e c r e t ò l ' e s p u l s i o n e dei Gesuiti e l ' i n c a m e r a m e n t o dei loro immensi beni. L ' i n t r a p r e n d e n t e ministro legò il p r o p r i o n o m e a n c h e a i m p o r t a n t i realizzazioni culturali. C h i a m ò a P a r m a l'architetto francese E n n e m o n d Petitot, cui si deve l'inconfondibile i m p r o n t a urbanistica della città, r i e m p ì la corte d'intellettuali di g r i d o c o m e l'abate Condillac, p r e c e t t o r e dell'erede F e r d i n a n d o , e il filosofo Keralio, t a p p e z z ò le p a r e t i della reggia di o p e r e di Nattier, La Tour, Vernet, fece venire d'Ol*t r a l p e c o m p a g n i e di a t t o r i , musicisti, ballerini. N e l 1757 f o n d ò l'Accademia di Belle Arti c o n i n s e g n a n t i quasi tutti francesi, divulgò gli scritti degli enciclopedisti, specialmente di Voltaire, d i e d e n u o v a linfa all'anemica Arcadia, allestì un m u s e o a r c h e o l o g i c o , finanziò la biblioteca Palatina e l'abb o n ò ai più i m p o r t a n t i giornali italiani e stranieri, impiantò u n a s t a m p e r i a r e a l e e l'affidò al p i ù geniale tipografo del t e m p o , il p i e m o n t e s e Giovanbattista B o d o n i . Cercò insorm ma di fare di P a r m a u n a piccola Versailles, e in p a r t e ci riu* sci, a m m i n i s t r a n d o con oculatezza gli scarsi fondi di cui dis p o n e v a . D o p o c h e N a t t i e r e b b e r i t r a t t o il volto della Du* chessa, du Tillot fece eseguire il resto della figura a un artista m i n o r e p e r pagarlo di m e n o . In questa infaticabile o p e r a di riforma fu incoraggiato # i 636
sostenuto da Filippo, che si limitava a u n a b l a n d a e benevola supervisione dei suoi atti. I d u e u o m i n i si e r a n o capiti fin dal p r i m o g i o r n o , e fino all'ultimo filarono in p e r f e t t o accordo. Q u a n d o , nel 1765, il Duca morì, la posizione dell'onn i p o t e n t e ministro cominciò a vacillare. C o n la p r o t e z i o n e di Luisa, moglie di Filippo, rimase al p o t e r e ancora sei anni, ma Io perse con l'avvento sul t r o n o del figlio di Filippo, Ferd i n a n d o , un giovanotto abulico, complessato, bigotto, succubo dei preti e della moglie, Maria Amalia. E r a costei u n a delle i n n u m e r e v o l i figlie c h e Maria T e r e s a aveva a v u t o il torto di m e t t e r e al m o n d o e che si rivelarono altrettante disgrazie p e r i l o r o m a r i t i . B r u t t a , goffa, o t t u s a , i g n o r a n t e , stravagante, ambiziosa, vendicativa, a p p e n a messo p i e d e a corte, cominciò a seminarvi panico e zizzania e a maltrattare il marito, che p e r sottrarsi alle sue escandescenze si rifugiava in chiesa, l'unico luogo dove Maria Amalia riusciva (a fatica) a dominarsi. Du Tillot, la Duchessa m a d r e , la stessa Maria Teresa, tentarono i n v a n o di r i c o n d u r r e la «matta», c o m e la chiamavano a P a r m a , alla r a g i o n e . Fatica sprecata. L'austriaca seguitava a fare le bizze, a t r a d i r e il m a r i t o con gli ussari che s'era portati al seguito da Vienna, a boicottare e c a l u n n i a r e il du Tillot, che n o n le nascondeva il p r o p r i o disprezzo. Q u a n d o il segretario di Stato chiese a Maria Teresa il richiamo degli ussari, la «matta» m o n t ò su tutte le furie e scatenò c o n t r o di lui un'infame c a m p a g n a denigratoria, accusandolo di furto e d'illeciti g u a d a g n i . La m a n o v r a e b b e successo, p e r c h é i p a r m e n s i , smaniosi d ' a c c a p a r r a r s i i p o t e r i del m i n i s t r o , si schierarono dalla p a r t e della Duchessa. E così colui che aveva fatto di P a r m a un'oasi di benessere e di cultura, dovette fuggirsene di notte p e r evitare il linciaggio della folla. La p a r t e n z a del du Tillot segnò l'inizio d ' u n l u n g o periodo d'involuzione e di reazione. Sobillato da preti e monaci, F e r d i n a n d o r i c h i a m ò i Gesuiti, ristabilì il t r i b u n a l e dell'Inquisizione, restituì alla Chiesa molti dei b e n i incamerati, licenziò i collaboratori del du Tillot e li rimpiazzò con u o m i n i 637
suoi, cioè di sua moglie, disonesti e incapaci. Il Ducato, sgov e r n a t o da un baciapile e da u n a «matta», ripiombò nell'antico letargo da cui, d o p o la bufera napoleonica, lo scuoterà la g r a n d e Maria Luigia. A un tiro di schioppo da Parma, il feudo estense di M o d e n a . Dal 1697 vi r e g n a v a il d u c a Rinaldo, ex c a r d i n a l e , che alla m o r t e del n i p o t e Francesco aveva r i n u n c i a t o alla p o r p o r a p e r r a c c o g l i e r n e l a successione: u n u o m o m o r i g e r a t o , d i b u o n a cultura, di t e n d e n z e ghibelline e austriacanti, in contrasto con quelle francofìie degli avi. D o p o q u a t t r o a n n i di r e g n o , m e n t r e divampava la g u e r r a di successione spagnola, gli eserciti francesi invasero il suo territorio e l'obbligarono a rifugiarsi a Bologna. Solo nel 1707 r i e n t r ò in possesso del suo staterello. Il Ducato di M o d e n a aveva u n a p o p o l a z i o n e di quattrocentomila abitanti, b u o n e risorse agricole, scarse industrie, un artigianato abbastanza attivo. La capitale contava diciottomila a n i m e , pochi disoccupati e alcune centinaia di poveri. R i n a l d o l'aveva t r a s f o r m a t a in u n a specie di c o n v e n t o . Alle dieci di sera s t r a d e e piazze venivano a b b u i a t e p e r c h é Rinaldo, che a n d a v a a letto presto, esigeva che i suoi sudditi facessero a l t r e t t a n t o . Più c h e da s o v r a n o , si c o m p o r t a v a da patriarca, si faceva c h i a m a r e «serenissima p a d r o n a n z a » , vigilava su tutto e tutti, e specialmente sulle infedeltà coniugali dei sudditi, c h e p u n i v a con la g o g n a e la p r i g i o n e . Rimasto vedovo d o p o quindici a n n i di m a t r i m o n i o , n o n aveva voluto risposarsi e allevava con g r a n d e severità i figli, specie il p r i m o g e n i t o Francesco, d e s t i n a t o a succedergli. Ma n o n e r a bigotto. A m a v a la c u l t u r a , i n c o r a g g i a v a gli studi, p r o t e g g e v a gli scienziati dagli attacchi d e l Sant'Uffizio, e nel 1717 istallò l'Accademia delle Scienze in Palazzo ducale, ass e g n a n d o l e u n a d o t e d i seicento lire l ' a n n o . C u r e particol a r m e n t e assidue dedicò all'Università, che o n o r a v a gli stradi scientifici più di quelli umanistici. Le cattedre più prestigiose e le lezioni più affollate e r a n o quelle di chimica, bota638
nica, medicina, fisica s p e r i m e n t a l e , storia n a t u r a l e , meccanica. G e n t e pratica, i m o d e n e s i e r a n o appassionati soprattutto d'idraulica, data la configurazione del territorio, solcato da u n a fitta r e t e di fiumi e canali, fonte i n e s a u r i b i l e di ricchezza ma a n c h e minaccia p e r e n n e d ' i n o n d a z i o n i . E Rinaldo secondò questi loro interessi. N o n o s t a n t e il s u d a r i o d ' a u s t e r i t à in cui aveva avvolto il Ducato, i sudditi gli volevano b e n e p e r c h é se ne sentivano «governati». L'unico e r r o r e che n o n riuscirono mai a p e r d o nargli fu la scelta della n u o r a . Rinaldo a n d ò a pescarsela in quella dinastia O r l é a n s che già aveva fornito u n a moglie rovinosa a Cosimo Medici. La sua c o n g i u n t a Carlotta n o n fu da m e n o . N o n bella, ma carica di sex-appeal, aveva già avuto da ragazza un passato b u r r a s c o s o . 11 suo folle a m o r e p e r il duca di Richelieu aveva messo a s o q q u a d r o la corte di Versailles e deliziato tutta la Francia. Q u a n d o il Duca e r a stato rinchiuso alla Bastiglia sotto l'accusa di t r a d i m e n t o , Carlotta era a n d a t a r i p e t u t a m e n t e a trovarlo, travestita da cameriera. E l ' a m a n t e la r i c a m b i e r à facendole visita a M o d e n a camuffato da libraio. Oltre un forte debole p e r gli u o m i n i , aveva u n a sfrenata passione p e r il gioco, e tutto il d e n a r o che passava p e r le sue mani finiva nelle tasche dei croupiers. «La più b u g i a r d a e la più corrotta delle d a m e di Francia» la definiva la n o n n a . Ma di tutto questo Rinaldo e r a all'oscuro. Le informazioni fornitegli dal Selvatico, m a n d a t o apposta a Parigi a c o m b i n a r e il m a t r i m o n i o , p r e s e n t a v a n o C a r l o t t a c o m e t a n t e altre ragazze della sua età: allegra, spensierata, vivace, capricciosetta. Forse il Duca s'illudeva che, u n a volta sposata, la giovane avrebbe messo la testa a partito. N o n immaginava che invece l'avrebbe fatta p e r d e r e a n c h e al marito. C a r l o t t a lasciò Parigi i n g r a n p o m p a , c o n a b b o n d a n t e scorta di camerieri, m a g g i o r d o m i , cuochi, d a m e di c o m p a gnia e un m u c c h i o di bagagli: sessanta abiti c o m p l e t i di mantello, scarpe e sciarpe, q u a t t r o c e n t o m i l a lire di gioielli, trecentomila di dote e u n a cassetta con seimila stuzzicaden639
ti. II viaggio d u r ò la bellezza di sessantacinque giorni, perché la principessa ogni poco faceva fermare la carovana delle sessanta carrozze p e r organizzare interminabili partite a carte. I n v a n o il parco e parsimonioso Rinaldo, che s'era accollato le spese del trasferimento, sollecitava il Selvatico, acc o m p a g n a t o r e ufficiale della futura n u o r a , a far presto. F i n a l m e n t e , ai confini d e l D u c a t o , a v v e n n e il sospirato i n c o n t r o . Francesco trovò Carlotta bellissima e di colpo se n ' i n v a g h ì . Carlotta restò invece p r o f o n d a m e n t e delusa d a quel fidanzato t r o p p o alto, m a g r o , pallido, n a s u t o e di scarsa iniziativa. Ma C a r l o t t a n o n si limitava a scialacquare, a fare le bizze, a litigare c o n t i n u a m e n t e col suocero. Rifiutava a n c h e d ' a d e m p i e r e agli obblighi coniugali e la notte si barricava nella p r o p r i a c a m e r a d a letto. Solo d o p o r i p e t u t i energici richiami del p a d r e e del s u o c e r o ai d o v e r i di moglie, si decise finalmente a concedersi a Francesco e a dargli un e r e d e . Rinaldo, p e r la gioia, le a u m e n t ò l ' a p p a n n a g g i o e le r e g a l ò un bel c o r r e d o p e r il n e o n a t o , ma la n u o r a lo trovò misero e glielo r i m a n d ò i n d i e t r o . R i c o m i n c i a r o n o le baruffe. Carlotta buttava i soldi dalla finestra, s p e n d e v a pat r i m o n i in vestiti, che o r d i n a v a e s p r e s s a m e n t e a Parigi, allacciava c o n t i n u e t r e s c h e , n o n v e r s a v a u n a l a c r i m a sulla t o m b a del p r i m o g e n i t o , m o r t o p r e m a t u r a m e n t e , e scodellava figlioli, di cui n e s s u n o - n e m m e n o lei - sapeva chi fosse il p a d r e . Nel 1737, a o t t a n t a n n i suonati, Rinaldo morì. Francesco ne ricalcò le g r a n d i linee politiche. Ufficialmente, in virtù del suo m a t r i m o n i o , e r a legato alla Francia; di fatto m a n t e neva stretti r a p p o r t i con la corte asburgica. Il suo sogno era u n o sbocco al m a r e , e lo realizzò con un m a t r i m o n i o , facendo s p o s a r e nel 1741 il figlio Ercole a M a r i a T e r e s a Cybo, e r e d e al Ducato di Massa. La m o r t e di Carlo VI e lo scoppio della g u e r r a di successione a u s t r i a c a lo colsero di s o r p r e s a . C o n chi schierarsi? C o m e il p a d r e , cercò di destreggiarsi fra i vari contendenti, ma il « d o p p i o gioco» n o n gli riuscì. Gli a u s t r o - p i e m o n t e s i 640
invasero il Ducato e Francesco prese la via dell'esilio. Si rifugiò a Venezia coi figli e la moglie, diventata con l'età grassa come u n a foca (per farle salire le scale, d o v e v a n o issarla su u n a sedia), ma tuttora fedele ai suoi vizi. Francesco rimise p i e d e nel Ducato d o p o la pace d'Aquisgrana e lo trovò c o m p l e t a m e n t e devastato: fuori uso il porto di Massa, distrutte le cave di m a r m o , d e c i m a t o il bestiame. Poiché il figlio ed e r e d e Ercole aveva avuto un solo r a m pollo maschio m o r t o p r e m a t u r a m e n t e , p e r salvare la dinastia offrì la nipote Beatrice in sposa p r i m a a u n o dei cinque figli di Giorgio II d ' I n g h i l t e r r a , che declinò, poi a Maria Teresa, che assegnò la ragazza al suo q u a r t o g e n i t o F e r d i n a n do. Francesco l o n o m i n ò e r e d e d e l D u c a t o c o n l'obbligo d'assumere il c o g n o m e estense e l ' i m p e g n o di t e n e r e separato lo Stato m o d e n e s e dai d o m i n i austriaci. E così a n c h e questa dinastia si estinse, o p e r meglio d i r e si t r a p i a n t ò p e r innesto nel frondoso albero asburgico. A l t r e t t a n t o scontata fu la fine della gloriosa dinastia d e i Gonzaga, nei r a m i di Mantova, Novellara e Guastalla. L'ultima fronda di quello m a n t o v a n o , F e r d i n a n d o Carlo, e r a u n a specie di bigoncio, flaccido, obeso, visionario e m e g a l o m a ne. La lue gli aveva tolto c o m p l e t a m e n t e il senno. Gli affari di Stato n o n Io interessavano. Passava il t e m p o a bighellonare p e r la reggia b r a n d e n d o u n ' e n o r m e s p a d a dall'elsa tempestata di p i e t r e p r e z i o s e , avvolta in fazzoletti di t r i n e e g r o n d a n t e di tabacchiere, b o m b o n e boccette di p r o f u m o . Con le d o n n e e r a di manica larga: nella sua alcova c'era p o sto p e r tutte. Nel 1702, rimasto vedovo, decise di risposarsi per p e r p e t u a r e la dinastia. Incaricò il Re di Francia di trovargli moglie. Luigi X I V gli p r o p o s e la b r u t t a , a t t e m p a t a e ricchissima principessa di C o n d é e la giovane, bella e spiantata S u s a n n a d i Lorena-Elbeuf. F e r d i n a n d o , s e b b e n e n o n avesse il becco d ' u n q u a t t r i n o , scelse S u s a n n a . Nel 1707 i francesi a s s e d i a r o n o M a n t o v a e l ' o b b l i g a r o n o a fuggire a Vienna, d o v e frequentò bordelli e t a v e r n e . La moglie p r e 641
ferì t o r n a r s e n e a Parigi. Lui la r i c h i a m ò , ma lei fece orecchio da m e r c a n t e . Nel 1708 morì, c'è chi dice p e r caduta da cavallo, chi p e r veleno, chi p e r a b u s o d'afrodisiaci. Dato il tipo, l'ultima versione è la più verosimile. Il secondo r a m o di questa famiglia, quello di Novellara, fu più longevo e d e g n o di rispetto. I suoi ultimi r a p p r e s e n tanti rivelarono u n a certa t e m p r a . Camillo g o v e r n ò con pochi mezzi e molta saggezza. Si divise i m p a r z i a l m e n t e fra la caccia e gli affari di Stato. N o n sfruttò i sudditi e alle spese di corte provvide di tasca p r o p r i a . Sposò Matilde d'Este che» in un accesso di gelosia, tentò d'avvelenarlo con l'arsenicoi Camillo, p e r punizione, la rispedì al p a d r e , t e n e n d o con sé i tre figli. Q u a n d o , nel 1727, calò nella tomba, il cordoglio fu generale e sincero. Suo e r e d e fu Filippo Adolfo, che m o r ì di tubercolosi l ' a n n o d o p o . D o p o u n i n t e r r e g n o imperiale d i quasi d u e lustri, gli successe la sorella Ricciarda, c h e gov e r n ò con g r a n d e m i s u r a e lungimiranza. Fece l'impossibile p e r restituire il Ducato al suo antico r a n g o , ridargli benessere e prestigio. Avrebbe voluto designare e r e d i i p r o p r i sud* diti, ma fu p r e s a p e r matta. C o n la sua scomparsa, nel 1768| si estinse la dinastia Gonzaga-Novellara. <&.••' Il terzo r a m o dei Gonzaga regnava a Guastalla. All'iniziai del secolo gli eserciti spagnoli e imperiali ne a v e v a n o fatt&'f t e r r a bruciata, l'avevano ridotta a u n a specie di colabrodo*'.! Q u a n d o il Duca Vincenzo vi rimise p i e d e n o n trovò che mas < cerie. Dei vecchi tesori, t a n t o g e l o s a m e n t e conservati, nepj^ p u r e l'ombra; gli archivi svaligiati, la reggia ridotta a un bg; vacco. Vincenzo n o n sapeva dove t r o v a r e i fondi p e r rico>> struire il Ducato. A n c h e la famiglia gli diede un mucchio-d|/ grattacapi. Il cugino di Mantova, il folle F e r d i n a n d o Carlt^r» n o n a v e n d o eredi, minacciò d'avvelenargli i figli, p e r paur#; che costoro lo spodestassero. Vincenzo, terrorizzato, li tefl¥| ne rinchiusi g i o r n o e notte in un castello, g u a r d a t i a vista dft; «gorilla» a r m a t i fino ai d e n t i . La m o r t e lo liberò da q u e c incubi. Il figlio A n t o n i o F e r d i n a n d o , che ne p r e s e il post e r a un bifolco, rozzo, i g n o r a n t e , sciancato. L'unica sua occ 642
pazione e preoccupazione e r a la caccia, che lo p o r t ò p r e m a t u r a m e n t e alla tomba: r i e n t r a n d o u n a sera d a u n a battuta, stanco e fradicio p e r la pioggia, t e m e n d o u n ' i n f r e d d a t u r a , si spogliò, si fece frizionare il c o r p o con l'alcol, s'avvicinò n u d o al camino e p r e s e fuoco. Morì d o p o tre giorni d'atroce agonia. Il fratello G i u s e p p e Maria, c h e gli successe, e r a un d e m e n t e , mezzo paralitico, p i e n o di tic e m a n i e , p e r un nonnulla scoppiava in lacrime, aveva u n a tale p a u r a d'esser assassinato che n o n uscì mai dalla sua stanza, d o v e la m o r t e lo g h e r m ì nel 1746. Il Ducato passò all'Austria, che ad Aquisgrana Io cedette a Parma. Si estinsero così i vetusti e gloriosi principati minori della Penisola, paralizzati dalla p r o p r i a impotenza, minati nei loro titolari dalla gotta, dalla tisi, dalla sifilide, vittime dell'ingordigia e del cinismo delle g r a n d i potenze.
i
CAPITOLO VENTITREESIMO IL C R E P U S C O L O DI GENOVA E LUCCA
Le Repubbliche minori, i m m u n i da crisi dinastiche e da beg h e di successione, e b b e r o u n ' a g o n i a p i ù lenta e m e n o torbida dei Principati. La Genova del Settecento era, dal p u n t o di vista politico, u n a larva di Stato. Nell'inquieto e mobile scacchiere italiano e r a s e m p r e stata u n a p e d i n a m i n o r e , aveva s e m p r e ricopert o u n r u o l o d i c o m p a r s a , aveva s e m p r e cercato d i m a n t e nersi n e u t r a l e , equidistante dai blocchi, gelosa del suo isolam e n t o . E t e r n o suo s p a u r a c c h i o era il P i e m o n t e , che da secoli anelava ad affacciarsi sul T i r r e n o e a fare di G e n o v a il p r o p r i o p o r t o n a t u r a l e . Esso i n c o m b e v a sulla S u p e r b a come u n a spada di Damocle. Infinite furono le g u e r r e e guerricciole fra i d u e Stati, alleati o r a della Francia, o r a della Spagna, o r a dell'Austria. L'incendio che d i v a m p ò in E u r o p a alla m o r t e dell'imper a t o r e C a r l o VI vide la R e p u b b l i c a a fianco della Francia p e r c h é il P i e m o n t e e r a schierato con l'Austria. Era l'estate 1746. Gli eserciti asburgici, sfondate le linee n e m i c h e , dilag a r o n o in Liguria. Il 4 settembre o c c u p a r o n o S a m p i e r d a r e na. I capi della Repubblica, colti di sorpresa, c o m u n i c a r o n o al generale austriaco Brown di dovere, loro malgrado, p r e n d e r e le a r m i c o n t r o V i e n n a p e r «ragioni impellenti di difesa». B r o w n fece orecchio da m e r c a n t e e così il suo successore, Botta A d o r n o , figlio d ' u n patrizio genovese espulso dalla Repubblica p e r motivi politici, che n o n vedeva l'ora di v e n d i c a r e il p a d r e . C h i e s e la resa senza c o n d i z i o n i della città, la c o n s e g n a della g u a r n i g i o n e , u n a taglia di cinquantamila «genovine», sei senatori in ostaggio e un pellegrinag644
gio d ' e s p i a z i o n e d e l D o g e e degli altri s e n a t o r i a V i e n n a . Non contento, rincarò la dose: pretese u n a indennità di g u e r r a di t r e milioni da p a g a r e in t r e r a t e , la p r i m a e n t r o d u e giorni, la seconda e n t r o otto, la terza e n t r o quindici. La Signoria t r o v ò la s o m m a e s o r b i t a n t e e chiese u n o s c o n t o . Botta A d o r n o n o n solo glielo rifiutò, m a r e c l a m ò u n altro milione. La p o p o l a z i o n e era inviperita, ma il g e n e r a l e n o n mollò, sguinzagliò le soldatesche al saccheggio e alla violenza, o r d i n ò il sequestro di tutte le a r m i e munizioni custodite nei depositi cittadini. L'atmosfera si fece tesa. Il g o v e r n o perse la testa e il controllo della situazione. S c o p p i a r o n o i primi i n c i d e n t i . Il 5 d i c e m b r e , un m o r t a i o a u s t r i a c o sprofondò nella mota. Per smuoverlo, i soldati chiesero aiuto ai passanti, ma questi n o n si s c o m p o s e r o . I m p r o v v i s a mente, nell'aria volò un sasso, lanciato da u n o scugnizzo, il celebre Balilla. Fu il segnale della rivolta, che d u r ò tre giorni. «Il Botta ha la testa d u r a - disse un patrizio -, ma il p o polo l'ha più d u r a di lui». Il 9 si giunse a un armistizio. Gli austriaci chiesero rinforzi, i genovesi profittarono della tregua p e r a r m a r s i meglio. Il g o v e r n o rifornì sottobanco i ribelli d ' a r m i e munizioni, ma n o n osò p r e n d e r e posizione. Il Botta, n o n v e d e n d o g i u n g e r e i soccorsi, decise di levare le tende e ripiegare su Novi. Il giorno stesso, un garzone d'osteria, eletto capo-popolo, riconsegnò con aria sprezzante al Doge le chiavi della città. Fu un d u r o colpo p e r il r e g i m e , che n o n avrebbe p o t u t o dar p r o v a p i ù convincente della p r o p r i a debolezza e pusillanimità. Per u n m o m e n t o s e m b r ò che i l p o t e r e passasse nelle m a n i dei rivoltosi che costituirono un p r o p r i o quartiere generale e un p r o p r i o g o v e r n o , che fece p r a t i c a m e n t e le veci di quello regolare. Ma il r i m e d i o , c o m e spesso succede m simili frangenti, si rivelò peggiore del male. I capi dell'insurrezione e r a n o degli arruffoni fanatici e d e m a g o g h i , con Poche idee, ma confuse. E infatti, passata la bufera, il patriziato riprese in p u g n o la situazione. La rivolta, se n o n rovesciò il r e g i m e p e r la totale m a n 645
canza negli insorti d ' u n disegno politico, d i m o s t r ò in m o d o l a m p a n t e l'inerzia, l'ignavia e la c o d a r d i a della classe dirigente, cioè del patriziato che qui, c o m e a Venezia, deteneva tutte le leve del p o t e r e . Nobili e r a n o i q u a t t r o c e n t o m e m b r i del Consiglio Maggiore, nobili i cento di quello Minore, nobili i centoventi Padri, fra cui si sceglievano i dodici senatori, gli otto p r o c u r a t o r i della Repubblica e il Doge. Q u e s t o patriziato n o n solo monopolizzava la politica, ma a n c h e la ricchezza. Q u e l l a degli Spinola, dei D u r a z z o , dei Grimaldi, dei Brignole, dei Pallavicino, dei S e r r a uguagliava quella di tutte le altre famiglie messe insieme. Le banche p i ù p o t e n t i , le flotte p i ù n u m e r o s e , i c a n t i e r i p i ù attivi, le r a p p r e s e n t a n z e p i ù r e d d i t i z i e e r a n o nelle loro m a n i . Nel C i n q u e e Seicento, i nobili genovesi a v e v a n o investito ingenti capitali in S p a g n a e nelle colonie iberiche d'America e d'Italia, partecipato allo sfruttamento dei g r a n d i giacimenti m i n e r a r i del N u o v o M o n d o , acquistato fondi nel Milanese, nel N a p o l e t a n o , in Sicilia, inserendosi così nel giro finanziario internazionale. Q u a n d o , sullo scorcio del X V I I secolo e agli albori del X V I I I , la p o t e n z a spagnola cominciò a declin a r e , il g r a n d e capitale genovese prese le vie della Francia, dell'Olanda, dell'Inghilterra, Paesi in piena ascesa economica e aperti alle speculazioni più ardite. La riforma costituzionale del 1576 che aveva abolito, sulla carta, ogni distinzione fra vecchi e n u o v i patrizi, era pur a m e n t e platonica. Solo i nobili iscritti all'antico Libro d'oro f o r m a v a n o l'oligarchia finanziaria e facevano il b u o n o e il cattivo t e m p o . Dalle loro file uscivano i Dogi. Le elezioni alla s u p r e m a carica dello Stato si vincevano col d e n a r o . Le probabilità di successo e r a n o d i r e t t a m e n t e p r o p o r z i o n a l i ai capitali investiti. L'Avoli, n i p o t e d ' u n ricchissimo banchiere, c o m p r ò sessanta voti a q u a r a n t a rusponi l ' u n o . Il r a n g o dogale c o m p o r t a v a ingenti spese di rapp r e s e n t a n z a , che solo i nobili p i ù facoltosi, i cosiddetti Magnifici, p o t e v a n o p e r m e t t e r s i . Raffaele De F e r r a r i festeggio la p r o p r i a elezione facendo i m b a n d i r e u n o storione lungo 646
dieci palmi, che aveva p a g a t o quindici r u b b i . Giovambattista C a m b i a s o sborsò p e r un solo b a n c h e t t o 4 8 3 . 1 1 2 lire. N o n tutti i Dogi e r a n o , n a t u r a l m e n t e , così p r o d i g h i . Pier Francesco G r i m a l d i , d a b u o n g e n o v e s e , r i d u s s e gl'invitati da trecento a diciannove e invece dei tradizionali c i n q u a n t a colpi di c a n n o n e , c h e gli s p e t t a v a n o , ne fece s p a r a r e solo trenta. Allergico agli sprechi era anche M a r c a n t o n i o Gentile, n o t o i e t t a t o r e . I l g i o r n o della sua elezione s c o p p i ò u n violento t e m p o r a l e , un fulmine e n t r ò nel salone del t r o n o , e un m u r o crollò t r a v o l g e n d o e u c c i d e n d o venti p e r s o n e , fra cui t r e m o n a c h e . D u r a n t e l'inverno u n a terribile gelata fece strage di quasi tutti gli uliveti e a g r u m e t i della Liguria, a r r e c a n d o un d a n n o di dieci milioni di lire. I sudditi, q u a n do l'incontravano, toccavano ferro, ma lo rispettavano perché amava la cultura e proteggeva le arti. Fu il p r i m o Doge che visitò l'Università, arricchì la biblioteca cittadina, incrementò l'orto botanico. Al prestigio m o r a l e e sociale di cui i Dogi g o d e v a n o n o n corrispondeva un effettivo p o t e r e politico. Stavano in carica due a n n i soli ed e r a n o sottoposti al rigidissimo controllo del Senato. Il c a p o della R e p u b b l i c a e r a p r i g i o n i e r o dei suoi elettori, che ne spiavano ogni mossa. Senza la loro autorizzazione, n o n p o t e v a n e m m e n o uscire dal palazzo d u c a l e . Seguitava ad essere un sorvegliato speciale a n c h e q u a n d o , allo spirare del m a n d a t o , ritornava un privato cittadino. C'è da chiedersi p e r c h é ì patrizi b r i g a s s e r o t a n t o p e r o t t e n e r e una carica che li privava c o m p l e t a m e n t e della libertà. Forse erano le insegne esteriori di questo p o t e r e senza f o n d a m e n to, fittizio e di p a r a t a ad a l i m e n t a r e le l o r o aspirazioni. Il Doge simboleggiava la Repubblica, la sua p e r s o n a e r a sacra, il fasto di cui si c i r c o n d a v a e r a d e g n o d ' u n basileus o d ' u n mogol, ogni suo gesto era ispirato a u n a precisa liturgia, ogni parola che usciva dalla sua bocca aveva un afflato s o p r a n n a turale, le cerimonie cui partecipava e r a n o regolate da u n ' e tichetta p u n t i g l i o s a , r e t a g g i o della passata influenza spagnola. 647
Nessuno era quindi in g r a d o di bilanciare o contrastare lo s t r a p o t e r e dei Magnìfici, cioè di quelle dieci-quindici famiglie, che detenevano le leve e le m a n o v r a v a n o a p r o p r i o uso, a b u s o e c o n s u m o . Il clero qui n o n contava g r a n che, o com u n q u e contava m e n o di quel che avrebbe voluto. I r a p p o r ti fra Stato e Chiesa e r a n o ambigui, contraddittori, piuttosto tesi. Q u a n d o , nel 1750, il vescovo Lercari, p r e n d e n d o possesso della sua diocesi, osò c h i a m a r e i genovesi «miei fedeli sudditi» scoppiò il f i n i m o n d o e p e r p o c o l'incauto p r e s u l e n o n ci rimise il p o s t o e la pelle. Sudditi, i genovesi, n o n li chiamava n e m m e n o il Senato che nei proclami li n o m i n a v a con un pizzico, anzi un pizzicone di demagogia, «fedeli amati popoli». Q u a n d o , nel 1760, p a p a Clemente X I I I , su richiesta del clero corso, spedì nell'isola un Nunzio p e r far valere le ragioni della Chiesa in u n a controversia scoppiata con la Repubblica, il Senato prese il gesto come un affronto personale e p r o m i s e seicento scudi a chi catturava, vivo o m o r t o , l'inviato pontificio. Clemente minacciò la scomunica e Genova si rimangiò la taglia. La Repubblica n o n ammetteva ingerenze spirituali in questioni temporali. Si limitava a tutelare la religione, a d i f e n d e r n e le prerogative s o p r a n n a t u r a l i e a g a r a n t i r n e l'ortodossia. C o m m i n a v a venticinque lire genovine d ' a m m e n d a ai b e s t e m m i a t o r i , sottoponeva eretici e giudei a u n a vera e p r o p r i a «caccia alle streghe», b a n d i v a crociate p e r convertirli al cattolicesimo, tollerava che si rapissero bambini ebrei e si battezzassero senza il consenso dei genitori. I m p o n e v a agli ebrei u n a tassa speciale di cinque scudi d'argento, li obbligava a p o r t a r e un cappello giallo p e r farsi riconoscere e a sorbirsi a l m e n o un s e r m o n e l'anno. Analogo t r a t t a m e n t o riservava ai protestanti. Q u a n d o l'ambasciatore olandese, luterano, costretto a partire da Genova con la moglie, affidò la figlioletta di quattro a n n i ad alcuni amici cattolici, questi la fecero subito battezzare. Q u a n d o i genitori torn a r o n o e chiesero la restituzione della figlia, gli amici rifiutar o n o di consegnargliela p e r c h é la loro fede l u t e r a n a avrebbe p o t u t o contaminarla e favorirne la d a n n a z i o n e . 648
Le processioni e r a n o all'ordine del giorno, le chiese erano affollate, le candele si v e n d e v a n o a quintali, Te Deum, novene, tridui si sprecavano. I predicatori facevano affari d'oro. Quelli stranieri a n d a v a n o a ruba. I compensi che ricevevano facevano invidia ad artisti e sciantose di grido. Un quaresimale r e n d e v a settecento lire in c o n t a n t i , più c e n t o lire di cioccolato e d u e rocchette. La m o r a l e del clero, specialm e n t e di quello regolare, lasciava molto a desiderare. I conventi e r a n o luoghi di piacere e di perdizione più che di p r e g h i e r a e di r a c c o g l i m e n t o , celle e confessionali v e n i v a n o spesso adibiti ad alcove. Monaci e preti frequentavano osterie, case da gioco, bordelli, sale da ballo. I vari o r d i n i si detestavano e si facevano la g u e r r a . I Cappuccini o d i a v a n o i Francescani, i C a r m e l i t a n i g u a r d a v a n o in cagnesco i Gesuiti, che g o d e v a n o di alte protezioni e dis p o n e v a n o di g r a n d i ricchezze. Gesuiti e r a n o gli e d u c a t o r i dei «figli di papà», Gesuiti e r a n o i consiglieri più ascoltati di mercanti e banchieri, q u a n d o non erano mercanti e banchieri essi stessi. A loro e r a n o affidate le p i ù delicate missioni e c o n o m i c h e all'estero, il c o n t r a b b a n d o di valuta, le speculazioni finanziarie più rischiose. L a R e p u b b l i c a , p u r n o n a m m e t t e n d o i n g e r e n z e della Chiesa ufficiale negli affari di Stato, chiudeva un occhio su molti privilegi del clero, di cui il più scandaloso e r a il diritto d'asilo. Le chiese e r a n o ricetto q u o t i d i a n o di ladri, scippatori, tagliaborse, omicidi, disertori, c o n t r a b b a n d i e r i , ruffiani. Per dieci a n n i un c e r t o S e r r o n e t t o d e r u b ò i cittadini c h e passavano davanti alla chiesa di San L o r e n z o e, p r i m a che gli sbirri l'acciuffassero, t o r n a v a a rifugiarsi nel t e m p i o d o ve, fra un avemaria e un p a d r e n o s t r o , le prostitute adescavano i fedeli. La polizia e r a c o r r o t t a e i m p o t e n t e . Per c a t t u r a r e u n a b a n d a di ventitré furfanti che ne c o m b i n a v a n o di tutti i colori g i u n g e n d o p e r s i n o a r u b a r e «la scuffia alle d a m e c h e vanno a messa e i fazzoletti in scarsella», il Senato accettò la proposta d ' u n frate che, p e r settecentocinquanta lire, s'offrì 649
d ' i m b a n d i r e ai malfattori un b a n c h e t t o a base d'arsenico. 11 p i a n o naufragò p e r c h é alcuni teologi t r o v a r o n o - b o n t à loro - che la p e n a era s p r o p o r z i o n a t a al delitto. La giustizia n o n funzionava meglio della polizia: lenta, a r r e t r a t a , farraginosa. Adottava d u e pesi e d u e misure. C o m m i n a v a p e n e s e v e r i s s i m e ai n u l l a t e n e n t i e c h i u d e v a un occhio sulle m a r a c h e l l e dei ricchi, i quali p o t e v a n o p e r sino p o r t a r s i le a m a n t i in cella. Il c o n d a n n a t o f o r n i t o di mezzi aveva il diritto di farsi giustiziare in privato, ma n o n poteva evitare che le sue frattaglie fossero esposte in p u b blico. La p e n a capitale veniva di solito inflitta col capestro e la m a n n a i a . U n a b u o n a forca costava venti lire, un boia e s p e r t o g u a d a g n a v a d u e m i l a q u a t t r o c e n t o lire l ' a n n o . Fra i supplizi m i n o r i , quello più in voga e r a la g o g n a , le cui spese d'allestimento n o n s u p e r a v a n o le c i n q u e lire. E r a riservata ai m e r c a n t i disonesti, ai sofìsticatori, ai «pappagalli» t r o p p o i n t r a p r e n d e n t i , agli adescatori e alle adescatrici di passanti. La prostituzione era diffusa in a m b o i sessi. U n a baldracca d'alto b o r d o , al c u l m i n e della c a r r i e r a , p r e t e n d e v a d u e ghinee, la cena e la camera. Il meretricio e r a t a l m e n t e redditizio che un nobile trasformò u n a galea, ancorata alla darsena, in un l u p a n a r e che faceva soldi a palate. Un senatore p a r a g o n ò Genova a Babilonia, il che n o n gl'impediva d'essere u n o dei clienti più assidui del n a t a n t e . Lo sport più in voga era quello del pallone, praticato da tutti, patrizi e popolani. Era un avvenimento cittadino, L'intera p o p o l a z i o n e lo seguiva, faceva il tifo, scommetteva su q u e s t a o quella s q u a d r a , di q u e s t o o q u e l q u a r t i e r e . Alle partite assisteva a n c h e il Doge dall'alto della t r i b u n a d'onore. U n a sedia costava dieci soldi, un palco t r e n t a lire. Altra passione, il ballo. Si d a n z a v a p e r le strade, nelle piazze, sul m o l o , sul sagrato delle chiese, nelle ville, nei palazzi, nelle taverne. I teatri n o n r i c h i a m a v a n o g r a n d i folle. Ce n ' e r a n o solo d u e , il Falcone e il S a n t ' A g o s t i n o . Il Delle V i g n e e r a u n a 650
specie d ' a v a n s p e t t a c o l o d'infimo o r d i n e , f r e q u e n t a t o d a gente della peggior risma. In d u e a n n i il Falcone diede solo tredici r a p p r e s e n t a z i o n i di basso livello artistico. A teatri venivano adibiti a n c h e gli ospedali. Per far posto al palcoscenico si spostavano senza tanti complimenti i letti dei malati. Fra un atto e l'altro, si faceva c o n t r a b b a n d o di vino, sigari, cosmetici, p a r r u c c h e , collane, orologi. I palchi servivano da bische: si giocava all'oca, a biribis, u n a specie di trente et quarante, alla cavagnola, u n a specie di tombola. Le poste e r a n o alte e inghiottivano interi p a t r i m o n i . Il Senato e m a n a v a severi editti c o n t r o il gioco d'azzardo, che a n d a v a n o regolarmente elusi. La vita culturale era a r i d a e svogliata. L'accademia degli Annuvolati e quella Ligustica di belle arti, sovvenzionata da Paolo G e r o l a m o G r i m a l d i , e r a n o stitiche e statiche. L'università, p r i v a di fondi e di b u o n i i n s e g n a n t i , vivacchiava. Aveva sei c a t t e d r e . La p i ù affollata e r a quella di m e d i c i n a . Un professore g u a d a g n a v a seicento lire l'anno, u n o studente ne p a g a v a dodici p e r otto mesi di lezioni. I corsi di farmacia d u r a v a n o sette a n n i , u n e s a m e otto giorni. U n laureato in farmacia, p e r o t t e n e r e la licenza, doveva fare l'apprendista p e r venticinque a n n i . Abbastanza fiorente era invece l'arte, che s'ispirava ancora a quella barocca del secolo p r e c e d e n t e . La sua i m p r o n t a era spagnolesca, c o m e spagnolesco era il gusto dei committenti. I genovesi investivano in q u a d r i , sculture, arazzi i capitali che n o n d e p o s i t a v a n o nelle b a n c h e . L e o p e r e d ' a r t e erano la loro unica ostentazione di ricchezza. Nel complesso, anche p e r la Repubblica di San Giorgio, c o m e p e r quella di San Marco, il Settecento fu un secolo di d e c a d e n z a sociale politica, economica, ma soprattutto morale. Più patetico e dignitoso il declino di Lucca, la m i n i - R e p u b blica dell'Italia c e n t r a l e . La classe d i r i g e n t e n o n aveva p i ù la grinta, l'energia, lo spirito d ' i n t r a p r e s a d ' u n t e m p o p e r ché gli u o m i n i migliori e r a n o e m i g r a t i all'estero, special651
m e n t e nei Paesi protestanti. Il Libro d'oro era diventato un lib r i c c i n o con p o c h i n o m i : le famiglie che c o n t a v a n o e r a n o u n a n o v a n t i n a s u u n a p o p o l a z i o n e d i c e n t o v e n t i m i l a abitanti. Il p o t e r e n o n era più i n t e r a m e n t e nelle loro mani. Per sopravvivere e rimpolparsi, la vecchia oligarchia d o m i n a n t e aveva d o v u t o infatti «aprire» alla b o r g h e s i a capitalistica in ascesa. I nobili p o t e v a n o sposare d o n n e di r a n g o inferiore p u r c h é queste portassero in dote almeno cinquantamila scudi. L'aristocrazia del d e n a r o si giustapponeva e, in taluni casi, si s o v r a p p o n e v a a quella del blasone. A n c h e l'abolizione del discolato fu un s e g n o d e i t e m p i nuovi. Per secoli questo istituto era stato u n a specie di tribunale dell'Inquisizione del patriziato. Le g r a n d i casate degli Arnolfini, dei Guinigi, dei Boccella, dei Lucchesini se n'erano servite p e r sventare colpi di Stato e tentativi d'eversione. La sua s o p p r e s s i o n e fu l'indizio e l'inizio d ' u n a evoluzione sociale che n o n tollerava più il privilegio di casta. A n c h e se n o n e r a a n c o r a d e m o c r a z i a , il suo r e g i m e n o n e r a p i ù oligarchia. Data la m o d e s t a estensione del suo t e r r i t o r i o e la m a n canza d ' u n a p p a r a t o militare, Lucca n o n aveva m a i avuto g r a n peso politico. Ma contava molto in c a m p o economico, ed e r a p r o p r i o qui che la crisi l'investì. Il g o v e r n o arrivava in ritardo, le sue provvidenze e r a n o insufficienti, gl'incentivi n o n incentivavano, i c o m m e r c i si rarefacevano. Anche l'agricoltura, g r a n d e risorsa del Paese, aveva vita g r a m a e costava più di quel che rendesse. La seta lucchese n o n la voleva nessuno: quella inglese e francese e r a di qualità migliore e più a b u o n mercato. Nel 1713 c'erano t r e n t a d u e fabbriche di seta; nel 1767 e r a n o ridotte a quindici. C o m e se n o n bastasse, i tradizionali mercati di sbocco di questo p r o d o t t o Prussia e Austria - ne vietavano l'importazione. Il g o v e r n o si faceva in q u a t t r o p e r p r o c u r a r s i nuovi clienti in Spagna, Turchia, America, ma le spese di trasporto scoraggiavano le esportazioni. Anche l'industria del cuoio e della lana era in sfacelo. I fallimenti e r a n o a l l ' o r d i n e del g i o r n o . Lo Stato 652
cercava di salvare il salvabile, ma riusciva a stento a salvare se stesso. C'era poi la piaga della m a n o m o r t a , delle i m m u nità e dei benefici ecclesiastici. Il clero possedeva venti milioni di beni immobili. La Repubblica metteva l'embargo su ulteriori acquisizioni. Di qui, conflitti a n o n finire con R o m a e c o n t i n u e minacce di scomunica. Lucca e r a u n a piccola m e t r o p o l i , c o m p a s s a t a , o p e r o s a , civile. A l l ' a v a n g u a r d i a in c a m p o sanitario, e r a un m o d e l l o d'igiene pubblica. Fu tra le p r i m e nel 1699, a i n t r o d u r r e la vaccinazione antivaiolosa, a c u r a r e la tubercolosi. Gl'indici di contagio e mortalità e r a n o qui p i ù bassi che altrove. Gli ospedali e r a n o m o d e r n i e attrezzati. N o n m a n c a v a n o gli enti assistenziali. Bianca Maria Buonvisi, e r e d e d ' u n a delle maggiori f o r t u n e cittadine, ne fondò u n o di g r a n d i d i m e n sioni e lo dotò di ventimila scudi di rendita. Il fatto e r a che Lucca risentiva di quegli influssi p r o t e stanti c h e , fin d a l C i n q u e c e n t o , ne a v e v a n o fatto il c e n t r o r i f o r m a t o r e p i ù attivo e c o m b a t t i v o d'Italia. P u r t r o p p o i suoi migliori e s p o n e n t i se n ' e r a n o andati, avevano «scelto la libertà» in Svizzera, nei Paesi Bassi, nelle colonie p u r i t a n e d'America. Ma u n a certa t e m p e r i e spirituale, u n a certa etica, un certo i m p e g n o civile sopravvivevano. La nobiltà e r a integra e laboriosa e n o n faceva sfoggio di ricchezze. I diplomatici che uscivano dal suo seno ostentavano i p r o p r i titoli solo q u a n d o e r a n o in missione all'estero. A n c h e il clero più evoluto e r a m e n o i g n o r a n t e e , s o p r a t t u t t o , m e n o p r e potente che altrove. C'erano, n a t u r a l m e n t e , a n c h e qui preti galanti e m o n a c h e compiacenti ma, nel complesso, si respirava un'aria sana. La c u l t u r a e r a t e n u t a in g r a n c o n t o . La città aveva tre teatri, ma n o n c'era famiglia d ' u n certo r a n g o e d ' u n certo n o m e che n o n avesse il suo piccolo palcoscenico privato. Più che c o m m e d i e e d r a m m i vi si d a v a n o o p e r e e concerti. La musica sinfonica aveva molti fans. Mancavano poeti, letterati, filosofi di g r i d o , ma in c o m p e n s o n o n s'assisteva a quelle sterili e ridicole tenzoni accademiche che affliggevano il re653
sto d'Italia. C ' e r a n o valenti eruditi, dotti latinisti, scienziati di vaglia, pittori di talento. Ma questo fervore n o n scongiurò la fine della Repubblica. Ne p r o l u n g ò solo l'agonia. U n ' a g o n i a c o m p o s t a e sommessa.
PARTE TERZA CULTURA E COSTUME
CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO I GIORNALISTI
Nella s o n n a c c h i o s a c u l t u r a italiana del Settecento, l'unico fatto v e r a m e n t e n u o v o e r i v o l u z i o n a r i o è il g i o r n a l i s m o . Non tanto p e r il c o n t r i b u t o di p e n s i e r o che vi p o r t ò , e che non aveva nulla di originale, q u a n t o p e r la r o t t u r a che p r o vocò nelle sue s t r u t t u r e . In cosa queste consistessero, abbiamo già c e r c a t o di s p i e g a r l o ne LTtalia del Seicento. Ma n o n sarà s u p e r f l u o ricapitolarlo p e r c h é n e l loro i m p i a n t o è la radice di tutte le malformazioni che tuttora affliggono il n o stro Paese. T r a d o t t a sul p i a n o culturale, la C o n t r o r i f o r m a aveva significato la r e s t a u r a z i o n e della verità rivelata. Rivelata dall'alto, cioè dalla Chiesa, la quale n o n a m m e t t e v a che il fedele n e m m e n o si avvicinasse ai Sacri Testi. Solo il p r e t e e r a qualificato a leggerli: il fedele d o v e v a stare alla sua i n t e r pretazione. E facile capire cosa ne derivò: un ferreo controllo sull'istruzione, tutta ed esclusivamente in m a n o al clero, in m o d o c h e ad essa venissero avviati solo il p e r s o n a l e di Chiesa e quello s t r e t t a m e n t e necessario all'esercizio del p o tere politico, alla Chiesa i n t i m a m e n t e legato. Ecco c o m e si f o r m a r o n o i circuiti chiusi della cultura. Essa n o n aveva contatti col p u b b l i c o p e r c h é il p u b b l i c o n o n c'era. C'era soltanto il «gregge» con cui n o n si poteva stabilir e u n colloquio p e r m a n c a n z a del suo f o n d a m e n t a l e strumento: l'alfabeto. Lo scrittore, n o n t r o v a n d o in questa massa amorfa dei lettori, la ignorava e ne era a sua volta ignorato. Così si e r a verificato il più catastrofico di tutti i fenomeni, di cui a n c o r a oggi si p a g a n o le c o n s e g u e n z e e si conservano i vizi: il divorzio della cultura dalla società. 657
Mancandogli u n a clientela in g r a d o di c o n s u m a r n e i prodotti, era fatale che l'intellettuale cadesse nelle m a n i del potere, n o n i m p o r t a se laico od ecclesiastico visto c h ' e r a n o legati a d o p p i o filo. Chi, se n o n il p o t e n t e , gli avrebbe dato il mezzo di scrivere libri e di pubblicarli? E a quale udienza poteva aspirare oltre quella dei suoi pari, esigua m i n o r a n z a isolata nell'oceano dell'analfabetismo? Ecco p e r c h é e r a n o nati i salotti e le accademie. E r a n o i p u n t i d ' i n c o n t r o e di ritrovo di questi orfani che nella loro solitudine avevano smarrito ò p e r meglio dire n o n avevano mai acquistato il senso dell'unica missione che un intellettuale p u ò assegnarsi: quella di direttore della coscienza p o p o l a r e . N o n ne possedevano nemm e n o il linguaggio p e r c h é q u a n d o la cultura si trasforma in u n a massoneria d'iniziati, perfino il vocabolario si c o r r o m p e . E basta scorrerne gli scampoli p e r r e n d e r s e n e conto. Mentre in Francia si scrive il francese di Voltaire e di Diderot e in Inghilterra l'inglese di Swift e di H u m e , u n i c a m e n t e tesi a conquistare il c u o r e e il cervello del pubblico, e q u i n d i schietti, i m m e d i a t i e senza fronzoli, in Italia si scrive l'italiano degli Arcadi, a c c a d e m i c o , l a t i n e g g i a n t e , devitaminizzato, senza p i ù quegli a p p o r t i p o p o l a r e s c h i che r e n d o n o viva u n a lingua, rancido di piaggerie p e r c h é s e m p r e rivolto al potente, e q u i n d i convenzionale e retorico: un italiano bizantino fatto p e r dibattere problemi bizantini, che n o n h a n n o nulla a che fare con quelli che interessano la società. * In questa c u l t u r a di s e r r a senza più alcun l e g a m e con la realtà, il giornalismo r a p p r e s e n t ò u n a ventata d'aria fresca c h e ne m e t t e v a in s u b b u g l i o le t a r m e . Il g i o r n a l e vive di pubblico, e q u i n d i d e v e accoglierne la voce, le curiosità, le ansie. Chi lo scrive deve mescolarsi con esso, a d o t t a r e la sua lingua, s c e n d e r e p e r le strade: o p e r a z i o n e difficile, p e r un intellettuale c o m e quello italiano cresciuto in s e r r a e abituato all'«aula». Ma il giornalismo ve l'obbligava. Di giornali, in Italia ce n ' e r a n o già. Datavano dal Cinquecento. Ma n o n e r a n o giornali. E r a n o - e infatti anche si chiama»658
vano - avvisi. Il p i ù antico e n o t o e r a quello di Venezia, e si capisce perché. Anzitutto, essa era stata la capitale dell'editoria col suo g r a n d e Manuzio, e ne conservava le attrezzature, poi, e r a u n g r a n d e p o r t o m e r c a n t i l e d o v e s i s c a m b i a v a n o d e r r a t e di ogni g e n e r e , di cui t u t u e r a n o interessati a conoscere disponibilità, prezzi eccetera. Infine, molti suoi uomini erano imbarcati, e le famiglie stavano in ansia p e r la loro sorte. HAvviso recava l ' a n n u n c i o dei carichi in a r r i v o , il corso dei cambi, il listino dei prezzi, n o n c h é le notizie raccolte nel porto sugli a v v e n i m e n t i d ' o l t r e m a r e . Si c h i a m a v a n o a n c h e gazzette p e r c h é costavano una gazeta, m o n e t i n a di pochi centesimi, e la loro pubblicazione e r a saltuaria. Ma col giornale vero e p r o p r i o c o m e noi lo concepiamo - o r g a n o n o n soltanto d'informazione, ma anche di opinione -, non avevano nulla a che fare. Questo n a c q u e nel Seicento, ma n o n in Italia dove m a n cavano le sue d u e fondamentali condizioni: la libertà di scrivere e un pubblico in g r a d o di leggere. Nacque, c o m ' e r a logico, in O l a n d a , in Francia, in Inghilterra, e p e r imporsi d o vette faticare n o n poco. N o n è compito nostro ricapitolarne le tribolate vicende. Ma quelle dei giornali inglesi m e r i t a n o un piccolo c e n n o p e r c h é le resistenze che i n c o n t r a r o n o da parte dell'ordine costituito d a n n o l'esatta m i s u r a dello sconvolgimento che provocavano. Il g o v e r n o inglese n o n poteva né s o p p r i m e r e né c e n s u r a r e la Review di Defoe, né YExaminer di Swift p e r c h é la C o s t i t u z i o n e g a r a n t i v a la l i b e r t à di pensiero e di espressione. Ma e r a a t t e r r i t o dalle l o r o critiche. Per m e t t e r s e n e al r i p a r o , d a p p r i m a cercò d'intimidire i r e d a t t o r i i n c r i m i n a n d o l i di c a l u n n i a e di v i l i p e n d i o , ma i tribunali si rifiutarono di c o n d a n n a r l i . Poi, a c c e n n a r o n o a voler r e s t a u r a r e la c e n s u r a ma si profilò il pericolo di u n a rivolta p o p o l a r e . Allora ricorse al mezzo più subdolo: i m p o se ai giornali tali tasse da obbligarli a c h i e d e r e sussidi c h e d i v e n t a v a n o a r m i d i ricatto. M a n e m m e n o q u e s t o obliquo rimedio servì. I giornali che rifiutavano l'asservimento fallirono. Ma da o g n u n o di essi ne nascevano altri d u e , che d u 659
r a v a n o q u a n t o bastava p e r d e n u n c i a r e questi m e t o d i corr u t t o r i finché riuscirono a metterli fuori legge. In q u e s t a battaglia si colsero sul vivo gli effetti della Riforma. F a c e n d o obbligo ai suoi fedeli di l e g g e r e i Sacri Testi, essa li aveva costretti ad a n d a r e a scuola. E la scuola aveva formato un pubblico di lettori che o r a dava all'intellettuale la forza di ribellarsi al p o t e r e . Egli e r a i n d i p e n d e n t e in q u a n t o d i p e n d e v a solo dal pubblico. Il pubblico gl'impon e v a di p a r l a r e la p r o p r i a l i n g u a e d'interessarsi ai p r o p r i p r o b l e m i , cioè di restare in contatto con la realtà e di mettersi al servizio della società, ma in c o m p e n s o era p r o n t o a d i f e n d e r l o dalle sopraffazioni del p o t e r e . Così lo scrittore, da s t r u m e n t o del p o t e n t e , si e r a t r a s f o r m a t o in i n t e r p r e t e della pubblica o p i n i o n e . Era uscito dall'Accademia p e r scend e r e in piazza e nelle strade. Q u i trovò il suo v o c a b o l a r i o , ! suoi temi, e s o p r a t t u t t o la sua libertà. D o p o d u e secoli, la l e t t e r a t u r a inglese del Settecento è a n c o r a viva e m o d e r n a p e r c h é a farla f u r o n o i giornalisti: Swift, Defoe, A d d i s o n , Steele, J o h n s o n . In Italia, è ovvio, tutto questo n o n poteva avvenire: i lettori e r a n o u n ' e s i g u a m i n o r a n z a senza coscienza dei p r o p r i diritti e senza forza p e r rivendicarli, e la c e n s u r a , a n c h e là d o v ' e r a p a s s a t a dalle m a n i ecclesiastiche a q u e l l e laiche, puntigliosa e ottusa. Tuttavia, e sia p u r e con un secolo di rit a r d o , alcuni g i o r n a l i n a c q u e r o , d e i quali u n o t u t t o r a sopravvive: la Gazzetta dì Parma, il p i ù antico quotidiano italian o , fondato nel 1735, q u a n d o P a r m a e r a u n a capitale. M a p e r il m o m e n t o e r a anch'esso soltanto un Avviso. •Ì Il p r i m o giornale vero e p r o p r i o fu la Gazzetta veneta, che d e b u t t ò ai p r i m i del '60, e le cui vicende si c o n f o n d o n o con quelle del suo f o n d a t o r e e unico r e d a t t o r e , G a s p a r e Gozzi, che così enunciava il suo p r o g r a m m a nell'editoriale di apert u r a : «Il pubblico deve s p o n t a n e a m e n t e somministrarmi di che i m p i n g u a r l a (la Gazzetta), c o m e somministrava un tempo materia all'Addison, allo Swift, allo Steele e agli altri gazzettieri d i e t r o alle cui tracce, b e n c h é da l o n t a n o p e r la mia 660
poca sufficienza, i n t e n d o d i a n d a r e col t e m p o » . I n r e a l t à n o n si trattava di «poca sufficienza», ma di diverse condizioni. Gozzi sfruttò al meglio quelle sue. Ma Venezia n o n e r a l'Inghilterra, n o n godeva la libertà dell'Inghilterra, n o n disponeva di un vasto pubblico in g r a d o di leggere e di capire come quello inglese. Gozzi si avvicinava allora alla cinquantina, e quel giornale era la p r i m a seria i m p r e s a a cui s'accingeva. Figlio di famiglia nobile e p r i m o di u n a nidiata di undici fra maschi e femmine, aveva trascorso la vita a covare i suoi mali, alcuni veri, altri i m m a g i n a r i . Abulico e i p o c o n d r i a c o , n o n c ' e r a verso di s t a n a r l o dal letto p r i m a del p o m e r i g g i o i n o l t r a t o . N o n aveva fiducia nei medici, ma ne voleva s e m p r e qualcun o i n t o r n o . Diceva d i a m a r l a n a t u r a , m a n o n n e c o n o b b e mai altra che quella filtrata e a d d o m e s t i c a t a dai poeti dell'Arcadia. Aveva p a s s a t o il s u o t e m p o a l e g g e r e n o n t a n t o p e r a m o r e dei libri, q u a n t o p e r p a u r a della vita e degli u o mini. Usciva solo di sera in p a r r u c c a , codino e jabot p e r osservare la gente senza mescolarcisi. Solo pochi conoscevano il suo acuto spirito d'osservazione e il suo sottile u m o r i s m o p e r c h é con pochi parlava. Di senso pratico, ne aveva q u a n t o i l p a d r e J a c o p o che p e r negligenza stava lasciando a n d a r e in m a l o r a le sue belle fattorie del Friuli. Quello artistico lo aveva ereditato dalla m a d r e , u n a T i e p o l o cugina del g r a n d e p i t t o r e c h e in q u e l m o m e n t o t e n e v a b a n c o a Venezia. La malinconia, di cui l ' u m o r i s m o n o n e r a che la difesa e la rivincita, e r a la sua unica vera c o m p a g n a . Il fratello Carlo diceva di lui: «Tutte le voglie ebbe in c u o r e , si lusingò che fossero virtù, ma e s a m i n a n d o s i trovò che gli m o r i v a n o in corpo e ne rise». L'unica che n o n gli morì e di cui n o n rise fu quella p e r la bella Luisa Bergalli. Se ne i n n a m o r ò a tal p u n t o che, p e r vederla, p r e s e ad alzarsi p r i m a di mezzogiorno e, promossala «pastorella» col n o m e di I r m i n d a Partenide, c o m e usava fra i poeti dell'Arcadia fra i quali s'era i m b r a n c a t o p e r c h é a n che lei ne faceva p a r t e , la s o m m e r s e sotto un diluvio di rime 661
u n a più b r u t t a dell'altra, e alla fine la sposò. «Per u n a geniale a s t r a z i o n e poetica» disse C a r l o , ma c r e d i a m o c h e si sia sbagliato. Era u n a cotta bell'e b u o n a . Ma il misogino Carlo n o n poteva capirla. G a s p a r e aveva scelto, p e r m e t t e r su famiglia, il m o m e n t o m e n o propizio. Il patrimonio paterno era sprofondato in u n a v o r a g i n e di debiti. Per salvarne a l m e n o le briciole, sarebbe toccato a lui, c o m e p r i m o g e n i t o , a s s u m e r n e la gestion e . Ma n o n ne volle s a p e r e e p r e f e r ì ritirarsi con Luisa in c a m p a g n a . L'amante della n a t u r a trovò insopportabili il fango, le galline e la solitudine, e alla fine p r e s e in uggia anche la moglie che, sebbene già oberata di d u e figli, p e r m a n d a r e avanti la barca s'era messa a far la t r a d u t t r i c e dal francese. P o t e n d o farlo s t a n d o s e n e a letto, G a s p a r e d a p p r i m a cercò di d a r l e u n a m a n o , p o i si stufò e volle t o r n a r e a Venezia presso la m a d r e . Per u n a volta tanto suocera e n u o r a andar o n o d'accordo in tutto, a n c h e nel considerar lui un b u o n o a n u l l a e nell'affidare l ' i n t e r a a m m i n i s t r a z i o n e a Carlo, q u a n d o J a c o p o m o r ì . Fra gli e r e d i , n a c q u e r o subito le beg h e p e r la spartizione delle r e n d i t e , e i mobili e i q u a d r i di famiglia a n d a r o n o all'asta, c o m p r e s a la collezione dei Tiepolo. Per lavarsene le m a n i , G a s p a r e r i n u n z i ò alla p r o p r i a q u o t a in c a m b i o di un vitalizio di 1.500 d u c a t i a l l ' a n n o . Cercò di a r r o t o n d a r l i scrivendo poesie su o r d i n a z i o n e p e r nozze, m o r t i , l a u r e e e monacazioni, c o m e del resto facevano tutti i p o e t i del t e m p o , c o m e sono obbligati a fare tutti gli scrittori privi di pubblico. Era n a t u r a l m e n t e b r u t t a roba, e lo sapeva a n c h e lui. Ma bisognava vivere. « C o n s u m o l'ing e g n o a spiccioli» diceva r a s s e g n a t a m e n t e . Stufa di quel m a r i t o f a n n u l l o n e che seguitava a passare le sue g i o r n a t e a letto d i s i n t e r e s s a n d o s i di t u t t o , Luisa lo p e r s u a s e ad a s s u m e r e la g e s t i o n e del t e a t r o Sant'Angelo. G a s p a r e si limitò a fare ciò che n o n contrastava con la sua pigrizia: cioè la t r a d u z i o n e delle c o m m e d i e , e basta. Al resto d o v e t t e r o p r o v v e d e r e la moglie facendosi impresaria, regista e capocomica, e la m a d r e che impose la rimanipolazione 662
dei testi p e r i n t r o d u r v i b a t t u t e contro i suoi nemici. Il figlio Francesco scrisse più t a r d i che gli attori venivano reclutati fra le lavandaie e i barbieri del q u a r t i e r e , con quali risultati è facile i m m a g i n a r e . Q u a n d o , d o p o tre a n n i di fiaschi, sop r a v v e n n e il fallimento, casa Gozzi fu assediata d a i guitti che reclamavano le loro p a g h e . I n quel m o m e n t o , G a s p a r e era i m m e r s o i n u n a seconda luna di miele con la moglie di un professore di Padova, forse t r o v a n d o nella sua gaiezza un a n t i d o t o alla p r o p r i a m a linconia; p e r stare con lei aveva p r e s o un a p p a r t a m e n t i n o da scapolo, e ci r i m a s e fin q u a n d o n o n lo b u t t a r o n o fuori p e r c h é n o n p a g a v a l'affitto. Era e n t r a t o insieme al Baretti nell'Accademia dei Granelleschi, la solita palestra di discussioni e di «cicalate» p e d a n t e s c h e e oziose, p r e n d e n d o v i lo p s e u d o n i m o di Fecondo ( p r o p r i o lui!). L'editore Pasquali, che a n d a v a p u b b l i c a n d o c e r t e t r a d u z i o n i dal francese e si era accorto c h e quelle di m a g g i o r successo e r a n o le c o r r i spondenze, chiese un libro di lettere sia a lui che al Baretti. Questi, che fecondo era davvero, ne buttò giù a briglia sciolta. Gozzi si fece restituire quelle che aveva scritto agli amici e le consegnò senza n e a n c h e aggiornarle e correggerle. Il successo che riscossero lo stupì e lo fece riflettere. I suoi precedenti lavoretti, ricalcati sui modelli dell'Arcadia in un italiano artificioso e convenzionale, gli e r a n o costati u n a fatica d'inferno e n o n avevano trovato lettori. Ne trovavano invece queste lettere buttate giù alla brava, senz'altro i m p e g n o che la sincerità e l'immediatezza. C h e p r o p r i o di q u e s t o il pubblico fosse affamato? Per qualche altro a n n o tirò avanti come s e m p r e aveva fatto, m e t à giornata a letto p r e t e s t a n d o asma e s v e n i m e n t i p e r sottrarsi ai r i m b r o t t i della moglie, metà con l'amante, mai coi figli, e a s s u m e n d o imprese a cottimo: la c o m p i l a z i o n e di un catalogo della biblioteca di S. Marco e la gestione di un collegio, dove qualcuno dice ch'egli precorse i metodi della Montessori, p e r m e t t e n d o agli allievi di fare ciò che gli p a r e v a . Ma noi t e m i a m o che q u e s t o criterio p e d a g o g i c o derivasse soltanto dalla sua pigrizia e 663
m a n c a n z a d'autorità. Gozzi e r a b e n c o n t e n t o che gli allievi n o n gli chiedessero né il greco né il latino p e r c h é sapeva male sia l'uno che l'altro. T a n t e vero che l'Università di Padova gliene n e g ò la cattedra: aveva scoperto che le sue traduzioni da queste d u e lingue e r a n o ritradotte da quelle francesi. Nel '60, la g r a n d e decisione. Lo s t a m p a t o r e Marcuzzi gli offre di compilare la Gazzetta veneta, e G a s p a r e accetta. N o n vuole far n u l l a di r i v o l u z i o n a r i o . M a l g r a d o il r i c h i a m o al modello di Swift e Addison, il giornale nasce come un Avviso, cioè c o m e semplice notiziario di «tutto quello c h ' è da v e n d e r e , da c o m p r a r e , da darsi a fitto, le cose ricercate e le p e r d u t e , il p r e z z o delle merci, il valore dei cambi, ed altre notizie p a r t e dilettevoli e p a r t e utili al pubblico». Ma, sparpagliata in mezzo a questa cianfrusaglia, s'intrufolava la cronaca (fatti e fatterelli cittadini, tipi, figure, scenette): tutto raccontato dalla p e n n a del Gozzi nello stile bozzettistico delle lettere. Era un fascicolo di otto pagine, sia p u r e in piccolo f o r m a t o , e usciva d u e volte alla s e t t i m a n a . Per r i e m p i r l o , a n c h e se il grosso e r a accaparrato dalle materie di avviso, bisognava lavorare, cosa che al p i g r o Gozzi n o n e r a mai garbata. Ma p e r la p r i m a volta il lavoro n o n gli costava fatica, p e r c h é aveva trovato la sua vena. N o n facciamo, p e r carità, di Gozzi un g r a n d e . Il Settecento italiano n o n ha, salvo Vico, che dei «minori», e anche Gozzi lo era. Oltre il bozzetto n o n è mai a n d a t o . Ma in questa d i m e n s i o n e ha il suo r a n g o , e il giornale gli dava il destro di affermarlo. Senza il giornale, noi n o n conosceremmo il n o m e di Gozzi, cioè lo c o n o s c e r e m m o soltanto p e r suo fratello Carlo, di cui d i r e m o a p r o p o s i t o d e l G o l d o n i . E il giornale che lo rivela a n c h e a se stesso, offrendo al suo talento narrativo, p e r q u a n t o m o d e s t o , le occasioni della cronaca. Il l e t t o r e , c h i e d e n d o g l i la sincerità, l'immediatezza, l ' a d e r e n z a alla realtà, lo r e d i m e dal falsume letterario dell'Arcadia. E forse, d o p o il l u n g o divorzio, è questo il p r i m o incontro fra u n o scrittore e il pubblico vero, n o n quello delle Accademie e dei salotti. 664
N a t u r a l m e n t e , Gozzi si g u a r d ò b e n e dallo scrivere di p o litica. A p a r t e che n o n vi era p e r nulla interessato, la censura n o n gliel'avrebbe consentito. Dedicò qualche articolo alla l e t t e r a t u r a m o s t r a n d o la sua p o v e r t à di a c u m e critico. Ma quello che resta è il Gozzi che il lettore, s e m p r e b u o n giudice, p r e d i l e s s e : il C a n a l e t t o della p e n n a , c h e descriveva la sua Venezia n e i suoi aspetti p i ù c o n s u e t i e affettuosi, c o n u n a vena di u m o r i s m o che lo salvava dal patetico e dal lezioso. Dopo un a n n o di successi, n o n sappiamo p e r quali motivi - p r o b a b i l m e n t e finanziari p e r c h é c o n t i n u a v a ad essere crivellato di debiti - divorziò dalla Gazzetta, che fu affidata all'abate Chiari, p e r fondare un suo p r o p r i o settimanale, il Mondo morale, che c r e d i a m o r a p p r e s e n t i il p r i m o e s e m p i o , almeno in Italia, di r o m a n z o a dispense. Fu un e r r o r e . Gozzi n o n e r a r o m a n z i e r e : gliene m a n c a v a il fiato. Il pubblico gli voltò le spalle, e lui t o r n ò al giornalismo vero con l'Osservatore veneto, cui chiamò a collaborare a n c h e altri. Q u a l c u n o gli r i m p r o v e r ò di aver copiato lo Spectator inglese. Ma l'accusa è sciocca. Egli si rifece a q u e l m o d e l l o p e r c h é quello era il modello di tutto il giornalismo e u r o p e o , q u a n t o a imp a g i n a z i o n e e a varietà di a r g o m e n t i . Ma il c o n t e n u t o e r a veneziano, anzi gozziano, e r a p p r e s e n t a il m e g l i o di lui. Nella sua elegante satira di costume si possono trovare, caso mai, tracce di L u c i a n o , di La B r u y è r e , di La Fontaine; ma non c'è moralismo che a costoro n o n si rifaccia. «HOsservatore - disse il Baretti che se n ' i n t e n d e v a - è composto di tanti ragionamenti fatti da u n o che va i n t o r n o osservando il m o n do e d i s c o r r e n d o di questa e di quell'altra cosa, secondo che gli dà l ' u m o r e . Questi r a g i o n a m e n t i sono frammischiati di lettere, di caratteri, di fole, d'allegorie, di sogni e d'altre cose, senza declamazioni p e d a n t e s c h e , senza rigidezza, senza superbia e senza santocchieria.» Era il tono che ci voleva p e r intavolare un dialogo col lettore. Più tardi Gozzi preferì al giornalismo un impiego sicuro, quello di «censore alle stampe» dell'Università di Padova, e 665
fu la sua fine. In questo sporco mestiere p o r t ò l'intolleranza che, c o m e scrittore, aveva - sia p u r e s o m m e s s a m e n t e - comb a t t u t o , p r o i b e n d o perfino certe pubblicazioni accettate dal Sant'Uffizio c o m e quelle di Rousseau. Scrisse dei noiosissimi Sermoni. E la scontentezza lo r i s p r o f o n d ò nella vecchia i p o c o n d r i a . O r m a i s e p a r a t o dalla famiglia, viveva a carico di u n a b u o n a signora, Caterina T r o n Dolfin, e scriveva: «Sono stanco e n o n ho p i ù gaiezza». U n a sera si b u t t ò dalla finestra, ma n o n riuscì a m o r i r e p e r c h é le fronde di un albero a t t u t i r o n o la caduta, e q u a n d o la moglie lo lasciò vedovo, sposò la g o v e r n a n t e della sua protettrice e trascorse gli ultimi a n n i facendosi m a n t e n e r e da lei che allevava polli in u n a casetta della periferia. Al m o m e n t o del ritiro di Gozzi, il g i o r n a l i s m o v e n e t o aveva trovato già un altro protagonista, destinato a lasciarvi u n a traccia assai più profonda. Giuseppe Baretti sembrava costruito apposta p e r fare da c o n t r a p p u n t o , con la sua d i r o m p e n t e personalità, a quella e s a n g u e e s o g n a n t e del Gozzi, cui tuttavia r i m a s e s e m p r e affettuosamente legato. Era un torinese di famiglia monferrina, e aveva a v u t o un'infanzia tribolata. A sei a n n i gli era m o r t a la m a d r e , e il p a d r e si era riaccasato con u n a ragazza che gli aveva p o r t a t o in casa il cicisbeo. A p p e n a fu in età di capire, il ragazzo p r e s e a schiaffi l'intruso, lo sfidò a duello, e fu cacciato dalla famiglia. Si rifugiò a Guastalla da u n o zio che gli consentì di f r e q u e n t a r e un p o ' di scuola, poi si trasferì a Venezia dove si legò d'amicizia coi fratelli Gozzi. Ma n o n aveva nulla p e r sfondare in quella città raffinata, neanche il fisico. Alto, massiccio, r u g g i b o n d o e s a n g u i g n o , con u n a criniera d'ispidi capelli rossastri r e n i t e n t e alla p a r r u c ca, le m a n i nodose, la voce t o n a n t e , i suoi m o d i ruvidi facev a n o stecca sulle grazie leziose di quella società incipriata. N e m m e n o il suo c a r a t t e r e vi s'intonava. La violenza delle passioni, l'impeto, la generosità, gli scatti di collera mescolati alla larga risata rabelaisiana, la solidità m o r a l e , la forza degli entusiasmi facevano di lui un personaggio romantico, 666
nato p e r sbaglio con un secolo di anticipo. E fu u n o sbaglio che gli costò caro. A Venezia decise, p e r a m o r e di u n a ragazza, di fare il poeta, scrisse p e r lei alcuni b r u t t i s s i m i versi, si a m m a l ò , tentò la fortuna a Milano dove conobbe Parini di cui diventò amico, Verri e Beccaria di cui diventò nemico, si p r o v ò senza riuscirci a far l'editore, s ' i n n a m o r ò un'altra volta, ma senza successo c o m e la prima, p e r un p o ' di t e m p o lavorò a Cuneo c o m e architetto militare, e infine t o r n ò a Venezia, accolto dall'Accademia dei Granelleschi, dove assunse lo pseud o n i m o di S e v e r o Fuggitivo. Per s b a r c a r e il l u n a r i o , fece u n a t r a d u z i o n e di C o r n e i l l e e la d e d i c ò al D u c a Vittorio Amedeo di Savoia nella s p e r a n z a di o t t e n e r n e un incarico. O t t e n n e invece le malevole critiche di un poetastro m e d i o cre ma b e n e informato, Biagio Schiavo, che elencò tutti gli errori di quel lavoro. In realtà, p i ù che di e r r o r i si trattava di arbitrii: Baretti n o n era un t r a d u t t o r e , ma un adattatore, che m a n i p o l a v a i suoi testi. F u r i b o n d o , a g g r e d ì lo Schiavo al caffè e lo r i e m p ì di botte. Lo Schiavo si vendicò con un libello. Baretti rispose con un altro libello, e scoprì la sua ver a vocazione. N o n era u n poeta. N o n e r a u n n a r r a t o r e . Era un polemista. Nel ' 5 1 , eccolo a L o n d r a . N o n ha un impiego, n o n conosce che poche parole d'inglese, ma con quelle p o c h e riesce a d a r e lezioni d'italiano a un'allieva c h e s ' i n n a m o r a (finalmente!) di lui, gli p r o c u r a altri allievi e lo i n t r o d u c e nell'ambiente l e t t e r a r i o su cui r e g n a S a m u e l J o h n s o n , cui q u e s t o italiano schietto, intero e integro, così diverso da quello solito, insinuante e pieghevole, va molto a sangue. Col suo a p poggio, Baretti comincia a p u b b l i c a r e q u a l c h e saggio sulla nostra lingua, o p e r meglio dire c o n t r o di essa, d i f e n d e n d o i dialetti. Se la r i p r e n d e con Voltaire, senza r e n d e r s i conto (ma questo gli capiterà a n c h e con altri) di esserne egli stesso un p r o d o t t o , e col Verri. «Il francese di Buffon - scrive - è incantevole, l'inglese di G i b b o n a m m i r e v o l e , l'italiano di Verri abominevole.» 667
M e n t r e p r e p a r a un vocabolario italo-inglese, lavora come poeta al teatro italiano di L o n d r a , ma q u a n d o si accorge che è p i e n o d'invertiti, li a g g r e d i s c e con epiteti da codice p e n a l e , e viene cacciato via. Poco g l ' i m p o r t a : i suoi saggi h a n n o successo, e p e r il vocabolario ha già o t t e n u t o un sostanzioso acconto da b e n otto librai. C o n quei soldi in tasca (è la p r i m a volta che gli capita), è convinto di avere il mondo in tasca. Si a b b a n d o n a a g r a n d e z z a t e . M a n d a d e n a r o ai fratelli. C r e d e d i essere d i v e n t a t o u n p e r s o n a g g i o i m p o r tantissimo e si p r e s e n t a ai P r i m o Ministro Pitt offrendogli, a n o m e dei Savoia, un'alleanza contro l'Austria p e r strapparle Milano e darla al Piemonte. Pitt fa chiedere spiegazioni dal suo ambasciatore a T o r i n o d o v e n a t u r a l m e n t e n e s s u n o ne sa nulla, e d e n u n c i a Baretti come un volgare intrigante alle polizie di mezza E u r o p a . L'incauto se la cava solo grazie all ' i n t e r v e n t o dei suoi amici letterati, i quali s p i e g a n o a Pitt che quell'intrigante è solo un p o v e r o sprovveduto. Baretti consegna il vocabolario: il p r i m o che si pubblichi delle d u e lingue d o p o quello - pessimo - dell'Altieri. Ci son d e n t r o tutti i difetti dell'autore - inesattezze e dimenticanze -, ma a n c h e i suoi pregi: concretezza e chiarezza. Il successo è g r a n d e : se ne s t a m p a n o venti edizioni. Coi diritti d'autore, Baretti si finanzia un viaggio in S p a g n a e in Portogallo, di dove m a n d a agli amici quelle lettere «familiari» di cui poi l'editore Pasquali a v r e b b e pubblicato la raccolta insieme a quella del Gozzi. Esse rivelavano, accanto al Baretti polemista, il Baretti reporter c h e volta le spalle alle preziosità descrittive, ai capricci, alle leziosaggini letterarie che infioravano l'uggioso memorialismo italiano, p e r m i r a r e dritto ai fatti, alle cose e agli u o m i n i con u n a p r o s a tanto più r a p i d a e tagliente q u a n t o m e n o s ' i m p a n t a n a in d u b b i e problemi di stile. O r a Baretti sa di essere un giornalista completo, e ne trae le conclusioni. T o r n a a Venezia, e sul t e r r e n o già arato dal Gozzi o r m a i in d i s a r m o a Padova, fonda La frusta letteraria. Il p r o g r a m m a era già nel titolo. Baretti sapeva benissimo 668
di n o n potersi o c c u p a r e di politica, p e r la quale d ' a l t r o n d e , da b u o n italiano del Settecento, cioè da apolide, n o n n u t r i va veri interessi. N a t o al m o m e n t o giusto, cioè un secolo dopo, n o n c'è d u b b i o che B a r e t t i s a r e b b e stato u n u o m o del Risorgimento, un m a r t i r e dello Spielberg o un l u o g o t e n e n te di Garibaldi. Ma questa certezza la deriviamo più dal suo t e m p e r a m e n t o che dalle sue idee, di cui risulta e risalta solo la confusione. N o n lo si p u ò classificare n e m m e n o fra gl'Illuministi p e r c h é n o n ne ebbe l'impegno sociale. Q u e s t o antiletterato, in fondo, n o n vedeva che la letteratura. Ma vi si avventò sopra c o m e u n u r a g a n o , r i n n o v a n d o n e linguaggio e costume. I suoi propositi li e n u n c i ò in un «manifesto» che recava la falsa data di Rovereto, a c c o m p a g n a n d o l o con un n u m e r o di prova p e r saggiare le reazioni del lettore. Dovettero essere positive, p e r c h é un mese d o p o il giornale c o m p a r v e . Baretti si presentava, secondo il costume del t e m p o , in chiave favolistica, c o m e un Aristarco S c a n n a b u e , v e t e r a n o di tutte le g u e r r e , vestito alla turca, con u n a g a m b a di legno e servito da u n o schiavo di n o m e Marcuf. U n a truculenta maschera, che aderiva abbastanza b e n e al suo volto. La Frusta, di cui era editore un certo Zatta, voleva essere u n ' a m p i a rivista critica di t u t t o ciò che si p u b b l i c a v a n e l m o n d o anche in fatto di scienza, d'industria, di agricoltura, e Baretti affermava di n o n essere il solo a compilarla, anzi di avere molti collaboratori. Era u n a bugia. Salvo il r a r o e saltuario c o n t r i b u t o di q u a l c h e amico, la scriveva t u t t a di suo p u g n o , occultandosi d i e t r o vari p s e u d o n i m i , forse anche p e r cautelarsi contro le p r o p r i e contraddizioni. E ce n'erano molte. In u n a p a g i n a si scagliava c o n t r o il Frugoni, in un'altra ne imitava le strofe. In u n a pagina se la rifaceva coi cinquecentisti, nell'altra esaltava i Cxranelleschi che dei cinquecentisti si p r o c l a m a v a n o i continuatori. D e n u n c i a la volgarità d a n d o di «diarrea» a chi la pratica. N o n conosce mezze misure. La sua musa, se n o n è l'entusiasmo, è la collera, a più la collera che l'entusiasmo. Attacca il Verri, il Beccam
669
ria, il Goldoni, cioè attacca a n c h e il poco che c'era di b u o n o . Spesso, p i ù c h e a r g o m e n t a r e , u r l a e schiamazza. Ma finalm e n t e , d o p o d u e secoli di u n t u o s i t à accademiche e di apostrofi ampollose e laudative, ecco u n o scrittore che nella ling u a dei suoi lettori dice il fatto suo alla c u l t u r a italiana den u n z i a n d o n e il servilismo, il p e d a n t i s m o e l'ipocrisia. N a t u r a l m e n t e se la tirò tutta addosso. I poetucoli dell'Arcadia, n o n o s a n d o sfidare le sue b o r d a t e p o l e m i c h e , si sfog a r o n o in lettere e poesie a n o n i m e accusandolo d'ignoranza e di plagio e d i f f o n d e n d o le p e g g i o r i c a l u n n i e sul suo conto. Lo Zatta, i m p a u r i t o da questa coalizione di odi e rancori, si ritirò dall'impresa, e Baretti dovette accollarsi anche il compito di s t a m p a t o r e . Ma gli avversari, con obliqua manovra, s p o s t a r o n o la polemica sul p i a n o politico e religioso d e n u n c i a n d o l o come eretico e rivoluzionario. D o p o un a n n o di lotta eroica e solitaria, la Frusta fu sop- : pressa, e i suoi nemici c r e d e t t e r o di aver vinto la loro battaglia. Invece l'avevano persa. A n c h e d o p o Baretti, i letterati italiani c o n t i n u a r o n o a fare dell'accademia. Ma i lettori se ne accorsero p e r c h é Baretti aveva d i m o s t r a t o che si poteva a n c h e n o n farla. I difetti d e l l ' u o m o saltano agli occhi: passionalità, m a n c a n z a di controllo critico, talvolta sguaiataggin e , giudizi s o m m a r i , eccessi sia nell'elogio che nel vituperio. Ma saltano agli occhi a n c h e le sue qualità: onestà, sincerità, schiettezza, e u n a prosa finalmente m o d e r n a . T o r n ò i n I n g h i l t e r r a , p i ù arruffato c h e mai. U n a n o t t e d u e prostitute lo apostrofano p e r strada. Scambiandole per. invertiti, B a r e t t i r i s p o n d e con u n a p e r n a c c h i a . Q u e l l a inconsueta replica gli scatena addosso i «protettori». A basto*n a t e , Baretti ne a m m a z z a u n o , e a stento viene sottratto al linciaggio dalla polizia. Al processo, tutti i letterati inglesi v e n g o n o a d e p o r r e in suo favore, ma il p r e s i d e n t e del tribunale vuol s a p e r e da d o v e ha cavato «quel colpo di t u o n o o di gong» da cui le d u e ragazze dicono di esser rimaste assordate. Baretti fornisce un saggio di pernacchia, ne spiega la tecnica e il significato, e viene assolto p e r legittima difesa. 670
Anche questo contribuisce al suo rinnovato successo londinese. È considerato n o n soltanto il miglior e s p e r t o di lett e r a t u r a italiana, m a a n c h e u n «personaggio», u n a pittoresca i n c a r n a z i o n e del « t e m p e r a m e n t o latino». Scrive un p e n e t r a n t e saggio su Shakespeare e Voltaire che gli vale larghi consensi, ma trova a n c o r a il m o d o di farne delle sue. C o m e trent'anni p r i m a a Pitt, si p r o p o n e al p r i m o ministro Liverpool c o m e m e d i a t o r e in u n a diatriba dell'Inghilterra con la Spagna. Ma o r m a i lo conoscono e n o n lo p r e n d o n o p i ù p e r un intrallazzatore. I suoi p i ù g r a n d i amici sono a n c o r a J o h n s o n e il ricchissimo m e c e n a t e T h r a l e che gli affida l'educazione dei suoi figli. Ma q u a n d o la ragazza si a m m a l a d ' a p p e n d i c i t e , la m a d r e , che si picca di medicina, vuol curarla a m o d o suo, e la lascia m o r i r e . Baretti, che adorava quella c r e a t u r a - al p u n to da far n a s c e r e ignobili d i c e r i e c h e n o n gli s o m i g l i a n o n e m m e n o di l o n t a n o -, n o n va p e r il sottile: accusa la signora T h r a l e di assassinio. E la p r i m a r o t t u r a con la generosa e ospitale famiglia. Subito d o p o m u o r e il signor T h r a l e , e la vedova n o n aspetta n e m m e n o d u e o r e p e r p r e n d e r e il largo con un certo Piozzi, u n o di quei tenori che h a n n o cominciato a m e t t e r e a s o q q u a d r o i cuori femminili di mezza E u r o pa. J o h n s o n , inferocito con gl'italiani, r o m p e a n c h e con Baretti, solo in p u n t o di m o r t e se ne p e n t e , lo invoca, ma n o n fa p i ù in t e m p o a v e d e r l o . La s i g n o r a T h r a l e , o r a Piozzi, pubblica un libro di ricordi d e n i g r a t o r i su di lui, e Baretti insorge c o n l a sua violenza a b i t u a l e : « U n a d o n n a c h e h a partorito tredici volte, abortito sei o sette, e o r a c o r r e la cavallina in Europa...» La d a m a r i s p o n d e p u b b l i c a n d o delle lettere r i m a n e g g i a t e di J o h n s o n , c h e coinvolgono a n c h e il Baretti. Lo scandalo è e n o r m e , e un c o m m e d i o g r a f o p o r t a sulla scena tutti i suoi protagonisti. Baretti è di n u o v o solo, c o m ' e r a scritto nel suo destino, vecchio e m a l a t o . L'Accademia Reale gli passa u n a piccola p e n s i o n e c h e lenisce a p p e n a la sua miseria. Un acconto di c i n q u a n t a sterline g i u n g e i n t e m p o solo p e r p a g a r e i l s u o 671
funerale, m e n t r e l'esecutore t e s t a m e n t a r i o si affretta a dis t r u g g e r e tutte le sue carte nel timore che ci sia d e n t r o qualche altro scandalo. Si lasciava d i e t r o u n a scia d'insulti: v a g a b o n d o , assassin o , buffone, c a l u n n i a t o r e . Ma il t e m p o ha rimesso le cose a p o s t o . A p a r t e il s e g n o lasciato dal s u o g i o r n a l i s m o nella l e t t e r a t u r a , B a r e t t i è u n o d e i d u e o t r e «caratteri» della slombata Italia del S e t t e c e n t o . Per q u e s t o vi fece la figura dell'intruso. Fra i tanti nemici che dovettero gioire della sua m o r t e , c'era Pietro Verri che avrebbe p o t u t o essere un suo amico. Anche se con mezzi e finalità diversi, avevano c o m b a t t u t o la stessa battaglia. P u r t r o p p o , q u a n d o u n a c u l t u r a si r i d u c e a u n a chiesuola di cui bisogna contendersi con le u n g h i e gli spazi, n o n c'è posto che p e r odi, rivalità e rancori. I lettori, in Italia, e r a n o p o c h e migliaia: la lotta p e r accaparrarseli n o n poteva essere che all'ultimo sangue. Verri a p p a r t e n e v a alla vecchia aristocrazia milanese, ma la sua fanciullezza n o n e r a stata esente da triboli. Il p a d r e , c o m e usava nelle famiglie patrizie, lo teneva a distanza, e la m a d r e si o c c u p a v a di lui solo p e r t o r m e n t a r l o : fra l'altro, ogni mattina, gli radeva i denti con la lima delle u n g h i e perc h é li aveva un p o ' i r r e g o l a r i . II ragazzo c r e b b e indocile, scontroso, p r o t e r v o e in sorda polemica coi genitori e col loro a m b i e n t e . C r e d i a m o che le sue idee anticonformiste siano state il p r o d o t t o di questi u m o r i . L a p r i m a r o t t u r a a v v e n n e p e r motivi sentimentali. Piet r o s ' i n n a m o r ò della d u c h e s s a Vittoria Serbelloni, regina del più accreditato salotto intellettuale di Milano. Fu lei la sua g r a n d e iniziatrice in t u t t o , nell'alcova e nella cultura. Ma p a p à Verri considerò scandalosa quella «relazione», mise il figlio agli arresti in casa e, n o n o t t e n e n d o risultati, si rivolse a d d i r i t t u r a al g o v e r n o p e r c h é intervenisse. Vittoria, t e m p e s t i v a m e n t e i n f o r m a t a , p a r ò il colpo a p p e l l a n d o s i a u n ' a u t o r i t à ancora più alta: il p a p a B e n e d e t t o XIV, suo zio. 672
Nella società settecentesca succedeva a n c h e questo: che i n o bili potessero mobilitare i governi p e r i m p e d i r e gli adulteri e che questi venissero presi sotto la protezione del Santo Padre. La relazione finì, ma di m o r t e n a t u r a l e , q u a n d o Vittoria s ' i n n a m o r ò d ' u n a l t r o , cosa c h e le capitava di f r e q u e n t e . Pietro le fece delle scenate. Poi, p e r dimenticarla, si a r r u o l ò nell'esercito - quello austriaco, n a t u r a l m e n t e -, e col g r a d o di capitano, che gli spettava p e r motivi di nascita, partì p e r la g u e r r a c o n t r o la Prussia. U n a sola volta, egli dice, vide il nemico, ma solo col cannocchiale, r i p o r t ò u n a disastrosa impressione della mentalità militare, ma in c o m p e n s o fece d u e preziose conoscenze: il Principe Kaunitz e un inglese di n o me Lloyd, c o m e lui a r r u o l a t o n e l l ' a r m a t a imperiale, che lo contagiò del p r o p r i o interesse ai problemi giuridici e finanziari. Rientrato a Milano, vi sprofondò l e g g e n d o avidamente tutto ciò che ne avevano scritto gli stranieri, e soprattutto gli enciclopedisti francesi, e i suoi p o l m o n i si gonfiarono di ossigeno illuminista. T a n t o , che subito a lui cominciarono a far capo tutti i rampolli della b u o n a società milanese animat i d a idee progressiste. E r a u n f e n o m e n o n a t u r a l e , i n u n a società c o m e quella l o m b a r d a messa in m o v i m e n t o dal riformismo austriaco, e che p r o p r i o allora iniziava la sua g r a n d e a v v e n t u r a capitalistica. E a l t r e t t a n t o n a t u r a l e e r a c h e a p r e n d e r n e la testa fosse il Verri che aveva un cattivo carattere a p p u n t o p e r c h é aveva un c a r a t t e r e e sapeva i m p o r l o e farsi o b b e d i r e . O l t r e al fratello Alessandro, facevano g r u p po i n t o r n o a lui un Visconti di Saliceto, un L a m b e r t e n g h i , un Menafoglio, un Biffi, e un r a g a z z o t t o paffuto, t i m i d o , molliccio e m a m m a i o n e che si c h i a m a v a C e s a r e Beccaria. Come allora era uso, essi si organizzarono nella solita Accademia che p e r ò prese l'insolito n o m e dei Pugni, un p o ' in risposta alla diceria che Verri e Beccaria e r a n o venuti alle mani, un po' a significare le sue bellicose intenzioni. In realtà, viste a distanza, q u e s t e i n t e n z i o n i n o n e r a n o poi così bellicose. Verri e i suoi amici, tutti di nobile fami673
glia, a p p a r t e n e v a n o al «sistema», e n o n si s o g n a v a n o di rovesciarlo. Anzi, c o m e poi d i m o s t r a r o n o i fatti, s m a n i a v a n o d'inserircisi, sia p u r e p e r o p e r a r v i riforme radicali. Il loro p r o g r a m m a i n s o m m a e r a quello dei Filosofi francesi: accett a r e il r e g i m e q u a l e r a , cioè la m o n a r c h i a assoluta, e a d e guarla dal di d e n t r o all'esigenze m o d e r n e acquistandovi posizioni d i p o t e r e . M a q u e s t o a d e g u a m e n t o , r a p p o r t a t o a l tradizionalismo bacchettone e timorato della vecchia società milanese, da cui questi giovani uscivano, vi seminava lo sgom e n t o e faceva davvero con esso a p u g n i . Le r i u n i o n i del sodalizio si t e n e v a n o al p i a n t e r r e n o di palazzo Verri, all'insaputa dei p a d r o n i di casa che stavano al p i a n o di s o p r a . Si svolgevano in q u e l l ' a u r a di c o n g i u r a che ai giovani piace t a n t o , e mescolavano il serio ai faceto. Fu q u i c h e P i e t r o lesse ai soci i suoi p r i m i d u e saggi sul c o m m e r c i o di Milano, p r i m a di m a n d a r l i a K a u n i t z c h e li a p p r e z z ò molto e o r d i n ò al Firmian - il quale invece si era rifiutato di p r e n d e r l i in considerazione - di a r r u o l a r e l'aut o r e fra i r i f o r m a t o r i della Ferma. E fu a n c o r a q u i c h ' e g l i s u g g e r ì a Beccaria di scrivere u n ' o p e r a c o n t r o la p e n a di morte. L'incarico dovette stupire gli altri soci p e r c h é il Beccaria sembrava il m e n o adatto ad assolverlo. N o n solo p e r c h é era il p i ù giovane di tutti, ma a n c h e p e r c h é n o n aveva mai fatto sfoggio di brillanti qualità. Anche lui s'era trovato in contrasto con la famiglia p e r ragioni sentimentali. Il p a d r e lo aveva messo agli arresti in casa p e r i n t e r r o m p e r e il suo idillio c o n la figlia d ' u n ufficiale s p a g n o l o , T e r e s a Blasco, e p p o i s'era rivolto a d d i r i t t u r a all'arciduca F e r d i n a n d o p e r c h é p o nesse un veto. A sua volta l'ufficiale s p a g n o l o s'era rivolto all'imperatrice Maria Teresa, e costei rimise la q u e s t i o n e a Kaunitz il quale ( g u a r d a un p o ' di cosa dovevano occuparsi gli o n n i p o t e n t i di allora) l'affidò a un g i u r ì m i l a n e s e c h e n o n ne v e n n e a capo. Papà Beccaria scacciò il figlio che sposò la sua Teresa, e fu p r o p r i o il Verri a riconciliarli r i m e t tendoli di fronte in u n a scena a s o r p r e s a - ma p r e c e d e n t e 674
m e n t e c o n c o r d a t a con Cesare - in cui questi pianse, Teresa svenne, e i d u e genitori si commossero e li r i p r e s e r o in casa. A s s u m e n d o la regìa di q u e s t o g i o v a n o t t o , Pietro d i m o strava le s u e qualità di s c o p r i t o r e e i m p r e s a r i o di talenti. «Aveva bisogno d ' u n o stimolo c o n t i n u o p e r decidersi a fare qualcosa» dirà più tardi di lui. U n a p r i m a p r o v a gliela fece fare c o m m i s s i o n a n d o g l i u n o s t u d i o sul sistema m o n e t a r i o milanese c h e versava nel caos. E il Beccaria se ne sbrigò in m o d o tale d a m e t t e r e i l c a m p o a r u m o r e . N e n a c q u e u n a polemica coi conservatori in cui Verri interloquì m e t t e n d o in b u r l e t t a i loro a r g o m e n t i . E il g r u p p o ne uscì definitivam e n t e accreditato agli occhi di u n a pubblica o p i n i o n e , che ora in esso riconosceva u n a vera e p r o p r i a «avanguardia». Fu in q u e s t o m o m e n t o c h e Pietro decise di f o n d a r e un g i o r n a l e p e r t r a s f e r i r e la battaglia riformista dalla c h i u s a aula dell'Accademia al c a m p o a p e r t o , r e n d e r n e consapevole il pubblico e sollecitarne la partecipazione. Era u n ' i m p o s t a z i o n e assai diversa da quella del Gozzi e del Baretti. Costoro avevano o p e r a t o in u n a società i m m o bile e in un r e g i m e i m p u t r i d i t o , s o r d o a qualsiasi sollecitazione di p r o g r e s s o . Perciò il p r i m o si e r a rifugiato nel bozzetto, c o n t e n t a n d o s i di u n a t e n u e satira di c o s t u m e ; il sec o n d o si era sfogato nella letteratura p o r t a n d o v i u n a ventata di m o d e r n i t à , ma limitata a q u e s t o c a m p o . E n t r a m b i si e r a n o t e n u t i l o n t a n i d a p r o b l e m a t i c h e d i o r d i n e politico, economico, sociale p e r c h é , c o m e capita nei regimi illiberali, q u a l u n q u e critica sarebbe passata p e r eversione. I milanesi, p e r l o r o f o r t u n a , si t r o v a v a n o in b e n altra condizione. N o n solo la loro società e r a in m o v i m e n t o , ma la loro cultura era, c o m e abbiamo già detto, solidamente agganciata alla realtà e alle sue esigenze. Essa n o n disdegnava affatto l'economia politica, la finanza, l'amministrazione, la storia n a t u r a l e , l'agricoltura, la m e d i c i n a . E a n c h e sui più delicati d i q u e s t i t e m i , l e a u t o r i t à a m m e t t e v a n o u n c e r t o margine di dibattito e di critica. Così i compilatori del Caffè p o t e r o n o voltare le spalle alle 675
solite u g g i o s e d i a t r i b e l e t t e r a r i e p e r a f f r o n t a r e p r o b l e m i concreti di pubblico interesse, e n o n sull'astratto p i a n o della dottrina, ma in t e r m i n i di suggerimenti pratici. N o n sostenn e r o tesi del tutto originali: il loro pensiero e r a di derivazione francese e inglese. Ma p o r t a r o n o un notevole contributo d i c h i a r e z z a s u certi a r g o m e n t i , c o m e p e r e s e m p i o quelli della legislazione. N e s s u n o disse con p i ù energia di loro che «il solo dispotismo stabilmente utile p e r la p r o s p e r i t à di u n a nazione è il dispotismo delle leggi»: cosa oggi ovvia, ma abb a s t a n z a a u d a c e in q u e i t e m p i di assolutismo, e q u i n d i di arbitrio m o n a r c h i c o . E n e s s u n o difese con altrettanto rigore e coerenza i princìpi liberisti, di cui si nutriva il nascente capitalismo l o m b a r d o . Q u a l c u n o p i ù tardi r i m p r o v e r ò agli u o m i n i del Caffè di a v e r evaso i p r o b l e m i f o n d a m e n t a l i : cioè quelli d e l l ' u n i t à nazionale e della democrazia. Accusa assurda. A p a r t e il fatto c h e la c e n s u r a , c o n cui d o v e v a n o p u r fare i conti, n o n gliel'avrebbe consentito, questi furono i p r o b l e m i della gen e r a z i o n e successiva, n o n di quella loro. Gl'Illuministi n o n n u t r i v a n o concezioni patriottiche e democratiche. Anzi, essi si s e n t i v a n o cittadini del m o n d o e a c c e t t a v a n o che q u e s t o m o n d o fosse retto c o m ' e r a retto, cioè da m o n a r c h i e assolute ch'essi v o l e v a n o soltanto i l l u m i n a r e sul c a m m i n o delle riforme. N o n solo nel g i o r n a l e , ma a n c h e nella loro corris p o n d e n z a privata le p a r o l e patria e d e m o c r a z i a sono latitanti. Le riforme ch'essi p r o p o n e v a n o n o n avevano frontier e . L e r e c l a m a v a n o n o n solo p e r M i l a n o , m a a n c h e p e r l'Austria e p e r tutta la c o m u n i t à internazionale di cui si sentivano p a r t e . E a n c h e loro, c o m e i Filosofi francesi, n o n int e n d e v a n o darle in a p p a l t o al p o p o l o , nel quale n o n credevano; sognavano di farle discendere dall'alto del p o t e r e costituito, di cui contavano di diventare gl'ispiratori e lo strum e n t o esecutivo. Il difetto del Caffè fu s e m m a i un altro, c h e poi e r a p r o p r i o la c o n s e g u e n z a di questa concezione: il suo scarso p o t e r e divulgativo. Di g e n t e che leggesse, a Milano, ce n ' e r a 676
più c h e in ogni altra città italiana. Ma a n c h e lì e r a poca. E questa poca n o n era tutta in g r a d o di capire il c o n t e n u t o di quel giornale serio e b e n e informato, ma t r o p p o da specialisti. Più c h e al l e t t o r e , i suoi articoli si rivolgevano al solito circolo degl'iniziati che d e t e n e v a n o il p o t e r e , ed era logico, visto c h e al p o t e r e gli a u t o r i m i r a v a n o m o l t o p i ù c h e alla pubblica o p i n i o n e , e su di esso volevano influire. Tant'è vero che q u a n d o al p o t e r e fu arrivata, la c o m p a g i n e del Caffè si disgregò, e il giornale finì. Aveva assolto la missione che si era p r o p o s t o : quella di o r i e n t a r e la casta d o m i n a n t e , n o n la pubblica o p i n i o n e di cui n o n e r a mai stato al servizio. I meriti del Caffè furono e n o r m i . Sia p u r e in piccolo, anzi in piccolissimo, esso r a p p r e s e n t ò p e r l'Italia ciò che l'Enciclopedia aveva r a p p r e s e n t a t o p e r la Francia. Mise in circolazione delle idee che rinfrescarono l'aria stantìa del nostro Paese. Ma n o n fu un giornale vero e p r o p r i o , cioè un organo d'informazione e di o p i n i o n e al servizio del pubblico. Fu anch'essa u n ' A c c a d e m i a , p e r q u a n t o m o l t o m e n o chiusa e più m o d e r n a . Proprio nel m o m e n t o in cui esso scatenava le sue più imp o r t a n t i battaglie c o n t r o gli a p p a l t i e i m o n o p o l i , p e r la liberalizzazione dei c o m m e r c i , la riforma amministrativa e il r i o r d i n o della m o n e t a , usciva il saggio c h e il Verri aveva s u g g e r i t o al Beccaria: Dei delitti e delle pene. Fu s t a m p a t o a Livorno p e r evitare g r a n e con la c e n s u r a , e l ' i m p r e s s i o n e che suscitò fu e n o r m e . La p r o p o s t a di abolire la t o r t u r a e la p e n a di m o r t e urtava contro u n a pratica di secoli, cui la coscienza si era assuefatta. Il p r i n c i p i o t u t t o r a vigente faceva della confessione «la regina delle prove», e q u i n d i giustificava qualsiasi mezzo p e r estorcerla. Q u a n t o alla m o r t e , nessuno dubitava della sua necessità e legittimità. C'era anzi, nei m o d i d'infliggerla, tutta u n a g e r a r c h i a d i rituali, g r a d u a t a secondo il r a n g o di chi la subiva. I Cardinali, p e r esempio, avevano diritto a essere strangolati in Castel S. Angelo con un c o r d o n e d ' o r o e di p o r p o r a (ma p u r t r o p p o n o n avveniva mai). Per i nobili, c'era la decapitazióne con un secco col677
po d'ascia. Ma p e r i plebei c'era tutta u n a lenta iniziazione di slogature di arti, tagli di lingua e d'orecchi, accecamenti, l a p a r a t o m i e con ferri roventi eccetera. Nell'ultimo a n n o a Milano n ' e r a n o state eseguite oltre trecento. Alla serrata critica del Beccaria c o n t r o queste efferatezze, le reazioni dei conservatori furono violente. A Milano, u n o dei più accaniti oppositori fu il senatore Verri, p a d r e di Piet r o . E a Venezia il g o v e r n o assoldò un m e r c e n a r i o della p e n na, il p a d r e vallombrosiano Facchinei, p e r difendere l'ordine vigente. Ma i consensi soverchiarono di g r a n l u n g a i dissensi anche p e r c h é la loro eco si dilatò in tutta E u r o p a . Voltaire scrisse che Beccaria aveva liquidato «gli ultimi avanzi di barbarie». E D'Alembert: «Questo libro basta ad assicurar e all'autore u n n o m e i m m o r t a l e . C h e f i l o s o f o ! C h e verità! C h e logica!» Ma il successo n o n si limitò ai circoli intellettuali. Pietro L e o p o l d o di Toscana fece del saggio di Beccaria la sua guida spirituale, e abolì la p e n a di m o r t e . Altrettanto fece, sia p u r e p e r gradi, F e r d i n a n d o di Napoli. Carlo I I I di Spagna restrinse al m i n i m o la t o r t u r a . E Caterina di Russia seguì alla lettera i precetti del Beccaria. Forse mai n e s s u n libro ebbe un effetto così i m m e d i a t o sulla condotta dei governi e incise altrettanto drasticamente sulla vita dei popoli e sul loro c o s t u m e . Esso r a p p r e s e n t a il p i ù l u m i n o s o c o n t r i b u t o che l'Italia abbia d a t o alla civiltà in questo secolo. I suoi meriti n o n stanno tanto nella originalità delle idee che si ritrovano già in Montesquieu - p e r n o n risalire a Tertulliano e S. Agostino -, q u a n t o nella chiarezza, stringatezza e incisività di esposizione che fanno di esso un vero e p r o p r i o «manifesto» di g r a n d e effetto sul lettore, e nel suo t e m p i s m o . C o m e scrive Cantù, esso era v e n u t o p r o p r i o al m o m e n t o giusto. Verri, che se ne sentiva un p o ' il vero p a d r e - e lo era -, fu molto c o n t e n t o del r u m o r e che l'opera suscitava e che si riverberava su tutto il g r u p p o del Caffè, ma lo fu un p o ' meno della gloria che ne derivava al Beccaria. Q u a n d o il trad u t t o r e francese l'invitò e n t r a m b i a Parigi p e r r i c e v e r n e il 678
plauso, egli capì subito che a lui ne sarebbero toccate soltanto le briciole, e preferì m a n d a r e al p r o p r i o posto il fratello A l e s s a n d r o . Attaccato c o m ' e r a alle g o n n e l l e della m o g l i e , Beccaria n o n voleva muoversi, e occorse quasi fargli violenza. Arrivato a Lione, n o n voleva c o n t i n u a r e il viaggio, e Pietro dovette scrivergli: «Se tornassi indietro, saresti r i g u a r d a to c o m e un imbecille che n o n sa vivere l o n t a n o dalla m a m ma. Vi è un lato di puerilità nel tuo carattere, che p r e g i u d i ca molto alla stima che ti è dovuta». E Alessandro, nelle lettere al fratello, lo d i p i n g e c o m e un «verme della letteratura», un «fangoso insetto» ipocrita, ingrato e afflitto dal «mal di moglie». II fatto è che i Verri si sentivano d e f r a u d a t i di quel successo. Q u a n d o s e p p e che Parigi e r a ai piedi di Cesare, Pietro scrisse: «Da n e s s u n o m e n o c h e da q u e s t ' u o m o io mi aspettava che potesse farmi p o r t a r e il p e s o di quella gloria che n o n avrebbe avuto senza di m e . Q u e s t a è la vergognosa i n g r a t i t u d i n e d i u n e s s e r e o r i g i n a l m e n t e d a nulla, senza credito, senza n o m e , da me a forza di u n a entusiastica amicizia, c o p e r t o nei suoi vizi e nei suoi difetti, riconciliato co' parenti e accolto nella casa p a t e r n a da cui era esiliato, innalzato alla celebrità». In quel m o m e n t o il Caffè, d o p o d u e a n n i d ' i n t r e p i d e battaglie, e r a finito. Era finito p e r c h é il Verri era stato n o m i n a to «consigliere», cioè p r e s s a p p o c o ministro dell'economia, il Carli p r e s i d e n t e del S u p r e m o Consiglio, il Frisi professore universitario, i n s o m m a p e r c h é la r e d a z i o n e si e r a trasformata in un g r u p p o di p o t e r e . Ma forse al suo scioglimento c o n t r i b u i r o n o a n c h e questi d i s s a p o r i e gelosie p e r s o n a l i . F o r m a l m e n t e , Verri conservò b u o n i r a p p o r t i con Beccaria anche p e r c h é nel frattempo si e r a p r e s a p e r a m a n t e sua sorella, sposata a Isimbardi. Ma la r u g g i n e rimase, a n c h e p e r l'insanabile contrasto dei t e m p e r a m e n t i . Beccaria, che n o n aveva quello del c o m b a t t e n t e , n o n s e p p e , o p e r meglio dire n o n volle t r a r r e alcun p r o f i t t o dal successo del suo libro, n o n brigò cariche limitandosi a r i c o p r i r n e q u a l c u n a più di 679
lustro che di sostanza, e fu b e n c o n t e n t o di ritirarsi nel suo guscio, la villa di Gessate, p e r coccolare la moglie e farsene coccolare. Q u a n d o q u e s t a m o r ì , tutti p e n s a r o n o che si sar e b b e suicidato. Invece, n o n aveva a n c o r a finito il lutto che già l'aveva r i m p i a z z a t a con u n ' a l t r a con la q u a l e si comp o r t ò c o m e con la p r i m a , s t a n d o l e appiccicato a d d o s s o : il «mal di moglie» n o n consentiva la vedovanza a questo sensuale casalingo che n o n sapeva far l'amore che nel letto con i u g a l e . P i g r o e molle, t u t t o gli pesava, a n c h e gli o n o r i . Q u a n d o re F e r d i n a n d o di Napoli a n d ò a trovarlo, n o n si fece trovare in casa. A tavolino ci stava malvolentieri, mai più di d u e ore al giorno, e infatti nei t r e n t ' a n n i che gli rimasero da vivere, n o n p r o d u s s e che alcune consulte, cioè relazioni, e un paio di saggi minori, u n o sullo stile, un altro di economia politica, di cui il Verri disse, d o p o averlo letto: «La mia v e n d e t t a contro questo professore di economia sarà d'insegnargliela». In c o m u n e , questi d u e uomini ebbero soltanto l'avarizia e l'apoplessia, di cui e n t r a m b i m o r i r o n o a poca distanza l'uno dall'altro. Ma la sua vita, Pietro l'aveva b e n altrimenti riempita. Il ministero delle finanze n o n gli bastava c o m e n o n gli bastava la bella Isimbardi. A q u a r a n t a c i n q u e a n n i s'invaghì della p r o p r i a nipote Marietta Castiglioni, che ne aveva ventidue, e la sposò. Malgrado la differenza d'età, fu un matrim o n i o abbastanza felice p e r c h é Pietro aveva conservato intatto il vigore della gioventù. N o n a l t r e t t a n t o b e n e a n d a v a la c a r r i e r a , d o v e l'eccesso d ' a m b i z i o n e lo p o r t a v a a strafare. Per a g g i r a r e il Firmian, c h e diffidava di lui, o g n i t a n t o a n d a v a a V i e n n a a p a r l a r e d i r e t t a m e n t e col Kaunitz e con l ' i m p e r a t o r e G i u s e p p e . Ma le ostilità di cui e r a circondato a Milano riuscivano regolarm e n t e a bloccare la sua ascesa. D o p o c i n q u e a n n i di gioie, Marietta gli dette il dolore di m o r i r e . Anche di lui tutti pens a r o n o , c o m e del Beccaria, che n o n sarebbe sopravvissuto. E invece a n c h e lui, come il Beccaria, provvide subito a riaccasarsi, s e b b e n e avesse c i n q u a n t ' a n n i , con u n a ragazza di 680
venti, V i n c e n z i n a Melzi, p r e l e v a t a d i r e t t a m e n t e d a l collegio. Ma si vede che aveva la m a n o felice p e r c h é a n c h e q u e sta scelta si rivelò b u o n a . Aveva il diavolo in corpo. Malgrado l'intensa attività p o litica che gli occupava le giornate e quella fresca sposina che gli occupava - p r e s u m i a m o - le nottate, trovava a n c o r a abbastanza energia p e r scrivere di tutto e litigare con tutti. Pose m a n o alla Storia di Milano ed e n t r ò in lite con la p r o p r i a famiglia, eccettuato il fratello Alessandro, p e r l'eredità del p a d r e c h e , invece di lasciare il p a t r i m o n i o a lui, c h ' e r a il maggiore dei figli - com'era regola nelle dinastie patrizie -, lo aveva lasciato indiviso. Per la rabbia, egli trasferì n o t t e t e m p o e di n a s c o s t o , facendosi a i u t a r e da V i n c e n z i n a , le spoglie di Marietta dalla t o m b a di famiglia alla chiesa della M a d o n n a di O r n a g o . Nel 1786, in seguito alla soppressione della m a g i s t r a t u r a che occupava, fu collocato a riposo. N o n se ne dette pace, e la delusione lo spinse a r i v e d e r e le sue idee. A n c h e in q u e sto seguì la vicenda degl'Illuministi francesi a loro volta delusi dal licenziamento di T u r g o t e dalle m a n c a t e riforme di Luigi X V I . C o m e loro, a n c h e lui cominciò a chiedersi se il r i n n o v a m e n t o della società fosse compatibile con l'assolutismo che, invece di accogliere i suoi s u g g e r i m e n t i , lo aveva silurato. E q u a n d o scoppiò la rivoluzione francese, lui che alla rivoluzione si era s e m p r e m o s t r a t o allergico, la salutò con simpatia c o m e «un ribrezzo violento verso gli oppressori». Q u e s t o n o n g l ' i m p e d ì , q u a n d o L e o p o l d o d i Toscana successe al fratello G i u s e p p e sul t r o n o d'Austria, di brigare un posto nella d e l e g a z i o n e che d o v e v a recargli l ' o m a g g i o della città di Milano. Ma n o n ce lo vollero. E questo rifiuto acuì il suo r a n c o r e . Disapprovò l'uccisione di Luigi X V I , ma con accenti insolitamente pacati, dicendo che la violenza era una triste necessità imposta dalla storia, e giustificò lo smantellamento di tutti i privilegi del clero e della nobiltà. Fin dal '68 aveva scritto: «Sono u n b u o n p a t r i o t a , m a n o n u n buon patrizio». 681
Q u e s t o a t t e g g i a m e n t o gli valse, da p a r t e dei conservatori, l'accusa di «giacobino», ma a n c h e un t r a t t a m e n t o di favore q u a n d o , con l'arrivo delle t r u p p e di N a p o l e o n e , fu istaurato un g o v e r n o democratico. M e n t r e quasi tutti i nobili ven i v a n o d e p o r t a t i , egli fu c o n f e r m a t o n e l l ' u n i c a carica che tuttora rivestiva di consigliere municipale. Cercò di adattarsi al n u o v o r e g i m e r i n u n z i a n d o a ogni lusso e scrivendo al fratello, da un pezzo trasferito a R o m a , d'indirizzare le sue lettere «al cittadino Pietro Verri». Ma poi si trasferì nella sua villa di O r n a g o p e r c h é , disse, «è m e n m a l e l e g g e r e i mali pubblici c h e vederli da vicino». I p r o c e d i m e n t i del n u o v o r e g i m e dovevano averlo disgustato. La vecchiaia aveva un p o ' a n n a c q u a t o le sue passioni, e a n c h e nel giudizio sul Beccaria si mostrava molto più equan i m e . D o p o la m o r t e , ne fece u n a commossa rievocazione in consiglio c o m u n a l e e p r o p o s e di erigergli un m o n u m e n t o . Infaticabilmente, aveva seguitato a scrivere di tutto: di economia, di amministrazione, di m o r a l e , e u l t i m a m e n t e aveva c o m p o s t o certi Pensieri d'un buon vecchio che non è letterato. Morì nel '97, stroncato a n c h e lui dall'apoplessia. Pochi giorni p r i m a aveva detto al fratello: «Tra pochi a n n i l'Italia sarà u n a famiglia sola probabilmente». Ci p a r e che sia stata questa la p r i m a e unica volta in cui il pensiero di un'Italia unita lo sfiorò. Fin allora, aveva g u a r d a t o più a Parigi e a Vienna che a R o m a e a Torino. Ambizioso, caparbio, orgoglioso, litigioso, spesso intoller a n t e , il Verri n o n e r a stato né un originale p e n s a t o r e né un g r a n d e scrittore (la p e n n a , la maneggiava meglio suo fratello Alessandro, polemista e cronista molto m e n o «impegnato», m a p i ù arioso e d e l e g a n t e d i lui). P e r ò e r a stato u n o s t r a o r d i n a r i o suscitatore di energie, un i n c o m p a r a b i l e sugg e r i t o r e , i n s o m m a un «maestro». N o n aveva tutti i torti q u a n d o rivendicava a se stesso la p a t e r n i t à del Dei delitti e delle pene, di cui aveva seguito e g u i d a t o la stesura, p a g i n a p e r pagina. Il suo solo torto era di r i c o r d a r s e n e t r o p p o . Ma questo faceva p a r t e del suo carattere egocentrico e autorita682
rio. N o n c'è d u b b i o che fu lui a i n c a r n a r e l'Illuminismo italiano con tutti i suoi meriti e con tutti i suoi limiti. M a l g r a d o l'esaltazione che ne h a n n o fatta certi nostri storici, l'Illuminismo italiano n o n fu u n a g r a n d e cosa: ha r a g i o n e Virgilio Titone a negargli quell'universalità ed efficacia ch'esso ebbe invece in Francia e a n c h e in I n g h i l t e r r a . Mancandogli u n o Stato, u n a capitale e soprattutto u n a società in g r a d o di riecheggiarne la voce, visse di r i p o r t o e imitazione in chiusi circoli d'intellettuali senza contatto col pubblico. Ma fu c o m u n q u e , in un secolo di m i s e r i e c o m e il n o s t r o S e t t e c e n t o , il p r o d o t t o più nobile. I suoi giornali e giornalisti r u p p e r o fin a l m e n t e l'infame m o n o p o l i o delle Accademie, ne misero a s o q q u a d r o le p a r r u c c h e e le t a r m e , r i n n o v a r o n o il linguaggioPer q u a n t o di raggio limitato, fu l'unico serio contributo al r i n n o v a m e n t o del Paese.
CAPITOLO VENTICINQUESIMO PARINI E LA SUA SATIRA
C o m e in tutti i Paesi privi di libertà, la satira in Italia ha tradizioni a n t i c h e , ma p l e b e e . Per secoli, essa e r a stata u n ' e spressione del m a l c o n t e n t o p o p o l a r e , che si sfogava in libelli e «pasquinate» a n o n i m e , senza p o t e r aspirare a diventare u n g e n e r e letterario p e r d u e motivi. P r i m a d i tutto perché esponeva gli a u t o r i a ogni sorta di rappresaglie, e p p o i perc h é n o n trovava, n é p o t e v a t r o v a r g r a d i m e n t o i n u n a società c o m e la n o s t r a , avvezza alla solennità spagnolesca, e quindi priva di u m o r i s m o . Così, esclusa dal salotto, la satira restava un fatto di t a v e r n a , ne p o r t a v a a d d o s s o il p u z z o e r a r a m e n t e si d i s t i n g u e v a dalla c a l u n n i a e dal t u r p i l o q u i o . Di questo vizio d ' o r i g i n e , sono t u t t o r a evidenti i residuati. Respinta da u n a società che vi si mostra allergica, la confonde col vilipendio e se ne offende, la satira italiana n o n ha mai acquistato l'eleganza, la t r a s p a r e n z a , la levità di quella francese e inglese, che gli stessi Re accettavano anche quando si a p p u n t a v a contro di loro. Queste doti n o n le possiede n e m m e n o , né poteva possederle, il lambiccato, p e d a n t e e timidissimo G i u s e p p e Parini. Ma a n c h e se n o n vi brillano, in lui fanno a l m e n o capolino e p e r la p r i m a volta assurgono a u n a certa dignità letteraria. E r a n a t o nel 1729 a Bosisio, p a e s o t t o d e l C o m a s c o , da u n a famiglia di pochi mezzi, ma di un certo d e c o r o piccolob o r g h e s e , c o m e d i m o s t r a n o i titoli di «messere» e di «mad o n n a » con cui i suoi genitori sono registrati negli atti del C o m u n e . Messere aveva passato la vita nei lutti: in fasce gli e r a n o m o r t i cinque dei sette figli datigli dalla p r i m a moglie c h e p o i e r a m o r t a a n c h ' e s s a . Delle d u e s u p e r s t i t i , u n a 684
affogò nel lago, l'altra fu stroncata «di n o t t e , da un subito accidente». Dei t r e figli di s e c o n d o letto, sopravvisse solo Giuseppe. Ma nella p r i m a adolescenza fu colto, c o m e dice il suo c o n d i s c e p o l o Reina, «da u n a violenta stiracchiatura ai muscoli, p e r l o c h é cosce, g a m b e e braccia c o m i n c i a r o n o a estenuarsi». Q u e s t o m a l a n n o , c h e forse e r a u n attacco d i poliomielite, lo lasciò p e r tutta la vita claudicante. «Il p r e t e zoppo» lo chiamava Pietro Verri con la sua abituale caritatevolezza. La sua c a r r i e r a fu decisa da u n a p r o z i a che gli lasciò il p r o p r i o p a t r i m o n i o a patto che si facesse p r e t e e celebrasse messe in suo suffragio. Si trattava di u n a r e n d i t a m o d e s t a . Ma il ragazzo ne aveva b i s o g n o p e r m a n t e n e r s i agli studi. Venne a Milano con la zia e s'iscrisse alle scuole Arcimbolde, di cui e r a n o stati allievi i Verri, Beccaria e altri rampolli della nobiltà milanese. Q u a n t o a r d e n t e fosse la sua vocazione religiosa lo dice egli stesso, q u a n d o confessa di essere stato «istrascinato r e p u g n a n t e alla teologia e al sacerdozio». Ma c'era in ballo la famosa eredità condizionata dalle messe. Per poterle celebrare, dovette p r e n d e r e i voti e accettare la tonsura. Fu un vero p r e t e del Settecento: scettico e libertino. Le sue passioni furono fin d'allora la letteratura, le d o n ne e il giuoco. S'era i m b r a n c a t o subito nell'Accademia dei Trasformati, la p i ù sofisticata della città, di cui e r a n o soci i Verri, il Beccaria, il Baretti, il Firmian, i n s o m m a il meglio di Milano. C a n t ù dice che costoro s n o b b a r o n o , dall'alto dei loro blasoni, il p o v e r o p r e t e c a m p a g n o l o e malfermo. N o n è vero. Il p o v e r o p r e t e aveva giù pubblicato u n a p r i m a raccolta di poesie che n o n valgono nulla, ma che avevano otten u t o un certo successo p e r c h é p e r f e t t a m e n t e i n t o n a t e alla grossolanotta m o d a di allora. Il successo a sua volta gli aveva spalancato le p o r t e delle case p i ù in vista. E Parini, col suo infallibile fiuto, n o n si e r a sbagliato nello scegliere quella dei Serbelloni. I Serbelloni a p p a r t e n e v a n o a quella vecchia aristocrazia «nera», c h e o r a si c h i a m a «del Cappuccio», si t e n e v a n o al685
q u a n t o in disparte dalle attività mercantili e industriali, rimp i a n g e v a n o il feudale e fastoso regime spagnolo, detestavano la m o d e r n i t à e diffidavano dei letterati. Ma il capo della casata si era presa p e r moglie u n a r o m a n a , Vittoria Ottoboni B u o n c o m p a g n i che, sebbene n i p o t e del p a p a B e n e d e t t o XIV, e r a d o n n a d ' a v a n g u a r d i a , e n o n soltanto nelle idee. Q u a n d o Parini e n t r ò al suo servizio c o m e p r e c e t t o r e del figlio, essa aveva già avuto u n a l u n g a sfilza d ' a m a n t i , fra cui Pietro Verri, ed e r a in rotta col marito, «vecchio e pieno di mutria» com'essa diceva. D u e a n n i d o p o infatti si separaron o , e Parini dedicò all'episodio un e p i g r a m m a (Cari figli non piangete - che se ancor non nati siete -, non potendo vostro padre -, vostra madre vi farà) che n o n fa o n o r e al suo b u o n gusto, ma piacque alla spregiudicata duchessa «giunonica e formosa», che seguitò a tenerselo in casa. Di che n a t u r a fossero i loro r a p p o r t i n o n si è mai saputo con precisione. Ma, dati i tipi, ci riesce difficile immaginarli casti. Il fatto che in quel m o m e n t o e n t r a m b i fossero impegnati in altri amori - lei col medico Cicognini, lui con la cantante Gabrielli - n o n doveva essere di g r a n d e i m p e d i m e n t o , data la loro scarsa p r o p e n s i o n e alla m o n o g a m i a . Alto, mag r o , pallido, con capelli n e r i e occhi languidi, Parini portava con m o l t a grazia a n c h e la sua i n f e r m i t à a i u t a n d o s i con le scarpe o r t o p e d i c h e che, p e r a m o r della poesia, gli confezionava gratis il calzolaio Ronchetta, egli stesso p o e t a dialettale. Alle d o n n e piaceva a n c h e p e r c h é esse sentivano che voleva piacergli, ne ebbe t a n t e da scandalizzare perfino il Baretti, s e p p e s e m p r e scegliersele fra quelle di più illustre casato o di più g r a n d e successo, e di tutte riuscì a conservare l'amicizia a n c h e d o p o la fine della relazione. Sapeva scegliersi a n c h e i nemici. In difesa del diritto dello scrittore a u s a r e la lingua c h e gli è p i ù congeniale, comp r e s o il dialetto, scese in p o l e m i c a col p a d r e B r a n d a e ne v e n n e fuori u n a zuffa g e n e r a l e i n cui e n t r a r o n o a n c h e caffè che prese le parti del B r a n d a e La frusta che p r e s e quelle del Parini. Ma abbiamo l'impressione che in questa dispu686
l'elemento personale prevalesse su quello ideologico. Baretti difendeva Parini p e r c h é Parini e r a n e m i c o di Verri. E Verri e r a nemico di Parini p e r c h é Parini era amico di Baretti, a m a n t e (o a l m e n o s o s p e t t a t o di esserlo) della sua ex-amante Vittoria, e soprattutto p r o t e t t o da Firmian, il fiduciario di Maria Teresa a Milano, che n o n amava Verri. Fu infatti a F i r m i a n c h e P a r i n i d o v e t t e la sua b r i l l a n t e carriera. Da lui ebbe u n a c a t t e d r a alle scuole palatine, cioè all'Università, la d i r e z i o n e del g i o r n a l e g o v e r n a t i v o e vari altri incarichi che si t r a d u c e v a n o in altrettanti stipendi. Ne aveva bisogno p e r c h é , sebbene nato p o v e r o , o forse p r o p r i o per questo, gli piaceva vivere da signore. N o n ebbe pace finché n o n gli concessero un a p p a r t a m e n t o a B r e r a dove le palatine si t r a s f e r i r o n o d o p o la cacciata dei vecchi inquilini Gesuiti, si a r r a b b i ò moltissimo p e r c h é gli n e g a r o n o la carrozza con un seguito di sei servitori, e si considerò addirittura vittima della ingiustizia più n e r a q u a n d o gli rifiutarono il ricco «beneficio» dell'abbazia di Lentate. Q u e s t o c o n t i n u o bisogno di d e n a r o , c h e lo m e t t e v a alla mercé del p o t e r e , n a t u r a l m e n t e condizionava la sua p r o d u zione letteraria e poetica, i m p o n e n d o la m o r d a c c h i a al suo progressismo. Parini fu un g r a n p a l a d i n o delle riforme austriache, m a n o n p r e c i s a m e n t e u n anticipatore. C o n l e s u e odi n o n ne invoca mai di n u o v e . Elogia quelle già a d o t t a t e dal p o t e r e c o m e il divieto della evirazione (che oltre tutto liberava la sua n u o v a a m a n t e , il s o p r a n o C l e m e n t i n a Piccinelli, dalla pericolosa c o n c o r r e n z a dei castrati), l'obbligo del vaccino contro il vaiolo, l'abolizione dei Gesuiti. Il Verri insomma n o n aveva tutti i torti q u a n d o fra le r i g h e gli r i m proverava di fare l'avvocato delle cause già vinte. Ma, anche se giusta, l'accusa e r a i n g e n e r o s a p e r c h é n o n t e n e v a conto della diversa condizione in cui si trovava il suo avversario. Il nobile e ricco Verri poteva sfidare i m p u n e m e n t e il p o t e r e e la sua censura: scrivere, p e r lui, e r a un hobby. Per il b o r g h e succio e squattrinato Parini, era il p a n e , il titolo, la carriera. Doveva difenderli. ta
687
E li difese b e n e , con la diplomazia delle amicizie, soprattutto femminili. D o p o la Piccinelli, ebbe p e r a m a n t e Teresa Angiolini Fogliazzi, p r i m a ballerina del teatro ducale, invano c o r t e g g i a t a a n c h e da Verri (e q u e s t o fu forse un altro motivo della loro inimicizia). Moglie di un coreografo grande amico di Parini, Teresa n o n e r a u n a p o t e n z a , ma lo diventò q u a n d o , col beneplacito del marito e dello stesso Parini, diventò la favorita p r i m a dell'influentissimo conte Greppi e poi del principe Kaunitz, l'onnipotente ministro di Maria T e r e s a , che grazie a lei p r e s e sotto la sua p r o t e z i o n e il poeta. L'impenitente s e d u t t o r e ebbe il suo castigo solo da vecchio, q u a n d o s ' i n n a m o r ò p e r d u t a m e n t e - e g r a t u i t a m e n t e - di Cecilia T r o n «dalle belle braccia» e dal cervellino frivolo. Anche da questo a m o r e cavò qualcosa di utile: l'ode II pericolo, u n a delle sue migliori, dedicata a p p u n t o a lei. Ma la ripagò coi t o r m e n t i della gelosia, specie q u a n d o all'orizzonte c o m p a r v e il più tenebroso, e q u i n d i a n c h e il più irresistibile dei rivali: il c o n t e Cagliostro, che in un battibaleno lo scancellò dal c u o r e della bella veneziana. Doveva essere un lavoratore di t e m p r a eccezionale perché, m a l g r a d o i n u m e r o s i incarichi e le ingarbugliate vicende sentimentali, la sua p r o d u z i o n e n o n aveva mai subito arresti. Chi voglia a p p r o f o n d i r n e i valori estetici ha di che legg e r e p e r vari semestri. Ma questo n o n è il n o s t r o compito. Più che come p o e t a e letterato, a noi Parini interessa come u n o dei maggiori testimoni e i n t e r p r e t i dell'Illuminismo italiano, di cui incarna i p r e g i , ma a n c h e i limiti. P r o d o t t o di u n a società asfittica e provinciale, anche se la m e n o provinciale d'Italia, Parini ne risente e r i p e r c u o t e tutte le angustie. Ma è a p p u n t o qui il suo valore di d o c u m e n t o . Egli r a p p r e senta molto b e n e la disgraziata condizione dell'intellettuale italiano costretto, p e r conservare il «posto», a restare all'omb r a del p o t e r e . E illuminista p e r c h é a n c h e il p o t e r e lo è, ma lo è nei limiti in cui lo è il p o t e r e . Parini vuole le stesse cose che vogliono Maria Teresa, Kaunitz e Firmian. N o n p r e n d e 688
coraggio n e m m e n o q u a n d o sul t r o n o d i V i e n n a sale Giuseppe, r i f o r m a t o r e m o l t o p i ù radicale e spericolato di sua m a d r e . Anzi, trova eccessivo il suo p r o g r e s s i s m o , se ne impaurisce e, sia p u r e a bassa voce, lo critica. N o n m e n o p r u d e n t e s i m o s t r a n e i c o n f r o n t i della società. Per d e n u n z i a r n e i vizi e le malformazioni, egli compose un p o e m e t t o , Il giorno, in cui, p r e s e n t a n d o s i c o m e p r e cettore di un giovane aristocratico, ne descrive la giornata e ne mette in risalto la vuotaggine. C o m e satira di costume, è la più valida c h e ci offra il S e t t e c e n t o , a n c h e p e r c h é esso n o n ce ne offre a l t r e . Ma n o n si p u ò d i r e di c e r t o ch'essa scavi a f o n d o . Ed è n a t u r a l e p e r c h é , c o m p o n e n d o quella corbellatura, Parini sapeva benissimo che a leggerla sarebbero stati soltanto i corbellati. Se avesse p o t u t o c o n t a r e su un «pubblico» p o p o l a r e in g r a d o di fornirgli u n a clientela, e q u i n d i n o n s o l t a n t o u n a fonte d i g u a d a g n i , m a a n c h e u n sostegno m o r a l e , forse Parini avrebbe d a t o del suo futile e inutile «giovin signore» un q u a d r o m o l t o p i ù graffiante ed efficace. Ma q u e i ceti n o n s a p e v a n o l e g g e r e , e q u i n d i il libro n o n poteva cercare altra u d i e n z a c h e fra i genitori del p r o t a g o n i s t a , dei quali n o n p o t e v a u r t a r e le suscettibilità, anche p e r c h é e r a alla loro m e n s a che Parini mangiava e sotto la loro protezione che faceva carriera. C o m e voleva riform a r e d ' a c c o r d o col g o v e r n o , così voleva satireggiare d'accordo coi satireggiati. N o n c'è da fargliene colpa. Ma un po' di perplessità desta il fatto ch'egli n o n desse segno di soffrire di questo c o n d i z i o n a m e n t o . Anzi. Il suo linguaggio arzigogolato e m i n i a t u r a t o , che c o n t r a d d i c e in p i e n o a quella «naturalezza» di cui egli p u r si e r a fatto avvocato nella polemica col B r a n d a , n o n solo n o n fa n u l l a p e r p a r l a r e a un pubblico più vasto, ma fa di tutto p e r respingerlo. Per Parini, il «pubblico» sono «i sciuri», i signori, e i letterati al soldo dei signori. Il resto è, com'egli stesso lo chiama, «volgo vile e maligno». Si capisce che d e n t r o q u e s t i limiti m e n t a l i c'è poco da fare i progressisti. Al Giorno egli lavorò quasi q u a r a n t a n n i , e si sente. U n a 689
certa freschezza d'ispirazione si coglie solo nelle p r i m e d u e p a r t i , II mattino e // mezzogiorno, pubblicati r i s p e t t i v a m e n t e nel '63 e nel '65, in cui qualche frustata schiocca. Nelle ultime d u e , che r i m a s e r o i n c o m p i u t e , c'è solo la fatica - che si contagia anche al lettore - di u n a ricerca stilistica, di cui lasciamo la diagnosi ai critici letterari, ma che va a tutto scapito della spontaneità e a n c h e dell'efficacia satirica. A q u e s t ' u l t i m a forse Parini r i n u n z i ò di p r o p o s i t o in un m o m e n t o in cui qualsiasi p r e s a di posizione poteva c o m p o r t a r e grossi rischi. Q u a n d o scoppiò la rivoluzione francese, Parini aveva s e s s a n t a n n i ed era all'apice della sua carriera. Dotato di un «beneficio» ecclesiastico che gli garantiva u n a r e n d i t a sicura m a g g i o r a t a da u n a p e n s i o n e concessagli dal Papa, titolare della cattedra di lettere e s o v r i n t e n d e n t e dell'Accademia di Belle Arti, m e m b r o della Società Patriottica e dell'Accademia Ufficiale, egli era p r a t i c a m e n t e un alto dignitario del r e g i m e austriaco, e c o m e tale si sentiva piuttosto esposto alle correnti d'aria che soffiavano da Parigi. Sebb e n e il senso n o n ne fosse chiaro, quei g r a n d i avvenimenti cominciavano a provocare contraccolpi a n c h e in Italia. D'istinto il Parini - che oltre tutto in quel m o m e n t o aveva p e r a m a n t e u n a contessa, la Castelbarco - preferì tenersi sulle generali. In u n ' o d e del '90 rese un vago o m a g g i o alla «regal Parigi» d i c e n d o che «non a sé fati oggi p r e p a r a » , ma in un'altra corbellò la n u o v a m o d a femminile del nastro rosso al collo, detta «alla ghigliottina». N o n lo fece soltanto perché alla ghigliottina i rivoluzionari francesi avevano m a n d a to a n c h e la loro Regina, sorella d e l l ' I m p e r a t o r e d'Austria, signore di Milano e dello stesso Parini, ma a n c h e p e r c h é il s a n g u e s i n c e r a m e n t e gli r e p u g n a v a . Tuttavia si g u a r d ò dal dirlo in m a n i e r a esplicita. I t e m p i e r a n o calamitosi, e nessuno sapeva cosa riserbasse il d o m a n i . T a n t a p r u d e n z a ebbe il suo p r e m i o q u a n d o , nel '96, gli austriaci e v a c u a r o n o Milano, lasciandola nelle m a n i di Napoleone. Parini, insieme a Verri, fu chiamato a far p a r t e della nuova Municipalità. Alcuni suoi agiografi gli attribuiscono 690
gesti di risoluto coraggio come il rifiuto di associarsi al grido di: «Morte agli aristocratici!» Ma si tratta di mistificazioni risorgimentali. La verità è che Parini m i r ò s o p r a t t u t t o a n o n compromettersi, e n t r a n d o in u n a commissione che si p r o p o neva di «illuminare il popolo r i g u a r d o alla costituzione fisica e morale dei lombardi» e assolse i suoi compiti sostenendo e facendo decretare che il popolo doveva levarsi il cappello davanti alle autorità. L'unica battaglia che c o m b a t t é fu quella per il p r o p r i o diritto, che gli v e n n e riconosciuto, a u n a portantina con d u e portatori. Viceversa n o n aprì bocca né quando il c o m a n d a n t e francese decise di revocare le delibere della Municipalità, né q u a n d o Beccaria, Visconti e Serbelloni chiesero la costituzione di u n o Stato a u t o n o m o milanese. Anche stavolta la sua p r u d e n z a fu premiata. Q u a n d o nel '99 t o r n a r o n o a Milano, gli austriaci n o n s c o p r i r o n o a suo carico atti rilevanti di collaborazionismo e gli lasciarono la casa e la p e n s i o n e , n o n o s t a n t e la severità del c o m i t a t o di epurazione che p e r un a n n o terrorizzò Milano e in cui militava anche un giovanotto di n o m e Alessandro Manzoni. Com u n q u e , un p o ' p e r sottrarsi alla caccia alle streghe, un p o ' perché mezzo accecato dalla cateratta e a corto di forze, Parini si era ritirato in c a m p a g n a dove compose un Te Deum di ringraziamento p e r le vittorie austriache. Morì in agosto, e il giornale n o n ne dette n e m m e n o notizia. La gloria gli v e n n e a ceneri raffreddate. A riconoscergliela è stato s o p r a t t u t t o C r o c e , c h e di Parini a p p r e z z a v a p e r ragioni di congenialità il «moderatismo» e il classicismo. Ma ci sembra che più nel giusto siano stati il Verri ( d e t r a t t a n e , s'intende, la cattiveria), il Manzoni e il L e o p a r d i , che lo considerano più e r u d i t o che colto, più letterato che scrittore, e più artista - nel senso di «artigiano» - c h e poeta. Parini fu un esemplare figlio del suo secolo incipriato e riccioluto, un accademico prezioso, un paziente e diligente ma freddo cesellatore di «pastorellate» e «cicalate» in p r e t t o stile arcadico, che n o n anticipò nulla: né in fatto di poesia, né in fatto d'idee.
CAPITOLO VENTISEIESIMO
G O L D O N I E LE SUE C O M M E D I E
Non è un caso che lo sboccio del giornalismo abbia coinciso con quello del teatro di prosa, che e n t r a m b i siano nati nella stessa città, e che e n t r a m b i si siano conclusi con l'esilio dei rispettivi p r o t a g o n i s t i : Baretti a L o n d r a , G o l d o n i a Parigi. La sorte di questi d u e uomini, fra loro nemici, è indicativa delle resistenze che incontrava l'intellettuale italiano a uscire dal chiuso circolo di u n a c u l t u r a i n f e u d a t a al p o t e r e , di cui era s e m p r e rimasto prigioniero, p e r farsi i n t e r p r e t e della pubblica opinione, dei suoi gusti, dei suoi interessi e u m o ri. Questa era considerata u n a fellonìa, e p r i m a o poi si finiva p e r pagarla. Carlo Goldoni n a c q u e nel 1707, un g i o r n o di carnevale, e si sente. Per tutta la sua lunga vita n o n ci fu c o n t r a t t e m p o né tribolo che riuscissero ad a p p a n n a r e il suo festoso ottimismo. L'amore p e r il teatro l'aveva ereditato dal n o n n o , ch'era di M o d e n a e a t e m p o perso faceva il marionettaio. A otto anni, Carlo aveva già c o m p o s t o u n a c o m m e d i a . E a tredici scappò con u n a c o m p a g n i a di guitti. Lo iscrissero al collegio Ghislieri di Pavia, che p o n e v a ai c a n d i d a t i d u e condizioni: l'età di diciott'anni e la vocazione al sacerdozio. Carlo di anni ne aveva sedici e al sacerdozio e r a allergico. Ma in compenso era m u n i t o di u n a b u o n a r a c c o m a n d a z i o n e p e r il Vescovo che garantì p e r le sue intenzioni e, q u a n t o al certificato di nascita, «so - scrisse più t a r d i Goldoni - che u n a sera mi coricai nell'età di a n n i sedici e che mi svegliai la mattina d'anni diciotto: avrò d o r m i t o p r o b a b i l m e n t e d u e anni». Come si vede, l'Italia è s e m p r e stata la stessa: chi ha in tasca un Vescovo p u ò infischiarsi anche dell'anagrafe. 693
Fu un c a m p i o n e di scapestratezze goliardiche: passava le g i o r n a t e d i e t r o alle g o n n e l l e e le notti al tavolo di giuoco. Gli a n d ò liscia p e r t r e a n n i . Ma q u a n d o si s e p p e c h ' e r a lui l'autore di u n a licenziosa satira su certe signore di Pavia facilmente riconoscibili, d o v e t t e r o a r r e s t a r l o p e r sottrarlo al linciaggio, e di nascosto lo i m b a r c a r o n o su u n o z a t t e r o n e che l u n g o il Po lo ricondusse dai suoi a Chioggia. E impossibile r i c o s t r u i r e le s u e vicissitudini. S o n o talm e n t e arruffate ch'egli stesso, nelle Memorie, ne p e r d e sovente il filo. Fu a U d i n e con suo p a d r e a fare pratica d'avvocato, ma d o v e t t e f u g g i r n e q u a n d o fu s o r p r e s o nel letto di u n a ragazza dai genitori. A M o d e n a , d o v e successivamente si trasferì, rimase t a l m e n t e impressionato dallo spettacolo di u n p r e t e c o n d a n n a t o alla berlina p e r s t u p r o , che decise d i farsi frate, e c o m e L u t e r o volle d a r n e solenne a n n u n z i o agli amici d u r a n t e u n a cena, al t e r m i n e della quale, invece che in convento, finì in bordello. O t t e n n e il posto di coadiutore criminale, ma lo p e r s e p e r c h é d o v u n q u e lo m a n d a s s e r o in missione, ci si faceva seguire da qualche d o n n i n a allegra di cui includeva la spesa nella «diaria». C o m e abbia fatto Casanova, di cui n a t u r a l m e n t e e r a g r a n d e amico, a descriverlo timido, ritroso e taciturno, n o n s a p p i a m o . Alla fine s e m b r ò d e c i d e r s i p e r l'avvocatura. E p e r n o n dover aspettare i regolari q u a t t r o a n n i falsificò i d o c u m e n t i facendosi passare p e r nato a M o d e n a , e q u i n d i «straniero», il che gli consentiva di d a r subito la tesi di laurea. Vi si p r e sentò d o p o aver passato la notte a giocare a carte col professore con cui doveva discuterla e che, avendogli vinto fin l'ult i m o c e n t e s i m o , lo p r o m o s s e . M e n o l o n g a n i m i f u r o n o i clienti, di cui si dimenticava di seguire le cause, i m p e g n a t o c o m ' e r a a c o m p o r r e d r a m m i . C o n v i n t o di essere un poeta tragico, aveva scritto urìAmalasunta, e ora correva fra Vicenza, B e r g a m o e Milano p e r d a r n e l e t t u r a a g l ' i m p r e s a r i di teatro. U n o di essi, al t e r m i n e , gli chiese se si trattava di u n a tragedia o di u n a farsa. G o l d o n i t o r n ò in albergo, accese la stufa e vi bruciò il manoscritto, senza r e n d e r s i conto dell'e694
roismo di quel gesto, né t r a r n e la lezione. Infatti mise subito m a n o a un altro d r a m m o n e , il Belisario, facendolo portare in scena, già cieco, da Arlecchino. Il comico gli scappava dalla p e n n a a n c h e c o n t r o la sua volontà. A Milano e r a i n c a p p a t o in u n o strano capocomico, Vitali, un p o ' m e d i c o , un p o ' ciarlatano, che gli aveva messo a disposizione la sua c o m p a g n i a , in cui militava u n o dei più celebri Pantaloni del t e m p o , il Rubini. G o l d o n i scrisse «intermezzi», a d a t t ò testi, fece l'amore con tutte le attrici, era felice. Ma scoppiò la g u e r r a , u n a delle tante g u e r r e «di successione» di quell'ingarbugliato p e r i o d o , a Milano a r r i v a r o n o i franco-piemontesi, Goldoni fuggì, presso L o d i c a d d e in mano ai b r i g a n t i c h e gli r u b a r o n o a n c h e i vestiti, e alla fine rientrò a Venezia, d o v e il G r i m a n i gli offrì u n a scrittura di «poeta» nel suo teatro di San Samuele. A quei t e m p i , il poeta, cioè l'autore, n o n v e n d e v a le sue o p e r e a un t e a t r o . Ne diventava un i m p i e g a t o a t u t t o fare. Goldoni d e t t e il suo Belisario che, r i v e d u t o e c o r r e t t o , ebbe un notevole successo, ma dovette a n c h e riadattare i versi di un'opera lirica, la Griselda di Apostolo Zeno, musicata da Vivaldi. La p r i m a d o n n a e r a Elisabetta Passalacqua: «Magra, gli occhi verdi, pallida, impiastrata di liscio, u n a fisionomia ingrata, u n a voce falsa, m o n o t o n a negli atti» doveva descriverla più tardi Goldoni nelle sue Memorie. Sarà. Ma questo n o n gl'impediva di esserne p a z z a m e n t e i n n a m o r a t o : t a n t o che, essendone stato tradito, pensò di lasciare il teatro e di tornare all'avvocatura. Ma p r o p r i o in q u e l m o m e n t o aveva scoperto Molière, e r a rimasto colpito dal suo Convitato di pietra e volle t e n t a r n e un'imitazione con un Don Giovanni o il dissoluto. Fu b u o n p e r lui c h e la p a r t e di p r o t a g o n i s t a femminile venisse interpretata dalla d o n n a impiastrata e dalla voce falsa. Essa salvò col suo brio quel mediocre lavoro, che tuttavia introduceva sul palcoscenico u n a p r i m a novità: gli attori n o n p o r t a v a n o m a s c h e r a , c o m e usava nella «commedia dell'arte». Anche questa innovazione Goldoni l'aveva attinta a Molière. Ma fu lui a introdurla p e r la p r i m a volta in Italia. 695
Seguì la c o m p a g n i a in u n a l u n g a tournée. A G e n o v a vide u n a ragazza alla finestra, se ne i n n a m o r ò e la sposò senz'altro s a p e r di lei c h ' e r a la figlia d ' u n notaio. Il b u o n Dio dim o s t r ò a n c h e stavolta di aver un debole p e r gli sprovveduti, facendolo i n c i a m p a r e p r o p r i o nell'unica d o n n a che p o teva fare la moglie di un m a r i t o c o m e lui. Nicoletta Connio e r a n o n soltanto graziosa e provvista di u n a discreta dote, ma comprensiva, paziente e devota q u a n t o occorreva (e ne occorreva molto) p e r subire le infedeltà di un simile farfallone. A questa svolta della vita, ne seguì un'altra nella carriera. La compagnia, come ogni poco avveniva, s'era sfasciata e ric o m p o s t a con altri attori, fra cui u n o , Sacchi, faceva spicco a n c h e p e r la sua c u l t u r a e m o d e r n i t à . G o l d o n i gli cucì addosso la p a r t e di Momolo cortesan, finalmente u n a commedia vera, che fa un altro passo avanti nel c a m m i n o delle novità. N o n è più i m p e r n i a t a soltanto sul «canovaccio» c o m e quelle tradizionali «dell'arte», cioè su un intreccio a p p e n a abbozzato, che p o i gli a t t o r i s v i l u p p a v a n o di p r o p r i a testa, imp r o v v i s a n d o . A canovaccio r e s t a v a n o le p a r t i s e c o n d a r i e . Ma quella principale e r a tutta scritta, c o m e i lavori di Molière. Gli scroscianti applausi del pubblico rivelarono a Goldoni la sua vera vocazione di commediografo di ambiente e di caratteri, e gli a d d i t a r o n o la strada da seguire. Egli disfece il Momolo, lo scrisse stavolta da capo a fondo, e o t t e n n e un altro g r a n d e successo. Ma n o n ebbe il coraggio di proseguire su questa s t r a d a ( p e r c h é t u t t o e r a , fuorché e r o e ) , t o r n ò al canovaccio con lavori di p o c o i m p e g n o c h e l u s i n g a v a n o i gusti più retrivi e sguaiati del pubblico. E alla fine parve che si fosse a d d i r i t t u r a disamorato del teatro p e r c h é brigò e ott e n n e la carica di console di Genova a Venezia. » La sua f o r t u n a furono d u e disgrazie. Ricevette l'ordine d i far a r r e s t a r e u n truffatore g e n o v e s e . L o eseguì. Recup e r ò la refurtiva, e con la sua abituale leggerezza l'affidò a un sensale che p r e s e il largo. Costretto a rifondere la perdita di tasca p r o p r i a , G o l d o n i si t r o v ò n e i g u a i p r o p r i o nei 696
m o m e n t o in cui in c o m p a g n i a entrava un'attrice fiorentina, la Baccherini, che gli fece girar la testa. In pochi giorni compose p e r lei, scrivendola dalla p r i m a b a t t u t a all'ultima, La donna di garbo, ma n o n ebbe la gioia di vedergliela recitare perché la p o v e r e t t a m o r ì . N u o v e complicazioni sopravvenn e r o q u a n d o in casa gli capitò il fratello G i a n p a o l o che in tutto gli somigliava m e n o che nel talento. Il giovanotto s'era impegolato in u n ' a v v e n t u r a p i ù g r a n d e di lui. S'era i m p e gnato a p r o c u r a r e un r e g g i m e n t o di m e r c e n a r i a un avventuriero zaratino che lo avrebbe ricompensato affidandone il c o m a n d o a lui e la carica di s u p r e m o giudice militare a Carlo. Q u e s t i s ' i n n a m o r ò subito d e l l ' i d e a , s e b b e n e il r e c l u t a m e n t o di m e r c e n a r i fosse proibito dalla legge. Anzi, si fece prestare 6000 ducati p e r anticiparli allo zaratino che n a t u ralmente, intascata la s o m m a , si dileguò. Così l'incorreggibile i n g e n u o si ritrovò n e i guai. N o n p o t e v a d e n u n z i a r e il ladro p e r c h é avrebbe d o v u t o confessare il r e a t o di reclutam e n t o . D'altra p a r t e , il c r e d i t o r e voleva il r i m b o r s o . A salvarlo dalla galera furono p r o p r i o coloro che a v r e b b e r o d o vuto m a n d a r c e l o : quei terribili «Dieci» che, q u a n d o la politica n o n c'entrava, n o n e r a n o poi così terribili, e che gli consigliarono di fuggire. Ed eccolo senza la casa, senza un teatro, senza lavoro, senza u n a lira, ma s e m p r e con quella santa moglie cucita al suo fianco e p r o n t a a tutto, a n c h e a fare la serva, p u r di procurargli un Ietto, u n a z u p p a e u n a tazza di cioccolata, p e r c h é a quella Goldoni n o n sapeva rinunciare. N o n p e r nulla Carlo Gozzi lo chiamava «il cioccolataio». V a g a b o n d a n d o fra Genova, B o l o g n a e M o d e n a r e s t a r o no impigliati negli eserciti austriaci, p i e m o n t e s i e spagnoli che ancora u n a volta m e t t e v a n o a s o q q u a d r o l'Italia. Goldoni allestì un t e a t r o da c a m p o p e r divertire gli spagnoli con un'arlecchinata, ma invece s o p r a v v e n n e r o gli austriaci che, considerandolo un collaborazionista, gli s e q u e s t r a r o n o scene e bagaglio. A p i e d i e p e r i c a m p i , in mezzo alle schioppettate, i d u e sventurati a r r i v a r o n o al c o m a n d o , dove furono accolti benissimo. Il c o m a n d a n t e era il principe Kaunitz, 697
il f u t u r o o n n i p o t e n t e ministro di Maria Teresa, che oltre a restituirgli tutto, commissionò a G o l d o n i u n a s e r e n a t a p e r le nozze della sua sovrana col Duca di L o r e n a . Goldoni n o n solo la c o m p o s e , ma la c a n t ò p e r c h é aveva u n a bella voce, o t t e n n e g r a n successo, ebbe un vistoso p r e m i o , e chiese cong e d o . N o n capiva nulla di politica, quella g u e r r a n o n sapeva chi l'avrebbe vinta, e n o n voleva c o m p r o m e t t e r s i . Raggiunse Pisa dove rimase tre a n n i a fare l'avvocato e dove entrò nell'Arcadia c o m e pastore. Siccome n o n c'era un teatro, poteva star dietro alle cause, e ci fece presto la m a n o . Nicoletta respirò: finalmente aveva u n a vita di famiglia. Ma al destino n o n si sfugge. Esso si r i p r e s e n t ò nei p a n n i dei d u e Medebac, moglie e marito, capocomici di u n a compagnia sbarcata a Livorno. Gli p r o p o s e r o di m e t t e r e in scena La donna di garbo rimasta nel cassetto p e r la m o r t e della B a c c h e r i n i . C o m e resistere? E c o m e r i f i u t a r e , d o p o il trionfo, la p r o p o s t a di r i e n t r a r e a Venezia c o m e a u t o r e stipendiato del teatro Sant'Angelo, che i Medebac avevano prelevato da G a s p a r e Gozzi, d o p o la sua rovinosa gestione? G o l d o n i f i r m a s e d u t a stante u n c o n t r a t t o c h e lega t u t t a l a sua f u t u r a p r o d u z i o n e alla c o m p a g n i a , e Nicoletta, rassegnata, rifa le valigie. • *• Quello che nel '48 si r i p r e s e n t ò al pubblico veneziano era il solito Goldoni coi suoi testi convenzionali e abborracciati; con le sue larghe concessioni ai gusti più grossolani e anche p i ù licenziosi della platea, coi suoi finali b u t t a t i giù senza t r o p p o b a d a r e alla l o r o plausibilità, t a n t o p e r trarsi d'irne paccio e m a n d a r e in qualche m o d o la gente a letto. Ma d u e fiaschi consecutivi b a s t a r o n o a fargli c a p i r e c h e il pubblico n o n e r a p i ù quello. C o m m e d i o g r a f o n a t o , G o l d o n i doveva aver s e m p r e avvertito la povertà dei suoi canovacci. Ma nofl e r a u o m o d a ingaggiar battaglie p e r a s s u m e r e u n a posizio^ ne di avanguardia. Fu il pubblico che gliela impose. O r a esr so aveva a disposizione, lì a Venezia, b e n otto teatri di prosa* su cui si avvicendavano a n c h e i lavori di altri d u e autori 1$; piena ascesa: il Chiari e Carlo Gozzi. 698
I l C h i a r i n o n e r a c h e u n a r t i g i a n o del t e a t r o , m a i l suo m e s t i e r e lo sapeva. N o n aveva il t a l e n t o di G o l d o n i , ma n e a n c h e la sua faciloneria. C o m e lui, aveva tolto la maschera agli attori, ma i testi li curava p i ù di lui, anche se i suoi temi r e s t a v a n o quelli t r a d i z i o n a l i della c o m m e d i a d e l l ' a r t e . Per questo n o n ne sopravvive nulla. Ma in quel m o m e n t o i suoi lavori ottenevano un grosso successo, ch'egli sapeva a n che b e n monetizzare in titoli e onori. In un legno del tutto diverso e p i ù nobile e r a intagliato Carlo Gozzi, il fratello di Gaspare. Aristocratico, orgoglioso, solitario, misogino, cinico ed elegante, aveva d e b u t t a t o nella repubblica delle lettere c o m e socio f o n d a t o r e dell'Accademia dei Granelleschi, forse la più retriva d'Italia. C o n t e dalla testa ai piedi e b e n deciso a restarlo a n c h e con la p e n n a , Gozzi avversava t u t t e le novità a v v e r t e n d o v i u n ' i n s i d i a ai privilegi della sua casta. Per lui - e aveva r a g i o n e - un teatro, u n a poesia, u n a l e t t e r a t u r a «impegnati» n o n p o t e v a n o esserlo che a riforme democratiche. Di qui la sua decisa o p posizione a tutta la c u l t u r a dell'Illuminismo. Per lui la cultura doveva restare un otium, un p a s s a t e m p o di «aula» e di Corte, riservato a u n a m i n o r a n z a di g e n t i l u o m i n i raffinati che n o n si confondessero col «volgo» in nulla, n e a n c h e nel linguaggio. Gozzi p r o p u g n a v a e praticava un italiano «illustre» e u n ' a r t e evasiva che si esaurisse nel piacere, fine a se stesso, dell'invenzione fantastica. La realizzò nelle Fiabe, che r i m a n g o n o la sua cosa migliore, ma cercò di portarla a n c h e sulla scena. E ciò n o n p o t e v a c h e trascinarlo in g u e r r a sia con Chiari che con Goldoni. ' Costui, costretto a fare i conti con simili rivali, c o m p r e s e c h e n o n e r a p i ù t e m p o d i arlecchinate. M a a v v e n t u r e n o n ne osò. Le sue t r e p r i m e c o m m e d i e , d o p o i d u e fiaschi iniziali - / due gemelli, La vedova scaltra e La putta onorata - sono t u t t e scritte, e m o l t o p i ù c u r a t e nei particolari, ma a p p a r t e n g o n o a n c o r a a un r e p e r t o r i o convenzionale e p o p o l a r e sco, di cui solo la platea si contentava. La critica e l'opinione più avvertita esigevano di più. «Il t e a t r o di G o l d o n i n o n è 699
educativo e confonde i valori morali» strepitava Baretti sebb e n e n o n ancora a r m a t o di Frusta. E lo stesso Gaspare Gozzi, che p u r e al Goldoni voleva b e n e fino al p u n t o di litigare p e r q u e s t o col fratello, diceva che le s u e c o m m e d i e e r a n o «un obbrobrio». Diciamo i n s o m m a la verità: il c a r a t t e r e d e l l ' u o m o n o n e r a p a r i al suo t a l e n t o . Anzi, il suo t a l e n t o egli lo avrebbe t r a n q u i l l a m e n t e sacrificato al successo e ai soldi, se il pubblico, m i n a c c i a n d o di rifiutargli questi e quello, n o n lo avesse obbligato a d i v e n t a r e G o l d o n i . Nel '50 gl'incassi del Sant'Angelo declinarono p a u r o s a m e n t e . Goldoni, si diceva, aveva esaurito la sua vena, n o n faceva che ripetersi, era finito. Fu allora che, p r e s e n t a n d o s i di p e r s o n a sulla scena, egli lanciò ai denigratori la famosa sfida i m p e g n a n d o s i a scrivere in un a n n o sedici c o m m e d i e . E molto probabile che l'idea gli fosse stata suggerita dal Medebac, impresario abilissimo e d ' i m m e n s e risorse pubblicitarie. C o m u n q u e , la trovata r a g g i u n s e il suo effetto e div e n t ò il g r a n d e «affare» di quella città, cui la s t a g n a z i o n e politica e sociale n o n ne consentiva altri. Se ne discussele ci si accapigliò nei salotti, nei caffè, e perfino nei conventi. Chi diceva c h e G o l d o n i a v r e b b e vinto, chi diceva c h e avrebbe perso. Ma intanto n o n si parlava che di lui. Vinse, p e r c h é le sedici c o m m e d i e le scrisse d a v v e r o , e M e d e b a c d o v e t t e r i m a n d a r e i n d i e t r o t o r m e d i spettatori, tali e r a n o l'attesa e la ressa. Ma la fretta era costata il suo ped a g g i o . L'autore mise in quella p r o v a di forza il meglio di sé, ma a n c h e il peggio, a t t i n g e n d o i m p a r z i a l m e n t e alla prop r i a ispirazione e a quella altrui. Il b u o n o si mescolava col cattivo e l'originale col plagio. Ma la bravata fece colpo, l'eco se ne ripercosse in tutt'Italia e in t u t t ' E u r o p a , e la quotazione di Goldoni salì alle stelle. Egli chiese a Medebac di ten e r n e conto nella spartizione degli utili. Medebac, che con lui già spartiva la moglie, t e n n e d u r o . Ne n a c q u e un litigio che rese a n c o r a più a s s o r d a n t e lo s c a m p a n ì o pubblicitarioGoldoni si diceva d e r u b a t o dall'impresario. La Gazzetta ve700
1
netti gli fece conti in tasca, a p p u r ò che nessun a u t o r e aveva mai g u a d a g n a t o q u a n t o lui, e concluse che a prosciugargli le tasche n o n era Medebac, ma il giuoco. Forse alla r o t t u r a fra i d u e c o n t r i b u ì a n c h e il fatto c h e Goldoni e r a stufo della M e d e b a c , d a q u a n d o aveva c o n o sciuto C o r n e l i a B a r b a r o Gritti, m u s a e a m a n t e d e l l ' a b a t e Frugoni. C o m u n q u e , la d i a t r i b a finì in m a n o agli avvocati per via dei diritti di stampa sui testi delle c o m m e d i e , e bisogna riconoscere che G o l d o n i agì m o l t o s c o r r e t t a m e n t e facendole pubblicare a Firenze p e r sottrarle a M e d e b a c che le aveva r e g o l a r m e n t e c o m p r a t e . Il patrizio V e n d r a m i n , che p e r legare Goldoni al suo teatro di San Luca aveva accettato da lui condizioni j u g u l a t o rie, d o p o il p r i m o a n n o dovette esserne assai pentito. Delle otto c o m m e d i e promesse, Goldoni ne aveva date cinque sole, e di scarso successo. Era in p i e n a crisi, anche sentimentale. La Cornelia, d o n n a di m o n d o , lo aveva accolto nella p r o pria alcova, ma senza scacciarne il F r u g o n i , forse p e r c h é non era sicura chi dei d u e fosse meglio qualificato a g a r a n tirle l'immortalità letteraiia. I m a l u m o r i che covavano sotto questa u n i o n e a t r e s c o p p i a r o n o nel ' 5 6 , q u a n d o G o l d o n i da Parma scrisse a Cornelia u n a lettera che d e n u n c i a v a tutta la tresca, m a n d a n d o n e copia ad alcuni amici. Fu c o m e affiggerla sui m u r i . Tutta Venezia ne fu subito informata, Frugoni scese in c a m p o a difesa della d a m a e diede del «buffone e versicolatore» al rivale. Questi ne uscì t a l m e n t e tartassato, che a un certo p u n t o si diffuse la notizia ch'era m o r t o . Visto che lo accusavano di ripetersi, cercò di r i n n o v a r e il suo r e p e r t o r i o con la mitologia. V e n d r a m i n n o n voleva sap e r n e p e r l'eccessivo costo degli allestimenti, ma G o l d o n i insistè, m a n d ò in scena il Monte Parnaso, e fece fiasco. Solo nel '60 r i t r o v ò la s t r a d a giusta infilando u n o d o p o l'altro i successi de I rusteghi, Le baruffe chiozzotte, Sior Toalaro brontolon- Era finalmente il vero Goldoni, il realistico e sapido fotografo della società veneziana: quello di cui Voltaire tesseva l'elogio in u n a lettera indirizzata al commediografo. 701
Ma n e m m e n o quest'alta consacrazione scoraggiava i suoi nemici, fra i quali tuttavia c'erano notevoli diversità d'impostazione. Carlo Gozzi lo c o m b a t t e v a in n o m e di p r i n c ì p i estetici, discutibili q u a n t o si vuole, ma nobili e disinteressati: e r a t r o p p o g r a n signore p e r s c e n d e r e sul t e r r e n o delle beg h e personali. Per il Chiari invece era soltanto u n a questione di gelosia e di bottega. T a n t o , che nel '61 si rappacificò con Goldoni e anzi fece lega con lui contro Gozzi. I d u e vecchi rivali che si e r a n o r i e m p i t i di c o n t u m e l i e , da q u e l m o m e n t o n o n fecero che incensarsi a vicenda, e n o n fu un g r a n bello spettacolo. Ma o r m a i Goldoni era stanco di Venezia. Pensava a Parigi dove c'era un teatro italiano, il cui direttore, Zanuzzi, già gli aveva offerto il posto di assistente. La g r a n d e decisione la p r e s e nel '62, con l'abituale spensieratezza. N o n conosceva Parigi, p a r l a v a malissimo il francese, e s o p r a t t u t t o n o n sapeva che il teatro italiano era considerato dai parigini una specie di circo equestre, dove n o n c'era da a m m i r a r e che le smorfie plautine e le acrobazie degli attori. I testi e r a n o solo pretesti p e r il virtuosismo d e g l ' i n t e r p r e t i s e c o n d o i vecchi schemi della c o m m e d i a d e l l ' a r t e , che p r o p r i o q u i aveva il suo m u s e o . Per di più quel teatro aveva un suo particolare statuto, che n o n consentiva bizze e divismi. Le scelte di repertorio venivano fatte collettivamente da attori, orchestrali e ballerini c h e si d i v i d e v a n o a n c h e utili e passivi. Goldoni, che p r e t e n d e v a fare di sua testa, fu subito ai ferri corti con loro. Volle d a r e u n a sua vecchia arlecchinata e incolpò gl'interpreti dello scarso successo. Mise in scena La serva riconoscente, e i critici più indulgenti scrissero che bisognava dargli il t e m p o d'ambientarsi. Goldoni, c h ' e r a v e n u t o a Parigi convinto di averla già in tasca, s'accorse che bisognava conquistarla e che n o n era facile. Da b u o n italiano, s'era subito o r i e n t a t o n e g l ' i n t r i g h i dell'alta società e s'era p r o c u r a t o l'appoggio di personaggi influenti come il segretario della P o m p a d o u r . Per far fronte a g l ' i m p e g n i m o n d a n i c h e gliene d e r i v a v a n o , aveva preso 702
un signorile alloggio le cui finestre d a v a n o sul p a r c o reale. Era ancora un bell'uomo sebbene navigasse verso la sessantina, e la loquacità, l'esuberanza, l'amore della b u o n a tavola gli attiravano molte simpatie. Ma bisognava a n c o r a vincere la battaglia del teatro. Si mise di b u o n a lena a s t e n d e r e // ventaglio, LArlecchìno erede, Il ricco insidiato, c e r c a n d o di applicare al meglio la lezione di Molière. E invece forse fu p r o p r i o questo a p e r d e r lo. La lezione evocava il confronto. E dal confronto Goldoni usciva schiacciato. Solo I due fratelli rivali si salvò. C o m e al solito, egli rigettò la colpa dell'insuccesso sugli attori accusandoli di sabotaggio, e chiese al revisore della Corte da cui il teatro d i r e t t a m e n t e d i p e n d e v a ch'essi venissero messi alle sue d i p e n d e n z e . Gli attori, che i suoi fiaschi li p a g a v a n o di tasca p r o p r i a , risposero rifiutandosi di r a p p r e s e n t a r e un altro suo lavoro. O r m a i e r a deciso a t o r n a r e a Venezia allo s c a d e r e del contratto che lo legava a Parigi p e r d u e a n n i . Ma p r o p r i o allora u n a c o m m e d i a su cui n o n faceva nessun assegnamento, Gli amori di Arlecchino, o t t e n n e u n a strepitosa accoglienza. O r a G o l d o n i e r a convinto d'aver capito: i francesi n o n volevano p r o b l e m i , società, c o s t u m e ; volevano Arlecchino. E con la sua abituale a r r e n d e v o l e z z a ai gusti del pubblico, quali che fossero, ne sfornò altri d u e . Ma un terzo c a d d e , e i cinque successivi lavori furono bocciati dai comici. Goldoni era nei guai. Il ritorno a Venezia presentava delle incognite: un po' p e r c h é Vendramin, cui aveva seguitato a m a n d a r e le c o m m e d i e rifiutate a Parigi, e r a furioso dei fiaschi che con esse aveva infilato; un po' p e r c h é il pubblico veneziano o r a stravedeva p e r Gozzi d o p o il trionfo r i p o r t a t o con L'amore delle tre melarance. Goldoni aveva un bel magnificare nelle sue lettere agli amici i suoi successi a Parigi. A smentirlo provvedeva Baretti sulla Frusta scrivendo che Goldoni n o n aveva incantato nessuno, che la critica francese lo considerava un plagiario cortigiano di Molière, che Diderot ignorava e Rousseau lo disprezzava, ed era la p u r a verità. 10
703
A q u e s t e disgrazie artistiche se ne a g g i u n s e u n ' a l t r a di o r d i n e p e n a l e che minacciò di travolgerlo. U n a m i n o r e n n e lo d e n u n z i ò p e r s t u p r o . Q u a n t o ci fosse di vero, n o n si è mai s a p u t o con certezza. Si sa solo c h e a un c e r t o p u n t o la ragazza ritirò la d e n u n z i a d i c e n d o s i «abbastanza c o m p e n s a ta». Forse di s t u p r o n o n si trattava. Ma è chiaro che l'incorreggibile d o n n a i o l o aveva d o v u t o allargare la borsa p e r rim e d i a r e a qualche malefatta. Pur seguitando a sfornare arlecchinate - unico genere che pubblico e critici accettavano da lui, p u r senza entusiasmo -, e r a in trattative con Lisbona e Vienna p e r un trasfer i m e n t o n e l l ' u n a o nell'altra capitale. G r i m m lo s e p p e , e in u n a sua lettera dice che la p a r t e n z a di Goldoni avrebbe provocato «un vuoto trascurabile nella c o m m e d i a italiana e ness u n o nella c o m m e d i a francese». Ma e n t r a m b i i negoziati n a u f r a g a r o n o , e Goldoni, v e d e n d o in forse i suoi guadagni, b r i g ò e o t t e n n e l'incarico delle lezioni d'italiano alle figlie del Re, t r o p p o ignoranti p e r accorgersi che n e m m e n o lui lo sapeva. C o n l'alloggio a C o r t e , il titolo di professore e 6000 franchi di stipendio, avrebbe p o t u t o vivere tranquillamente. Ma le sue m a n i seguitavano ad essere bucate e sfortunatissime al giuoco. Poi, d o p o tre a n n i , le lezioni cessarono, e invece dello stipendio egli d o v e t t e contentarsi di u n a p e n s i o n e di tremilaseicento lire francesi. Si a g g i u n s e r o i p r i m i sintomi della cateratta che di lì a poco doveva accecargli un occhio. Ma la sorte gli diede u n a m a n o . Per le nozze del futuro Luigi X V I con Malia Antonietta, lo incaricarono di scrivere un n u o v o lavoro. Forse egli sentì c h ' e r a l'ultima occasione che gli si p r e s e n t a v a c o m e c o m m e d i o g r a f o , e c o m p o s e in francese Le bourru bienfaisant, il b u r b e r o benefico. Il successo fu incondizionato. Il lavoro rimase nel r e p e r t o r i o della Comedie francaise fino al 1848, e vollero recitarlo a n c h e a Corte con la partecipazione, in qualità di protagonista, del Principe di C o n d é . Solo il p u r i t a n o Rousseau lo qualificò «tempo perduto». 704
Fu l'ultima illuminazione del talento d r a m m a t i c o di Goldoni che, indotto dall'entusiasmo - c o m e s e m p r e gli capitava - alla solita faciloneria, sfornò subito d o p o L'avaro festoso, e fu subissato di fischi. Era il m o m e n t o in cui all'orizzonte del t e a t r o francese s p u n t a v a il n u o v o a s t r o di B e a u m a r chais. N o n c'era p i ù posto p e r n e s s u n altro. L a c o m m e d i a italiana fu sfrattata dal suo locale, e al vecchio Goldoni che ormai aveva d o p p i a t o il capo della settantina n o n restavano che le m e m o r i e . Si mise a scriverle d i r e t t a m e n t e in francese p e r c h é d e l suo italiano n o n si fidava (e aveva r a g i o n e ) . E in questo lavoro buttato giù alla brava p e r r i e m p i r e le sue giornate vuote, ritrovò la sua v e n a m i g l i o r e . Le Memorie r i p r o d u c o n o tutti i difetti di Goldoni: sono inattendibili, scritte alla carlona, p i e n e di riferimenti inesatti e di date sbagliate. Ma son pecche l a r g a m e n t e riscattate dalla vivacità, dall'immediatezza, dall'acutezza delle osservazioni e da quel b o n a r i o u m o r i smo, che costituivano il suo fascino u m a n o . Pubblicate in tre tomi, riscossero un successo che n e m m e n o lui si aspettava e che gli p e r m i s e di rimettere un po' in sesto le sue dilapidate finanze. Il Re c o m p r ò c i n q u a n t a copie del libro, la Regina venticinque, i cortigiani s e t t a n t a d u e . C a t e r i n a di Russia se ne fece m a n d a r e ventiquattro. E Gibbon, d o p o averle lette, disse c h e la vita di G o l d o n i e r a m o l t o p i ù d i v e r t e n t e delle sue c o m m e d i e . La rivoluzione lo colse di s o r p r e s a . N o n s'era avvisto di nulla, n o n aveva n e a n c h e di l o n t a n o sospettato che il vecchio regime fosse in crisi, la m o n a r c h i a discreditata, gl'intellettuali in rivolta. Della g r a n d e palingenesi di cui si trovava testimone, capì u n a cosa sola: che gli costava la p e n s i o n e . Gli v e n n e r o in soccorso alcuni amici, mossi a pietà da quel povero vecchio, che si aggirava nelle anticamere degli assertori dei diritti d e l l ' u o m o a c h i e d e r e che r i c o n o s c e s s e r o i suoi. G i u s e p p e C h é n i e r , fratello del p o e t a g h i g l i o t t i n a t o , riuscì a farli valere presso la C o n v e n z i o n e c h e gli assegnò un sussidio a n n u o di 1.200 franchi. 705
P u r t r o p p o , Goldoni e r a m o r t o tre giorni p r i m a , e quindici giorni d o p o la decapitazione di Luigi X V I che lo aveva p r o t e t t o e beneficato. Aveva ottantasei anni. Le sue ossa and a r o n o disperse. Alla vedova fu assegnata u n a p e n s i o n e di millecinquecento lire. Era stato l'unico vero u o m o di teatro italiano, ed era d e stinato a restarlo fino a Pirandello. Ma ciò n o n vuol dire che fosse a n c h e u n g r a n d e u o m o d i teatro. L o h a n n o p a r a g o n a to a M e n a n d r o , a Plauto, a C a l d e r o n de la Barca, a Molière. E se si p r e n d e come m e t r o di misura la quantità del p r o d o t to, si p u ò a n c h e dire che con le sue d u e c e n t o c o m m e d i e li ha battuti tutti. Ma di tante o p e r e , a sopravvivere sono solo u n a diecina, e a condizione di accettarne i limiti, assai facilm e n t e riconoscibili. Sia p u r e con molta più vena, a n c h e Gold o n i fu, c o m e Gaspare Gozzi, un Canaletto della p e n n a : un cronista attento, p e n e t r a n t e , ricco di colore e di trovate, della Venezia settecentesca. Q u i è g r a n d e . Ma è g r a n d e nel piccolo, cioè d e n t r o il modesto orizzonte di u n a città o r m a i scad u t a a provincia, senza più alti aneliti e ideali. Marci d'ideologia, alcuni critici e registi d ' o g g i c e r c a n o d ' i m p r e s t a r g l i u n a problematica sociale e di scoprire nelle p i e g h e della sua comicità l'amarezza di u n a coscienza ferita dalle ingiustizie sociali. Farneticazioni. Quello che a Goldoni m a n c ò p e r r a g g i u n gere la vera grandezza fu p r o p r i o la coscienza: in questo Baretti, Gozzi e gli altri suoi critici avevano p e r f e t t a m e n t e rag i o n e . Infatti n o n ebbe m a i p r o b l e m i , n e a n c h e d i sintassi, sebbene ci si rigirasse piuttosto male. L'unico che lo assillava e r a quello del successo. Della società lo interessavano solo il costume e i caratteri, n o n certo le «strutture» e le disfunzioni. N o n e r a n é u n riformatore, n é u n d e n u n c i a t o r e , m a soltanto un cronista divertito e molto spesso divertente. A n c h e sul p i a n o tecnico, le sue innovazioni m a n c a r o n o di convinzione e di a u d a c i a . C o n t r i b u ì moltissimo a d i s a n c o r a r e il teatro italiano dalla rancida e avvilente c o m m e d i a dell'arte, s m a s c h e r a n d o gli attori e sostituendo al canovaccio il testo 706
scritto. Ma lo fece più accodandosi ai gusti del pubblico che anticipandoli, e ogni tanto t o r n a n d o al vecchio modello. Sul p i a n o u m a n o , m a l g r a d o i molti vizi, o forse a n c h e p e r questi, fu un p e r s o n a g g i o amabile. C o m e tutti gl'intellettuali italiani del Settecento, privi di u n a cultura nazionale in cui i n q u a d r a r s i , senza un pubblico in g r a d o di capirli e su cui esercitare il loro apostolato, a n c h e lui fu un avventuriero cortigiano; ma dei p i ù b o n a r i e c a n d i d i . Le Memorie, p u r con t u t t e le l o r o inesattezze e omissioni, ne d a n n o un ritratto abbastanza fedele. Se, c o m e a p p a r e dalla loro lettura, f u r o n o scritte p e r suscitare n o n t a n t o l ' a m m i r a z i o n e quanto la simpatia, bisogna riconoscere che avevano ragg i u n t o lo scopo.
CAPITOLO VENTISETTESIMO
A L F I E R I E LE SUE T R A G E D I E
Vittorio Alfieri a p p a r t i e n e al S e t t e c e n t o solo p e r r a g i o n i anagrafiche. In realtà n o n ha nulla a che fare con questo secolo, e ne resta in disparte senza riuscire a inquadrarvisi. La sua statura di artista n o n è eccelsa. Ma la sua personalità sovrasta di g r a n l u n g a quella di tutti i suoi c o n t e m p o r a n e i . Fra tante c o m p a r s e , è dei pochissimi che abbia stoffa di p r o tagonista, a n c h e se n o n riuscì a diventarlo. Era n a t o ad Asti nel '49 da u n a delle p i ù nobili famiglie piemontesi, il cui albero genealogico affondava le radici nel 1200. Ai suoi t e m p i il blasone c o m p o r t a v a grossi vantaggi, ma anche qualche inconveniente. Coloro c h ' e r a n o destinati a fregiarsene, venivano sottoposti da ragazzi a u n a disciplin a d a c a s e r m a . I n casa Alfieri, n o n ricchissima, m a m o l t o agiata, n o n mancava nulla, m e n o la tenerezza. Vittorio perse il p a d r e q u a n d o e r a a n c o r a in fasce, e sua m a d r e la vide di r a d o . Costei, u n a Maillard de T o u r n o n , aveva già avuto un m a r i t o p r i m a di Alfieri, e d o p o di lui ne ebbe un altro, cugino del m o r t o . A Vittorio aveva dato u n a sorellina, Giulia, e sei fratellastri - tre del p r i m o , tre del terzo m a t r i m o nio -, ma n i e n t e altro, o b e n p o c o . Era m o l t o p i ù contessa che m a d r e . Il r a g a z z o v e n n e affidato a un p r e c e t t o r e , D o n Ivaldi, con la r a c c o m a n d a z i o n e di «non farne un d o t t o r i n o » p e r ché la cultura era considerata un attributo incompatibile con la nobiltà. Ma la r a c c o m a n d a z i o n e era Superflua p e r c h é D o n Ivaldi, c h e riceveva lo stesso s t i p e n d i o del cocchiere, ne sapeva poco più dell'allievo. Questi concepì p e r quel tipo di educazione un odio che più tardi doveva scoppiare in in708
vettive violente, e crebbe solitario e scontroso in un deserto di affetti. A otto a n n i tentò di suicidarsi m a n g i a n d o certe erbe che gli p r o c u r a r o n o solo un p o ' di dissenteria. Ma forse nel gesto c'era più esibizionismo che disperazione. Q u a n d o , d o p o u n a confessione, il p r e t e gl'impose c o m e penitenza di prosternarsi alla m a d r e e di chiederle p e r d o n o alla p r e s e n za di tutti, vi si rifiutò, fu s e v e r a m e n t e p u n i t o , e da allora n o n si riconciliò p i ù con la Chiesa. Lo zio p a t e r n o , c h ' e r a a n c h e suo t u t o r e , capì lo stato d'an i m o d e l n i p o t e , e i m p o s e alla c o g n a t a di m a n d a r l o all'Acc a d e m i a Militare di T o r i n o . Il r a g a z z o ci a r r i v ò s m u n t o e t a l m e n t e c o p e r t o di foruncoli e di eczemi c h e i c o m p a g n i , con squisito tatto, gli a p p i o p p a r o n o il s o p r a n n o m e di «carog n a fradicia». Il loro dileggio stimolò il suo spirito di emulazione. A tredici a n n i e r a già iscritto all'Accademia e a quattordici r a g g i u n s e l ' i n d i p e n d e n z a e c o n o m i c a grazie all'eredità dello zio t u t o r e , m o r t o improvvisamente. La legge p i e m o n t e s e consentiva al m i n o r e n n e di p e r c e pire le r e n d i t e , e Vittorio ne approfittò l a r g a m e n t e . Si concesse u n a p p a r t a m e n t o d a scapolo, u n m a g g i o r d o m o - Francesco Elia - destinato a fargli p e r d e c e n n i da compag n o , confidente e infermiere, e u n a scuderia. Aveva deciso di far l'ufficiale di cavalleria. Ma subito si accorse che la disciplina militare e r a inconciliabile c o n la sua d i r o m p e n t e smania di libertà, e preferì imbrancarsi con d u e suoi coetanei, un belga e un olandese che, guidati da un m e n t o r e inglese, stavano e s p l o r a n d o l'Italia. Seguito dall'erculeo, paziente, fedelissimo servitore, Vittorio cominciò a s c e n d e r e con loro verso Milano, Parma, Modena, Bologna. Ma di q u e s t e città si rifiutò di visitare i n s i e m e agli altri i m o n u m e n t i . N o n gl'interessavano. II viaggio p e r lui e r a soltanto u n a fuga: p i ù che di a r r i v a r e , smaniava di p a r t i r e . Solo Fir e n z e lo sedusse, e R o m a a d d i r i t t u r a lo conquistò. A Napoli fu p r e s e n t a t o a re F e r d i n a n d o , da b u o n aristocratico piem o n t e s e r i m a s e s c o n c e r t a t o dalla c i a b a t t o n e r i a d i quella C o r t e , t o r n ò p e r conto p r o p r i o n e l l ' U r b e , a n d ò a baciar la 709
pantofola a p a p a C l e m e n t e X I I I , e riprese la sua forsennata corsa attraverso la penisola. N e m m e n o le d o n n e di cui ogni tanto s'innamorava o credeva d'innamorarsi riuscivano a p l a c a r e q u e s t o suo delirio p s i c o m o t o r i o . Da Venezia a Genova, da G e n o v a a Marsiglia, da Marsiglia a Parigi, che gli fece l'effetto di uria «fetente cloaca» forse p e r c h é re Luigi XV, cui l ' a m b a s c i a t o r e p i e m o n t e s e lo p r e s e n t ò , n o n lo g u a r d ò n e m m e n o , e infine eccolo a L o n d r a . Più c h e la città, lo i n c a n t ò il paesaggio inglese: i g r a n d i boschi p r o p i z i alle l u n g h e solitarie cavalcate, i t e n u i colori del loro fogliame, e i parchi così diversi dai giardini italiani, impreziositi e coartati dalla m a n o d e l l ' u o m o . Alfieri r i m a r r à s e m p r e sordo alle pietre, ai m o n u m e n t i , alle architetture, e sensibilissimo invece alla n a t u r a . Anche dell'Olanda, dove trasmigrò subito d o p o , gli piacq u e tutto, e p e r le stesse ragioni. Gli piacque anche u n a paffuta e l a n g u i d a baronessa, il cui marito accettò di b u o n grado la collaborazione di questo latin lover alla pace coniugale. Alfieri visse con loro, li seguì nelle stazioni termali, e q u a n do fu costretto a s e p a r a r s e n e decise p e r la seconda volta di suicidarsi. Si fece fare un salasso da un m e d i c o , e p o i si s t r a p p ò l e b e n d e p e r m o r i r e d i s s a n g u a t o . Elia, c h e s e l'aspettava, lo immobilizzò, lo ricaricò in carrozza, e attraverso Belgio, Alsazia, L o r e n a , lo r i t r a s c i n ò dalla sorella in Piemonte, dove a quel corpo inerte e m u t o occorsero parecchie s e t t i m a n e p e r r i t r o v a r e la p a r o l a e un p o ' di voglia di vivere. Avendo r a g g i u n t o i vent'anni, poteva d i s p o r r e di tutto il p a t r i m o n i o , e si accorse c h ' e r a molto più cospicuo di q u a n to il suo a m m i n i s t r a t o r e , p e r tenerlo in freno, gli avesse fatto c r e d e r e . Fu sfiorato dalla tentazione di «sistemarsi», e ci si p r o v ò . Aveva t u t t o p e r d i v e n t a r e il p r o t a g o n i s t a della vita m o n d a n a t o r i n e s e : p o r t a v a u n g r a n n o m e , e r a ricco, e r a bello e c o n t e n t o di esserlo. Indossava abiti ricercati che sottolineavano l'eleganza della sua alta e asciutta figura, sovrastata d a u n a fulva c h i o m a , d i cui a n d a v a p a r t i c o l a r m e n t e 710
fiero. Decise di sposare u n ' e r e d i t i e r a di alto lignaggio, ma costei rifiutò. Alfieri aveva l'approccio facile con le d o n n e , che lì p e r lì n o n resistevano mai alla furia della sua passione, vera o i m m a g i n a r i a che fosse. Ma n o n ce ne fu mai u n a che riuscisse a s o p p o r t a r l o a l u n g o e gli restasse fedele. Le sue p o s e , il suo e g o c e n t r i s m o , le sue crisi isteriche c h e rasentavano l'epilessia, e forse lo e r a n o , le spaventavano. Cap i v a n o c h e q u e l l ' a m a n t e n o n a m a v a che se stesso e in loro cercava soltanto la p r o p r i a esaltazione. Il p e r s o n a g g i o e r a già delineato. Per q u a l c h e s e t t i m a n a s ' i m m e r s e nella l e t t u r a dei libri che si e r a p o r t a t o al seguito dai suoi viaggi. Anzi, eccessivo c o m ' e r a in t u t t o , vi s p r o f o n d ò : la sua c u l t u r a sarà s e m p r e tutta fatta di g r a n d i indigestioni intervallate da l u n g h i dig i u n i , e si s e n t e . D i v o r ò gli enciclopedisti francesi (senza t r a r n e , a q u a n t o risulta, g r a n profitto), ma a entusiasmarlo fu Plutarco c h e suscitò in lui «un t r a s p o r t o di grida, di pianti e di furori», c o m ' e r a logico, visto c h e lì si t r o v a v a fra «eroi», lui che smaniava di diventarlo, anzi e r a convinto di esserlo già. Ma si stufò p r e s t o , e r i p a r t ì , s e m p r e s e g u i t o d a l fedele Elia, p e r u n o di quei suoi viaggi senza i t i n e r a r i o . Passò da V i e n n a , d o v e n o n volle i n c o n t r a r e il Metastasio p e r c h é lo vide genuflettersi davanti a Maria Teresa, p r o s e g u ì p e r Budapest, Praga e Berlino, che gli p a r v e u n a detestabile caserma (qual era), ma dove si fece p r e s e n t a r e a Federico I I , attraversò la Danimarca, e passò in Svezia. Q u e s t o paese disabitato e silente, coi suoi «lagoni crostati» e le sue «cupe selvone», lo incantò. Nell'amore p e r questi sfondi funerei, egli già riecheggiava Ossian (senz'averlo a n c o r a letto) e anticipava Foscolo. Si appassionò alla slitta «con furore» (questa è la p a r o l a c h e p i ù spesso r i c o r r e nella sua autobiografìa, e s e m p r e p r o n u n c i a t a in tono di compiacimento), a b o r d o di u n a di esse risalì verso la L a p p o n i a , passò in Finlandia che gli piacque ancora di più, attraversò la Carelia, e si spinse in Russia fino a Pietroburgo. Il ministro p i e m o n t e s e gli offrì di 711
p r e s e n t a r l o alla g r a n d e C a t e r i n a . Rifiutò. Detestava quella «Clitennestra filosofessa» e la Russia gli fece l'effetto di un «asiatico a c c a m p a m e n t o di allineate trabacche»: gli a n d a r o no a genio solo le criniere dei cavalli e le b a r b e degli u o m i ni. Riprese la s t r a d a dell'Occidente p e r Danzica, Colonia e Spa. La nostalgia della baronessa lo richiamò in O l a n d a . Ma la baronessa n o n c'era. C'era invece ancora il vecchio amico d ' A c u n h a , a m b a s c i a t o r e del Portogallo, u n o dei p o c h i che riuscivano a s o p p o r t a r e gli sbalzi del suo u m o r e . Rimase con lui d u e mesi. Poi rieccolo a L o n d r a . Già nel p r e c e d e n t e viaggio vi aveva conosciuto u n a d a m a di alto lignaggio, Penelope Pitt, figlia del g r a n d e statista e moglie di L o r d Ligonier. La ricercò, la sottopose a u n o dei suoi soliti «furiosi» c o r t e g g i a m e n t i c h e la disponibilità della s i g n o r a r e n d e v a a s s o l u t a m e n t e s u p e r f l u o , m a stavolta d o v e t t e vedersela con u n m a r i t o n o n altrettanto a r r e n d e v o l e . Penelope fu esiliata in c a m p a g n a a sedici miglia da L o n d r a , ma la distanza e r a t r o p p o m o d e s t a p e r scoraggiare u n cavalcatore della resistenza di Alfieri, cui anzi le galoppate n o t t u r n e nel bosco, il rischio, l'intrigo, facevano da catalizzatore. Più che la d o n n a forse gli piaceva p r o p r i o la difficoltà d e l l ' a p p r o c cio, il rischio, il segreto, che gli d a v a n o l'impressione di viv e r e u n r o m a n z o d i c a p p a e s p a d a . U n a volta, n e l saltare u n a staccionata, si r u p p e u n a spalla. Raggiunse u g u a l m e n t e l ' a m a n t e , trascorse c o n lei la n o t t e s p a s i m a n d o i n s i e m e di p i a c e r e e di d o l o r e ; e l ' i n d o m a n i sera, col braccio al collo, a n d ò a t e a t r o . D u r a n t e la r a p p r e s e n t a z i o n e un inserviente v e n n e a chiamarlo. Uscì dal palco e si trovò a faccia a faccia con L o r d Ligonier, c h e lo invitò a seguirlo in H y d e Park; ma p o i , v e d e n d o l o m i n o r a t o , r i n u n c i ò a b a t t e r s i c o n lui. N o n vi r i n u n c i ò invece Alfieri, sebbene fosse a n c h e un pessimo s p a d a c c i n o . C o n m o l t a cavalleria Ligonier si limitò a toccargli il braccio di striscio, e se ne a n d ò . Alfieri corse da u n a p a r e n t e d i P e n e l o p e p e r s e n t i r e c o s ' e r a successo. C i trovò lei stessa, cacciata di casa dal marito. Le chiese di sposarlo, ma lei rifiutò. L'indomani lesse sul giornale u n a cro712
naca che riportava «le funeste e risibili cause di divorzio tra L o r d Ligonier e Penelope Pitt con le confessioni del lacchè che da tre a n n i g o d e i favori della p a d r o n a » . Penelope se lo vide r i c o m p a r i r davanti stravolto, u r l a n t e e in p r e d a a vere e p r o p r i e convulsioni. La scenata c o n t i n u ò senza p a u s e tre giorni e tre notti. Poi insieme p a r t i r o n o p e r u n a l u n g a l u n a di miele che tuttavia n o n d e t t e i frutti sperati. A Rochester si s e p a r a r o n o . Lei trasmigrò in Francia, lui in O l a n d a e di lì a Parigi dove si rifiutò d ' i n c o n t r a r e Rousseau p e r t i m o r e di esserne accolto con superbia. P r o s e g u ì p e r la S p a g n a col fido Elia e c o n u n a raccolta dei versi di Ossian. Finalmente aveva scoperto il «suo» p o e ta, e q u a n d o s e p p e a b b a s t a n z a di s p a g n o l o p e r l e g g e r e il Don Chisciotte, scoprì anche il suo p r o g e n i t o r e , ma forse n o n lo riconobbe. E p p u r e , quella che attraversava la d r a m m a t i ca e s o l e n n e meseta castigliana e r a p r o p r i o u n a c o p p i a da C e r v a n t e s : lui in sella a un p u l e d r o a n d a l u s o , Elia trotticchiante al suo fianco a b o r d o d ' u n m u l e t t o . In u n a locanda di M a d r i d scoppiò fra i d u e u n a mezza tragedia p e r c h é Elia, nel p e t t i n a r l o , gli tirò u n a ciocca. F u r i b o n d o , Alfieri gli spaccò la testa c o n un c a n d e l i e r e d ' a r g e n t o . Il servo saltò addosso al p a d r o n e che s n u d ò la spada. Li divisero i c a m e rieri accorsi allo strepito. L'indomani r i p r e s e r o la strada come se nulla fosse a v v e n u t o , salvo il b u c o sulla testa di Elia coperta di garze. Alfieri ebbe il suo castigo a Cadice dove, in attesa d ' i m b a r c a r s i p e r G e n o v a , c o n o b b e u n a ragazza c h e gli attaccò la b l e n o r r a g i a : un male di cui allora e r a diffìcile guarire. Aprì di n u o v o casa a Torino, p i e n o di b u o n i propositi sed e n t a r i , e n a t u r a l m e n t e provvide subito a equipaggiarsi di cavalli e di u n ' a m a n t e . Ma ci d o v e v a essere in lui q u a l c h e deficienza di alcova p e r c h é a n c h e la m a r c h e s a T u r i n e t t i , sebbene avesse u n a diecina d ' a n n i più di lui, cominciò subito a t r a d i r l o . A n c h ' e s s a e b b e il suo castigo q u a n d o si a m m a l ò di un m a l e «di cui forse - dice Alfieri - p o t e v a esser stato io la cagione», ipotesi p i ù che verosimile. Fu m e n t r e la 713
curava con t r e p i d a a b n e g a z i o n e ch'egli avrebbe concepito, ispirandosi agli arazzi egiziani che t a p p e z z a v a n o la casa, il suo p r i m o c o m p o n i m e n t o : la tragedia Cleopatra. Q u a n d o la fece leggere a un amico p r e t e , questi vi trovò parecchi e r r o r i di g r a m m a t i c a e di sintassi, ma ciò n o n imp e d ì a un capocomico di r a p p r e s e n t a r e il lavoro al Carignan o , d o v e o t t e n n e un m o d e s t o successo. Ma ad Alfieri semb r ò un trionfo. Convinto di aver trovato la p r o p r i a vocazion e , disse a d d i o al m o n d o , c o m p r e s a la signora M a r t i n c h e aveva r i m p i a z z a t o la m a r c h e s a e, rifugiatosi in c a m p a g n a , s p r o f o n d ò nella l e t t e r a t u r a . Per n o n d i s t r a r s e n e , racconta, si faceva l e g a r e alla sedia da Elia, e ci c r e d i a m o s e n z ' a l t r o p e r c h é questi gesti facevano p a r t e del suo r e p e r t o r i o , e anche le p a r o l e che dice di aver p r o n u n c i a t o - «volli, s e m p r e volli, fortissimamente volli» - vi s'intonano alla perfezione. Ma p e r scrivere Filippo e Polinice, dovette r i c o r r e r e al francese p e r c h é si accorse di n o n conoscere abbastanza b e n e l'italiano. E allora decise di a n d a r e in Toscana a i m p a r a r l o . Passando p e r M o d e n a , s ' i n n a m o r ò d i Bianchina Tari J a c o pi; a Pisa, di S a n d r i n a Gnolari. Ma il g r a n d e e decisivo inc o n t r o lo fece a Firenze. Luisa Stolberg e r a u n a g e n t i l d o n n a austriaca d i g r a n d e famiglia i m p a r e n t a t a a n c h e agli Asburgo, ma di pochi mezzi. N o n a v e n d o d o t e , e r a stata destinata al convento, q u a n do c a d d e sotto gli occhi di Carlo Stuart, conte d'Albany, ultimo e p i g o n o della dinastia che p e r q u a t t r o generazioni aveva r e g n a t o in I n g h i l t e r r a e t u t t o r a p r e t e n d e n t e al t r o n o di L o n d r a . Carlo aveva t r e n t a d u e a n n i p i ù di lei, ma p o r t a v a u n g r a n n o m e , riceveva dal g o v e r n o francese u n cospicuo a p p a n n a g g i o , e i n s o m m a era molto meglio del convento. Si sposarono. Alfieri e r a i n u n o d e i suoi m o m e n t i d i m a g g i o r felicità creativa. N o n badava all'originalità degli spunti. Li p r e n d e va dove li trovava: da T i t o Livio derivò il soggetto di Virginia, da Seneca quelli di Agamennone e Oreste, da Machiavelli l'ispirazione (e lo stile) p e r il saggio sulla Tirannide. Q u e s t o 714
p e r ò n o n gl'impediva di t e n e r e u n a scuderia con otto cavalli e di seguitare a c o n d u r r e u n a vita da g r a n signore. Sebbene spasimoso di gloria letteraria, coi letterati se la faceva p o co, condivideva nei loro confronti i pregiudizi della sua casta, n o n si dimenticava mai di essere il C o n t e Alfieri. I n s o m ma, e r a u n o snob. Egli dice di essere rimasto conquistato n o n solo «dagli occhi nerissimi con candidissima pelle e b i o n d i capelli» della Contessa, ma anche dalla sua intelligenza e cultura. Ci p a r e difficile. Di lineamenti pesanti e piuttosto volgari, Luisa n o n e r a bella, aveva p o c a testa e cattivo c a r a t t e r e . Ma e r a u n a Stolberg, moglie di u n o Stuart. Per starle vicino, Alfieri cedette tutto il suo p a t r i m o n i o alla sorella in cambio di un cospicuo vitalizio a n n u o , che p o i fu occasione d'infiniti dissap o r i fra i d u e . Alfieri e r a g e n e r o s o solo c o n se stesso e coi cavalli. C o n tutti gli altri e r a avaro, trattava malissimo i servi, evadeva il fisco con mille sotterfugi, e o r a aveva più che mai bisogno di d e n a r o p e r far fronte a u n a «relazione» con u n a d o n n a di esigenze p a r i al suo r a n g o , avida, frivola e vanitosa. Per d u e a n n i lo Stuart n o n se n'accorse, o finse di n o n acc o r g e r s e n e . I costumi del t e m p o a m m e t t e v a n o il «cavalier servente», e Alfieri cercò di farlo nel miglior m o d o possibile, sebbene la p a r t e gli fosse poco congeniale. C o m e gargonnière i d u e a m a n t i avevano un convento, dove Luisa diceva di and a r e a p r e n d e r lezioni di r i c a m o . Poi t r a m a r i t o e m o g l i e scoppiò u n a scenata, lui cercò di strangolarla, e lei fuggì a R o m a m e t t e n d o s i sotto la p r o t e z i o n e del cognato, il Cardinale di York, che odiava il fratello. A n c h e il Papa e il G r a n d u c a L e o p o l d o di Toscana c o n s i d e r a r o n o Luisa la calunniata vittima di u n o sposo brutale. Ma a d i s i n g a n n a r l i fu lo stesso Alfieri c h e la r a g g i u n s e p o c o d o p o . L u n g i d a l salvare le a p p a r e n z e , egli o s t e n t ò i suoi r a p p o r t i con lei. Il Papa, il G r a n d u c a e il Cardinale, che frattanto si e r a riconciliato con Carlo, si sentirono corbellati, e Alfieri d o v e t t e sloggiare. P a r t e n d o , lanciò un s o n e t t o di
715
dileggio al P a p a , e un g i o v a n e p o e t a di n o m e V i n c e n z o M o n t i n e a p p r o f i t t ò p e r g u a d a g n a r s i d e i m e r i t i agli occhi della Chiesa r i s p o n d e n d o g l i - è il caso di dirlo - p e r le rime. Fu p e r Alfieri un b r u t t o m o m e n t o . C o n Luisa, tutto semb r a v a f i n i t o . I p r i m i d u e v o l u m i delle sue t r a g e d i e e r a n o stati accolti f r e d d a m e n t e : i p o c h i c h e ne a v e v a n o p a r l a t o , m e n o il Calzabigi, lo avevano fatto in t e r m i n i dispregiativi. Alfieri si e r a trasferito a Siena dal suo vecchio a m i c o Gori Gandellini. Proseguì p e r Padova, Venezia e Torino. T o r n ò a Firenze solo p e r r i c o r r e g g e r e le sue o p e r e . Poi riprese a vag a b o n d a r e p e r Francia e I n g h i l t e r r a , e al r i t o r n o fece sosta a Torino p e r visitare la m a d r e che n o n vedeva da a n n i e p e r farsi p r e s e n t a r e al n u o v o Re, Vittorio A m e d e o I I , che lo accolse c o m e un figliol p r o d i g o tornato all'ovile. Ma quell'ovile n o n e r a p e r lui. Q u a n d o s e p p e che Luisa aveva finalmente o t t e n u t o la separazione dal m a r i t o e il p e r messo di recarsi a B a d e n , rifece precipitosamente le valigie, ma n o n p e r i n c o n t r a r e lei. Nel frattempo si era i n n a m o r a t o di u n a signora veneziana conosciuta a Pisa, Alba V e n d r a m i n Correr, e fu da lei che t o r n ò . Luisa la raggiunse più tardi, a B a d e n , e d o p o sedici mesi di separazione fu un'altra l u n a di miele. M e n t r e lei «passava le acque», lui c o m p o n e v a di getto la sua t r a g e d i a migliore, il Saul, e buttava giù il canovaccio della Mirra, della Sofonisba e Agide. Unica nota di mestizia in q u e l felice i n t e r m e z z o , la notizia della m o r t e di G o r i , alla cui m e m o r i a egli dedicò un dialogo su La virtù sconosciuta. Poi i d u e decisero di p r e n d e r s i u n a vacanza. Lei a n d ò a Parigi, lui t o r n ò a Pisa dalla V e n d r a m i n . N o n c'è da rinfacciargli questa infedeltà p e r c h é Luisa gliela ricambiava con gl'interessi, e da s e m p r e . Per sorvegliarla, egli le aveva messo alle costole Elia. Ed Elia un g i o r n o e r a t o r n a t o a dirgli che la contessa lo aveva licenziato p e r c h é lui l'aveva s o r p r e sa a letto con un altro. Per tutto r i n g r a z i a m e n t o , a n c h e Alf i e r i l o licenziò, sia p u r e con u n a b u o n a p e n s i o n e , i n g i u n g e n d o g l i di t o r n a r e a T o r i n o e di t e n e r la bocca chiusa. Il devoto e paziente servitore n o n l'aprì n e m m e n o q u a n d o il 716
suo e x - p a d r o n e smise di passargli l'assegno. La strana coppia si t e n n e u n i t a a furia di t e n e r s i slegata, o g n u n o vagab o n d a n d o p e r p r o p r i o c o n t o e r i t r o v a n d o s i solo a l u n g h i intervalli. A n c h e q u a n d o decisero di stabilirsi a Parigi, p r e sero casa in quartieri diversi e lontani. C o n la scusa di farsi d a r e lezioni di disegno, lei si p r e s e p e r a m a n t e il pittore Fabre, ma cercò u g u a l m e n t e di aiutare Alfieri a p r e n d o un salotto letterario, d o v e si r i u n i v a n o G i u s e p p e Chénier, il fratello di A n d r e a , lo scultore David, I p p o l i t o P i n d e m o n t e , e qualche volta G i u s e p p i n a B e a u h a r n a i s , la futura moglie di N a p o l e o n e . L o f r e q u e n t a v a a n c h e M a d a m e d e Staél, c h e considerava Alfieri un talento m e d i o c r e e Luisa u n a testolina vuota, ma bravissima c o m e a g e n t e pubblicitaria del suo Vittorio sul cui p i e d e s t a l l o s p e r a v a d ' i n n a l z a r e a n c h e se stessa. La speranza a n d ò per il m o m e n t o delusa. Stampate in francese dall'editore Didot, le t r a g e d i e di Alfieri n o n suscit a r o n o , nella patria di Corneille e di Racine, che sorrisetti di compatimento. Ma la seconda edizione a n d ò meglio: n o n solo p e r c h é p u r g a t a degli svarioni sintattici che costellavano la p r i m a , ma a n c h e p e r c h é i t e m p i e r a n o cambiati. Il p o p o lo p a r i g i n o e r a sceso p e r le s t r a d e , aveva i n c e n d i a t o la Bastiglia, t e n e v a p r i g i o n i e r o il Re, in aria si respirava o d o r di sangue, e a quel clima corrusco le tragedie alfieriane s'intonavano bene. C o m e Goldoni, n e a n c h e Alfieri s'era accorto della rivoluzione. Cominciò a capirla solo il giorno in cui, al t e r m i n e di u n a delle sue solite scenate, il segretario Polidori si licenziò u r l a n d o g l i : «È finita l'epoca dei tiranni!» C o n t r o i t i r a n n i , Alfieri aveva scritto un t r a t t a t o . Ma la t i r a n n i a ch'egli d e nunziava era quella degli altri. Ne aveva salutato la fine con u n ' o d e a Parigi sbastigliata. Ma nel v e d e r e contestata la sua, m u t ò atteggiamento. Probabilmente v'influirono a n c h e motivi d'interesse. Fra i beni che lo zio gli aveva lasciato ce n'er a n o a n c h e di francesi che gli fruttavano u n a b u o n a r e n d i ta. Il g o v e r n o rivoluzionario glieli confiscò nello stesso m o 717
m e n t o in cui aboliva la p e n s i o n e che fin allora la Corte aveva passato a Luisa c o m e moglie dello Stuart. Alfieri e r a ancora ricco, ma lo e r a m e n o di p r i m a , e questo n o n lo lasciava indifferente. Tuttavia in nessun caso avrebbe p o t u t o simpatizzare con u n a rivoluzione che «puzzava di stalla» e che fra i suoi t r a g u a r d i p o n e v a quello dell'uguaglianza. Alfieri n o n voleva e s s e r e u g u a l e a n e s s u n o e n o n accettava c h e q u a l c u n o si considerasse u g u a l e ad Alfieri. Nel '93, d o p o che la ghigliottina si e r a abbattuta sulla testa del Re e della Regina, decisero di lasciare Parigi. Sebbene e n t r a m b i s t r a n i e r i , i n c o n t r a r o n o p a r e c c h i e difficoltà a o t t e n e r e i passaporti. Alfieri dice che a d d i r i t t u r a «volevano a r r e s t a r e la contessa p e r c h é ricca, nobile e illibata». L'illibatezza di Luisa, che si e r a p r e s a al seguito a n c h e il Fabre, la conosciamo. Q u a n t o all'arresto, n o n ne fu mai minacciata. D o p o u n a sosta a Bruxelles, si stabilirono a Firenze. La città accolse b e n e Alfieri, a p p l a u d ì il Saul, il Bruto e il Filippo che vi furono r a p p r e s e n t a t i , ma t e n n e il broncio a Luisa che vi aveva lasciato cattivi ricordi. La c h i a m a v a n o «la comare» p e r i suoi intrighi, e D'Azeglio, Brofferio, C a p p o n i , e Foscolo c o n c o r d a n o nel considerarla volgare e infida. Alfieri lavorava alla sua autobiografia, che aveva cominciato a scrivere tre a n n i p r i m a a Parigi. Un p o ' la p r e s e n z a di Fabre, un p o ' la declinante salute, un p o ' i fastidi che gli p r o c u r a v a l'incerta sorte delle sue r e n d i t e p i e m o n t e s i o r a c h e a T o r i n o e r a a r r i v a t o N a p o l e o n e e vi aveva i n s t a u r a t o un r e g i m e che ricalcava quello p a r i g i n o , i n c u p i v a n o il suo già s c o n t r o s o c a r a t t e r e . C e r c ò c o n s o l a z i o n e i n u n a n u o v a a m a n t e di cui n o n conosciamo il n o m e , ma a cui dedicò alc u n i sonetti. Nel '99 q u a n d o i francesi a r r i v a r o n o a n c h e a Firenze, egli preferì n o n farcisi trovare, e si trasferì con Luisa (e il solito Fabre) in c a m p a g n a . L'ultimo a n n o fu un t o r m e n t o . N o n riusciva p i ù a scriver e , che da un pezzo o r m a i e r a diventata la sua unica occup a z i o n e e consolazione. Sentiva di essere a m a l a p e n a s o p p o r t a t o d a Luisa, d i cui tuttavia, u n p o ' p e r cavalleria, u n 718
p o ' p e r orgoglio, seguitò a difendere il b u o n n o m e nelle lettere agli amici e nelle sue m e m o r i e , v a n t a n d o n e la p u r e z z a e la d e v o z i o n e . N e l l ' o t t o b r e del 1803 la m o r t e lo colse nel s o n n o p e r un attacco d'uricemia. E Luisa, che p e r testamento ne ereditò tutte le sostanze, dimostrò al m o r t o un attaccam e n t o c h e da vivo gli aveva lesinato. Fece c e l e b r a r e 100 messe in suffragio della sua anima, commissionò un m o n u m e n t o al C a n o v a , e c u r ò con m o l t o i m p e g n o l'edizione di tutte le sue o p e r e . Nello stesso t e m p o tuttavia cercò di farsi r i d a r e dalla Francia la p e n s i o n e in c a m b i o di tutti i m a n o scritti «dell'immortale Vittorio Alfieri», che il defunto aveva lasciato al C o m u n e di Asti, e c h e alla fine f u r o n o e r e d i t a t i dal Fabre, il quale a sua volta li lasciò al m u s e o di Montpellier. Sino alla m o r t e , Luisa seguiterà a far la vestale della gloria di Alfieri. Ma solo p e r c h é la considerava u n a p a r t e della p r o p r i a eredità. La fine di Alfieri n o n fu considerata un avvenimento. Un po' p e r c h é di avvenimenti ce n ' e r a n o , in quel convulso infuriare di g u e r r e , di b e n p i ù grossi. E un p o ' p e r c h é di Alfieri i c o n t e m p o r a n e i si e r a n o p o c o accorti. N o n e r a stato un illuminista p e r c h é n o n si e r a mai interessato ai p r o b l e m i della società, né aveva mai c r e d u t o al p o t e r e d e m i u r g i c o delle m o n a r c h i e assolute di p e r s e g u i r e il p r o g r e s s o nelle riforme. E n o n e r a mai stato n e m m e n o un rivoluzionario p e r c h é n o n c r e d e v a nel p o p o l o e nella sua capacità di a u t o g o v e r n a r s i . Q u e s t a e r a u n a problematica che lo lasciava del tutto indifferente, e perciò e r a rimasto estraneo a un secolo che invece vi si e r a p r o f o n d a m e n t e a p p a s s i o n a t o . N o n ebbe relazioni con gl'intellettuali del suo t e m p o , n o n f r e q u e n t ò i loro cenacoli, e d o p o che l'Arcadia di R o m a l'ebbe invitato a leggere il Saul, egli la definì ( n o n senza q u a l c h e r a g i o n e ) «un b r a n c o d'idioti». Alfieri fu riscoperto dai r o m a n t i c i dell'Ottocento, che lo e s a l t a r o n o c o m e il l o r o c a p o s c u o l a . Ma a n c h e q u e s t a e r a u n ' i l l u s i o n e ottica. Coi r o m a n t i c i Alfieri e b b e in c o m u n e qualcosa: il senso della n a t u r a e la smania dell'elsewhere, del719
l'altrove, ma n o n i g r a n d i ideali. N o n condivise c o n l o r o n e m m e n o quello della libertà, p e r c h é l'unica libertà che lo interessava e r a la sua. Alfieri e r a soltanto un ribelle. E p u r da m o r t o seguita a r e s t a r l o a t u t t o , a n c h e all'etichette c h e via via h a n n o cercato di appioppargli. L'unica che caso mai gli c o n v e n g a è quella di «decadente», che poi ha avuto i suoi continuatori nei Foscolo, nei Byr o n , nei D ' A n n u n z i o , e giù giù - m a l g r a d o certe c o n t r a r i e a p p a r e n z e - fino agli H e m i n g w a y e ai Malraux: tutte incarnazioni dello stesso e r o e . Egli i n a u g u r a un n u o v o p e r s o n a g gio letterario: il «poeta-vate». Q u e s t o , Alfieri volle essere, e in un certo senso riuscì a d i v e n t a r e nella sua autobiografia, la sua o p e r a meglio riuscita, che ci dà il ritratto n o n dell'uomo qual era, ma del modello a cui s'ispirava. Vernon L e e ha r a g i o n e di chiamarlo «un posatore». I p e r s o n a g g i di questa p a s t a lo sono tutti. La l o r o verità u m a n a sta p r o p r i o nella p o s a c h e a s s u m o n o d i solitari P r o m e t e i i n rivolta c o n t r o l'ordine costituito nel n o m e n o n di qualche definito ideale, ma solo della p r o p r i a personalità. Alfieri e r a un egocentrico che, p r i m a ancora di scriverle, volle vivere le sue tragedie, i cui protagonisti infatti si somigliano tutti p e r c h é tutti somigliano a lui, e anche p e r questo n o n valgono molto. Alcuni critici puntigliosi dicono ch'egli n o n conosceva n e m m e n o la Storia in cui a n d a v a a pescarli. Ma questo n o n v o r r e b b e dir nulla: n e m m e n o Schiller c o n o sceva b e n e la storia di Filippo I I , e p p u r e nel suo Don Carlos ne scolpì un r i t r a t t o icastico, a n c h e se d e l t u t t o a r b i t r a r i o . Le pecche di Alfieri sono altre. Sono la m o n o t o n i a dei suoi personaggi, che si r i d u c o n o quasi s e m p r e al protagonista e all'antagonista, e la s o m m a r i e t à e rozzezza dei loro contrasti. N o n u o m i n i con le loro s f u m a t u r e e a m b i g u i t à , ma inc a r n a z i o n i del B e n e e d e l Male, essi si a f f r o n t a n o s e m p r e nel m o m e n t o in cui le loro passioni toccano il p a r o s s i s m o , s o n o «urlatori» che si b a t t o n o a m o n o l o g h i filosofeggianti senza darsi t r e g u a né d a r n e all'ascoltatore. Tutti i vizi di Alfieri vi s o n o facilmente riconoscibili: la sua c u l t u r a a sin720
ghiozzo, la sua scarsa p a d r o n a n z a della lingua, la sua «furia» declamatoria. Alfieri è il p i ù g r a n d e d r a m m a t u r g o italiano p e r la stessa r a g i o n e p e r cui G o l d o n i è il p i ù g r a n d e commediografo: cioè p e r c h é l'Italia n o n ne aveva altri. Per p a r l a r c i con sincerità, ci s e m b r a c h e del suo t e a t r o , c o m e delle sue satire e dei suoi saggi ideologici, n o n r i m a n ga nulla di vivo. R i m a n e solo la sua autobiografia p e r c h é rim a n e il p e r s o n a g g i o . Alfieri fu un g r a n d e carattere: costruito, contraddittorio, p r e p o t e n t e , insolente, esibizionista, p r e varicatore, ossessivo, gigione, n o n privo di miserie morali; ma affascinante p e r c h é macroscopico in tutto, a n c h e nei difetti. In un'Italia meschina come quella del Settecento, semb r a a d d i r i t t u r a u n gigante.
CAPITOLO VENTOTTESIMO GLI ARCADI
Ne Eltalia del Seicento abbiamo dedicato un capitolo a Cristina, la regina di Svezia che d o p o l'abdicazione si era accasata a R o m a , e vi aveva fondato il p i ù i m p o r t a n t e cenacolo culturale del secolo: VAccademia reale. Alla m o r t e della basilissa, c o m e la c h i a m a v a n o , nel 1689, i frequentatori n o n e b b e r o più un tetto sotto cui raccogliersi, ma seguitarono a riunirsi un p o ' qua, un p o ' là, p e r dibattere i loro p r o b l e m i artistici e letterari e leggere l ' u n o agli altri i p r o p r i c o m p o n i m e n t i . E r a n o u o m i n i d'origine ed estrazione diverse, ma accomunati dall'onesto intento di liberare la letteratura italiana dall'enfasi, dalla retorica e dalle r i d o n d a n z e barocche dell'epoca spagnolesca p e r r i p o r t a r l a alla p u r e z z a e asciuttezza dei m o d e l l i toscani del T r e e del C i n q u e c e n t o . Un g i o r n o che u n o di l o r o d e c l a m a v a u n a poesia in stile p e t r a r c h e s c o , il Taja disse c h e t u t t o q u e s t o gli r i c o r d a v a un r o m a n z o d e l S a n n a z a r o : YArcadia. Il Crescimbeni captò al volo la p a r o l a e p r o p o s e d'intitolare ad essa la società. Marchigiano di nascita e arciprete di professione, il Crescimbeni n o n e r a u n g r a n d e letterato, m a i n c o m p e n s o e r a un eccellente o r g a n i z z a t o r e , a u t o r i t a r i o ed efficientissimo. T r a s f o r m ò quella p e r i p a t e t i c a e s p a r p a g l i a t a comitiva in u n a specie di partito con tanto di statuto fissato in dodici tavole dal Gravina, a p p a r a t o centrale e succursali in quasi tutte le altre città d'Italia. Nello statuto e r a detto che l'Accademia doveva restare assolutamente libera, ma questo e r a - si capisce - un s o g n o p r o i b i t o : s o l t a n t o un «mercato» su cui smerciare i suoi p r o d o t t i le avrebbe consentito di diventarlo, ma il m e r c a t o n o n c'era p e r c h é n o n c ' e r a n o lettori. E 722
q u i n d i anch'essa dovette r i c o r r e r e al solito m e c e n a t e i m p e gnandosi a pagargli pedaggio. Di m e c e n a t i ce ne f u r o n o vari, a c o m i n c i a r e dal p a p a Clemente X I , c h ' e r a stato un assiduo di Cristina e che mise a d d i r i t t u r a il C a m p i d o g l i o a disposizione degli Arcadi p e r solennizzare le loro celebrazioni. Ma u n a sede stabile riuscir o n o a p r o c u r a r s e l a solo q u a n d o il Crescimbeni, c h ' e r a a n c h e un geniale a g e n t e di p u b b l i c h e relazioni, e b b e la brill a n t e i d e a di n o m i n a r e « p r i m o e m a s s i m o p a s t o r e » , cioè pressappoco p r e s i d e n t e o n o r a r i o , il re Giovanni V di Portogallo. Lusingato da tanto o n o r e , costui d o n ò all'Accademia 4000 scudi p e r l'acquisto d ' u n t e r r e n o ai piedi del Gianicolo che fu chiamato Bosco Parrasio e ospitò a n c h e un teatro. Dell'Arcadia si p u ò fare, con eguale fondatezza, sia l'elogio che la d e n i g r a z i o n e . Ma n o n c'è d u b b i o che alla d e n i g r a z i o n e offre p i ù a r g o m e n t i che all'elogio. C o m e t a n t e , e forse tutte, le cose italiane, cominciò b e n e , si sciupò p e r strada, e finì p e r p r o v o c a r e guasti più gravi di quelli che intendeva r i p a r a r e . Ma il fatto che questi guasti si avvertano tuttora dimostra quale i m p o r t a n z a , sia p u r e in senso negativo, essa abbia avuto. Di Accademie ce n ' e r a n o s e m p r e state, a n c h e nell'antica Grecia. Ma il loro g r a n d e secolo fu il Seicento, c o m e conseg u e n z a dello scientismo cioè dello s v i l u p p o del p e n s i e r o scientifico. A differenza del p i t t o r e o del p o e t a c h e p u ò lav o r a r e a n c h e in s o l i t u d i n e , anzi se ne pasce, lo scienziato deve tenersi al c o r r e n t e degli studi e sperimentazioni altrui, e q u i n d i ha bisogno di continui scambi. L'Accademia ne diventa, in un secolo in cui m a n c a n o la stampa, la radiotelevisione eccetera, l'unico t r a m i t e : Galileo fa le sue c o m u n i c a zioni ai Lincei, che le diffondono in tutto il m o n d o e ne raccolgono p e r lui. Ma a favorire l'Accademia c'è a n c h e un altro motivo: la solitudine degl'intellettuali. Essi n o n h a n n o «pubblico» (insistiamo su questo p u n t o p e r c h é è fondamentale), e q u i n d i n o n p o s s o n o p a r l a r s i che tra loro. Q u e s t o vezzo d i v e n t e r à 723
un vizio d e s t i n a t o a fare a n c o r o g g i di quella italiana u n a delle culture più «alienate» d ' E u r o p a , cioè più incomunicabili, astratte, ermetiche e avulse dalla società e dai suoi p r o b l e m i . Ma è a p p u n t o q u e s t a situazione di fatto a r e n d e r e necessaria l'Accademia, senza la q u a l e gl'intellettuali n o n a v r e b b e r o n e s s u n p u n t o di r a c c o r d o e n o n p o t r e b b e r o com u n i c a r e n e a n c h e tra loro. Quelli dell'Arcadia, c h e si e r a n o assegnati il lodevole compito di «restaurare la poesia italiana m a n d a t a a soqquad r o dalla barbarie dell'ultimo secolo», riuscirono a costituire u n a specie di repubblica culturale al di sopra degli Stati in cui il Paese era frazionato: e questo fu c e r t a m e n t e un risultato positivo, in q u a n t o creò negl'italiani il senso di u n a comunità, sia p u r e solo letteraria. U n a d o p o l'altra, tutte le città della penisola ebbero la loro filiale, cui facevano capo i «notabili» locali. Nei suoi registri troviamo iscritti anche nomi di u o m i n i che in r e a l t à con l'Arcadia e i suoi m o d u l i e modelli n o n avevano nulla a che fare c o m e l'Alfieri, il Goldoni, il Vico. Ma questa è a p p u n t o la riprova della sua forza: l'iscrizione all'Arcadia era allora ciò che oggi è l'iscrizione al «Rotary»: u n a consacrazione e un p a s s a p o r t o . Essa fu copiata a n c h e all'estero, e alla sua anagrafe t r o v i a m o registrati perfino Voltaire e Goethe. Questo successo fu d o v u t o soprattutto alle capacità organizzative del Crescimbeni che nei suoi t r e n t o t t ' a n n i di direzione p o r t ò le succursali a q u a r a n t a , m a n t e n n e u n a fitta c o r r i s p o n d e n z a c o n t u t t ' i letterati d ' E u r o p a , e raccolse e pubblicò un'antologia della poesia arcadica in nove volumi, più tre di prose, più quattro di biografie dei maggiori m a e stri e p r o t a g o n i s t i di quella scuola. Ma la sua «dittatura» provocò molte scontentezze. In u n a lettera al Maffei, Gravina d e n u n z i a v a con p a r o l e di fuoco i m e t o d i a u t o r i t a r i del Crescimbeni e lo accusava di t r a d i r e lo spirito dell'Accademia accogliendovi, p u r d i far proseliti, a n c h e p e r s o n e d i n e s s u n conto. Nel 1711 ci fu a p e r t a r o t t u r a . I secessionisti f o n d a r o n o un'altra Accademia, i Qjiirini. Ma il Crescimbeni 724
venne facilmente a capo dello scisma un po' p e r le sue superiori doti di c o m a n d o , un po' p e r c h é trovò un valido a p p o g gio nei Gesuiti, allora potentissimi, che s e m p r e avevano visto nell'Arcadia u n mezzo p e r d i s t r a r r e gl'intellettuali d a problemi più pericolosi. Avevano r a g i o n e , e questo e r a p r o p r i o il rovescio n e g a tivo dell'Accademia. Essa dava u n a patria alla c u l t u r a italiana, ma u n a patria astratta e c o m p l e t a m e n t e avulsa dal Paese e dai suoi reali interessi e bisogni. I temi che dibattevano gli Arcadi a p p a s s i o n a v a n o solo gli Arcadi. Essi esercitavano la loro fantasia, o p e r m e g l i o d i r e la c a s t r a v a n o rispolver a n d o le favole della mitologia greca. Nel loro club n o n c'era posto che p e r pastori e pastorelle. Ne a d o t t a v a n o i n o m i , ne a s s u m e v a n o le pose, ne copiavano i riti. S p r e c a v a n o tonnellate di fiato e d ' i n c h i o s t r o p e r d i m o s t r a r e c h e il loro p r e c u r s o r e e r a stato Gesù p e r l ' o m a g g i o r i c e v u t o i n culla dai pastori. Si azzuffavano sulla derivazione di certe p a r o le, c h i a m a n d o in soccorso Virgilio e Petrarca, loro s u p r e m i modelli. T u t t o ciò aveva il suo m o t i v o : e r a la r e a z i o n e allo stile spagnolesco del Seicento, ampolloso, verboso, g r e m i t o come un t o r r o n e d'iperboli, di metafore e di antitesi, lo stile - tanto p e r i n t e n d e r c i - di Giovan Battista Marino. E c o m e tale r i s p o n d e v a a un'esigenza. Ma e r a un'esigenza di «specialisti» p e d a n t i , quali son s e m p r e stati e c o n t i n u a n o ad essere gli u o m i n i di c u l t u r a italiani. Il discorso r i m a n e v a fra loro: l ' o p i n i o n e pubblica ne e r a tagliata fuori. E vero che, n o n a v e n d o i mezzi p e r interessarsi a nulla, essa praticam e n t e n o n esisteva. M a gl'intellettuali nulla facevano p e r crearla e provocarla. Chiusi nella loro Arcadia, seguitavano a d i b a t t e r e i loro p r o b l e m i di lana c a p r i n a sulla siringa di Pan, sul ripristino del calendario g r e c o - r o m a n o , sulla lunghezza d ' u n verso, sulla r i p a r t i z i o n e dei platonici feudi di Beozia o Tessaglia. E questo divorzio dalla vita li c o n d a n n a va alla sterilità. Già nel 1727 il De Revillos accusava l'Arcadia di vanilo725
quio. Ma la requisitoria più severa la svolse Baretti nella sua «Frusta letteraria». Molti Arcadi cominciarono a vergognarsi di esserlo: u n o dei p i ù illustri, Metastasio, rifiutò gli allori dell'Accademia, e G o l d o n i , c h e vi aveva a p p a r t e n u t o solo p e r convenienza professionale, la corbellò in u n a sua commedia. Nel 1766, q u a n d o l'Arcadia decise d ' i n c o r o n a r e «pastorella» d e l l ' a n n o , con lo p s e u d o n i m o di Corina Olimpica, M a d d a l e n a Morelli, che come poetessa valeva poco, ma valeva moltissimo come favorita del principe Gonzaga, dovette i n d i r e la c e r i m o n i a di n o t t e p e r sottrarsi agli schiamazzi della folla, e sulla statua di Pasquino furono a p p e s e tali satir e che i d u e a m a n t i p r e f e r i r o n o allontanarsi p e r u n pezzo da Roma. Il fatto è che sul Settecento spirava ormai un altro vento: quello di u n a cultura, c o m e oggi si dice, «impegnata», cioè d e d i t a a risolvere i p r o b l e m i reali della società: quelli della r a p p r e s e n t a n z a politica, delle riforme amministrative, dell'economia, della finanza, delle leggi penali e civili, dell'ord i n a m e n t o giudiziario. Q u e s t a c u l t u r a arrivava d ' O l t r a l p e ed è ciò che viene c o m u n e m e n t e c h i a m a t o «Illuminismo». L'eco ch'essa suscitò in Italia fu debole - checché ne dicano certi apologeti - a p p u n t o p e r c h é la nostra cultura seguitava a c o r r e r d i e t r o alle «fanciullaggini» dell'Arcadia, c o m e le chiamava Baretti. Ma bastò a metterla in crisi facendone risaltare le t a r m e e le p a r r u c c h e . I frutti positivi dell'Arcadia e r a n o soltanto quelli negativi: essa aveva posto la parola fine a un c o s t u m e l e t t e r a r i o falso e artificioso, ma ne aveva c r e a t o un altro n o n m e n o lezioso e c o n v e n z i o n a l e . Quella dell'Arcadia continuava ad essere u n a letteratura di «evasione». Invece che tra i falsi eroi, evadeva tra i falsi pastori. Ma seguitava a e v a d e r e , e s e m p r e nel falso: un esercizio c h e n o n p r o d u c e mai nulla di b u o n o . La ventina di volumi raccolti dal Crescimbeni p o s s o n o interessare, anzi interessano senz'altro gli specialisti del Settecento. Ma il lettore p u ò anche t r a n q u i l l a m e n t e ignorarli: p e p i t e d ' o r o , in tutta quella mota, ne troverebbe p o c h e . Di tutti gli a u t o r i che figurano 726
in quell'antologia, d u e soli ci s e m b r a n o d e g n i di u n a m e n zione speciale: Frugoni e Metastasio. Carlo I n n o c e n z o F r u g o n i veniva da u n a nobile famiglia genovese in cui c'era stato a n c h e un d o g e . A sedici a n n i cred e t t e di a v e r e u n a vocazione religiosa e p r e s e i voti: «trem e n d i voti» li c h i a m e r à più tardi, sebbene a quei t e m p i l'abito talare facilitasse t u t t o e n o n i m p e d i s s e nulla. Grazie a un'intelligenza p r o n t a e a u n a m e m o r i a ferrea, a p o c o p i ù di vent'anni e r a già m e m b r o dell'Arcadia e professore in un collegio di Brescia, di dove passò a Genova e poi a Bologna. U n a carriera abbastanza facile d u n q u e , se a complicargliela n o n ci fosse stato il carattere. Sotto a p p a r e n z e di g a u d e n t e , Frugoni nascondeva l'irrequietezza e la malinconia. Soffriva di essere p r e t e . Soffriva di essere piccolo. Q u a n d o diventò calvo, smise di levarsi la p a r r u c c a a n c h e di n o t t e . Q u a n d o cominciò a invecchiare, contraffece i p r o p r i dati anagrafici. Era s e m p r e crivellato di debiti p e r c h é si m a n g i a v a tutto lo stipendio al giuoco. Fumava c o m e un turco: fu, p a r e , il primo letterato italiano a praticare questo vizio. E s o p r a t t u t t o s'innamorava c o m e un collegiale. Faustina (Zappi) lo sedusse col suo «crin b r u n o » , Ginevra (Fontana) con la sua «treccia b i o n d a » . D i e t r o alle g o n n e l l e , p e r d e v a la testa e il riteg n o , spasimava di gelosia, cadeva in p r o f o n d e d e p r e s s i o n i nervose, m e d i t a v a il suicidio e forniva p r e t e s t o ai p e t t e g o lezzi più piccanti. Q u a n d o a Bologna uscì un libello a n o n i mo e scandalistico che rivelava le tresche e le scostumatezze delle signore più in vista della città, n e s s u n o dubitò che l'autore fosse Frugoni, su cui si a v v e n t a r o n o le ire di tutti, e specialmente della Curia. L'unico a difenderlo fu il p o t e n t e cardinale Bentivoglio, e n o n solo p e r c h é aveva un debole p e r q u e s t o p r e t e l i b e r t i n o , ma p e r c h é a scrivere q u e l libello sembra che fosse stato p r o p r i o lui: e il particolare la dice abbastanza l u n g a sui costumi del clero di allora. C o m u n q u e , p e r s o t t r a r r e i l suo p r o t e t t o alle r a p p r e s a glie, il Bentivoglio gli trovò un posto a P a r m a , di cui i Far727
nese stavano facendo l'«Atene d'Italia». P u r t r o p p o , F r u g o n i ci aveva a p p e n a messo piede che già s'era p e r d u t a m e n t e inn a m o r a t o di Angela Pizzi dalla «molle r o t o n d e t t a e b u r n e a gola». Il vescovo i n t e r v e n n e , e lo confinò a Piacenza nel sep o l c r a l e collegio degli Orfanelli, d o v e il p o v e r e t t o si a m malò di e s a u r i m e n t o nervoso e di malaria. Per sottrarsi a quell'esilio, accettò di c o m p o r r e il baccanale Pan p e r il t e a t r o dei F a r n e s e , s e b b e n e al t e a t r o n o n avesse nessuna passione. Ma d u r a n t e le p r o v e perse la testa p e r la prim'attrice Faustina B o r d o n i , e dal castigo del vescovo si salvò solo p e r c h é il d u c a F r a n c e s c o lo a s s u n s e c o m e p o e t a di corte. Fu il p e r i o d o più felice, o il m e n o infelice, della sua tribolata esistenza. Grazie all'aiuto del Bentivoglio e del cardinale Corsini, riuscì a farsi liberare dai voti più stretti, il che gli p e r m i s e di s e g u i t a r e a i n n a m o r a r s i con m e n o rischi. Ebbe a n c h e p i ù t e m p o da d e d i c a r e alla letteratura. Ma l'impiego di corte aveva p u r e i suoi inconvenienti. Più c h e il p r o p r i o estro gl'imponeva di seguire i capricci del Duca, e siccome il Duca aveva un debole p e r il m e l o d r a m m a , Frugoni dovette scriverne u n o da cui, confidava a un amico, «non so cavare i piedi». N o n fu questo il suo solo lavoro fatto c o n t r a g g e n i o . Lo stipendio e r a scarso, il giuoco seguitava a mangiargliene l a r g h e fette, e p e r a r r o t o n d a r l o era costretto ad accettare qualsiasi c o m m i s s i o n e poetica. C o m p o n e v a u n t a n t o (che poi era un poco) a r i m a o a quartina, c o m e un farmacista le sue ricette. Ma lo facevano tutti, a n c h e Parini, anche Vico. E n o n p o t e v a n o n o n farlo, visto che n o n c'era un pubblico in g r a d o di acquistare le loro o p e r e . Q u e s t o m e s t i e r a n t i s m o n o n c o m p r o m i s e soltanto il suo talento poetico; ebbe deleteri riflessi anche sulla sua vita e la sua carriera. Nel '27 Francesco morì. E Frugoni, come poeta di c o r t e , d o v e t t e s c r i v e r n e l'elogio f u n e b r e . Detestava questi incarichi a n c h e p e r c h é l a m o r t e e r a u n a r g o m e n t o che lo atterriva. L'ode, a n d a t a p e r d u t a , doveva essere piuttosto brutta. Ma Io s e m b r ò ancora di più recitata da lui, per728
che n o n sapeva d e c l a m a r e : il pubblico lo s g o m e n t a v a e lo faceva tartagliare. Il n u o v o Duca, Antonio, era u n o scapolo quasi cinquant e n n e , cui o r a la ragion di Stato i m p o n e v a di p r e n d e r m o glie p e r p r o c u r a r e un e r e d e alla dinastia. E a n c h e p e r il suo m a t r i m o n i o con Enrichetta di M o d e n a , Frugoni fu messo ai lavori forzati: doveva sfornare un p o e m a , un m e l o d r a m m a e un d r a m m a . Disse che n o n ce la faceva e chiese la collaborazione di altri poeti. Ne accorsero b e n d u e c e n t o t r e n t a d u e , e ciò d i m o s t r a q u a n t i ce n ' e r a n o e q u a n t o fossero affamati di «commesse». La raccolta dei loro versi fu stampata in otto giorni su p a g i n e di carta diversa, p i e n e di refusi, e il Duca i n d i g n a t o la fece s e q u e s t r a r e . Per farsene p e r d o n a r e , Frugoni p o r t ò a t e r m i n e con eroico sforzo - che p u r t r o p p o si s e n t e - il libretto del m e l o d r a m m a Medo, p o i m u s i c a t o da L e o n a r d o Vinci, e rifece le canzonette di un altro di Apostolo Zeno. Ma le vicissitudini d i n a s t i c h e che gli p r o c u r a v a n o tanti fastidi n o n finirono qui. Poco d o p o a n c h e Antonio fu stroncato da un colpo apoplettico, ma sua moglie fece in t e m p o a informarlo c h ' e r a incinta, e lui ebbe quello di rifare il testam e n t o p e r lasciare t r o n o e p a t r i m o n i o «al ventre p r e g n a n t e della S e r e n i s s i m a Duchessa». L ' a v v e n i m e n t o e r a grosso. Tutta la diplomazia e u r o p e a e r a mobilitata p e r l'accaparram e n t o del D u c a t o , se q u e s t o fosse r i m a s t o senza titolare: nella p r i m a p a r t e di questo libro abbiamo detto quale decisiva p a r t e la sorte di P a r m a ebbe s o p r a t t u t t o nella politica spagnola grazie a Elisabetta e al suo fido Alberoni. Ma il titolare c'era, nella p a n c i a della vedova, e F r u g o n i fu incaricato di a n n u n z i a r n e l'avvento. Per nove mesi n o n fece altro che a n t i c i p a r e c o n odi e sonetti il lieto e v e n t o : mai feto fu a c c o m p a g n a t o nel suo divenire da altrettanti squilli di t r o m ba poetica. P u r t r o p p o , alla fine della p r e s u n t a gestazione, a t t e n t a m e n t e spiata dagli emissari di tutte le altre Corti eur o p e e , Enrichetta dovette confessare che il suo «ventre p r e g n a n t e » n o n e r a m a i stato tale. E a fare le spese della sua 729
m e n z o g n a fu il p o v e r o Frugoni, colpevole di averla rivestita di quartine. Accusato di collaborazionismo col falso p u e r p e rio, dovette lasciar P a r m a dove p o t è r i e n t r a r e solo al seguito di Carlo, il p r i m o g e n i t o di Elisabetta Farnese, r e g i n a di Spagna. Ma Carlo, subito d o p o designato al t r o n o di N a p o li, ci rimase poco, a P a r m a t o r n a r o n o gli Austriaci, e Frugoni fu messo in disparte. Mal visto dalle autorità, senza posto, senza incarichi, p e r tredici a n n i F r u g o n i dovette tirare avanti fra triboli di ogni g e n e r e , a n c h e economici, c o m e capitava a tutti gl'intellettuali italiani q u a n d o cadevano in disgrazia presso il p o t e r e , unico loro sostegno. A un amico che lo incitava a scrivere, rispondeva a m a r a m e n t e : «Non si v e n d o n o libri, ma solo d e diche», e lui n o n aveva p r o t e t t o r i a cui farne. Diventò semp r e più bisbetico. Prese a schiaffi un p a d r e d o m e n i c a n o che d ' a l t r o n d e li m e r i t a v a p e r le c a l u n n i e p r o p a l a t e c o n t r o di lui. Ebbe u n a zuffa coi medici p e r via di certi sonetti in cui corbellava la loro «arte vana». Alla fine a n c h e l'ultima amica rimastagli, la contessa Terzi, lo mise alla p o r t a . Traslocò a Venezia, ospite dei Sanvitale, e n o n o s t a n t e fosse o r m a i sulla c i n q u a n t i n a p r e s e u n ' e n n e s i m a cotta p e r la Cornelia B a r b a r o Gritti che aveva venticinqu'anni m e n o di lui, ma si divertiva a collezionare a m a n t i di c h i a r a fama. Nella sua alcova infatti e r a n o già passati o stavano p e r passare il Goldoni, il Metastasio, l'Algarotti, il Bettinelli, il Chiari. Per consolarsi delle sue infedeltà, F r u g o n i si rifugiò fra le braccia di u n a p o p o l a n a , Adriana Bisciutti, e b u o n p e r lui se ci fosse rimasto: e r a u n a d o n n a semplice, ma piena d'intuito e devota. P u r t r o p p o , in Frugoni c'era u n a vena di snobismo che lo r i p o r t ò fra le grinfie d ' u n a duchessa Moruzzi Mellini. Sebbene a m a n t e in carica d ' u n cardinale, costei gli fece tali scenate di gelosia ch'egli alla fine l ' a b b a n d o n ò p e r la contessa Del B u o n o . Q u e s t a girandola di a v v e n t u r e n o n bastava tuttavia a ripagarlo delle disavventure professionali. Senza l'Algarotti e il console inglese H o l d e r n e s s e , spesso n o n a v r e b b e a v u t o 730
n e m m e n o di che m a n g i a r e , vestirsi e scaldarsi. Q u a n d o Parma, in seguito al trattato di Aquisgrana, v e n n e assegnata al fratello di C a r l o , Filippo, F r u g o n i vi t o r n ò , e f i n a l m e n t e , grazie all'illuminato ministro du Tillot, riebbe il suo p o s t o di poeta di corte, oltre quello di p r e c e t t o r e dei figli del Duca, d ' i s p e t t o r e degli spettacoli teatrali e di segretario a vita dell'Accademia di Belle Arti. Era finalmente la pace, ma la raggiungeva solo nella vecchiaia, q u a n d o gli restava b e n poco t e m p o p e r g o d e r n e . Morì nel '68. I giudizi su di lui sono discordi. L'Arcadia lo c o n s i d e r ò «novello P i n d a r o » , e sbagliava. Ma sbagliava a n c h e Baretti q u a n d o lo chiamava «raccoltalo» e Alfieri q u a n d o lo definiva « p o m p o s o g a l l e g g i a n t e scioltista caposcuola». Di tutti i giudizi a l t r u i , il p i ù c e n t r a t o è forse quello del Foscolo: «cembalo t i n t i n n a n t e » . Ma F r u g o n i n e s s u n o lo capì p i ù e meglio di F r u g o n i , c h e su se stesso n o n p r e n d e v a abbagli; ed è p r o p r i o questo che fa di lui, fra i suoi c o n t e m p o r a n e i , un caso a p a r t e . F r u g o n i è l'unico che, p u r p r a t i c a n d o i càn o n i dell'Arcadia, ne vede i limiti, la convenzionalità, la miseria provinciale e li d e n u n c i a a n c h e nella p r o p r i a poesia. Si considera «augel d'inferme piume», si autodefinisce «orator d e ' cicisbei», e a m o n s i g n o r Fabroni che lo chiama p o e ta, r i s p o n d e : «verseggiatore e nulla più». N o n è del tutto vero. Poca poesia è musicalmente perfetta come la sua. E lui che inventa il verso sciolto e ne detta il modello agli altri, c o m p r e s o il Parini. Ciò che gli m a n c ò fu b e n a l t r o : l ' i m p e g n o e il c o r a g g i o . Le s u e odi d e n u n z i a n o spesso la fretta, la scarsa meditazione, la m a n c a n z a di lima. Ma il fatto è che le c o m p o n e v a senza crederci. Se invece di scrivere su ordinazione, cioè su a r g o m e n t i che lo lasciavano indifferente, si fosse a b b a n d o n a t o alla p r o p r i a ispirazione, Frugoni ci avrebbe d a t o b e n altro. Ma p e r far questo, gli sarebbe occorso un pubblico in g r a d o di leggerlo, di capirlo e di m a n t e n e r l o c o m p r a n d o i suoi libri. E il pubblico n o n c'era. Per c a m p a r e , egli doveva c o n t e n t a r e il m e c e n a t e comm i t t e n t e l u s i n g a n d o la sua sete di piaggerìe. E p e r le piag731
1 gerìe, F r u g o n i trovava superfluo r i c o r r e r e al talento: orecchio e mestiere bastavano. Ma ne soffriva, ed è q u e s t o che lo riscatta. Fu un u o m o m a l i n c o n i c o e a m a r o p e r c h é , l u n g i d a l l ' i n e b r i a r s i del suo successo, ne vedeva t u t t a la futilità e fu il p r i m o a d e n u n ciarla. I c o n t e m p o r a n e i a m m i r a r o n o i pregi esteriori, l'eleganza formale dei suoi versi. A noi essi dicono qualcosa solo p e r quel che c'è sotto e q u a e là trapela: la scontentezza dell'impotenza, il rimorso di u n a missione tradita, la t r a t t e n u t a rivolta c o n t r o l a p r o p r i a c o n d i z i o n e d i p o e t a c o r t i g i a n o , «sciuscià» del p o t e n t e . Da simili t u r b a m e n t i n o n fu invece afflitto il suo m a g g i o r rivale, Metastasio. Il suo vero n o m e e r a Pietro Trapassi, e la fortuna cominciò ad arridergli fin dalla culla. Sebbene di famiglia modesta - il p a d r e aveva u n a piccola bottega di chincaglieria -, fu ten u t o a battesimo dal p o t e n t e cardinale O t t o b o n i che le malelingue gli attribuiscono c o m e vero p a d r e e che in realtà lo trattò e protesse c o m e un figlio. A Pietro n o n mancava nulla p e r farsi a m a r e , anzi fu questa l'arte in cui più eccelse fin d a b a m b i n o : e r a bello, m a n s u e t o , spiritoso m a senza insolenza, e d o t a t o di un orecchio musicale che gli p e r m e t t e v a d'improvvisare con e s t r e m a facilità rime e sonetti. Un giorn o c h e p e r s t r a d a n e sciorinava u n o a i suoi c o m p a g n i d i scuola, passò (e fu il secondo bacio della fortuna) Gian Vincenzo Gravina, e lo udì. G r a v i n a lo a b b i a m o già i n c o n t r a t o : e r a l'autorevole giurista c h e aveva r e d a t t o lo statuto dell'Arcadia. Colpito dal t a l e n t o d e l ragazzo, se lo p r e s e a d d i r i t t u r a in casa p e r avviarlo allo studio del diritto e farne il p r o p r i o successore. Fu lui a t r a d u r g l i nel g r e c o Metastasio il n o m e Trapassi, che tutta la famiglia a d o t t ò s e n t e n d o s e n e c u l t u r a l m e n t e nobilitata. Il ragazzo si m o s t r ò p a t i all'alto o n o r e . Digerì con disinvoltura i testi classici - P i n d a r o , Tibullo, Catullo, Ovidio - che il maestro gli d i e d e in pasto. Ed era ancora i m b e r b e e 732
«paffuto c o m e u n a m o r i n o » q u a n d o , d o p o aver affrontato in singoiar t e n z o n e e b a t t u t o p e r p r o n t e z z a ed eleganza di versi i p i ù noti improvvisatori d e l t e m p o - quali il Rolli, il Vannini, il Perfetti -, fu accolto c o m e «pastorello» in Arcadia con lo p s e u d o n i m o di Artino Corasio. Ma il Gravina, che della poesia n o n si fidava, voleva che il discepolo diventasse abate e avvocato, d u e mestieri sicuri. E il discepolo n o n si ribellò p e r c h é alla sicurezza a n c h e lui teneva moltissimo. Prese la t o n s u r a , ma senza l'obbligo di dir messa, e o t t e n n e dal Papa un «benefìcio», cioè u n a p e n sione, di 300 scudi l'anno, che n o n gli sarà mai ritirata fino alla m o r t e . Subito d o p o il Gravina m o r ì , lasciandolo e r e d e di un p a t r i m o n i o di circa 15 mila scudi. E r a qualcosa p i ù della sicurezza. E r a il benessere. Il dolore di Metastasio p e r la m o r t e del maestro fu sincero. Gli fece splendidi funerali e scrisse in suo o n o r e un'elegia che fu letta con g r a n d e successo in Arcadia. Poi cercò consolazione nel giuoco e nella galanteria: un intermezzo di dissipatezza cui p o s e r o fine un p o ' la sfortuna con le carte, un p o ' u n a lite con gli altri eredi di Gravina che lo costrinse a u n a rovinosa transazione. Si ritrovò quasi p o v e r o e decise di and a r e a far l'avvocato a Napoli nell'accreditato studio del Castagnola. Il Castagnola era un u o m o severo che considerava i poeti dei pagliacci da circo o poco di più. Metastasio li freq u e n t ò di nascosto ma seguitò a frequentarli, fu presto di casa con tutto il m o n d o culturale n a p o l e t a n o , conobbe Vico e G i a n n o n e , diventò assiduo di M a r i a n n a Pignatelli. N a p o l i a q u e l t e m p o e r a f e u d o d e l l ' I m p e r a t o r e d'Austria, Carlo V I . Forse il lettore r i c o r d a che q u e s t o s o v r a n o e r a afflitto dal p r o b l e m a della successione, c h e infatti p i ù tardi doveva p r o v o c a r e u n a g u e r r a . G r a n d e fu quindi il suo giubilo e q u e l l o dei suoi c o r t i g i a n i q u a n d o si s e p p e c h e l'Imperatrice era incinta. A Napoli il cardinale d'Althan, cog n a t o della Pignatelli, volle che il lieto e v e n t o avesse la sua b r a v a c o n s a c r a z i o n e p o e t i c a c o m e allora usava e c o m m i s sionò un m e l o d r a m m a al Metastasio. 733
Q u e s t i d a p p r i m a rifiutò nel timore di p e r d e r e il p o s t o presso il Castagnola. Poi accettò, ma a patto che il c o m p o n i m e n t o restasse a n o n i m o . E r u b a n d o le ore al s o n n o , b u t t ò giù gli Orti Esperidi che gli valsero un compenso di 200 d u cati e f u r o n o musicati dal maestro Sarro. Il lieto e v e n t o fu u n a delusione perché, invece del sospirato maschio, l ' I m p e ratrice scodellò u n a femmina (la futura Maria Teresa), ma l'opera fu r a p p r e s e n t a t a ugualmente e ottenne un così strepitoso successo che tutti vollero sapere chi ne fosse l'autore. La p i ù curiosa era il s o p r a n o Marianna Benti (la p r i m a delle tre M a r i a n n e di Metastasio), detta «la Romanina». Lo e r a al p u n t o che con u n a lauta mancia corruppe il s e g r e t a r i o del Cardinale, il quale le rivelò il segreto. I m m e d i a t a m e n t e tutta Napoli lo riseppe. Lo riseppe anche il Castagnola, che licenziò Metastasio. Ma p r o p r i o su questo la Romanina contava. D'accordo col marito Bulgarelli accolse in casa il disoccupato, gli fece d a r e lezioni di musica dal Porpora e - semp r e d ' a c c o r d o col m a r i t o - se lo prese come a m a n t e . N e l Settecento queste convivenze a tre erano ancora più comuni di oggi e n o n scandalizzavano nessuno. La R o m a n i n a aveva già u n a quarantina d'anni e n o n e r a u n a g r a n c a n t a n t e . Ma questi difetti erano c o m p e n s a t i da un forte t e m p e r a m e n t o d'attrice, da una notevole carica di sex-appeal e soprattutto da u n a gran saggezza. Metastasio le piaceva n o n soltanto p e r c h é era un bel giovanotto, elegante, c u r a t o , di piacevole compagnia, ma anche p e r c h é r a p p r e s e n t a v a un b u o n «investimento». Gli fece subito c o m p o r r e un altro m e l o d r a m m a tagliato apposta sulla p r o p r i a m i s u r a di p r i m a d o n n a , Bidone abbandonata, e fu un a l t r o strepitoso successo: nello spazio d'un secolo fu a d o t t a t o com e libretto d a b e n q u a r a n t a compositori. L a R o m a n i n a capì che q u e l l ' u o m o era la miglior assicurazione p e r la vecchiaia che incalzava. B u o n a amministratrice dei suoi cospicui risparmi, si trasferì a Roma con lui, per legarselo ancora di più si p r e s e in casa i Metastasio padre e fratello, e a p r ì u n a scuola di canto, di cui fu allievo anche una delle future 734
g r a n d i «stelle» della lirica, il c a s t r a t o Broschi d e t t o «Farinello». O r m a i Metastasio era un u o m o arrivato: l'Arcadia lo teneva in palmo di m a n o ; Apostolo Zeno, poeta cesareo alla Corte di Vienna, gli rendeva p e r lettera omaggio; la sua nuova opera Siroe m a n d a v a in visibilio le platee di mezza Europa, e l'impresario Aliberti glien'aveva già commissionata un'altra, il Catone in Litica. Fu l'unico fiasco del fortunato librettista, cui i toni drammatici e i morti in scena n o n s'addicevano. Ma Io capì subito anche lui. Dopo poche repliche, Catone a n d ò a morire dietro le quinte, e gli spettatori lo a p p r e s e r o soltanto dall'elegiaco racconto che ne fecero i suoi amici. Il fiasco si t r a m u t ò in trionfo, e l'Aliberti p r o p o s e seduta stante un n u o v o contratto: 300 scudi a opera p e r quante o p e r e volesse. Sebbene avesse il lavoro facile, Metastasio capì i pericoli dell'inflazione e n o n compose mai p i ù di d u e m e l o d r a m m i a l l ' a n n o . Gli b a s t a v a n o a n c h e p e r c h é alle spese di casa seguitava a p r o v v e d e r e l a r g a m e n t e la R o m a n i n a in cui tuttavia, con la m e n o p a u s a , si manifestavano p r e o c c u p a n t i segni di a u t o r i t a r i s m o . Un g i o r n o passò da R o m a l'altra Marianna c o n o s c i u t a a N a p o l i , la Pignatelli-D'Althan, o r a p r i m a d a m a della Corte di Vienna e favorita d e l l ' I m p e r a t o r e . Aveva quindici a n n i m e n o della R o m a n i n a . Cosa successe fra i d u e n o n si sa, ma il fatto è che, tornata in Austria, essa persuase C a r l o a c h i a m a r e Metastasio c o m e p o e t a c e s a r e o al posto del vecchio Zeno, e lo stesso Zeno caldeggiò la p r o p o sta. Il negoziato fu c o n d o t t o dalla R o m a n i n a che b a d ò solo a t e n e r e alta la tariffa del suo a m a n t e , s p u n t ò p e r lui il cospicuo s t i p e n d i o di 3000 scudi a l l ' a n n o , ma r i n u n z i ò a seguirlo in quella trasferta. Di passaggio p e r Venezia, a n c h e Metastasio p a g ò il suo p e d a g g i o di g a l a n t e r i a alla B a r b a r o Gritti che di celebrità n o n se ne lasciava scappare una, e a Vienna si accasò presso il g e n t i l u o m o n a p o l e t a n o Martinez nella qualità che più gli era c o n g e n i a l e : quella di ospite. V i e n n a gli p i a c q u e , e lui p i a c q u e a V i e n n a . E r a c o m p i t o , cortese, a m a b i l e , p a r l a v a 735
b e n e il tedesco oltre c h e il g r e c o , il l a t i n o , il francese e lo spagnolo. Aveva g r a n c u r a della sua p e r s o n a , anzi scandalizzò la corte p e r lo scialo che faceva di c r e m e e di profumi, e amministrava saggiamente la p r o p r i a salute g u a r d a n d o s i da o g n i eccesso. Per cinque o r e al g i o r n o c o m p o n e v a versi sulla lavagna, canticchiandoli e a c c o m p a g n a n d o s i sul clavic e m b a l o di cui il P o r p o r a gli aveva rivelato tutti i segreti. Q u a n d o n o n era convocato a corte, p r a n z a v a da M a r i a n n a , nel cui castello trascorreva l ' a u t u n n o . La loro relazione e r a t a l m e n t e rispettabile che la rispettava a n c h e l ' I m p e r a t o r e . N o n la rispettò invece la R o m a n i n a che, q u a n d o ne fu a conoscenza, partì disperata e furente p e r Vienna, ma a Venezia si f e r m ò e t e n t ò il suicidio. Metastasio ne fu t u r b a t o s o p r a t t u t t o p e r lo scandalo, ma n o n si mosse. Preferì m a n d a r e l'abate Riva d a l B u l g a r e l l i p e r c o n v i n c e r l o a r i p r e n dersi la moglie alla chetichella. Pochi a n n i d o p o essa m o r ì lasciando tutto il suo p a t r i m o n i o all'infedele, che con molta eleganza lo lasciò al compiacente vedovo e p r e s e il lutto. Esso consistette nella rinunzia alle serali visite a Marianna. Andava lei da lui, dalle sette alle dieci di sera. Godeva d ' i m m e n s o prestigio in tutta E u r o p a . C o r r i s p o n deva a s s i d u a m e n t e con Federico I I , con Caterina di Russia, con Voltaire, Diderot, D'Alembert. Era t a l m e n t e corteggiato e c o p e r t o di regali che a n c h e q u a n d o , d o p o la m o r t e di Carlo, scoppiò la g u e r r a di successione al t r o n o p e r i m p e d i r e a Maria Teresa di salirvi, fu p r o c l a m a t a l'austerity e a n c h e il t e a t r o e n t r ò in crisi, egli n o n ne risentì. N i e n t e lo turbava, se n o n ciò che poteva minacciare la sua salute e la sua pace. Rinunzio perfino al titolo nobiliare concessogli da Assisi, la patria d'origine della sua famiglia, p e r n o n doverci a n d a r e . E q u a n d o il suo vecchio amico P o r p o r a , p o v e r o e m a l a t o , gli chiese aiuto, girò la supplica al Farinello scrivendogli con s u b l i m e e g o i s m o : «Vi s a r ò p e r s o n a l m e n t e obbligato se mi v o r r e t e evitare il d o l o r e di v e d e r e il naufragio d ' u n u o m o , p e r il quale abbiamo sentito rispetto». Nella soffitta della sua casa abitava H a y d n , di cui egli udiva le struggenti suonate e 736
l e a m m i r a v a . M a n o n mosse u n dito p e r a i u t a r l o , q u a n d o seppe che moriva di fame. Da u n a sola p e r d i t a fu v e r a m e n t e colpito: quella della sec o n d a M a r i a n n a , che frattanto aveva s e g r e t a m e n t e sposato. Smise di scrivere, rinunziò a ogni m o n d a n i t à , rinunziò perfino al titolo di b a r o n e d e l l ' I m p e r o e alla croce di Santo Stefano c h e M a r i a T e r e s a gli offriva. N o n usciva p i ù di casa. Ma fu p r o p r i o in casa che trovò di che consolarsi con la figlia del suo anfitrione Martinez, M a r i a n n a a n c h e lei. Aveva sedici a n n i e lui c i n q u a n t a , q u a n d o cominciò a i n s e g n a r l e musica e c a n t o . Fu un a m o r e da Pigmalione. Essa d i v e n t ò u n a delle p i ù g r a n d i i n t e r p r e t i dei suoi m e l o d r a m m i , i n g r o p p a ai quali corse l'Europa. Fu il suo ultimo raggio di sole. Sebbene a n c h e da vecchio fosse un bellissimo vecchio e le d o n n e seguitassero a disputarselo, era diventato m i s a n t r o p o e malinconico. Forse sentiva che il suo m o n d o - quel m o n d o di cipria, di p a r r u c c h e e di m e l o d r a m m a - era agli sgoccioli. I protagonisti gli morivano sotto gli occhi, u n o d o p o l'altro. Metastasio se ne congedava con odi funebri che gli riempivano il portafoglio, ma gli lasciavano vuoto il c u o r e , risvegliatosi finalmente a qualche palpito. Q u a n d o scomparve a n c h e Maria Teresa, di cui era stato il cocco, il figlio G i u s e p p e II abolì tutte le pensioni concesse dalla m a d r e , compresa quella di Metastasio, che ne fece u n a tragedia: n o n tanto p e r i soldi di cui n o n aveva bisogno, q u a n t o p e r c h é era un segno di eclissi. Sebbene n o n vi trovasse p i ù alcun p i a c e r e , e r a t a l m e n t e attaccato alla vita che q u a n d o m o r ì - di p o l m o n i t e , a o t t a n t a q u a t t r ' a n n i - ordinò nel testamento che il suo c o r p o fosse sottoposto ad autopsia «per scoprire gli sconcerti della mia salute». N o n c'è dubbio che Metastasio fu l'unico poeta di fama e livello internazionali che abbia avuto l'Italia nel Settecento. Mozart lo idolatrava, Vincenzo M o n t i gli d e d i c ò la Giunone placata, Ludovico Muratori il Rerum italicarum scriptores, perfino lo scorbutico Baretti, p e r potergli tributare un elogio, scrisse che Metastasio n o n aveva nulla a che fare con l'Arcadia. 737
T a n t a a m m i r a z i o n e n o n era del tutto infondata. Metastasio ebbe come nessuno il senso musicale del verso, anzi il suo verso è a tal p u n t o musica p u r a che c'è da chiedersi se non abbia sbagliato vocazione facendo il poeta invece che il compositore. E lui l'inventore e l'insuperato maestro di quel «bel canto» italiano che doveva conquistare il m o n d o . N o n e r a soltanto un g r a n d e «orecchiante», sebbene fosse anche questo. Sotto la sua profluvie di rime facili e tintinnanti c'erano anche la lima, il gusto, la misura e la cultura. Il saggio sul teatro greco che, su ordinazione di Diderot, egli scrisse per Y Enciclopedìa, rivela un acume critico nettamente in anticipo sui tempi. Ma la Vernon Lee sbaglia, q u a n d o lo p a r a g o n a a Racine. Sul livello del m e l o d r a m m a , egli toccò il p u n t o più alto; ma a quello del d r a m m a n o n arrivò mai: gliene mancava la passione p e r c h é egli stesso n o n ne p r o v ò mai n e s s u n a . I suoi galanti eroi p i a n g o n o più di q u a n t o n o n soffrano, e le sue delicate eroine, q u a n d o sfiorano la tragedia, cascano subito nello stridulo. Il teatro lo aveva nella pelle, ma solo lì. Fu un vero italiano del Settecento, u n apolide che p o t e v a m e t t e r radici d o v u n q u e p e r c h é n o n ne aveva in nessuna patria, che rimase estraneo ai p r o b l e m i del suo t e m p o p e r c h é n o n aveva u n a coscienza né civile né m o r a l e che li riecheggiasse, e quindi n o n ne soffrì mai il morso. Da questo vuoto tutti gl'italiani e r a n o afflitti. Ma c'era chi lo sentiva, sia p u r e oscuram e n t e , e ne soffriva, c o m e l'Alfieri, il Baretti e in u n a certa misura a n c h e il Frugoni. Metastasio, n o . Delle sue o p e r e (ventisei m e l o d r a m m i , sette c o m m e d i e , cinque azioni sacre, cantate, poesie, serenate) si e r a n o p u b blicate u n a q u a r a n t i n a di edizioni. Ma il successo n o n gli sopravvisse. Il r o m a n t i c i s m o , t u t t o fremito di passioni, n o n poteva capire Metastasio, e tanto m e n o a m a r l o . Fino a Carducci e Croce, la critica fu inesorabile contro di lui. De Sanctis e Martini furono più indulgenti p e r c h é lo i n q u a d r a r o n o meglio nel suo t e m p o , che in fondo n o n poteva d a r e di più. La poesia, è v e r o , gli d e v e p o c o . Ma C i m a r o s a , Paisiello, Mozart e Rossini gli d e b b o n o molto.
CAPITOLO VENTINOVESIMO GLI S T O R I C I
Paragonato a quello francese, inglese e tedesco, il Settecent o italiano d i g r a n d e n o n p r o d u s s e c h e degli a v v e n t u r i e r i del tipo di Cagliostro e Casanova. A c o n d a n n a r e tutti gli altri alla mediocrità fu la m a n c a n z a di u n a coscienza religiosa e civile. Q u e s t a brillò in t r e soli u o m i n i : Vico, M u r a t o r i e Giannone. Giambattista Vico, all'inizio del secolo, aveva già t r e n t a d u e a n n i , c h e s e m b r a v a n o molti di p i ù p e r i triboli c h e li avevano p u n t e g g i a t i . Figlio d ' u n p o v e r o libraio o b e r a t o di u n a n u m e r o s a famiglia, a sette a n n i e r a cascato f r a t t u r a n dosi il cranio, p e r altri tre il suo cervello e r a rimasto scombussolato, poi s'era a m m a l a t o di tubercolosi e aveva d o v u t o a b b a n d o n a r e gli studi di Diritto cui s'era avviato. Li riprese d u e a n n i d o p o , ma con p o c h e forze e scarso entusiasmo. Per di p i ù s'era i n n a m o r a t o d ' u n a vicina di casa q u a t t o r d i c e n ne, Teresa, che n o n lo ricambiava. La ragazza n o n aveva tutti i torti. Oltre che sgradevole d'aspetto p e r via del suo corpo meschinello, del volto r i n c a g n a t o e d ' u n curioso tic che gli faceva scuotere le orecchie c o m e un gatto infastidito, era difficile di carattere: collerico, p e r m a l o s o , p e d a n t e , avaro e geloso. Tuttavia alla fine, più impietosita che sedotta, Teresa gli disse di sì, ma a condizione ch'egli si procurasse un «posto». Per o t t e n e r e quello d i p r e c e t t o r e nella famiglia d i u n provinciale arricchito, Vico si attribuì u n a d i s c e n d e n z a da Carlo d'Angiò. Solo così a quei t e m p i un intellettuale poteva g u a d a g n a r s i il p a n e . Dovette stare p e r nove a n n i nella solit u d i n e di Vatolla, ma ci trovò u n a b u o n a biblioteca che gli 739
p e r m i s e di familiarizzarsi coi classici latini e italiani e soprattutto coi filosofi, fra i quali cominciò a fare le sue p r i m e scelte. N o n ci s o r p r e n d e ch'egli preferisse Platone a Aristotile e gli stoici agli epicurei. Ma il suo rifiuto di Gassendi, di Spin o z a e s o p r a t t u t t o di C a r t e s i o c r e d i a m o c h e fosse d o v u t o soltanto alla p r e o c c u p a z i o n e di n o n c a d e r e in sospetto p r e s so la Chiesa. A N a p o l i in quegli a n n i l'Inquisizione i m p e r versava, e r a n o ricomparsi gli auto da fé, e il Vescovo di Cava minacciava di scomunica la città se n o n metteva al b a n d o gli Ateisti, seguaci di Cartesio. Vico aveva l a v o c a z i o n e della f i l o s o f i a , m a a n c h e u n a g r a n p a u r a dei rischi che questa disciplina c o m p o r t a v a . Anzitutto, essa n o n offriva nulla ai suoi militanti p e r c h é all'Università n e m m e n o la s'insegnava c o m e materia a sé stante. Eppoi, n o n c'erano scampi: o uniformarla al magistero della Chiesa, cioè sacrificargliela, o finire davanti al Sant'Uffizio. Vico, p u r seguitando a coltivarla p e r suo conto, si mise a fare ciò che facevano tutti gli altri letterati del t e m p o , cioè a scrivere poesie p e r nozze, nascite e funerali di p e r s o n a g g i illustri. Egli stesso riconosce che si a d e g u a v a n o «alle m a n i e re più corrotte del p o e t a r e m o d e r n o » , e questo gli fa o n o r e p e r c h é significa c h e nel panegirico servile si sentiva a disagio. Forse fu p e r sottrarcisi che concorse alla carica di segretario c o m u n a l e , ma fu bocciato. In c o m p e n s o o t t e n n e la catt e d r a d i eloquenza, che c o m p o r t a v a u n o s t i p e n d i o m a g r o , ma finalmente sicuro. Ne aveva bisogno p e r c h é Teresa gli stava snocciolando figlioli a ripetizione. La p o v e r a d o n n a n o n doveva vedersela soltanto con la miseria, ma a n c h e con le collere e il dispotismo del marito, di cui aveva d o v u t o accogliere in casa a n c h e il p a d r e e il fratello. Per di più c'erano le malattie. T r e b a m bini già p r e s e n t a v a n o s i n t o m i di tubercolosi, e a Vico e r a v e n u t a u n a fistola in gola che n o n guariva mai, gli a m m o r bava l'alito e obbligava la p o v e r a d o n n a a fargli da infermiera tutta la notte. M a l g r a d o t a n t e angustie, aveva posto m a n o a u n a delle 740
sue o p e r e più i m p e g n a t i v e , la Scienza nuova informa negativa, a n d a t a c o m p l e t a m e n t e p e r d u t a . E r a d e d i c a t a al cardinale Corsini che, secondo l'uso del t e m p o , avrebbe d o v u t o finanziarne la pubblicazione (le d e d i c h e servivano a p p u n t o a q u e s t o ) . Ma aveva scelto m a l e il s u o m e c e n a t e . C o r s i n i n o n volle scucir soldi, e Vico dovette p r o v v e d e r e da solo alle spese di s t a m p a v e n d e n d o un anello di famiglia, «un diam a n t e di c i n q u e g r a n i di p u r i s s i m a acqua»; e siccome n o n bastava, r i d u s s e d ' u n b u o n terzo il m a n o s c r i t t o , c a m b i a n dogli a n c h e il titolo in quello di Principi d'una scienza nuova d'intorno alla natura delle Nazioni, poi conosciuto c o m e Scienza nuova prima. L'accoglienza della critica fu f r e d d a , e q u e s t a n o n fu la sola delusione che patì. Poco p r i m a aveva concorso alla catt e d r a , m o l t o p i ù i m p o r t a n t e e r e m u n e r a t a , di Diritto Rom a n o , r a c c o m a n d a n d o s i alla p r o t e z i o n e del principe Eugenio di Savoia, il g r a n d e c o n d o t t i e r e austriaco, o n n i p o t e n t e presso l ' I m p e r a t o r e . Ma E u g e n i o se n ' e r a lavato le m a n i , e la cattedra era toccata a un altro. L'amarezza di questa sconfitta lo r e s e a n c o r a p i ù sensibile alle critiche c h e p i o v v e r o sulla Scienza nuova. L a m i a Firenze scriveva di aver letto il lib r o «con tanto tedio». Ma la s t r o n c a t u r a più a s p r a c o m p a r ve su u n a rivista di Lipsia: «Un abate n a p o l e t a n o ha pubblicato un fantasioso sistema di diritto n a t u r a l e m a n i p o l a t o a gloria della Chiesa pontificia». Un libraio di Napoli la espose in vetrina. Vico se ne sentì m o r t a l m e n t e offeso, se la riprese con G i a n n o n e , collaboratore di quel foglio, e in pochi mesi, sottoponendosi a un lavoro massacrante, riscrisse tutto il libro: la Scienza nuova seconda, cui n o n cessò d'allora in poi di a g g i u n g e r e s e m p r e nuovi c o m m e n t i , note, correzioni che poi, i n c o r p o r a t e nel testo d o p o la sua m o r t e , f o r m a r o n o la versione definitiva dell'opera, la Scienza nuova terza. Questi continui r i p e n s a m e n t i e revisioni sono indice dei t o r m e n t i di Vico. Tutto si accaniva c o n t r o di lui. La tubercolosi, c h e gli aveva p o r t a t o via t r e d e i suoi b a m b i n i , o r a gli p r o c u r a v a violenti d o l o r i alle braccia e alle g a m b e , i m p e 741
dendogli di c a m m i n a r e e di scrivere e obbligandolo a dettare al fratello. La fistola gli divorava il palato e gl'impediva di m a n g i a r e . Ma a dargli lena era la disperata volontà di difend e r e le p r o p r i e teorie dall'assalto dei d e n i g r a t o r i cui rispondeva con polemica furia. Il suo e r a un incessante r u m i n a r e i n t o r n o alle p r o p r i e i d e e p e r a p p r o f o n d i r l e s e m p r e p i ù e legarle in sistema: perciò n o n faceva che tornarvi sopra anc h e nelle s u e l e t t e r e e a n c h e neiVAutobiografia, c h e aveva pubblicato in quegli a n n i a Venezia e a cui p u r e n o n si stancava di fare a g g i u n t e e rettifiche. Vico è un pessimo scrittore, p e s a n t e , p e d a n t e , c o n t o r t o , i n v o l u t o : e q u e s t o è il p r i m o m o t i v o del suo insuccesso in un secolo che faceva della grazia e dell'eleganza il suo vangelo, ma n o n il solo. Il fatto più grave è ch'era fuori del suo t e m p o . Formatosi negli ultimi d e c e n n i del Seicento, n o n sapeva nulla o quasi nulla di ciò che si e r a scritto d o p o , a n c h e p e r c h é n o n si e r a m a i mosso da N a p o l i e n o n conosceva n e s s u n a l i n g u a , n e m m e n o il francese. Nel s u o m i s e r a b i l e «basso» i «lumi» n o n si e r a n o accesi. Ma ha r a g i o n e Momigliano q u a n d o dice che Vico, a n c h e se fu u n o studioso peggiore dei suoi c o n t e m p o r a n e i , m e n o informato e aggiornato, fu p e r ò un p e n s a t o r e più g r a n d e . La linea del suo p e n s i e r o è difficile da tracciare. Lo stesso Croce riconosce ch'esso è t a l m e n t e l u t u l e n t o , confuso e oscuro da autorizzare le interpretazioni p i ù contraddittorie. N o n è compito nostro a d d e n t r a r c i in diatribe di esegesi. Di Vico, ci limitiamo a cogliere l'essenza: cioè lo storicismo. Ridotta al nòcciolo, la sua posizione è questa: Fin qui, egli dice, i filosofi si sono dedicati alla scoperta delle leggi che r e g o l a n o la vita n a t u r a l e , e ne h a n n o tratto b e n poco costrutto p e r c h é solo I d d i o , che le ha dettate, è in g r a d o di c o n o s c e r l e . Il c a m p o della c o n o s c e n z a u m a n a è b e n a l t r o , è la Storia, p e r c h é q u e s t a s o n o gli u o m i n i che l ' h a n n o fatta. Di essa si p u ò fare u n a v e r a scienza, ricos t r u e n d o n e le costanti, che si r i p e t o n o in tutte le fasi del suo sviluppo. 742
Q u e s t e costanti, Vico le c h i a m a «ricorsi». A differenza della concezione giusnaturalistica di Machiavelli, che riconduceva tutto all'azione individuale del «Principe», Vico p o ne a protagoniste della Storia le «nazioni» n o n nel loro m o d e r n o significato, ma in quello di popoli o di classi, cioè di «gruppi». E p e r ricostruirne la vicenda, comincia subito col d i s t i n g u e r e la storia p r o f a n a da quella sacra. Di quest'ultima l ' u o m o n o n p u ò capire nulla p e r c h é a farla n o n fu lui, ma Dio, che q u i n d i ne possiede in esclusiva le chiavi. E p r o b a b i l e c h e su q u e s t o p u n t o Vico la p e n s a s s e p r o p r i o così. Ma è a n c h e possibile che sia stata la p r u d e n z a a consigliargli quella distinzione, o a l m e n o a influirvi. Per lui la faccenda di A d a m o e d e l p e c c a t o o r i g i n a l e e r a m a t e r i a n o n di Storia, ma di «rivelazione», e q u i n d i intoccabile. In m a t e r i a di fede, il suo c o n f o r m i s m o e r a assoluto. Q u a n d o aveva s c o p e r t o G r o z i o , e r a stato t e n t a t o d i p u b b l i c a r e u n c o m m e n t o al suo celebre libro sulla pace e la g u e r r a , ma ci aveva rinunciato «perché n o n conviene ad un u o m o cattolico di religione, a d o r n a r e di n o t e l'opera d ' u n a u t o r e eretico». Messo d u n q u e da p a r t e t u t t o ciò che alla fede attiene, egli ritesse la v i c e n d a della civiltà d i v i d e n d o l a in t r e fasi: l'età degli dèi, l'età degli eroi, l'età degli u o m i n i , e p e r primo s c o p r e il significato storico d e l «mito» in cui n o n v e d e più u n ' a r b i t r a r i a e fantastica divagazione poetica, ma la traduzione in simboli di fatti e situazioni reali. Cioè Vico trova il legame tra la filologia, che è l'indagine letteraria del mito, e la filosofia che la strumentalizza p e r ricostruire attraverso di essa u n a fase della civiltà Le favole, egli dice, n o n esiston o . D e n t r o o g n u n a d i esse c'e u n b r a n o d i Storia, cioè u n « m o m e n t o » della v i c e n d a u m a n a : basta s a p e r c e l o t r o v a r e con u n a giusta interpretazione. La Storia, s e c o n d o Vico, n o n fa c h e r i p e t e r e c o n t i n u a m e n t e se stessa. Nelle sue esperienze politiche, economiche e sociali, la civiltà medievale ricalca quella dell'antica Grecia e dell'antica R o m a : r i t o r n a la schiavitù, r i t o r n a la v e n d e t t a c o m e r i p a r a z i o n e del torto, r i t o r n a O m e r o sotto le spoglie 743
di Dante. La civiltà m a t u r a , passando dall'età della poesia a quella della r a g i o n e e nell'illusione di p r o g r e d i r e , si corr o m p e fino a c a d e r e in pezzi e d a r e avvìo a u n a n u o v a barbarie. Perché, dice Vico, l ' u o m o c r e d e di «fare» e in realtà «fa». Ma solo nell'ambito del «ricorso» in cui gli tocca di vivere e di o p e r a r e . A regolare i ricorsi n o n è lui, ma la «provvidenza», questa «regina delle faccende degli uomini», che in definitiva d i s p o n e di tutto al di fuori dei loro propositi e sovente c o n t r o di essi. Vico n o n a r r i v a alla c o n c e z i o n e di H e g e l , che nel secolo successivo c o n c e p i r à la Storia c o m e u n o s t r u m e n t o d e l l ' I d e a , d i cui gli u o m i n i n o n s a r e b b e r o che gl'inconsapevoli «robots». Ma in un certo senso l'anticipa. E ad ogni m o d o è il p r i m o a ricercare nella Storia qualcosa che va al di là degli avvenimenti, a cogliere l'importanza dei fattori economici, e s o p r a t t u t t o a s e n t i r n e la tragica grandiosità. Vico è un solitario. Q u e s t a è la sua forza, e questo è anche il suo limite. N o n è abituato a p a r l a r e agli altri p e r c h é gli m a n c a n o un p u b b l i c o e u n a società. Il suo è un l u n g o m o n o l o g o che spesso divaga p e r m a n c a n z a d i u n c o n t r a d dittore che lo riporti sul suo tracciato, e lo si avverte a n c h e dalla sua macchinosa sintassi. Nella sua incomunicabilità si riflette la disperata condizione dell'intellettuale italiano senza dialogo c o n n e s s u n o e q u i n d i senza possibilità di q u e i confronti con le o p i n i o n i altrui che affinano il l i n g u a g g i o , i m p o n g o n o il senso della m i s u r a e costringono alla «comunicabilità». La sua vita ebbe qualche b a r l u m e di luce solo negli ultimi a n n i , q u a n d o il re C a r l o di B o r b o n e lo n o m i n ò storiografo di corte, gli r a d d o p p i ò lo stipendio e diede u n a catted r a a n c h e a suo figlio. Ma era t r o p p o tardi p e r g o d e r n e . La m a l a t t i a lo incalzava, gli toglieva la m e m o r i a , lo r e n d e v a m u t o , cioè più m u t o del solito. Il suo carattere, s e m p r e difficile, era d i v e n t a t o impossibile. Morì nel '44, a 76 a n n i , e chissà cosa avrebbe detto se avesse visto la scena che si svolse nella sua c a m e r a m o r t u a r i a q u a n d o i n t o r n o al suo cada744
vere si accese u n a t r e m e n d a rissa fra u n a c o n f r a t e r n i t a di frati e quella dei professori che se lo c o n t e n d e v a n o . Un finale del tutto in t o n o col collerico e scorbutico p e r s o n a g g i o ch'egli e r a stato. Ludovico A n t o n i o M u r a t o r i è il suo d e g n o c o n t r a p p u n t o , sia c o m e u o m o che come storiografo. A Vignola presso M o d e n a c'è ancora, ridotta a scuola, la casa in cui egli n a c q u e nel 1672 da u n a m o d e s t a famiglia contadina. II p a d r e n o n potè m a n d a r l o agli studi, ma il ragazzo se li fece p e r c o n t o suo s e g u e n d o , a g g r a p p a t o alla grata della finestra, le lezioni di un m a e s t r o che alla fine si commosse di tanta perseveranza e lo accolse gratis tra i suoi allievi. A tredici a n n i e n t r ò in s e m i n a r i o e chiese i voti. Lo facevano un p o ' tutti in un secolo in cui la Chiesa r a p p r e sentava l'unica i n d u s t r i a r e m u n e r a t r i c e . M a M u r a t o r i n o n lo fece p e r q u e s t o . A differenza di Parini, di Metastasio, di F r u g o n i e di tutti gli altri abati e abatini della l e t t e r a t u r a , egli volle servire Dio p e r c h é in Dio ci c r e d e v a , c o n g r a n s c a n d a l o di tutti, e s p e c i a l m e n t e d e i p r e t i , c h e in s e g u i t o gliel'avrebbero fatta p a g a r e . Fu «ordinato» a d i c i o t t ' a n n i , e n t r ò c o m e p r e c e t t o r e in u n a ricca famiglia, e si dette al suo studio preferito: il latino. Le sue traduzioni di Quintiliano e di Seneca suscitarono tale a m m i r a z i o n e che Carlo B o r r o m e o lo chiamò a Milano come prefetto della biblioteca ambrosiana, oltre che c o m e suo confidente e confessore. Era il posto che meglio gli si a d d i ceva. Scoperse e decifrò codici e manoscritti, e ne trasse materia p e r un trattato sui Primi cristiani della Chiesa che gli spalancò le p o r t e di tutte le Accademie. Egli stesso fu il pilastro di quella B o r r o m e a , e lì p e r lì p a r v e che a n c h e lui volesse avviarsi a u n a di quelle carriere cortigiane, tipiche del lctter a t u m e abatesco del Settecento. C o m p o s e a n c h e u n panegirico di Luigi XIV. Ma subito se ne p e n t ì , m a n d ò al diavolo la m o n d a n i t à , e sprofondò nei suoi incunaboli. In quel t o r n o di t e m p o v e n n e r o scoperti nella chiesa di 745
San Pietro d e i resti, e q u a l c u n o disse c h ' e r a n o quelli di Sant'Agostino. Il Papa li autenticò c o m e tali, M u r a t o r i confutò indignato il verdetto, e Monsignor Fontanini lo accusò di eresia. Era l'inizio di u n a polemica che n o n doveva più finire. M u r a t o r i r a p p r e s e n t a v a l'altra faccia del Cattolicesimo ateo e libertino del Settecento: quella rigorista, f o r t e m e n t e influenzata dal giansenismo. M o r a l m e n t e severo, e r a intell e t t u a l m e n t e libero, n o n accettava né Inquisizione né cens u r a , escludeva possibilità di conflitti t r a F e d e e Verità, e n o n a m m e t t e v a c h e q u e s t a venisse sacrificata a quella p e r motivi propagandistici. Lo sfruttamento delle false reliquie lo indignava. E q u a n d o si trovò tra le mani certi pensieri ed e p i g r a m m i di G i u l i a n o l'Apostata, li t r a d u s s e e p u b b l i c ò p e r c h é e r a n o veri e illuminanti, a n c h e se il loro a u t o r e era stato l'ultimo c a m p i o n e del p a g a n e s i m o . Teologi e bacchettoni insorsero accusandolo di eversione e sacrilegio. N o n se ne c u r ò e n o n rispose: aveva da catalogare i sessantamila volumi della sua biblioteca, e li catalogò. Poco d o p o v e n n e a M o d e n a il g r a n d e filosofo tedesco Leibniz p e r certe ricerche genealogiche negli archivi degli Estensi, t u t t o r a D u c h i della città. Vi trovò il caos, se ne lam e n t ò col Duca Rinaldo, e questi chiamò M u r a t o r i a riordinarli. I n v a n o il B o r r o m e o cercò di t r a t t e n e r l o . M u r a t o r i aveva nostalgia di M o d e n a , della sua quiete, e del clima di tolleranza che vi m a n t e n e v a n o gli Este, signori n o n splendidi, ma equilibrati e a m a n t i della cultura. Vi resterà fino alla morte. Si era iscritto all'Arcadia, e aveva lanciato il p r o g e t t o di trasformarla a n c h e di n o m e in u n a «Repubblica delle Lettere Italiane» al di sopra degli Stati: u n ' i d e a che, se fosse stata accolta, forse avrebbe anticipato il Risorgimento. Ma la parola «Repubblica» puzzava al naso di tutte le autorità, comp r e s e quelle di M o d e n a , e i letterati italiani n o n e r a n o gente da rischiare il «posto». M u r a t o r i si confinò tra le sue carte, iniziò u n a fitta c o r r i s p o n d e n z a c o n storici, e r u d i t i e archivisti di tutto il m o n d o , e compose alcuni saggi sull'esteti746
ca, sulla poesia, e a n c h e su p r o b l e m i più concreti e di attualità, c o m e quelli di C o m a c c h i o e F e r r a r a di cui la C h i e s a c o n t e n d e v a agli Este la sovranità. M u r a t o r i fu p e r il suo Duca, e n o n p e r servilismo. Negli archivi aveva trovato i docum e n t i che confermavano i suoi titoli. Ma n a t u r a l m e n t e q u e sto n o n valse a fargli vincere la causa e tanto m e n o a metterlo al r i p a r o dalle ire della Chiesa che p e r bocca del solito Fontanini lo accusò di aver falsato le carte, lo tacciò di furto e di plagio, e lo escluse dagli archivi del Vaticano e di varie città. N e m m e n o stavolta M u r a t o r i rispose. C o r r i s p o n d e v a con l ' i m p e r a t r i c e C a t e r i n a di Russia, c o n Federico di Prussia, con Leibniz, con Newton, con G i a n n o n e , con Vico, con De Brosses, ed e r a impegnatissimo in o p e r e di carità p e r l'assistenza agl'infermi, la r e d e n z i o n e dei carcerati e la revisione dei processi. Grazie al Duca, era diventato p a r r o c o di Santa Maria della Pomposa, ma invece d'ingrassare sulle sue r e n dite ci rimetteva di tasca p r o p r i a . Viveva frugalmente con le sorelle, e l'unico suo lusso e r a la musica. A d o r a v a il c a n t o g r e g o r i a n o e n o n si stancò di p r e n d e r n e lezioni, ma inutilm e n t e p e r c h é era stonato come un ciuco, e questa era l'unica cosa che incrinava la sua abituale s o r r i d e n t e serenità. U n o d o p o l'altro pubblicò tre saggi: u n o sulla m o d e r a zione, u n o sulla carità cristiana, u n o contro la superstizione, che r a p p r e s e n t a n o il suo c r e d o morale. C o m e p e n s a t o r e , è questa trilogia la sua vera «Summa». Egli c o n d a n n a le penitenze a sfondo masochista, il feticismo delle reliquie e il loro commercio, e chiede u n a riduzione delle feste religiose. Era un processo ai metodi di u n a Chiesa che o r m a i basava unic a m e n t e il suo apostolato sull'adorazione dei feticci, i baccanali liturgici e il conformismo. L'Inquisizione scatenò i suoi fulmini, i p r e d i c a t o r i lo a t t a c c a r o n o dal p u l p i t o . M u r a t o r i n o n sollevò n e m m e n o la testa dal m a n o s c r i t t o c h e stava c o m p i l a n d o e che r a p p r e s e n t a la sua o p e r a capitale: il Rerum ìtalicarum scriptores. Ci lavorò sedici anni, e r i e m p ì ventisette volumi. N e m m e n o il Duca Rinaldo, allergico agli sciali, 747
si sentì di assumersi le spese della pubblicazione. Ma a q u e sto p u n t o i n t e r v e n n e Milano, e fu il p r i m o caso in Italia di u n ' i m p r e s a editoriale sostenuta p e r sottoscrizione dagli stessi lettori. Sotto la p r o t e z i o n e d e l l ' i m p e r a t o r e Carlo VI si costituì u n a «Società Palatina», che raccolse b e n 120.000 scudi. Fu un clamoroso successo che d i m o s t r ò q u a n t a fame di cultura ci fosse in Italia, cioè q u a n t o gli u o m i n i di c u l t u r a fossero venuti m e n o al loro compito di diffonderla. M u r a t o r i aveva tutti i requisiti p e r assolverlo. In un c e r t o senso egli è Tanti-Vico. N o n cerca nella Storia u n a filosofia della Storia. Cerca la Storia, e basta, ricostruendola sui dati, sulle cronache dei c o n t e m p o r a n e i , e perfino sui contratti notarili e sulle testimonianze dei processi. Il principio d'autorità su cui si reggevano i poteri di allora, e specialmente la Chiesa, n o n a m m e t t e v a la nascita di un «pubblico» in g r a d o di p e n s a r e : esso doveva restare «gregge» e c o n t e n t a r s i della verità rivelata dall'alto. Il gesuita Borghi cercò di scatenare un pogrom c o n t r o di lui accusandolo d'aver provocato con le sue eresie la peste a Messina. Il F o n t a n i n i lo d e n u n z i ò al Pontefice c o m e «sovversivo». Lo bersagliarono di lettere a n o n i m e . Si a p p e l l a r o n o perfino al G r a n d e I n q u i s i t o r e di S p a g n a p e r c h é venisse a istruire un processo contro di lui. M u r a t o r i n o n sarebbe scampato alla tempesta, se sul Soglio n o n ci fosse stato in q u e l m o m e n t o P a p a L a m b e r t i n i . «Le o p e r e degli u o m i n i illustri n o n si proibiscono» rispose a chi gli p r o p o n e v a di m e t t e r e all'indice la Rerum. E invece di s c o m u n i c a r e l ' a u t o r e , gli offrì la p o r p o r a cardinalizia: un gesto da g r a n d e e coraggioso Vicario di Cristo, quale i Papi sono di r a d o . M u r a t o r i rifiutò con u n a lettera piena di reverenza e di umiltà. Il suo posto n o n era il Vaticano, ma la biblioteca di M o d e n a , all'ultimo p i a n o del palazzo ducale. Ci faceva u n g r a n f r e d d o p e r c h é M u r a t o r i n o n voleva c h e v i accendessero il fuoco p e r p a u r a d ' u n incendio, e si contentava d ' u n o scaldino. Per di più c'erano da salire novantasei 748
g r a d i n i : un p o ' t r o p p i p e r il suo affannato c u o r e e le sue g a m b e indebolite. E p p u r e , tutte le m a t t i n e alle sette era lì, tuffato nelle sue vecchie carte e i n t e n t o a r i e m p i r n e di n u o ve. Compilava gli Annali d'Italia e le Antichità estensi, scriveva di agricoltura e di giustizia: dodici o r e di lavoro al g i o r n o e, c o m e u n i c o diversivo, u n a p a s s e g g i a t a con gli amici. N o n sottolineava i p r o p r i sacrifici p e r c h é n o n gli p a r e v a di farne, p a g o c o m ' e r a di quella sua semplice e laboriosa vita, della sua m o d e s t a casa, della sua m e n s a frugale. A n c h e nella sua imperturbabilità agli attacchi dei lumaconi zelanti n o n c'era o m b r a di jattanza. N e m m e n o l'incalzare della paralisi che gli bloccò p r i m a un occhio, poi u n a m a n o e infine lo immobilizzò a letto, riuscì a t u r b a r e la sua serenità. Fino all'ultimo seguitò a d e t t a r lettere, a consultare d o c u m e n t i , a occuparsi dei suoi poveri. Il P a p a gli m a n d ò u n a p a r t i c o l a r e b e n e d i z i o n e , e q u a n d o s e p p e c h ' e r a spirato nel g e n n a i o del '50, disse: «E m o r t o il p r i m o o n o r e d'Italia». Tutta la cultura e u r o p e a p r e s e il lutto, e ne aveva di che. Più che un g r a n d e storico, M u r a t o r i era stato un g r a n d e e r u d i t o , cioè un g r a n d e catalogatore di fatti. Ma p r o p r i o di questo c'era bisogno in quel m o m e n t o . A Salisburgo gli studenti avevano contestato i loro professori sventolando i libri di M u r a t o r i come oggi si fa coi «pensieri» di Mao. Essi volevano che la Storia venisse insegnata come la insegnava lui e o t t e n n e r o l'adozione, c o m e testi, delle sue o p e r e . Fu grazie a lui c h e i d o c u m e n t i r i a c q u i s t a r o n o un valore a n c h e di mercato e infatti d i e d e r o avvìo a un florido commercio. C o m e tutti gli italiani del Settecento, a n c h e lui soffriva di «incomunicabilità» p e r c h é scriveva male. Messa a confronto con quella dei c o n t e m p o r a n e i francesi e inglesi, a n c h e la sua p r o s a risulta goffa, artefatta e i n v o l u t a . Ma q u e s t a e r a la d a n n a z i o n e di tutta la nostra cultura. Fra tanti c o r r i s p o n d e n t i di M u r a t o r i c'era stato il suo quasi c o e t a n e o Pietro G i a n n o n e , che di d u e a n n i lo aveva p r e c e 749
d u t o nella t o m b a . G i a n n o n e e r a n a t o nel 1676 a Ischitella nel G a r g a n o , ma p r e s t o si e r a trasferito a Napoli p e r studiare legge. La sua salute era rimasta scossa da u n a malattia intestinale e p i ù a n c o r a dalle c u r e cui lo avevano sottoposto. O l t r e a quella del Diritto, aveva la p a s s i o n e della Storia, o p e r meglio d i r e considerava q u e s t a s u c c e d a n e a di quello e viceversa. I suoi c o m p a g n i lo c h i a m a v a n o «Pietro il solitario» p e r la sua p r e c o c e serietà e la sua t e n d e n z a a s t a r e s p r o f o n d a t o n e i suoi libri e n e i suoi p e n s i e r i . E r a m a g r o , n e r v o s o e t a c i t u r n o . Ma la p r i m a volta che p r e s e la p a r o l a in tribunale, lo fece in tal m o d o da rovesciare il processo in favore del suo cliente, e questo gli valse l'ingresso nello studio di Argento, il più famoso t r o m b o n e del foro n a p o l e t a n o . G i a n n o n e n o n ne i m i t ò lo stile o r a t o r i o : il s u o r i m a s e sobrio, asciutto e senza fronzoli. Il suo destino fu deciso da un invito del g o v e r n o a sosten e r e la sua causa c o n t r o le interferenze della Chiesa. Il gov e r n o in quel m o m e n t o e r a austriaco e doveva fronteggiare u n a grave crisi economica. Un terzo del r e d d i t o del R e a m e era d r e n a t o dal fisco, un altro terzo era assorbito dai «benefici» ecclesiastici, i quali servivano solo a far ingrassare i p r e ti che li avevano in appalto, senza n e a n c h e l'obbligo di risiedervi. L'imperatore Carlo VI o r d i n ò radicali m i s u r e c o n t r o questo abuso. La Chiesa le i m p u g n ò minacciando la scomunica. E G i a n n o n e fu incaricato insieme ad Argento di difenderle sul p i a n o legale. Napoli aveva già u n a r o b u s t a tradizione di «giurisdizionalismo», cioè di quel pensiero giuridico che distingue nett a m e n t e fra Stato e C h i e s a e rifiuta qualsiasi i n t e r f e r e n z a d e l l ' u n a nel c a m p o dell'altro. G i a n n o n e ne diventò il camp i o n e e vinse la causa sulla base di d o c u m e n t i ineccepibili che rivelavano in lui, oltre alla vocazione d e l l ' u o m o di legge, quella di storico. Q u e s t o gli p r o c u r ò la fiducia di Carlo VI e l'odio della Curia, ch'egli del resto ricambiava in pien o . G i a n n o n e e r a qualcosa di più che un laico anticlericale: era un «ghibellino», che faceva dello Stato la sua religione. 750
I successi n o n gli a v e v a n o d a t o alla testa. E r a r i m a s t o l ' u o m o di s e m p r e , solitario, t a c i t u r n o , fedele alla sua dieta s p a r t a n a e allergico a ogni m o n d a n i t à . Aveva p r e s o u n a casetta a Portici e ci viveva con u n a giovane p o p o l a n a , Angela Castelli, che n o n sposò mai e che gli diede d u e figli. Era u n a ragazza quasi analfabeta, ma devota e discreta, che gli assic u r a v a la q u i e t e necessaria allo studio. Aveva cominciato a scrivere i p r i m i volumi della Storia civile che a v r e b b e r o d o vuto arrivare a q u a r a n t a , ma invece si f e r m a r o n o al trentac i n q u e s i m o , e li stava s t a m p a n d o a p r o p r i e spese. Tutti lo avevano sconsigliato. A r g e n t o gli aveva d e t t o : «Ti fabbrichi da solo la tua c o r o n a di spine». Ma G i a n n o n e n o n aveva dato retta a nessuno. In q u e s t ' u o m o schivo, riservato e refratt a r i o a qualsiasi esibizionismo e d e m a g o g i a , vibrava u n a p r o f o n d a passione. I p r i m i q u a t t r o libri o t t e n n e r o un grosso successo: Carlo VI glieli c o m p e n s ò con 135 zecchini d ' o r o e la n o m i n a ad avvocato di Stato. Col q u i n t o , c h e dimostrava l'azione corruttrice esercitata dal diritto ecclesiastico su quello r o m a n o , cominciarono i guai. I Gesuiti passarono al contrattacco con la loro a r m a preferita: la calunnia. Accusarono G i a n n o n e di c o n c u b i n a g g i o e di e m p i e t à , p e r c h é offendeva le r e l i q u i e dei Santi e n e g a v a p e r f i n o il m i r a c o l o di San G e n n a r o , la cui collera si sarebbe a b b a t t u t a sulla città. Tutti s a n n o cosa r a p p r e s e n t a , p e r Napoli, San G e n n a r o . Era un invito al linciaggio. L'Inquisizione chiese al Viceré, cardinale d'Althan, la consegna del reo, l'opera fu messa all'indice e bruciata, lo s t a m p a t o r e Vitagliano scomunicato. Gli amici consigliarono a G i a n n o n e di trasferirsi p e r un p o ' di t e m p o a V i e n n a , unica città d o v e , grazie alla p r o t e zione d e l l ' I m p e r a t o r e , poteva stare al sicuro. Q u a n d o ci arrivò, d o p o un a v v e n t u r o s o viaggio sotto falso n o m e , Giann o n e lesse sui giornali che sui m u r i di Napoli era stato affisso il b a n d o della sua scomunica: «Non si deve n o m i n a r e p e r n o m e e c o g n o m e l'autore della Storia civile p e r n o n contaminarsi con un u o m o sì nefando». La reazione fu tipica del751
l'uomo. Lungi dal difendersi, contestò il titolo giuridico della c o n d a n n a con un t r a t t a t o «contra le s c o m u n i c h e invalide» in cui si dimostrava che, secondo la legge civile, ogni citt a d i n o ha diritto di s a p e r e p e r c h é è c o n d a n n a t o . N a t u r a l m e n t e il Papa n o n rispose. Ma l ' I m p e r a t o r e fece sua la tesi, e impose il ritiro della scomunica. A V i e n n a , G i a n n o n e e b b e i suoi m a g g i o r i p r o t e t t o r i in Ricciardi, fiscale del «Consiglio di Spagna» c o m e si chiamava il d i c a s t e r o p r e p o s t o agli affari italiani, nel m i n i s t r o di Genova, m a r c h e s e Doria, e nel g r a n d e E u g e n i o di Savoia. M a ebbe a n c h e u n a p r o t e t t r i c e , E r n e s t i n a d i Leichsenhoffen, c h e o c c u p ò nella sua vita il p o s t o fin allora t e n u t o da Angela. Costei, rimasta a Napoli coi figli, p e r sfuggire alla persecuzione, si era ritirata in un convento, di cui in seguito diventò badessa. Ernestina la sostituì nel migliore dei m o d i : c u r ò G i a n n o n e dei suoi mali di stomaco, gli t e n n e in o r d i n e la casa, gli a m m i n i s t r ò i g u a d a g n i . G i a n n o n e aveva r i p r e s o a lavorare c o m e avvocato e la Storia civile, tradotta in molte lingue, otteneva caldi successi in tutta E u r o p a . Ad essa i Gesuiti n o n riuscivano a d o p p o r r e che calunniosi libelli, u n o dei quali condusse l'autore in galera. L'esule soffriva di n o stalgia, ma solo di questa. Nel '33 scoppiò la g u e r r a di successione polacca, e le ripercussioni in Italia furono quelle che a b b i a m o d e t t o nella p r i m a p a r t e di questo libro. Al posto degli Austriaci, a Napoli s'installò Carlo di B o r b o n e , e l ' I m p e r a t o r e d o v e t t e liq u i d a r e il «Consiglio di Spagna» da cui d i p e n d e v a n o il lavoro e lo stipendio di G i a n n o n e . Bisognava ripartire. La separazione da Ernestina gli costò u n a grossa p e n a , ma contava di r i e n t r a r e a Napoli. A Venezia invece l'ambasciatore spagnolo gli rifiutò il passaporto, e G i a n n o n e si sentì più esule che mai. Gli unici conforti gli venivano dalla presenza del figlio, che da un pezzo lo aveva r a g g i u n t o a Vienna e dall'abbozzo di u n a n u o v a o p e r a cui stava a s s i d u a m e n t e lavorand o : il Triregno. Gl'intellettuali veneziani lo avevano accolto con g r a n d i onori, l'Università di Padova gli offriva u n a cat752
t e d r a , ma i Gesuiti e r a n o già all'offensiva, l'onnipotente cardinale Albani intimava al Consiglio dei Dieci di rifiutargli il p e r m e s s o di soggiorno, e la Serenissima n o n era più in condizioni di o p p o r s i ai s o p r u s i di R o m a . E r a sorvegliato, gli a p r i v a n o la c o r r i s p o n d e n z a , gli sbirri d e l l ' I n q u i s i z i o n e lo seguivano passo passo, u n a notte lo r a p i r o n o , lo p o r t a r o n o a C r e s p i a n o e lo a b b a n d o n a r o n o su un argine del Po c o m e un malfattore qualsiasi. Si rifugiò a M o d e n a , d o v e il figlio lo r a g g i u n s e col p r e zioso m a n o s c r i t t o , e M u r a t o r i , v e n u t o a trovarlo di nascosto, gli consigliò di trasferirsi a G i n e v r a d o v e stavano trad u c e n d o la sua Storia. G i a n n o n e c e r c ò s c a m p o a M i l a n o dall'amico Trivulzio; ma, riconosciuto p e r strada da un sen a t o r e b a c c h e t t o n e , v e n n e espulso. I n v a n o in sua difesa si l e v a r o n o le voci p i ù prestigiose della c u l t u r a e u r o p e a , da Voltaire a Galiani. Dovette r i p r e n d e r e il suo sacco di profugo, a t t r a v e r s a r e sotto falso n o m e il P i e m o n t e e sconfinare in Svizzera. A Ginevra trovò amici e a m m i r a t o r i , t e n n e applauditissime c o n f e r e n z e , e p o r t ò a c o m p i m e n t o il Triregno. A R o m a s e p p e r o di questa n u o v a o p e r a e, p e r i m p e d i r n e la pubblicazione, m a c c h i n a r o n o l'infamia risolutiva. Il cardinale Albani scrisse al m a r c h e s e d'Ormea-. «Il Papa ha fiducia che in Savoia possa succedere l'arresto del disgraziato Giannone». L a fiducia e r a b e n i s s i m o r i p o s t a p e r c h é l a s u p r e m a a m b i zione del D ' O r m e a e r a la p o r p o r a cardinalizia, c h e valeva b e n e u n G i a n n o n e . U n poliziotto s a v o i a r d o , Gastaldi, f u m a n d a t o a Ginevra p e r mettersi alle calcagna del profugo e c a t t i v a r s e n e l'amicizia. G i a n n o n e , c h ' e r a u n c a n d i d o , accettò di fare u n ' e s c u r s i o n e fino alla casa del Gastaldi, oltre confine. Così v e n n e catturato e relegato insieme al figlio prima nella fortezza di Miolans, poi in quella di Ceva, e infine nella cittadella di Torino. Restava il manoscritto, che le autorità di Ginevra si rifiutavano di c o n s e g n a r e a m e n o che n o n lo chiedesse lo stesso G i a n n o n e . Questi, nella sua i n g e n u i t à , e r a convinto che lo
753
avessero arrestato p e r sottrarlo all'Inquisizione e se ne m o strava p a t e t i c a m e n t e g r a t o a i suoi c a r c e r i e r i . P u ò q u i n d i darsi ch'egli abbia richiesto il manoscritto, ma p u ò darsi anche che la sua firma fosse stata contraffatta. C o m u n q u e , il m a n o s c r i t t o a r r i v ò e fu i n o l t r a t o a R o m a d o v e fu trionfalm e n t e bruciato. Per f o r t u n a il d ' O r m e a ne aveva fatta fare u n a copia p e r i suoi archivi; a l t r i m e n t i n o n ne s a r e b b e rimasta traccia. Il Triregno e r a il c o m p l e t a m e n t o della Storia civile, u n a implacabile requisitoria c o n t r o il t e m p o r a l i s m o della Chiesa. P r o v e storiche alla m a n o , G i a n n o n e d o c u m e n t a v a il falso della cosiddetta «donazione di Costantino» da cui aveva p r e so avvìo il p o t e r e t e m p o r a l e dei Papi, che aveva corrotto fin nelle midolla la Chiesa di Cristo. Q u e s t a visione dei tre Reg n i - quello t e r r e n o degli u o m i n i , quello celeste di Gesù, e quello ibrido dei Papi che p r e t e n d e al secondo, ma p r o p e n de al p r i m o - è di c a r a t t e r e teologale. Alcune tesi, c o m e la negazione dell'autorità della Chiesa q u a n d o sia in contrasto con le Sacre Scritture, sono francamente protestanti. G i a n n o n e n o n vide m a i p i ù l a luce del sole. D o p o d u e a n n i suo figlio fu liberato, ma lui dovette trascinare p e r altri dieci la sua miserabile esistenza di galeotto. Fra gli altri tormenti, gl'inflissero a n c h e la c o m p a g n i a di un p r e t e incaricato di strappargli l'abiura. C o m e oggi i regimi comunisti, la Chiesa n o n si contentava di uccidere, voleva a n c h e umiliare le sue vittime costringendole a riconoscersi colpevoli p e r leg i t t i m a r e l'assassinio, a g g i u n g e n d o a quello fisico quello m o r a l e . S t r e m a t o dalla solitudine, dalla fame e dal f r e d d o , G i a n n o n e cedette. Ma il suo c e d i m e n t o va messo sul conto dei suoi carnefici, fra i quali c'erano a n c h e il re Carlo Eman u e l e e il suo p r i m o m i n i s t r o . T r a s c o r s e gli ultimi a n n i a scrivere l'autobiografia, La Chiesa sotto il pontificato di Gregorio Magno e i Discorsi politici sulle Deche di Tito Livio. Morì nel '48. Il d ' O r m e a lo aveva p r e c e d u t o di tre a n n i nella t o m b a senza essersi cavato la voglia della p o r p o r a che p u r e aveva dimostrato di m e r i t a r e . 754
C o m e filosofo, G i a n n o n e n o n valeva Vico; n é , c o m e storico, M u r a t o r i . C o m e dice g i u s t a m e n t e T i t o n e , gli avvenim e n t i li v e d e p i ù che altro da giurista, cioè c o m e u n o svolg i m e n t o d'istituzioni, e caso mai da t e o l o g o . Il conflitto ideologico gli sfugge, gli sfugge l'economia, gli sfugge il p o polo, p e r il quale anzi affetta un evidente disprezzo. Per lui la Storia si riduce alle «azioni individuali e arbitrarie dei sovrani», di fronte alle quali egli n o n si p o n e altro p r o b l e m a che quello della loro legittimità e illegittimità, e n a t u r a l m e n te in c a m p o t e m p o r a l e c o n s i d e r a legittimo t u t t o ciò che fa lo Stato e illegittimo ciò che fa la Chiesa. Ma d e n t r o questi limiti, e nella difesa di quella che si ann u n c i a v a c o m e l a p i ù g r a n d e c o n q u i s t a politica m o d e r n a - lo Stato di diritto, imparziale g a r a n t e delle libertà individ u a l i -, egli p o r t a un a p p a s s i o n a t o i m p e g n o c h e fa clamoroso spicco sul q u a l u n q u i s t i c o c o n f o r m i s m o dei suoi cont e m p o r a n e i . Alessandro Verri diceva d i n o n c a p i r e p e r c h é la Chiesa lo avesse t a n t o p e r s e g u i t a t o : «Il signor M u r a t o r i ha a v u t o m a g g i o r c o r a g g i o di lui, e n o n le s u e s f o r t u n e » . N o n è così. La Chiesa, dal suo p u n t o di vista, n o n sbagliava. G i a n n o n e svegliava con le sue t r o m b e l'unico n e m i c o contro cui essa è i m p o t e n t e : la coscienza civile.
CAPITOLO TRENTESIMO
GLI E C O N O M I S T I
Può s e m b r a r e strano che il pensiero economico italiano del Settecento abbia avuto i suoi maggiori cultori nel Sud, che fin d'allora era e c o n o m i c a m e n t e «area depressa». Ma il m o tivo era p r o p r i o questo. Nel N o r d , e soprattutto nella L o m b a r d i a i n p i e n a ascesa, l ' e c o n o m i s t a n o n p e n s a v a : faceva. Faceva o l ' i m p r e n d i t o r e nella sua m a n i f a t t u r a e nella sua «cascina», o l ' a m m i n i s t r a t o r e al servizio di un g o v e r n o c h e all'economia badava molto c o m e quello austriaco. Lo abbiamo visto p a r l a n d o dei Verri e dei Beccaria: u o m i n i di notevole c o m p e t e n z a , ma p e r nulla d o t t r i n a r i , anzi u n i c a m e n t e p r e o c c u p a t i di p r o b l e m i pratici e di r i f o r m e i m m e d i a t e e concrete. Essi e r a n o p a r t e del «sistema» e coi loro scritti cercavano di p r o c u r a r v i s i delle posizioni di p o t e r e . I voli nei cieli astratti della teoria n o n li attraevano. Nel S u d accadeva il contrario. Di un riassetto economico c ' e r a un g r a n d i s s i m o b i s o g n o , c h e faceva da s t i m o l a n t e a questi studi. Ma agli u o m i n i che vi si d e d i c a v a n o il r e g i m e borbonico n o n offriva possibilità di azione concreta; e ciò li costringeva a restare nel c a m p o della p u r a dottrina. Era anche questo u n o dei tanti frutti del divorzio - in atto in tutta Italia, ma p a r t i c o l a r m e n t e nel S u d - fra società e c u l t u r a . L'illuminato g o v e r n o austriaco utilizzava gl'intellettuali facendone dei riformatori o c o m u n q u e dei collaboratori. Quello borbonico li teneva in anticamera n o n lasciando loro altro scampo che l'astratta speculazione. Fu il caso, p e r esempio, di Antonio Genovesi che, n a t o a Milano, s a r e b b e p r o b a b i l m e n t e d i v e n t a t o il c o n s u l e n t e fi756
nanziario del Viceré; e invece, nato a Castiglione di Salerno, dovette contentarsi di u n a cattedra universitaria, e gli a n d ò b e n e . Era figlio di contadini, ma n o n dei più poveri, che nat u r a l m e n t e l o a v v i a r o n o all'unica c a r r i e r a r e m u n e r a t i v a , quella ecclesiastica. Il p r e t e da cui lo misero a lezione s'ispirava a criteri pedagogici piuttosto personali: q u a n d o l'allievo sbagliava, l ' a p p e n d e v a p e r i piedi e gli r i e m p i v a la testa di p u g n i . Riuscì tuttavia a ficcarglici q u a n t o bastava ad avviarlo al seminario, dove nel '36 - e aveva v e n t i q u a t t r ' a n n i - fu o r d i n a t o controvoglia sacerdote. Per sua fortuna, invece che in p a r r o c c h i a finì in cattedra, grazie all'aiuto di m o n s i g n o r Celestino Galiani, che gli p r o c u r ò quella di metafisica all'Università. Alto, forte di spalle, cordiale, i n d u l g e n t e , e s p o s i t o r e chiarissimo e o r d i n a t o , fu subito l'idolo degli s t u d e n t i e cliente fisso d e i salotti colti, d o v e i n c o n t r ò il m e g l i o di N a p o l i , da Vico a un c o m m e r ciante fiorentino, Intieri, che lo contagiò della sua passione p e r la m e c c a n i c a e l ' e c o n o m i a . Q u a n t o Genovesi vi fosse p o r t a t o , lo dimostrava un suo trattatello, già pubblicato, di metafisica m o r a l e , c h e s'ispirava al m e t o d o m a t e m a t i c o e confutava quello aristotelico. E la cosa aveva fatto arricciare il n a s o ai censori della Curia, p e r i quali Aristotile restava ille philosophus, l'incontestabile, la Corte di Cassazione. Altrettanti sospetti suscitarono i suoi Elementi fisico-matematici, in cui dissertava sul principio dei corpi, il loro peso, la forza di gravitazione eccetera. N o n diceva nulla di n u o v o . Ma lo diceva in un m o d o n u o v o : semplice, chiaro, accessibile a tutti, e q u i n d i antiaccademico. Molti studenti disertarono i loro corsi p e r iscriversi al suo, e q u e s t o n a t u r a l m e n t e gli valse i m a l u m o r i e l'invidia dei suoi colleghi. Essi cercar o n o pretesti p e r attaccarlo, e n o n faticarono m o l t o a t r o v a r n e . Genovesi s'ispirava s o p r a t t u t t o agl'inglesi, Bacone e Locke, e c o m e loro faceva dell'esperimento il m e t o d o di ricerca della verità, m e t t e n d o d a p a r t e quella «rivelata», d i cui la Chiesa si considerava la s u p r e m a depositaria. Era facile perciò accusarlo d'incredulità, e dall'incredulità all'ere757
sia il passo è b r e v e . Il c a r d i n a l e Spinelli e l'abate Molinari fecero c o n d a n n a r e alcune tesi dei suoi Elementi di metafisica e gli s b a r r a r o n o la s t r a d a alla p i ù i m p o r t a n t e c a t t e d r a di teologia. Quella che lì p e r lì egli considerò u n a disgrazia, fu invece la sua fortuna. Per p r e v e n i r e guai peggiori, si diede agli studi economici nei quali e r a difficile d a r di capo nel d o g m a , e l'amico I n t i e r i gli v e n n e in aiuto c r e a n d o a s u e spese u n a c a t t e d r a di c o m m e r c i o e meccanica, la p r i m a a v e n i r e istituita in E u r o p a . Il c o r p o accademico cercò d ' i m p e d i r e a Genovesi di assumerla. Ma il p r i m o ministro Tanucci gliela fece assegnare d'autorità. Il successo fu e n o r m e , e n o n soltanto fra gli studenti. Le lezioni d i q u e l p r o f e s s o r e m o d e r n o , eclettico, c o r a g g i o s o , semplice e antiretorico, d i v e n t a r o n o famose in tutto il m o n d o , e p e r ascoltarle v e n n e r o a Napoli illustri p e r s o n a g g i come il D u c a di M a g d e b u r g o e il Principe di Brunswick. Un g i o r n o si vide s e d u t o a un b a n c o a n c h e un vecchio contadino dalle spalle curve e dai capelli bianchi, di fronte al quale Genovesi si tolse r i s p e t t o s a m e n t e il b e r r e t t o a c c a d e m i c o . Era suo p a d r e , che alla fine della lezione si alzò e disse: «Ho capito anch'io». Il figlio gli baciò la m a n o . Le Università di Oxford e di Padova gli fecero allettanti p r o p o s t e : le rifiutò. Il Tanucci gli r i m p r o v e r a v a di n o n farsi mai v e d e r e a c o r t e : rispose che n o n s o p p o r t a v a le m o n d a nità, i pettegolezzi e le bizze di Maria C a r o l i n a . Ma con le rose c'erano a n c h e le spine. Le accuse di ateismo e di eresia si facevano s e m p r e p i ù insistenti c o n t r o di lui. L'abate Magli ne fece m a t e r i a d ' u n libello t a l m e n t e a c r i m o n i o s o che Genovesi chiese al c a p p e l l a n o d e l l ' U n i v e r s i t à di p r o i b i r n e la pubblicazione. L'ottenne, ma poi se ne p e n t ì , e perfino nel testamento ne chiese p e r d o n o al suo avversario. Era incapace di r a n c o r i , ma soffriva degli attacchi al p u n t o che se ne a m m a l ò di c u o r e . Q u e s t o n o n gl'impedì di seguitare a lavor a r e a c c a n i t a m e n t e . Anzi, l a sua o p e r a p i ù i m p o r t a n t e , l e Lezioni sul commercio e l'economia civile, la compose p r o p r i o al758
lora, e il Tanucci ne fece il suo vangelo p e r cercar di realizzare n e l R e a m e le r i f o r m e c h e M a r i a T e r e s a realizzava in L o m b a r d i a e Pietro L e o p o l d o in Toscana. Genovesi gliene p r e p a r ò il p i a n o , d i m o s t r a n d o con dati le deleterie c o n s e g u e n z e delle arcaiche s t r u t t u r e feudali del Sud. Nel solo N a p o l e t a n o su 1994 p r o p r i e t à t e r r i e r e , 1936 a p p a r t e n e v a n o a nobili e preti che ne vivevano parassitariam e n t e senza a p p o r t a r v i alcuna migliorìa. Esentati i latifondisti da o g n i c o n t r i b u t o , t u t t o il p e s o fiscale r i c a d e v a sui c o n t a d i n i . Genovesi p r o p o n e v a u n a radicale riforma a g r a ria e la formazione di un p e r s o n a l e tecnico a g g u e r r i t o c o n studi universitari che avrebbero d o v u t o p r e n d e r e il posto di quelli di teologia e di g i u r i s p r u d e n z a . C h i e d e v a l'applicazione dei m e t o d i di cultura intensiva introdotti in Inghilterra da Tuli e u n ' a u d a c e politica d'investimenti p e r c h é - diceva, ed e r a u n o dei p r i m i a dirlo - il d e n a r o n o n è la ricchezza, ma solo u n o s t r u m e n t o della ricchezza: l'oro che affluisce dalle Americhe, se resta i m p r o d u t t i v o , farà soltanto rialzare i prezzi e c o n d a n n e r à l ' E u r o p a alla miseria. Se Tanucci avesse p o t u t o applicare questa lezione, G e n o vesi s a r e b b e d i v e n t a t o i l s u o P o m p e o N e r i , cioè u n u o m o d'azione. P u r t r o p p o , l'accorto ministro n o n riuscì a vincere le resistenze dei nobili, sostenuti dalla p r e p o t e n t e e scervellata r e g i n a Maria Carolina, e a n c h e lui fu liquidato. G e n o vesi dovette contentarsi della p u r a dottrina; ma la servì così b e n e che alla sua scuola si formò il fior fiore della futura intellighenzia. S e m p r e p i ù c o n t e s t a t o e m a l a t o , alla fine fu c o s t r e t t o a lasciare la cattedra. Ma siccome la miserabile p e n s i o n e che gli avevano assegnato n o n gli bastava, seguitò a d a r e lezioni private. «Ho cinquantasei a n n i , e s e m b r o un vecchio di ottanta» scriveva a un amico. Morì l'anno d o p o , e mezza Napoli s'incolonnò dietro il suo feretro. D i t u t t ' a l t r a p a s t a e r a F e r d i n a n d o Galiani, n i p o t e d i q u e l m o n s i g n o r Celestino c h e aveva t a n t o p r o t e t t o e a i u t a t o il 759
Genovesi. A n c h e l e s u e origini e r a n o diverse: veniva d a un'agiata famiglia di magistrati abruzzesi, ma e r a stato affid a t o allo zio p e r c h é lo facesse istruire a N a p o l i . A n c h e lui ebbe u n p r e c e t t o r e piuttosto manesco, D o n Giacomo Catalano. Ma di lì a poco fu l'allievo a picchiare il m a e s t r o , e ne n a c q u e un r a p p o r t o così affettuoso che il C a t a l a n o r i m a s e poi s e m p r e a servizio di Galiani c o m e suo segretario. Il particolare è rivelatore: fin da ragazzo il Galiani amava la p o l e m i c a . La faceva a n c h e c o n gli altri suoi p e d a g o g h i sebbene lo zio, che lo adorava, avesse scelto i migliori: il Cusano, futuro Vescovo di Palermo, e il Buonafede, che in fatto di filosofia a n d a v a p e r la maggiore. In casa di Don Celestino si a d u n a v a il meglio di Napoli, dal Vico all'Intieri. Ma il giovane F e r d i n a n d o teneva testa a tutti con u n a vivacità, u n o spirito, u n ' a r g u z i a c h e m a n d a v a n o i n s o l l u c c h e r o i l Monsignore. Piaceva a n c h e alle d o n n e sebbene fosse piuttosto b r u t t o , piccolo di s t a t u r a , c o n la testa a p e r a , gli occhi miopi; e le d o n n e piacevano a lui. Seguitarono a piacergli a n c h e d o p o che fu n o m i n a t o abate. (Tanto p e r intenderci, visto che questa qualifica nel Settecento ricorre con molta frequenza: essa veniva data a titolo onorifico n o n solo a dei semplici preti c o m e il Chiari e il Parini, ma a n c h e a seminaristi e a laici autorizzati a vestire l'abito ecclesiastico.) La m o n d a n i t à lo attraeva, e n o n c'era salotto di cui egli n o n diventasse subito la «stella». N o n c'è da stupirsi c h e sia stato lui il p r i m o a d i r e c h e «il t e m p o è m o n e t a » . G l ' i m p e g n i m o n d a n i gliene lasciavano così p o c o che, p e r utilizzarlo al massimo, invece di scrivere, dettava, e a tale velocità che il p o v e r o Catalano stentava a tenergli dietro con la p e n n a . A diciott'anni pubblicò u n a splendida trad u z i o n e di Locke p e r c h é aveva i m p a r a t o p e r f e t t a m e n t e l'inglese, oltre al francese, al tedesco e allo spagnolo; e a ventid u e un Trattato della moneta in b e n cinque volumi, che lo rese di colpo celebre in t u t t ' E u r o p a . Le invidie n a t u r a l m e n t e furono proporzionali al successo. Dissero c h ' e r a un superficiale, lo a c c u s a r o n o d ' i m p r o v 760
visazione e di plagio. Nella prefazione di u n a successiva ristampa, il Galiani ammise f r a n c a m e n t e di essersi giovato degli studi e ritrovati altrui. Ma questo n o n toglie nulla ai suoi meriti di g r a n d e divulgatore, e il p r i m o a riconoscerli fu il m a e s t r o di tutti: A d a m o Smith. Fra le sue m o l t e intuizioni c'è a n c h e quella, modernissima, che sui costi di p r o d u z i o n e quello che p i ù incide è il lavoro, e che p e r t a n t o la vera ricchezza d ' u n Paese è la m a n o d o p e r a qualificata. Il v e r o difetto di Galiani e r a l'allergia agli a p p r o f o n d i m e n t i . Gliel'impediva la varietà dei suoi interessi. Al contrario di Vico, e t e r n a m e n t e s p r o f o n d a t o nel suo solitario m o nologo e incapace di uscirne, il socievole Galiani si lasciava t e n t a r e un p o ' da tutto - storia, scienze naturali, geografia, geologia - e, aiutato da u n a prodigiosa capacità di assimilazione, su tutto riusciva a p o r t a r e dei baleni d'intelligenza. A un c e r t o m o m e n t o si a p p a s s i o n ò di p i e t r e laviche, ne mise insieme u n a piccola collezione, e la m a n d ò in regalo a Papa L a m b e r t i n i con questa dedica: «Beatissime Pater, fac ut lapides isti panes fiant, Beatissimo P a d r e , fa' che queste p i e t r e diventino pane», cioè in parole p o v e r e : sgancia un p o ' di quattrini. E il L a m b e r t i n i , c h ' e r a un u o m o spiritoso, sganciò asseg n a n d o all'impertinente abatino il canonicato di Amalfi che c o m p o r t a v a u n a r e n d i t a di 400 ducati l'anno. Ad essa si a g g i u n s e r o quelle d e l p a t r i m o n i o c h e lo zio, m o r e n d o , gli aveva lasciato. O r a Galiani e r a ricco e poteva soddisfare tutti i suoi capricci. Era m e m b r o dell'Accademia E r c o l a n e n s e , scriveva u n t r a t t a t o sulla c o n s e r v a z i o n e d e i g r a n i , viaggiava p e r l'Italia, t e n e v a c o r r i s p o n d e n z a con gli enciclopedisti francesi. E alla fine il Tanucci, che lo aveva in g r a n simpatia, lo n o m i n ò segretario dell'ambasciata di Napoli a Parigi. Dapprincipio Galiani ci si trovò male. Abituato alla luminosità e alla vivacità estroversa di Napoli, quella città grigia e un p o ' i n a m i d a t a n o n gli piacque. Poi ci fu la sua p r e s e n tazione ufficiale a corte. S e n t e n d o s i a n c o r a p i ù piccolo dinanzi al solenne Re, disse in un inchino: «Maestà, io n o n so761
no c h e l'anticipo del segretario. Il segretario viene dopo». Il Re rise, la b a t t u t a fece il giro della capitale, e tutti i suoi salotti si a p r i r o n o allo spiritoso n a p o l e t a n o . Il p i ù ospitale fu quello della s i g n o r a d'Epinay, che a b b i a m o già i n c o n t r a t o c o m e a m i c a di G r i m m e p r o t e t t r i c e di R o u s s e a u . Galiani s ' i n n a m o r ò d i q u e s t a d o n n a n o n bella e n o n p i ù g i o v a n e , ma dolce e m a t e r n a , e ne fu ricambiato. Parigi accettò quella liaison del tutto in tono col suo costume. Q u e l l a società, in cui m o n d a n i t à e c u l t u r a si s p o s a v a n o così b e n e , e r a la più congeniale a Galiani e ne stuzzicava gli estri. Egli poteva a b b a n d o n a r s i a t u t t e le stravaganze, comp r e s a quella d i farsi r e g o l a r m e n t e a c c o m p a g n a r e d a u n a scimmia a m m a e s t r a t a e vestita all'ultima m o d a , c h e si e r a p o r t a t a al seguito da Napoli insieme al fido Catalano. A chi gliene chiedeva il p e r c h é , r i s p o n d e v a che il vero segretario d'ambasciata e r a lei. Q u e s t o n a t u r a l m e n t e n o n piaceva all'ambasciatore Cantillana, già molto seccato della popolarità di cui godeva il suo subalterno. La scimmia aveva intuito la sua a n t i p a t i a , la r i c a m b i a v a , e un g i o r n o p e r d i s p e t t o gli versò sulla p a r r u c c a l'olio di u n a l a m p a d a . Furioso, l'ambasciatore o r d i n ò c h e la bestia venisse uccisa, ma Galiani obiettò che, t r a t t a n d o s i di un segretario d'ambasciata, essa aveva diritto di difendersi in un regolare processo. Tutta Parigi si appassionò a quella disputa, e corse a sentire l'arringa di Galiani, il q u a l e ne p r e s e s p u n t o p e r corbellare Erasmo Darwin, n o n n o del-grande naturalista, di cui aveva anticipato le teorie evoluzioniste. A f u r o r di p o p o l o , la scimmia fu assolta. Ma poco d o p o lo stesso Galiani dovette farla s o p p r i m e r e p e r c h é aveva t e n t a t o d i s t r a n g o l a r e u n a sua amica di cui e r a gelosissima. F u r o n o i migliori a n n i di Galiani. Stava a letto fino a mezzogiorno, riceveva gli amici in c a m e r a c o m e un re i suoi cortigiani, aveva l ' a r m a d i o p i e n o di pellicce, p o r t a v a il m o n o colo, faceva il giro dei salotti che se lo c o n t e n d e v a n o p e r c h é la sua p r e s e n z a consacrava la loro fama, vi raccoglieva battute di spirito, ve ne seminava di sue, corbellava il r e g i m e e 762
ne godeva t u t d i piaceri. P u r con un forte accento napoletano - c h e coloriva il suo discorso e m a n d a v a in visibilio gli ascoltatori -, parlava s p l e n d i d a m e n t e il francese, e in questa lingua c o m p o s e u n o spregiudicato trattatello sulle d o n n e in cui sosteneva che, p e r avere successo, esse dovevano essere mezzo devote e mezzo prostitute: il che e r a un p o ' forte p e r u n abate, m a n o n p e r u n a Chiesa c h e accettava tutto, p u r ché n o n si toccassero i suoi privilegi. Q u a n d o t o r n ò a N a p o li p e r c u r a r s i la gotta alle t e r m e d'Ischia, n o n vide l'ora di ripartire, sebbene gli p r o p o n e s s e r o incarichi i m p o r t a n t i . C e r t a m e n t e avrebbe finito i suoi giorni a Parigi, se un incidente diplomatico n o n avesse posto fine alla sua missione. Per l a sua b e n e d e t t a m a n i a delle indiscrezioni, u n g i o r n o confidò a l l ' a m b a s c i a t o r e d a n e s e c h e il Tanucci avversava l'alleanza tra le dinastie b o r b o n i c h e di Parigi, Napoli e Parma, perseguita invece dal p r i m o ministro francese Choiseul. Questi lo r i s e p p e e impose al Tanucci il richiamo dell'abate. Galiani ne p i a n s e di d i s p e r a z i o n e . «Mi h a n n o spezzato il cuore» disse alla signora d'Epinay, che n o n avrebbe mai più rivisto, ma con cui rimase in c o r r i s p o n d e n z a fino all'ultimo. A Napoli lo t r a t t a r o n o b e n e . Gli d i e d e r o i m p o r t a n t i incarichi e un b u o n stipendio. Ma n o n si ritrovava più in quella città ciabattona, dove m o n d a n i t à e cultura restavano divorziate, anzi n o n si e r a n o mai s p o s a t e . La sua b r i l l a n t e e p i g r a m m a t i c a conversazione n o n trovava più pareti che ne rim a n d a s s e r o l'eco. I m b r o n c i a t o e scontroso, passava le sue giornate a scrivere lettere ai suoi amici parigini, gli unici coi quali valeva l a p e n a d i s c o r r e r e , a n c h e d i l o n t a n o . M a n d ò loro a n c h e il testo di u n a sua c o m m e d i a satirica, Socrate immaginario, che fu r a p p r e s e n t a t a a Parigi con i m m e n s o successo, t a n t o che i critici lo p a r a g o n a r o n o - e s a g e r a n d o - al miglior Molière. Il colpo di grazia al suo m o r a l e lo dette la m o r t e della sig n o r a d'Epinay. E r a stata, fra t a n t e p a s s e g g e r e a v v e n t u r e , l'unica d o n n a della sua vita. E da quel m o m e n t o n o n fu più lui. Si rifugiava nella musica f r e q u e n t a n d o i concerti. O g n i 763
tanto ne diceva qualcuna su Maria Carolina, che detestava, e sul suo a m a n t e Acton. C o n tutte quelle che aveva raccolto in tanti a n n i di Parigi, il suo r e p e r t o r i o n o n era mai a corto di battute. Gli altri ci si divertivano, ma lui no. Preferiva restarsene in casa a canticchiare le sue arie preferite - aveva molto orecchio e u n a discreta voce di baritono - accompagnandosi sul cembalo, a leggere i suoi Dante, Boccaccio e Machiavelli, e a c o m p o r r e saggi critici sul dialetto napoletano. Si sentì male a Venezia dove lo avevano m a n d a t o in missione, ed ebbe a p p e n a il t e m p o di farsi riportare a Napoli. Morì d'apoplessia nell"87, che n o n aveva ancora sessant'anni. N o n era stato un g r a n d ' u o m o . Era stato un Voltaire «alla p o m m a r o l a » , i n f o r m a t o dialettale. I l suo t a l e n t o n o n e r a s o s t e n u t o né dalla passione civile di un G i a n n o n e , né dall'alta coscienza di un M u r a t o r i o di un Genovesi. Ma e r a stato senza d u b b i o l'intellettuale italiano più cosmopolita, più elegante, più versatile, il solo che avesse s a p u t o accoppiare le qualità d e l l ' u o m o di m o n d o a quelle d e l l ' u o m o di cultura. Forse fu tradito dalla facilità del suo talento. Riuscendo in tutto, n o n s'era i m p e g n a t o in nulla. Ma quello che aveva dato, c e r t a m e n t e poco a confronto di ciò che avrebbe p o t u to, n o n è da b u t t a r via. La sua diagnosi della situazione econ o m i c a e sociale del Mezzogiorno era esatta. Anche lui, come Genovesi, identifica le cause della miseria m e r i d i o n a l e nella r a g n a t e l a delle b a r r i e r e d o g a n a l i c h e i n c e p p a n o il R e a m e , nell'assenteismo dei latifondisti, nei gravami fiscali che schiacciano il c o n t a d i n o , nell'arretratezza dei m e t o d i di coltura, nella m a n c a n z a di u n a politica del credito che dia l'aìre allo sviluppo industriale. Dice ai governanti: «Ma perché tenete in cassa 10 milioni di scudi d'oro, invece di utilizzarli in migliorìe agricole e impianti di manifatture?» Ma lo dice senza l'impeto polemico del Genovesi. Forse, b e n utilizzato, avrebbe dato di più. Ma in un regime c h e tirava soltanto a c a m p a r e c o m e quello b o r b o n i c o , aveva tirato a c a m p a r e a n c h e lui. E c'era riuscito al meglio.
CAPITOLO TRENTUNESIMO GLI A R T I S T I
Il Seicento fu il secolo del barocco,, u n ' a r t e ampollosa, encomiastica, declamatoria, che espresse plasticamente l'assolutismo autoritario della Chiesa post-tridentina. Il n u o v o stile allignò quasi esclusivamente nei Paesi cattolici e trovò il suo g r a n d e p u n t e l l o nella p o t e n z a s p a g n o l a . Q u a n d o q u e s t a v e n n e m e n o , sotto i colpi di quella borbonica e asburgica, il barocco e n t r ò in agonia. Il secolo successivo segnò il trionfo del rococò, u n ' a r t e gaia, frivola, capricciosa, che attecchì e p r o s p e r ò specialmente in Francia e in Austria. La parola rococò deriva dal francese rocailles, conchiglie che d e c o r a v a n o certe grotticelle s p u g n o s e , disseminate nei giardini delle g r a n d i ville patrizie, considerati ambienti naturali da ricevimento, dove, in u n a girandola di balli, feste, picnic, si d a v a n o convegno d a m e e cavalieri. Fu p i ù u n o stile d'interni che di esterni, che b a n d ì tutto ciò che recava l'ipocrita e m u s o n a i m p r o n t a barocca. Le case si r i e m p i r o n o di specchi, stucchi, l u m i e r e , lacche, s t a t u i n e di maiolica e porcellana, c u c c u m e , bricchi dalle f o r m e esili e civettuole. Anche nelle acconciature e nell'abbigliamento tutti s'intonar o n o alla n u o v a m o d a , o s t e n t a n d o p a r r u c c h e i n c i p r i a t e e g r o n d a n t i di riccioli, i n d o s s a n d o panciotti ricamati, calzoni di seta attillatissimi, scarpine con tacco e fibbia, graziosi cappelli a forma di tricorno, i m p u g n a n d o spadini dall'elsa finem e n t e cesellata, ventagli dai disegni esotici, variopinti o m brellini di seta. Nei salotti si servivano caffè e cioccolata, le bibite del secolo. Le d a m e , a c c o m p a g n a t e dagl'immancabili cicisbei, allacciavano c o n t i n u e tresche, a p p o g g i a t e a un c a n a p é , tra le 765
siepi d ' u n b o s c h e t t o , nella p e n o m b r a d ' u n a g r o t t a . Fra l e p a r e t i dei salotti, nel bel mezzo d ' u n g i a r d i n o , violini, violoncelli, viole d ' a m o r e deliziavano gli ospiti con scherzi e m i n u e t t i . Si s u o n a v a e si d a n z a v a in un clima galante e galeotto, fatto di bisbigli, sussurri, sospiri, strizzatine d'occhio, sguardi furtivi e compiacenti. Leggerezza, grazia, fatuità div e n t a r o n o le n u o v e p a r o l e d ' o r d i n e . N o n ci s'impegnava su nulla, n e m m e n o s u l l ' a m o r e , c o n s i d e r a t o u n piacevole scherzo e un gioco grazioso. La conversazione frivola, indiscreta, p i c c a n t e , d i v e n t ò u n ' a r m a infallibile di c o n q u i s t a , u n a b a t t u t a di spirito al m o m e n t o giusto il miglior passe-partout p e r e s p u g n a r e il c u o r e e l'alcova d ' u n a d a m a . Fu Parigi a d a r e il la al new look rococò, a fissarne il cerimoniale, d e t t a r n e i canoni, p o r t a r n e alla perfezione (e agli eccessi) le manifestazioni. Vienna, Potsdam, Pietroburgo, le altre g r a n d i capitale e u r o p e e , con m i n o r e grazia ma con altrettanta curiosità, s'affrettarono ad adottare le n u o v e fogge e il n u o v o galateo. In Italia il rococò ebbe scarsa presa e p o ca fortuna. Ne giunse q u a e là la flebile eco, ma in n e s s u n o dei g r a n d i artisti del secolo esso lasciò il segno. In T i e p o l o , Canaletto, G u a r d i , L o n g h i , C a r r i e r a di rococò c'è b e n poco, a n c h e se a Venezia questo stile ebbe accoglienze m e n o tiepide che altrove. I m a e s t r i del colore del S e t t e c e n t o n o n ne f u r o n o contagiati. Essi s e g u i t a r o n o a ispirarsi agli illustri predecessori del C i n q u e e del Sei, di cui n o n furono gli epigoni ma i continuatori. Giambattista T i e p o l o e r a n a t o nel 1696, figlio d ' u n piccolo a r m a t o r e . Fisicamente e r a di statura s u p e r i o r e alla m e dia, robusto, b i o n d o , con un g r a n naso a becco su u n a bocca carnosa e sensuale. Gli piacevano la bella vita e le belle d o n ne, ma soprattutto gli piaceva la pittura. Per potervisi dedicare in pace, a ventiquattr'anni, decise di p r e n d e r moglie e m e t t e r su casa. Sposò Cecilia G u a r d i , sorella di Francesco, c h e gli scodellò n o v e figli, d u e dei quali, G i a n d o m e n i c o e L o r e n z o , calcarono le sue o r m e e acquistarono u n a certa rinomanza. 766
T i e p o l o fu il p i t t o r e p i ù prolifico d e l suo t e m p o e u n o dei più fecondi di tutti i tempi. Lavorava g i o r n o e notte, «fa un q u a d r o nel t e m p o che un altro ci mette a sciogliere il colore», disse di lui il conte De Tassin. La sua specialità e r a n o gli affreschi. Il suo prodigioso p e n n e l l o spaziò su pareti, volte, soffitti d'infinite chiese, ville, palazzi, sfogandosi in grandiose scene sacre e p r o f a n e , storiche e mitologiche, ch'erano un i n n o alla luce e al colore: le vergini si c o n f o n d e v a n o con le divinità p a g a n e , i santi coi guerrieri, gli angeli coi demoni. I suoi affreschi, definiti «toccate musicali», m a n d a r o no in visibilio i c o n t e m p o r a n e i e i posteri. A d u l a t o , c o n t e s o , s t r a p a g a t o d a p r i n c i p i , prelati, ricchi borghesi, nel 1726 o t t e n n e l'incarico di d e c o r a r e il d u o m o di U d i n e . Nel 1731 e nel 1740 affrescò i palazzi milanesi Archinti e Clerici. D o v u n q u e lo richiedessero, in Italia e all'estero, lui accorreva. Solo a Stoccolma rifiutò di recarsi p e r ché il Re trovò le sue tariffe t r o p p o alte. Aveva bisogno di molto d e n a r o p e r c h é viveva da g r a n sig n o r e , possedeva un g u a r d a r o b a da nababbo, si circondava di m u t e di levrieri e di bellissimi p a p p a g a l l i , o s t e n t a v a gioielli di g r a n fattura, c o m p r ò a d d i r i t t u r a u n o schiavo n e gro, Alim, che ritrasse in n u m e r o s i affreschi e nel 1741 fece battezzare. G u a d a g n a v a soldi a palate, ne s p e n d e v a a piene m a n i , ma e r a p r o d i g o più con sé che con gli altri. Q u a l c h e volta riusciva p e r s i n o a essere t a c c a g n o . Q u a n d o il Re di S p a g n a lo invitò a M a d r i d , si fece p r e c e d e r e da un certificato di povertà p e r o t t e n e r e il r i m b o r s o delle spese di viaggio. Nel 1750 il pittore «tutto fuoco», c o m ' e r a stato battezzato, fu chiamato a W ù r z b u r g , capitale della Franconia, a d e c o r a r e il salone i m p e r i a l e e lo scalone della R e s i d e n z a del vescovo principe Carlo Filippo. Vi giunse in c o m p a g n i a dell ' a m a n t e Cristina, che gli faceva a n c h e da modella, dei figli G i a n d o m e n i c o e L o r e n z o e d ' u n o stuolo di aiutanti. Si mise subito all'opera e la eseguì a t e m p o di r e c o r d , lasciando di stucco il c o m m i t t e n t e , c h e gliene affidò subito u n ' a l t r a . T o r n ò a Venezia d u e a n n i d o p o e u n ' o n d a t a di n u o v e ordi767
nazioni lo s o m m e r s e . N o n ne rifiutò n e s s u n a e s e p p e far fronte a tutte, sebbene da t e m p o soffrisse di gotta. A sessantasei a n n i , Carlo I I I di S p a g n a lo volle a M a d r i d p e r affrescare il palazzo reale. T i e p o l o , dato il precario stato di salute, sulle p r i m e nicchiò, poi decise u g u a l m e n t e di p a r t i r e col solito codazzo di a m a n t e , figli e «negri». Il contratto prevedeva un soggiorno di tre anni, u n o stip e n d i o di d u e m i l a d o p p i o n i l'anno, più cinquecento p e r la carrozza, c i n q u e c e n t o t r e n t a c i n q u e p e r il viaggio e u n a casa a spese del sovrano. G i u n t o a Madrid, s'ammalò g r a v e m e n te e fece t e s t a m e n t o . Riavutosi, i m p u g n ò il p e n n e l l o e s'accinse alla decorazione delle i m m e n s e sale degli Alabardieri e del T r o n o . N o n o s t a n t e l'età e gli acciacchi, a n c h e stavolta la sua m a n o c o m p ì p r o d i g i , c h e gli g u a d a g n a r o n o molti consensi ma gli a t t i r a r o n o anche molte gelosie. Ad accanirsi contro di lui fu soprattutto il pittore b o e m o Raffaele Mengs, che godeva a corte di alte protezioni. T i e p o l o gli r o m p e v a le uova nel p a n i e r e e minacciava il suo p r i m a t o , fin allora indiscusso e incontrastato. L'ostilità, d a p p r i m a s o r d a e sott e r r a n e a , d i v e n t ò a p e r t a q u a n d o il Re fece al T i e p o l o un elogio che Mengs trovò esagerato. Un bel g i o r n o i d u e pittori v e n n e r o alle m a n i , anzi ai bastoni. Giambattista decise allora - sia p u r e a m a l i n c u o r e - di t o r n a r s e n e a casa, ma la m o r t e n o n gliene lasciò il t e m p o . Fu sepolto, senza t r o p p i onori, nella chiesa di San Martino. Aveva a p p e n a c o m p i u t o s e t t a n t a q u a t t r ' a n n i . C o n lui scomparve l'ultimo r a p p r e s e n tante della g r a n d e p i t t u r a decorativa veneta. T i e p o l o lasciò n u m e r o s i e r e d i e imitatori, a,cominciare dai figli, ma n e s s u n o l'uguagliò. Nel c a m p o dell'affresco, in cui quasi esclusivamente si cimentò, n o n ebbe rivali. Fu un i n c o m p a r a b i l e scenografo ch'ebbe bisogno di g r a n d i spazi, i m m e n s e pareti, volte vertiginose, sconfinati soffitti. Canaletto e G u a r d i affidarono invece a piccole tele le loro visioni: scorci della laguna, squarci di cielo, andirivieni di gondole, via vai di gente.
768
Canaletto si chiamava in realtà Antonio Canal. Il n o m i g n o l o gli era stato affibbiato p e r c h é era u n a specie di n a n e r o t t o l o . Quel poco che s a p p i a m o di lui ci dice c h ' e r a figlio d ' u n m o desto scenografo. Sull'esempio p a t e r n o d e b u t t ò c o m e «pittore di teatro», esperienza che si risolse in un fiasco e lo convinse a c a m b i a r s t r a d a . Scelse quella c h e p e r c o r r e v a o g n i giorno e che aveva q u o t i d i a n a m e n t e sotto gli occhi: la laguna. La vita gaia e luminosa che in essa si svolgeva e palpitava, monopolizzò la sua tavolozza. Era la stessa vita che Gold o n i r a p p r e s e n t a v a nelle sue c o m m e d i e , la vita di tutti i giorni e di tutti, nobili e p o p o l a n i , cortigiane e g o n d o l i e r i , che affollavano piazze, canali, calli, campielli. Solo da questi esterni egli s e p p e t r a r r e ispirazione. Q u a n d o n o n d i p i n g e va lo s'incontrava nelle mercerie o in piazza San Marco o sul C a n a l g r a n d e a p r e n d e r e a p p u n t i , fare schizzi, tracciare bozzetti. Giunse persino a trasformare u n a gondola in studio e a solcare su di essa i canali fermandosi qua e là p e r r i p r e n d e r e q u e s t o o q u e l p a e s a g g i o . All'inizio fece largo uso del c h i a r o s c u r o , delle c o n t r a p p o s i z i o n i forti, delle tinte d r a m m a t i c h e , p o i il suo p e n n e l l o s'ingentilì, i cieli si t e r s e r o , le prospettive s'addolcirono, le figure u m a n e s'illuminarono. I suoi migliori clienti e r a n o i ricchi stranieri, specialmente inglesi, nessuno dei quali tornava in patria senza u n a sua «veduta» nella valigia. Canaletto d i v e n n e talmente p o p o l a r e al di là della Manica che il collega Amigoni, da t e m p o emig r a t o in I n g h i l t e r r a , d o v e aveva fatto f o r t u n a , lo invitò a L o n d r a . Nel 1746 Antonio partì con u n a lettera d'accompag n a m e n t o del console inglese che r a c c o m a n d a v a al p r o p r i e tario del palazzo in cui il pittore sì sarebbe istallato di dargli u n a bella finestra sul Tamigi. Le accoglienze furono piuttosto tiepide e Antonio ne soffrì molto. Si mise subito al lavoro con g r a n d e lena e sfornò u n a profluvie di q u a d r i , ispirati al b r u m o s o e m a l i n c o n i c o p a e s a g g i o l o n d i n e s e , che e b b e r o p e r ò scarso successo e t r o v a r o n o pochi acquirenti. I critici n o n gli r i s p a r m i a v a n o frecciate e i m e r c a n t i lo i g n o r a v a n o . Effettivamente le «vedute» inglesi n o n e r a n o all'altezza di 769
quelle veneziane: t e c n i c a m e n t e perfette ma fredde, senz'anima, quell'anima che l'artista ritrovò solo q u a n d o rivide la sua laguna. A contatto con le calli, i campielli, le g o n d o l e il suo p e n n e l l o riacquistò la lucentezza, il brio, la schiettezza d ' u n t e m p o . Charles De Brosses, d o p o aver visto le sue tele, scrisse: «Nell'arte di r i t r a r r e Venezia, Canaletto n o n ha rivali. La sua m a n i e r a di d i p i n g e r e è chiara, gaia, viva, i m m e diata, notevole specialmente nel dettaglio». Nel 1764, a sessantasette anni, fu eletto m e m b r o dell'Accademia delle Arti. Q u a t t r ' a n n i d o p o , all'apogeo della fama, morì. N o n e b b e u n a scuola, m a n e fece u n a . Molti s i m i s e r o sulla sua scia, m a u n o solo c i r i m a s e : F r a n c e s c o G u a r d i , p i ù giovane di lui di d i c i a s s e t t ' a n n i , m a , c o m e lui, d o t a t o d ' u n occhio acutissimo e d ' u n o s t r a o r d i n a r i o gusto c r o m a tico. Veniva d a u n a famiglia d ' u n c e r t o r a n g o , o r i g i n a r i a di Val di Sole. Dal p a d r e , discreto p i t t o r e , e r e d i t ò la p a s sione p e r il d i s e g n o , ma f u r o n o l'esempio e la lezione del C a n a l e t t o a formargli lo stile e a i s p i r a r e la sua tavolozza, cui p e r ò Francesco i m p r e s s e un sigillo personalissimo. Fu un g r a n d e «vedutista», che vide le stesse cose del Canaletto ma con m a g g i o r e a b b a n d o n o e più c o m m o z i o n e . Le sue visioni d e l l a l a g u n a n o n h a n n o i l n i t o r e , l a c h i a r e z z a d i contorni, la geometria di quelle del Canaletto. Sono più l o n t a n e , s v a p o r a t e , i r r e a l i . R a c c h i u d o n o la m a l ì a e la m a g ì a d ' u n a città che, d i e t r o la m a s c h e r a d ' u n e t e r n o carn e v a l e , n a s c o n d e u n volto triste e p i e n o d i r u g h e : canali p u t r i d i , a p p r o d i bavosi, i n t o n a c i fatiscenti, soffitti cariati, m o n u m e n t i sbreccati. Forse p r o p r i o p e r q u e s t o i veneziani l ' a m a r o n o poco e gli preferirono Canaletto, la cui fortuna presso i c o n t e m p o r a n e i fu i m m e n s a m e n t e s u p e r i o r e alla sua. A c o n s a c r a r e quella di Francesco, che lasciò la l a g u n a u n a sola volta p e r un viaggio d'affari, f u r o n o i p o s t e r i . S e c o n d o un calcolo, n o n s a p p i a m o q u a n t o attendibile, egli dipinse oltre tremila q u a d r i , molti dei quali si t r o v a n o a L o n d r a . G u a r d i m o r ì p o v e r o , c o m ' e r a vissuto, a ottant'anni, d o p o u n a vita intera770
m e n t e spesa al servizio dell'arte. T i m i d o , taciturno, frugale, gli si conobbe un unico vizio, c o m u n e del resto a molti suoi concittadini: il gioco. Canaletto e G u a r d i furono pittori d'esterni. Pietro L o n ghi predilesse invece gl'interni. N o n s'affacciò alla finestra, n o n uscì all'aperto, n o n si mescolò alla gente nelle strade e nelle piazze. Ambientò i suoi dipinti nel chiuso delle d i m o r e patrizie e dei t u g u r i plebei, dei caffè e dei ridotti, dei palcoscenici e dei salotti. C o n t r a p p o n e n d o la sua arte a quella del T i e p o l o , G a s p a r e Gozzi scrisse nella celebre Gazzetta: «Il Tiepolo ti p r e s e n t e r à un fatto d ' a r m e , u n ' a d u n a n z a di p e r sonaggi g r a n d i , u n a storia; il L o n g h i u n ' a d u n a n z a di belle, u n ' a v v e n t u r a d ' a m o r e , un discepolo di musica». All'inizio, Pietro subì forse l'influenza del Tiepolo e tentò la via dell'affresco. Ma fece naufragio e si volse alla p i t t u r a di g e n e r e d o m e s t i c o , alla piccola c r o n a c a q u o t i d i a n a , alla c o m m e d i a (fu c h i a m a t o «il G o l d o n i della p i t t u r a » ) . Nelle scene di costume n o n ebbe rivali. I suoi interni, studiati nei minimi particolari, quasi cesellati, senza u n a sbavatura, senza un o r p e l l o , i m m u n i da p e d a n t e r i a e da enfasi, ci forniscono l ' i m m a g i n e p i ù calda, viva, u m a n a della vita i n t i m a v e n e z i a n a , colta c o n occhio a r g u t o , c u r i o s o , i n d u l g e n t e . L'uomo fu p r o d i g o e bonario, di gusti semplici, a m a n t e della b u o n a tavola e delle «ciacole». Forse p e r questo c a m p ò fino a ottantatré a n n i . Rosalba C a r r i e r a n o n si volse né alla l a g u n a né a g l ' i n t e r n i delle umili o fastose r e s i d e n z e v e n e z i a n e . Fissò i volti dei suoi abitanti e li t r a m a n d ò ai posteri in ritratti di straordinaria somiglianza e splendida fattura. Debuttò c o m e miniaturista in avorio d e c o r a n d o t a b a c c h i e r e , p o r t a c i p r i e , scrigni. Le sue incisioni e r a n o dei capolavori di psicologia e di grazia. Diventò giovanissima un'artista di grido. Il suo studio e r a f r e q u e n t a t o n o n solo d a v e n e z i a n i , m a a n c h e d a stranieri. Inglesi, francesi, tedeschi includevano nel loro itin e r a r i o la L a g u n a p e r farsi r i t r a r r e da lei. E r a n o i suoi 771
clienti p i ù devoti e gli ambasciatori più entusiasti della sua inimitabile arte. Nel 1701 Cristiano Cole la iniziò alla tecnica del pastello. Anche in questo g e n e r e Rosalba n o n ebbe rivali. Massimiliano di Baviera, Cristiano di Meclemburgo, Augusto di Sassonia la s o m m e r s e r o d'ordinazioni. Il celebre critico-mercante francese Pietro C r o z a t la invitò a Parigi, d o v e e b b e accoglienze trionfali. Il Mercure de Frante pubblicò in g r a n rilievo la notizia del suo arrivo. Versailles le spalancò le p o r t e . Il ritratto che fece al futuro Luigi XV, che aveva allora dieci anni, la impose come pittrice di m o d a . I prezzi dei suoi q u a d r i salirono alle stelle e Rosalba t o r n ò in patria piena d ' o r o e di luigi. Fu a n c h e a Vienna, d o v e c o n o b b e l ' I m p e r a t o r e , che restò inorridito dalla sua bruttezza. La scarsa a v v e n e n z a n o n le i m p e d ì d'essere corteggiata da u o m i n i bellissimi e di ricevere infinite offerte di m a t r i monio, che rifiutò p e r potersi dedicare i n t e r a m e n t e all'arte. Nel 1746, sulla soglia della settantina, fu colpita da u n a grave malattia agli occhi, che la rese p r o g r e s s i v a m e n t e cieca e, negli ultimi t e m p i , la fece uscir di s e n n o . Calò nella t o m b a nel 1757 lasciando tutti i suoi beni alla sorella e d e s t i n a n d o duemilacinquecento lire p e r le messe di suffragio. La pittura del Settecento raggiunse l'apogeo a Venezia e p e r questo ci siamo soffermati sui suoi artisti p i ù famosi, tralasciando quelli (assai minori) fioriti nel resto d'Italia. Ma la p i t t u r a n o n esaurisce il p a n o r a m a artistico del secolo, cui i m p r e s s e r o u n personalissimo m a r c h i o d u e g r a n d i architetti: Filippo J u v a r a e Luigi Vanvitelli. J u v a r a , messinese di nascita, figlio d ' u n orafo, avrebbe d o vuto abbracciare la carriera ecclesiastica, ma la passione p e r il disegno ebbe il sopravvento su quella p e r la teologia. Deb u t t ò p r o g e t t a n d o a p p a r a t i scenici p e r l ' i n c o r o n a z i o n e d i Filippo. Gli archi di trionfo, i palchi e i baldacchini che in quell'occasione allestì, lo fecero c o n o s c e r e al di là dello Stretto e gli a p r i r o n o le p o r t e dell'Urbe, dove v e n n e a con772
tatto con gli artisti più in voga. Scoprì l'architettura classica, esplorò meticolosamente gli antichi r u d e r i , s'infatuò di Vitruvio e del B o r r o m i n i . Per alcuni a n n i si g u a d a g n ò da vivere facendo a d d o b b i di gesso e cartapesta p e r scenari teatrali, funerali e m a t r i m o n i . Q u a n d o t o r n ò a Messina fu p r e s e n t a t o a Vittorio A m e d e o c h e , d o p o avergli affidato l'ing r a n d i m e n t o della reggia cittadina, lo chiamò a Torino, d o ve passò oltre d u e d e c e n n i , a d o r a t o dal sovrano, riverito e conteso da d a m e e cavalieri, n o n solo p e r la sua fama d'architetto ma a n c h e p e r le sue doti d ' u o m o di m o n d o e di brillante cortigiano. La città sabauda, d o p o gl'infiniti saccheggi delle soldatesche francesi, e r a dal p u n t o di vista edilizio piuttosto malridotta. Sebbene i Savoia fossero gente r u d e , d e d i t a alle a r m i e refrattaria all'arte, e r a p e r ò la capitale dello Stato più p o t e n t e della Penisola. Il che i m p e g n ò i suoi sovrani a conferirle u n c e r t o d e c o r o e s t e r i o r e . T o r i n o aveva b i s o g n o d i n u o v i palazzi, n u o v e chiese, n u o v e s t r a d e . La sua p o p o l a zione n o n faceva c h e c r e s c e r e , la nobiltà a b b a n d o n a v a le p r o p r i e t e r r e e i p r o p r i castelli p e r inurbarsi, porsi al servizio del Re, g o d e r e dei privilegi di c o r t e e p a r t e c i p a r e ai suoi svaghi. J u v a r a p r e s e a s f o r n a r e p r o g e t t i su p r o g e t t i , aiutato da u n a legione di capimastri, artigiani, d e c o r a t o r i , pittori, arazzieri. Il Re gli mise a disposizione un i n t e r o a p p a r t a m e n t o nel palazzo dell'università in via Po, lo n o m i n ò architetto r e a l e e i n g e g n e r e civile, lo fece cavaliere di San Maurizio, gli concesse il beneficio dell'abbazia di San Pietro di Selve. Ci m a n c a lo spazio p e r elencare tutte le sue o p e r e . La p i ù spettacolare fu la basilica di S u p e r g a , c h e Vittorio A m e d e o volle innalzare in a d e m p i m e n t o d ' u n voto fatto d u r a n t e l'assedio francese della capitale. Il g r a n d e santuario s'erge sulla collina, sollevato su un alto b a s a m e n t o , che gli dà slancio e spicco. La facciata è formata da un p r o n a o , scandito da colonne; ai lati si levano d u e campanili che i n q u a d r a n o e mettono in risalto la m o n u m e n t a l e cupola. N o n o s t a n t e la mole, 773
la composizione n o n ha n i e n t e di tozzo e o p p r i m e n t e . L'equilibrio delle parti, il dosaggio dei pieni e dei vuoti, ne fanno u n o dei capolavori architettonici del Settecento. Ma l'opera più riuscita dello J u v a r a , p e r u n a n i m e giudizio dei c o n t e m p o r a n e i e dei posteri, fu la palazzina di Stupinigi, a pochi chilometri da Torino, nata c o m e luogo di convegno dell'aristocrazia, le cui sorti il Re s a b a u d o , sull'esempio di quello francese, i n t e n d e v a s e m p r e più legare a quelle della C o r o n a . Stupinigi diventò u n a succursale della corte, nei suoi p a r c h i e nei suoi saloni si d a v a n o feste e balli, nei vasti boschi che la c i r c o n d a v a n o il s o v r a n o e i nobili s'abb a n d o n a v a n o a interminabili partite di caccia. Sotto Carlo E m a n u e l e , J u v a r a seguitò a lavorare indefess a m e n t e c o m e p r i m a , anzi p i ù d i p r i m a , g u a d a g n a n d o s i l'appellativo di «architetto dei Re e re degli architetti». N o n s ' a c c o n t e n t ò di p r o g e t t a r e chiese e palazzi e di s i s t e m a r e s t r a d e . C o s t r u ì a p p a r a t i f u n e b r i e nuziali, m a c c h i n e p e r fuochi d'artificio, disegnò mobili e porcellane, fondò persin o u n a scuola d'arte. Il suo l u n g o s o g g i o r n o t o r i n e s e fu i n t e r r o t t o da alcuni viaggi all'estero: a Lisbona, L o n d r a , Parigi, R o m a , M a d r i d , d o v e lo c h i a m ò Filippo V, e d o v e la m o r t e lo g h e r m ì il 31 g e n n a i o 1736. Le sue e s e q u i e si svolsero a T o r i n o , la città c h e p i ù a m ò e c h e p i ù l ' a m ò . C o n lui calò nel s e p o l c r o il m a g g i o r e architetto del secolo, barocco nelle cupole e nelle facciate mosse, rococò negli effetti scenografici e nella grazia delle decorazioni. Luigi Vanvitelli n a c q u e q u a n d o J u v a r a era già un artista affermato. Vanvitelli e r a il n o m e italianizzato del fiammingo Van Vittel. Luigi e r a n a t o a Napoli allo scoccare del secolo, figlio d ' u n pittore che, nel 1706, p e r motivi politici, era d o vuto e m i g r a r e a R o m a . A sei a n n i il piccolo Luigi già diseg n a v a dal v e r o e sbalordiva gli artisti che f r e q u e n t a v a n o la casa p a t e r n a . Gli architetti su cui si formò furono Vitruvio, Palladio e 774
B r a m a n t e , ma subì a n c h e il fascino dello J u v a r a . A v e n t a n ni gli fu affidata la decorazione a fresco d ' u n a chiesa di Vit e r b o e da quel m o m e n t o le o r d i n a z i o n i n o n si c o n t a r o n o . P r o l u n g ò la b e r n i n i a n a facciata di palazzo O d e s c a l c h i , sistemò definitivamente la chiesa di Santa Maria degli Angeli, iniziata da Michelangelo sui r u d e r i delle t e r m e di Dioclezian o , eseguì i n n u m e r e v o l i altri progetti. L'eco della sua fama giunse all'orecchio del Re di Napoli, c h e gli affidò la c o s t r u z i o n e della r e g g i a di C a s e r t a . N e l 1751 a p p r o n t ò il m o d e l l o , l ' a n n o d o p o , alla p r e s e n z a di Carlo I I I , della Regina, della corte, di d u e s q u a d r o n i di fanteria e di otto c a n n o n i , pose la p r i m a pietra. In quell'occasione il B o r b o n e gli regalò u n a cazzuola d ' a r g e n t o , che Luigi d o n ò alla chiesa r o m a n a di San Filippo Neri. La reggia è un ciclopico edificio a p i a n t a r e t t a n g o l a r e , l u n g o d u e c e n t o otto m e t r i , p r o f o n d o c e n t o s e s s a n t a c i n q u e , alto q u a r a n t a , con q u a t t r o cortili i n t e r n i , u n g r a n d e i n g r e s s o c e n t r a l e e u n a teoria i n t e r m i n a b i l e di finestre e finestrelle. L'effetto è i m p o n e n t e , s o l e n n e e severo. Da q u e l l ' i m m e n s o blocco di laterizi e t r a v e r t i n o e m a n a u n ' a u s t e r i t à da Escuriale. L'int e r n o , p i ù mosso, articolato, arioso, è u n a specie di labirinto, solcato da atri, porticati, vestiboli, scalinate. A questa faraonica impresa Vanvitelli legò il p r o p r i o n o me e la p r o p r i a fortuna. Divenne architetto ufficiale del Re, che l'alluvionò di commissioni. La ricostruzione della chiesa della SS. Nunziata, i p o n t i di Eboli sul Sele e di Canosa sull'Ofanto, i g i a r d i n i reali, i palazzi dei p r i n c i p i d ' A n g r i e C a m p o l i e t o r e c a n o la sua firma e la sua i m p r o n t a . U n ' i m p r o n t a che n o n ha nulla di rococò e che anticipa il neoclassico, lo stile ufficiale dell'Ottocento.
CAPITOLO TRENTADUESIMO
WINCKELMANN
N e l 1755 v e n n e ad acquartierarsi in Italia un p e r s o n a g g i o che, sebbene n o n italiano, era destinato a svolgere u n a p a r te di p r o t a g o n i s t a nella vita italiana, c o m e un secolo p r i m a e r a capitato a Cristina di Svezia. Si chiamava J o h a n n Winckeìmann, ed era nato trent o t t ' a n n i p r i m a nel B r a n d e b u r g o . I l B r a n d e b u r g o e r a l a culla della Prussia, che a sua volta, sotto la g u i d a dei suoi maneschi Re H o h e n z o l l e r n , fu la culla del g e r m a n e s i m o più rozzo e aggressivo. A riscattare quest'area depressa dalla sua e n d e m i c a p o v e r t à e r a stata la p a t a t a , q u a n d o i coloni latino-americani ne i n t r o d u s s e r o in E u r o p a la coltivazione. Era l'unica pianta capace di attecchire nel suo sabbioso t e r r e n o , e q u a l c u n o dice che gli H o h e n z o l l e r n d o v e v a n o ad essa la loro forza p e r c h é d i e d e loro u n a certa autosufficienza. Si tratta n a t u r a l m e n t e di esagerazioni. Ma sta di fatto che quel povero Paese altre risorse n o n aveva. Berlino, sua capitale, era un villaggio di p o c h e migliaia di a n i m e , e la p o p o lazione e r a c o m p o s t a quasi e s c l u s i v a m e n t e di c o n t a d i n i e soldati, cioè di c o n t a d i n i c h e t r a s c o r r e v a n o u n a b u o n a aliq u o t a della loro vita a fare i soldati p e r c h é i loro Re e r a n o s e m p r e i m p e g n a t i in qualche g u e r r a o guerricciola p e r ing r a n d i r e i p r o p r i possedimenti. II p a d r e di J o h a n n e r a u n o dei pochi che fossero riusciti a elevarsi alla condizione di artigiano, faceva il sellaio, e voleva farlo fare a n c h e al figlio. Ma il ragazzo aveva la passione dello studio, e p e r m a n t e n e r s i a scuola si a r r u o l ò c o m e cantore. Q u a n d o il suo maestro d i v e n n e cieco, gli si offrì come lettore, divorò tutti i libri della sua biblioteca, e mise su 776
u n a scuola p e r conto suo. A v e n d o s a p u t o c h e a d A m b u r g o e r a stata messa all'asta la libreria di un famoso u m a n i s t a m o r t o poco p r i m a , fece a piedi i t r e c e n t o chilometri che lo separavano da quella città e ne t o r n ò p o r t a n d o a spalla diecine di testi greci e latini. Di queste lingue aveva già un'assoluta p a d r o n a n z a . Ma n o n gli bastavano. E p e r i m p a r a r e anche l'ebraico, s'iscrisse alla facoltà di teologia di Halle. Anche q u a n d o ebbe o t t e n u t o un b u o n posto di professore, più che alla cultura degli allievi, seguitò a p e n s a r e alla p r o p r i a . E infatti a b b a n d o n ò p r e s t o la c a t t e d r a p e r un p o s t o di bibliotecario a Dresda, in Sassonia. Anche Dresda n o n e r a che u n a piccola città di provincia, ma con r a n g o di capitale. C ' e r a n o molti diplomatici stranieri, e fra gli altri un C a r d i n a l e , A r c h i n t o , N u n c i o pontificio presso il Principe Elettore. Archinto a n d a v a spesso in biblioteca, conobbe J o h a n n , e i d u e si fecero r e c i p r o c a m e n t e u n a g r a n d e impressione. Fu così che il teologo p r o t e s t a n t e p r e s e a frequentare la N u n c i a t u r a cattolica, dove alcuni Gesuiti lo i n c a n t a r o n o . Fra i ministri l u t e r a n i egli n o n aveva mai trovato g e n t e così colta e raffinata, ma s o p r a t t u t t o così a p e r t a ai valori della civiltà classica, sebbene p a g a n a . Parlavano di Grecia in greco, di R o m a in latino, mai u n a volta gli capitò di accapigliarsi su questioni di Bibbia o di Chiesa. «Dovreste a n d a r e in Italia» dicevano i Gesuiti. W i n c k e l m a n n n o n chiedeva di meglio: l'Italia esercitava su di lui un richiamo semp r e più p e r e n t o r i o . Ma n o n aveva i mezzi. Fu il N u n c i o a offrirglieli. Il cardinale Passionei cercava un bibliotecario di fiducia p e r la sua libreria, la più ricca di R o m a . Le condizioni e r a n o b u o n e : vitto, alloggio e settanta ducati all'anno. C'era soltanto u n a piccola c o n d i z i o n e d a s o d d i s f a r e : b i s o g n a v a farsi cattolici. W i n c k e l m a n n n o n ebbe la m i n i m a esitazione. Fece atto di a b i u r a nella cappella stessa del N u n c i o , e a un amico che glielo rimproverava rispose: «A s p i n g e r m i è stato l'amore del s a p e r e , l'unica cosa che m'interessi». In realtà n o n aveva a b i u r a t o a nulla p e r c h é a nulla credeva. W i n c k e l m a n n n o n e r a u n a t e o . M a i l suo Dio e r a , 777
com'egli stesso diceva, «al di sopra di ogni chiesa, confessione o sètta». Riteniamo che abbia r a g i o n e il saggista inglese Pater, q u a n d o gli attribuisce u n a n a t u r a l e inclinazione verso il cattolicesimo p e r q u a n t o esso aveva s a p u t o c o n s e r v a r e della tradizione classica e p a g a n a . La Bibbia n o n c'entrava. Ciò che r e n d e v a W i n c k e l m a n n fisiologicamente allergico a L u t e r o era il suo r i p u d i o del Rinascimento. E ciò che lo attraeva della Chiesa di R o m a n o n era u n a certa i n t e r p r e t a zione di Dio, ma u n a certa i n t e r p r e t a z i o n e della vita, c o m e di un b e n e s u p r e m o da g o d e r e coi sensi e c o n l'intelletto. Era, diceva Goethe, un p a g a n o . Prima di partire, consegnò alle s t a m p e un saggio critico: Pensieri sulla imitazione delle opere greche in pittura e scultura, in cui era già l'abbozzo del suo pensiero e che p u ò essere considerato il breviario del m o v i m e n t o neo-classico. In fatto di a r t e , diceva p r e s s a p p o c o , n o n c'è p i ù n u l l a da s c o p r i r e . I Greci h a n n o già d e t t o t u t t o . Per r a g g i u n g e r e i vertici dell'eccellenza, n o n si p u ò che r i p e r c o r r e r e i loro sentieri. Colui che c'è meglio riuscito è Raffaello. L'opera mise a r u m o re gli ambienti culturali di D r e s d a e giunse all'orecchio del Principe Elettore, cattolico devoto, che concesse a Winckelm a n n un vitalizio di d u e c e n t o talleri all'anno più altri venti p e r il suo viaggio. Q u a n d o si p r e s e n t ò alla frontiera, i d o g a n i e r i del Papa gli confiscarono i libri di Voltaire che si e r a portati al seguito. Era un b e n v e n u t o a l q u a n t o in contraddizione con l'idea che W i n c k e l m a n n si e r a fatto della tolleranza della Chiesa e del g r a n conto in cui teneva la cultura. Ma l'incidente n o n a p p a n n ò i suoi e n t u s i a s m i a n c h e p e r c h é i libri gli f u r o n o subito d o p o restituiti. Le o p e r e d'arte del Vaticano e sopratt u t t o i m a r m i di M i c h e l a n g e l o lo i m m e r s e r o in tale estasi che dimenticò persino di presentarsi al Passionei, dei cui stip e n d i del resto n o n aveva più bisogno. Infatti a n d ò d a lui solo p e r dirgli che n o n poteva accettare l'incarico: a Roma, gli disse, c'erano t r o p p e cose da v e d e r e e da studiare. E tutto vide e studiò, m e n o che R o m a . La città m o d e r n a nei suoi 778
aspetti pittoreschi e miserabili, il p o p o l o , la società, il costum e , n o n l o i n t e r e s s a v a n o m i n i m a m e n t e . L'Urbe, p e r lui, n o n e r a che u n a pinacoteca. Ma di questa esplorò ogni angolo, c o n t e u t o n i c o p u n t i g l i o , e s e m p r e in stato di trance. «Dio me lo doveva - a n d a v a r i p e t e n d o - d o p o t u t t o quello che ho sofferto in gioventù.» E a un amico di Dresda scriveva: «Tutto è niente, p a r a g o n a t o a Roma. Solo qui ho s a p u t o che n o n sapevo nulla, p r i m a di venirci». Abitava sul Pincio, ma di lì si trasferì in un a p p a r t a m e n t o d e l palazzo della Consulta che gli aveva p r o c u r a t o Archinto. T r o p p o occupato a setacciare palazzi e musei, frequentava poca gente, e di veri e p r o p r i amici se ne fece d u e soli, che condividevano i suoi interessi: il c a r d i n a l e Albani, e un p i t t o r e b o e m o , Mengs, che c o m e lui e r a rimasto prigioniero di R o m a e come lui e r a destinato a lasciare u n a larga i m p r o n t a nella cult u r a del t e m p o . M e n g s razzolava col suo p e n n e l l o c o m e W i n c k e l m a n n predicava. E r a t a l m e n t e i n n a m o r a t o di Raffaello che ne aveva assunto a n c h e il n o m e , e accanto a lui i r o m a n i , p e r farlo c o n t e n t o , dovevano più tardi seppellirlo. W i n c k e l m a n n diceva che a n c h e Raffaello - quello v e r o - si sarebbe i n c h i n a t o davanti a certi dipinti del suo o m o n i m o c o n t i n u a t o r e . I critici d'oggi si m o s t r a n o molto m e n o indulgenti, e a Mengs pittore n o n attribuiscono un posto di p r i mo p i a n o . Ma a Mengs esegeta n o n p o s s o n o rifiutarlo. La sua o p e r a Pensieri sulla bellezza e il gusto nella pittura (1762) esercitò sulla linea di Winckelmann, u n a grossa influenza, e tuttora r a p p r e s e n t a u n o dei sacri testi del neo-classicismo. D o p o aver scandagliato R o m a e i suoi d i n t o r n i , Winckelm a n n a n d ò a scoprire Napoli. V ' i n c o n t r ò Tanucci e Galiani, ma a sconvolgerlo fu Paestum. La s e r e n a maestosità di quei frontoni e colonne lo rese v i e p p i ù certo delle p r o p r i e certezze e gli mise in c o r p o la s m a n i a di risalire alla fonte dell'Arte Assoluta: la Grecia. A Roma, dove r i e n t r ò p e r p r e p a r a r e il viaggio, trovò b r u t t e novità: Albani e r a m o r t o , il che l'obbligava a s g o m b r a r e dal palazzo della Cancelleria, e il Re di Prussia aveva scacciato dal t r o n o di Dresda il Princi779
pe E l e t t o r e , il c h e lo privava del vitalizio. Ma n e m m e n o questi c o n t r a t t e m p i lo distrassero dal suo miraggio. Doveva p a r t i r e i n s i e m e a u n a t u r i s t a inglese c h e p r o m e t t e v a di p r o v v e d e r e a t u t t o . Ma n o n s a p p i a m o p e r quali motivi il p r o g e t t o a n d ò in fumo e W i n c k e l m a n n in crisi. «Mi taglierei un dito - esclamò -, mi farei sacerdote di Cybele, p u r di ved e r e quella terra.» Per consolarsi, t o r n ò a N a p o l i ad a p p r o f o n d i r e le sue esplorazioni sui cimeli dell'architettura e statuaria greca. La sua Lettera sulle antichità di Ercolano e il Resoconto sulle ultime scoperte di Ercolano sono la p r i m a trattazione sistematica sull ' a r g o m e n t o e r i c h i a m a r o n o su P o m p e i l'interesse di tutti gli studiosi d ' E u r o p a . C o m e e s p e r t o di a r t e classica il suo prestigio e r a tale che n o n fu scosso n e m m e n o dalle d u e pàp e r e che p r e s e q u a n d o , nel suo p i ù i m p e g n a t i v o t r a t t a t o , cui aveva lavorato p e r sette a n n i , r i p r o d u s s e e illustrò c o m e e s e m p l a r i autentici d i p i t t u r a greca d u e composizioni che Mengs gli aveva gabellato p e r tali, e che invece e r a n o frutto del suo pennello. Gli avversari (ne aveva, n a t u r a l m e n t e ) ne a p p r o f i t t a r o n o p e r i n v a l i d a r e t u t t a l ' o p e r a e qualificarla u n a «patacca». Ma n o n è vero. L'opera resta un alto esempio di saggismo: forse il p r i m o in cui la critica d'arte diventa a r t e p e r i suoi valori stilistici. W i n c k e l m a n n n o n e r a b u o n scrittore. Ma q u a n d o parla di arte lo diventa. Egli fu il p r i mo a scoprire l'incidenza che il culto del Bello aveva avuto su tutta la vita della Grecia, la sua storia e il suo costume. Alc u n e sue intuizioni, c o m e p e r esempio quella che l'arte greca n o n è che Ragione t r a d o t t a in m a r m o , r i m a n g o n o . Ness u n o , p r i m a di lui, aveva afferrato con tanta chiarezza il passaggio dal «grande» stile di Fidia e di M i r o n e a quello «grazioso» di Prassitele. E n e s s u n o aveva afferrato con altrettanta p e n e t r a z i o n e l ' i n t e r d i p e n d e n z a fra il culto d e l l ' a r t e e quello delle libertà greche. L'eco di questo libro (Storia dell'Arte antica), che Winckelm a n n aveva dedicato alla m e m o r i a di Mengs n o n o s t a n t e il b r u t t o tiro che costui gli aveva fatto, arrivò fino in Prussia. 780
Il Re Federico il G r a n d e , amico di Voltaire, si atteggiava a p a t r o n o della c u l t u r a , e invitò W i n c k e l m a n n a trasferirsi nella sua Corte di Berlino. W i n c k e l m a n n chiese u n o stipendio di d u e m i l a talleri. Federico ne offri mille. E Winckelm a n n di r i m a n d o : «Vi r i s p o n d e r ò c o m e vi rispose quel castrato al quale r i m p r o v e r a s t e di avanzare p r e t e s e superiori a quelle dei vostri migliori generali: Ebbene, Maestà, fate cantare i vostri generali. » In r e a l t à W i n c k e l m a n n , c h e n o n e r a p e r nulla avido, aveva in o r r o r e Berlino e in g r a n d e antipatia quel sovrano che aveva cacciato dal t r o n o il suo vecchio benefattore di Sassonia. In G e r m a n i a t o r n ò qualche a n n o d o p o , ma solo a cercarvi qualche sovvenzione che gli consentisse d ' i n t r a p r e n d e r e il s o s p i r a t o viaggio in Grecia. A M o n a c o fu r i c e v u t o c o n g r a n d i onori, e a Vienna Maria Teresa e il principe Kaunitz lo c o l m a r o n o di d o n i e lo invitarono a restare. Ma Winckelm a n n , che n o n aveva mai a m a t o i suoi Paesi, d o p o il l u n g o soggiorno in Italia li trovò a n c o r a p i ù sgraziati e inospitali. D o p o n e a n c h e un m e s e t o r n ò sui suoi passi, e a Trieste, m e n t r e aspettava u n a nave che lo riconducesse ad Ancona, strinse amicizia con un altro viaggiatore, un tale Arcangeli. L'episodio è s e m p r e rimasto avvolto un p o ' nel mistero. Ma tutto lascia c r e d e r e che si trattasse, come si suol dire, di u n a «amicizia p a r t i c o l a r e » . W i n c k e l m a n n aveva s e m p r e concesso poco all'amore. Era t r o p p o assorto nella c o n t e m plazione del Bello. Ma n o n c'è d u b b i o c h e il Bello, p e r lui, era quello di sesso maschile, c o m e del resto lo era p e r i Greci. Le sue p a g i n e traboccano di inni alla virile a r m o n i a degli Ercoli e dei David, m e n t r e n o n se ne trova n e s s u n o p e r la fragile grazia delle Veneri. Le u n i c h e intimità che gli si conoscono sono quelle col suo allievo e c o m p a t r i o t a L a m p r e cht e con un giovane r o m a n o ch'egli stesso ci ha descritto, con voluttuosa a m m i r a z i o n e , «alto, b i o n d o e m o r b i d o c o m e un atleta ateniese». Tutto questo n o n turbava m i n i m a m e n t e la sua coscienza assolutamente refrattaria al senso cristiano del peccato. La sua etica e r a soltanto estetica. 1
781
Ci sono q u i n d i b u o n i motivi p e r s u p p o r r e che la sua att r a z i o n e p e r l'Arcangeli avesse dei sottintesi erotici c h e il giovanotto mostrò di condividere. Questi u n a mattina e n t r ò nella c a m e r a di W i n c k e l m a n n , contigua alla sua, tentò d'imbavagliarlo p e r portargli via la borsa, e siccome l'altro reagì gl'inferse cinque p u g n a l a t e e si d i e d e alla fuga. Il ferito ebbe solo il t e m p o di ricevere i sacramenti e di d e t t a r e le ultime volontà fra cui c'era a n c h e quella di p e r d o n a r e all'assassino. Ma n o n fu esaudito. C a t t u r a t o poco d o p o , l'Arcangeli fu processato p e r direttissima e c o n d a n n a t o al supplizio della ruota, u n o dei più crudeli. L'opera critica che W i n c k e l m a n n si lasciava dietro n o n è i m m u n e da e r r o r i e sordità. Avendo d o v u t o limitare le p r o prie esplorazioni all'Italia, egli scambiò p e r greca l'arte greco-romana, che è cosa alquanto diversa. La sua predilezione p e r la scultura lo rese piuttosto sordo alla pittura, di cui n o n fu b u o n giudice. E la sconfinata ammirazione p e r gli antichi, se da u n a parte lo aiutò a capirli, dall'altra lo indusse alla ostin a t a e sistematica negazione degl'impulsi creativi m o d e r n i . Secondo lui l'Arte doveva, come la lancetta di un orologio, ribattere s e m p r e lo stesso q u a d r a n t e , restando ancorata ai modelli di quella classica. Disprezzava i grandi maestri fiamminghi perché se n'erano distaccati e li definiva «grotteschi». Per lui tutto si riduceva a u n a questione di proporzioni e di simmetria. Q u a l u n q u e emozione vi trapelasse era bestemmia. N a t u r a l m e n t e la critica m o d e r n a rifiuta queste e s t r e m e conclusioni. Ma resta u g u a l m e n t e debitrice a W i n c k e l m a n n di p r o f o n d e e rivoluzionarie intuizioni. Fu lui a rivelare la Grecia all'Europa c o n t e m p o r a n e a . E fu grazie a lui che u o m i n i c o m e G o e t h e e H e r d e r n e colsero l'ispirazione p i ù p r o f o n d a . Egli fu il p r i m o a risalire alle origini del Rinascim e n t o e a dargli, p e r così dire, il certificato anagrafico. Fu il p r i m o cioè a cogliere i nessi fra critica e storia dell'Arte. Tutto il neo-classicismo che i m p r o n t a il secolo n o n soltanto nelle arti plastiche, ma a n c h e in letteratura e filosofia è, nel bene e nel male, figlio suo. 782
Ma egli d e t t ò a n c h e un a r c h e t i p o a tutti quegl'intellettuali nordici - e sono legione - che d'allora in poi p r e s e r o a discendere le Alpi p e r cercare in Italia (e in Grecia) quell'arm o n i a , q u e l l ' e q u i l i b r i o , e forse a n c h e quell'oblio c h e n o n trovavano in casa p r o p r i a . Byron era anche lui un Winckelm a n n c o n la scintilla della poesia. Lo e r a S c h l i e m a n n . Lo f u r o n o , sia p u r e s u u n p i ù m o d e s t o p i a n o e d o n i s t i c o , gli s c o p r i t o r i e p i o n i e r i di C a p r i e T a o r m i n a , c o m p r e s o Axel M u n t h e . Sono i g r a n d i i n n a m o r a t i dell'Italia p e r quello che l'Italia r a p p r e s e n t a di antitetico alle loro r o m a n t i c h e r i e : la terra n o n soltanto del sole, ma anche delle linee nitide, delle forme composte e serene. L'Italia d e v e m o l t o a questi u o m i n i . Gli d e v e a n c h e u n ' i m m a g i n e di se stessa, m o l t o migliore e p i ù lusinghiera della sua realtà.
CAPITOLO TRENTATREESIMO
CAGLIOSTRO
Un a l t r o p o s t o di p r o s c e n i o s p e t t a a G i u s e p p e B a l s a m o , alias Alessandro Cagliostro. N e s s u n a v v e n t u r i e r o , in un secolo c h e ne p r o d u s s e a j o s a , fece t a n t o p a r l a r e di sé, fu al c e n t r o di t a n t e p o l e m i c h e , a p p a s s i o n ò e divise t a n t o l'opin i o n e pubblica, esecrato e idolatrato, t r a t t a t o o r a alla streg u a d ' u n sovrano senza c o r o n a , d e g r a d a t o o r a a l r a n g o d i volgare furfante. E p p u r e la storiografia italiana n o n è ancora riuscita a d a r c e n e un convincente ritratto. Martire o impostore, profeta o istrione, scienziato o ciarlatano, filantropo o imbroglione: chi fu Cagliostro? Diceva d'essere n a t o in O r i e n t e all'ombra delle Piramidi e d'essere cresciuto alla corte del Muftì Salaahim, dove aveva a p p r e s o i primi r u d i m e n t i di magia e d'alchimia. Si vantava d'essere stato amico di Gesù e d'avergli dato molti consigli. A quel t e m p o - diceva - Cristo e r a poco p i ù d ' u n ragazzo m e n t r e lui, Cagliostro, era già un u o m o fatto. Confessava d'aver assassinato su o r d i n a z i o n e P o m p e o , ma si rifiutò s e m p r e di fornire particolari sul delitto. N a t u r a l m e n t e i dati anagrafici, sebbene di difficile r e p e r i m e n t o , p a r l a n o un linguaggio molto più pedestre. Era ven u t o alla luce a P a l e r m o l'8 g i u g n o 1743, figlio d ' u n m e r cante, Pietro Balsamo, e d ' u n a d o n n e t t a tutta casa e chiesa, Felicita Bracconieri, c h e il figlio faceva d i s c e n d e r e n i e n t e m e n o c h e d a C a r l o Martello. N o n a b b i a m o m o l t e notizie sulla sua infanzia p e r c h é egli si rifiutò s e m p r e di p a r l a r n e . Q u e l p o ' che ne s a p p i a m o lo d o b b i a m o alle c r o n a c h e sparse e lacunose di c o n t e m p o r a n e i , che di G i u s e p p e Balsamo cominciarono ad occuparsi solo q u a n d o diventò Cagliostro. 784
Fu un b a m b i n o e s u b e r a n t e e vivace, d'intelligenza p r o n ta, con poca voglia di s t u d i a r e , d i s o b b e d i e n t e e attaccabrig h e . Fino a tredici a n n i f r e q u e n t ò il seminario di San Rocco, dove la famiglia l'aveva rinchiuso p e r toglierlo dalla strada e a l l o n t a n a r l o dalle cattive c o m p a g n i e . Ma vi c o m b i n ò tali e tante marachelle, che i superiori l'espulsero. I p a r e n t i allora lo s p e d i r o n o a Caltagirone, nel convento dei Fatebenefratelli. A n c h e qui si fece subito n o t a r e p e r il suo carattere ribelle e la sua allergia allo studio. Coi Padri della Chiesa poco se la diceva e la teologia l'annoiava a m o r t e . Q u a n t o al greco e al latino, n o n ne i m p a r ò n e m m e n o i r u d i m e n t i . L'unica cosa che lo interessava e r a la chimica, che a Caltagiron e , c o m e in tutti i c o n v e n t i del t e m p o , e r a t e n u t a in g r a n conto e l a r g a m e n t e praticata. Diventò aiuto del p a d r e speziale, il quale lo iniziò ai segreti della farmacopea, i m p a r ò a confezionare elisir di l u n g a vita, balsami c o n t r o l'artrite, p o mate contro gli eczemi e perfino filtri d ' a m o r e , che p a r e and a s s e r o a r u b a a n c h e a l l ' i n t e r n o del c o n v e n t o . M a a n c h e questa parentesi fu breve. La condotta del novizio era scandalosa e contagiava i c o m p a g n i . Un giorno, d u r a n t e la refezione, G i u s e p p e lesse ad alta voce le litanie sostituendo i n o mi delle sante con quelli di n o t e prostitute. Era il colmo, e i s u p e r i o r i furiosi lo cacciarono. Il ragazzo t o r n ò a Palermo, accolto f r e d d a m e n t e dalla famiglia, c h e vedeva s f u m a r e il s o g n o d i far d i lui u n p r e t e . O r a a v r e b b e d o v u t o g u a d a gnarsi da vivere da solo. N o n aveva a r t e n é p a r t e m a , d a b u o n italiano, e p e r g i u n t a siciliano, p o s s e d e v a u n ' i m m a g i n a z i o n e s t r a o r d i n a r i a m e n t e fertile. Fu in q u e s t o p e r i o d o c h e scoprì d ' a v e r e u n a spiccata inclinazione p e r il d i s e g n o . P e r c h é n o n sfruttarla f a b b r i c a n d o t e s t a m e n t i e assegni falsi? Si mise subito a l l ' o p e r a e g u a d a g n ò p a r e c c h i o d e n a r o , ma fu s c o p e r t o e dovette c a m b i a r e aria e attività. Fece p e r un certo t e m p o il ruffiano. S m a s c h e r a t o a n c o r a u n a volta, d i v e n t ò «pataccaro». La polizia gli si mise alle calcagna obbligandolo a lasciare P a l e r m o e a trasferirsi a Messina. Q u i conobbe un u o m o 785
c h e doveva c a m b i a r e il corso della sua vita, un a r m e n o di n o m e Altotas, che diceva d'essere un cultore di scienze occulte, anzi se ne p r o c l a m a v a «l'ultimo depositario». Fu costui a svelare a G i u s e p p e i segreti della magia e a fargli conoscere l'Oriente. N o n siamo in g r a d o di fissare l'esatta c r o n o l o g i a degli s p o s t a m e n t i di Balsamo in Africa e in Asia M i n o r e , p e r c h é egli avvolse s e m p r e in un alone di mistero le sue p e r e g r i n a zioni giovanili, forse p e r accreditare la l e g g e n d a della p r o p r i a nascita favolosa. Visitò - e su q u e s t o i biografi s o n o d'accordo - Grecia, Egitto, Rodi, Malta, dove fu p r e s e n t a t o al G r a n Maestro d e l l ' O r d i n e , Finto, che lo p r e s e a benvolere e gli allestì un laboratorio d'alchimia, con tanto di alambicchi, matracci, storte, provette. Coadiuvato dall'inseparabile Altotas, G i u s e p p e passava notti intere a mescere polveri, distillare e r b e , c o n f e z i o n a r e decotti, elisir, p o m a t e . La m o r t e di Altotas, a v v e l e n a t o dalle malefiche esalazioni di u n a pentola, pose fine agli e s p e r i m e n t i e al soggiorno maltese di Balsamo, che si c o n g e d ò da Pinto e t o r n ò a Palermo. N o n vi restò a l u n g o p e r c h é la polizia lo teneva d'occhio e gli r e n d e v a la vita difficile: al m i n i m o sgarro sarebbe finito in galera. Pensò allora d ' e m i g r a r e a Napoli, città molto più g r a n d e di Palermo e dove n e s s u n o lo conosceva. Ma a n c h e da qui dovette fuggire in seguito al ratto d ' u n a m i n o r e n n e . R o m a fu la t a p p a successiva. V i g i u n s e con u n a l e t t e r a d i p r e s e n t a z i o n e p e r l'ambasciatore di Malta, Breteuil, che l'accolse c o m e un figlio, gli d i e d e del d e n a r o e gli a p p a r e c c h i ò un laboratorio. Giuseppe r i p r e s e la sua attività d'alchimista e si g u a d a g n ò p r e s t o u n a discreta fama di g u a r i t o r e . Le sue pillole, le sue pozioni, i suoi filtri trovavano molti acquirenti, specialmente nel p o p o l i n o i n g e n u o e c r e d u l o n e fino a q u a n d o u n a rissa n o n lo fece improvvisamente finire in carcere. C o r r e v a l ' a n n o 1768 e G i u s e p p e n o n ne aveva a n c o r a c o m p i u t i v e n t i c i n q u e . Ecco il r i t r a t t o che ce ne fa u n o dei suoi biografi p i ù illustri, Pericle M a r u z z i : «Simpatico d'a786
spetto, n o n t r o p p o alto, dalle spalle q u a d r a t e , largo il petto; testa forte c o p e r t a da capelli neri ondulati, un bel collo r o t o n d o e muscoloso; m a n i e piedi piccoli, i movimenti vivaci, il viso p i e n o , colore fresco, fronte a p e r t a e alta. I tratti del viso simmetrici e armonici, naso b e n fatto, l'orecchio fine e b e n d i s e g n a t o , il labbro s u p e r i o r e p r e d o m i n a n t e sull'inferiore. Le labbra - spesso socchiuse - m o s t r a v a n o bellissimi denti. Gli occhi neri, espressivi, pieni di vita, magnetici. La voce e il gestire simpatici e da perfetto m e r i d i o n a l e . Il vestiario semplice e talora un p o ' trascurato. Molto fiero, alle volte quasi r u d e e di pochi c o m p l i m e n t i . N e s s u n o l'ha mai accusato d'essere r u b a c u o r i o di p r e s t a r s i ai capricci delle g r a n d i e piccole d a m e che i n c o n t r ò in o g n i p a r t e d ' E u r o pa». N o n poteva dirsi bello, ma interessante sì. C o n le d o n ne e r a generoso e galante ma, n o n o s t a n t e il sangue «cariente» che gli scorreva nelle vene, p e r esse n o n p e r s e mai la testa, fatta eccezione p e r la moglie. L o r e n z a Feliciani era u n a bella trasteverina di quattordici a n n i , n o n molto alta, fi-esca, formosa, «dolce, gentile, timida». I g n o r i a m o dove e c o m e G i u s e p p e la conobbe. Forse L o r e n z a a n d ò da lui p e r acquistare u n a c r e m a di bellezza, o forse i d u e s'incontrarono p e r strada. Quel ch'è certo è che in q u a t t r o e quattr'otto si sposarono. Lei p o r t ò in dote cent o c i n q u a n t a scudi in abiti, gioielli, biancheria e d e n a r o ; lui altrettanto in m o n e t a sonante. La c o p p i a a n d ò ad a b i t a r e a T r i n i t à dei Pellegrini, ma n o n vi d i m o r ò a lungo. U n a d e n u n c i a p e r contraffazione di cedole obbligò G i u s e p p e a fare fagotto in fretta e furia. Lasciò R o m a in c o m p a g n i a della moglie e d ' u n certo m a r c h e s e Agliata, un imbroglione specializzato nella fabbricazione di patenti e diplomi falsi. Fu d o p o aver conosciuto l'Agliata che Balsamo a d o t t ò il n o m e di Alessandro Cagliostro, che p e r qualche t e m p o fece p r e c e d e r e dal titolo di colonnello p r u s siano. A chi questo n o m e a p p a r t e n e s s e lo ignoriamo. Alcuni storici lo ascrivono a un a n t e n a t o m a t e r n o di G i u s e p p e , altri gli attribuiscono origini orientali, altri a n c o r a lo deriva787
no dalla cabala. C o m u n q u e sia, da questo m o m e n t o Giuseppe Balsamo cambia identità. Ci m a n c a lo spazio p e r seguire gl'innumerevoli vagabond a g g i di Cagliostro d o p o la precipitosa fuga da R o m a . Su consiglio del m a r c h e s e , che nel frattempo e r a diventato l'am a n t e di L o r e n z a , il t e r z e t t o p r e s e la via di L o r e t o , d o v e visse di piccoli espedienti e d'elemosine. Successivamente si trasferì a B e r g a m o . Q u i , s t a n d o a certe c r o n a c h e , si dedicò a u n a n o n meglio specificata attività di «reclutamento o ingaggio», subito a b b a n d o n a t a p e r u n ' a l t r a p i ù r e d d i t i z i a e c o l l a u d a t a : la falsificazione di b a n c o n o t e . A n c o r a fresche d'inchiostro, p r i m a d'essere spacciate, queste venivano fatte s t a g i o n a r e nel g e n e r o s o s e n o di L o r e n z a . Ma la f r o d e fu scoperta e il terzetto finì in carcere. Q u a n d o furono rimessi in libertà, il m a r c h e s e se la svignò c o n la cassa lasciando i c o m p a r i con un p a l m o di naso e senza il becco d ' u n quattrin o . Cagliostro e la moglie a b b a n d o n a r o n o B e r g a m o e p r e sero a girovagare p e r l'Italia del N o r d , la Francia m e r i d i o nale, la S p a g n a e il Portogallo. C o m e sbarcassero il l u n a r i o n o n s a p p i a m o , ma n o n ci è difficile i m m a g i n a r l o : imbrogliucci, accattonaggio. A Lisbona Alessandro cercò di b u t t a r e la moglie fra le braccia d ' u n p o t e n t e m i n i s t r o , m a L o r e n z a , che p u r e n o n e r a n u o v a a questo g e n e r e d ' e s p e r i e n z a , si ribellò, con g r a n rabbia del m a r i t o . A Lisbona la coppia s'imbarcò p e r L o n d r a , ove Cagliostro si mise a v e n d e r e elisir di l u n g a vita, decotti e p u r ganti. L o r e n z a si d i m o s t r ò assai più compiacente, e i giovani sposi c o m i n c i a r o n o finalmente a g o d e r e d ' u n p o ' di ben e s s e r e . Il s o g g i o r n o l o n d i n e s e fu b r u s c a m e n t e i n t e r r o t t o da u n a d e n u n c i a p e r ricatto, che li fece finire in p r i g i o n e , dove p e r ò n o n r e s t a r o n o a l u n g o poiché un cliente risanato da Cagliostro p a g ò la cauzione. Liberati, a n d a r o n o ad abitare nella casa di c a m p a g n a del benefattore. Per sdebitarsi Cagliostro sedusse la figlia dell'anfitrione, n o n o s t a n t e la sua i n e s o r a b i l e b r u t t e z z a . S c o p e r t a la tresca, il p a d r e mise gli ospiti alla porta. La coppia prese allora la via di Parigi, dove 788
L o r e n z a conobbe un certo Duplesir e se ne invaghì. Q u a n do Alessandro se n'accorse, minacciò fuoco e fiamme. T r o vava del tutto n a t u r a l e che la moglie si dedicasse a servizi di alcova: p u r c h é lo facesse nell'interesse della famiglia, n o n p e r il p r o p r i o piacere. Di questo la p u n ì facendola rinchiud e r e in u n a specie di convento. N o n sappiamo cosa fu di lei d u r a n t e i successivi s p o s t a m e n t i del m a r i t o . La t r o v e r e m o p i ù t a r d i a L o n d r a , d o v e A l e s s a n d r o a p p r o d ò nel m a g g i o 1776. Fra le molte conoscenze fatte nella capitale inglese la più i m p o r t a n t e fu quella dei coniugi Scott. Costoro avevano la p a s s i o n e del gioco e p u n t a v a n o grosse s o m m e al lotto. Q u a n d o s e p p e r o che u n m a g o era giunto i n città, a n d a r o n o a trovarlo e gli chiesero su quali n u m e r i dovevano p u n t a r e . Cagliostro glieli fornì, in cambio di p o c h e ghinee. I n u m e r i u s c i r o n o , gli Scott g u a d a g n a r o n o d u e m i l a sterline e in un baleno la fama del m a g o si sparse p e r tutta L o n d r a . La sua a b i t a z i o n e fu p r e s a l e t t e r a l m e n t e d'assedio da migliaia di cittadini pieni d'acciacchi, di debiti e d'illusioni. Cagliostro li accoglieva tutti, a tutti dava consigli, balsami, pozioni, n u meri al lotto. Si faceva p a g a r e solo dai ricchi. I poveri li visitava gratis e ai più bisognosi dava a n c h e piccoli sussidi. Mise su u n a bella casa e attrezzò un n u o v o laboratorio, dove passava tutto il t e m p o che l'attività di guaritore gli lasciava liber o . C o m e ogni alchimista che si rispetti, faceva e s p e r i m e n t i soprattutto di notte, con indosso un l u n g o camice tatuato di esoterici simboli. Si vantava d'aver scoperto la pietra filosofale che trasformava i metalli vili in argento, o r o e platino, e guariva tutti i mali. L o r e n z a gli faceva da segretaria e teneva a b a d a i postulanti che s'assiepavano davanti la p o r t a di casa. I più i m p o r t u n i e r a n o gli Scott che, d o p o la clamorosa vincita al lotto, volevano carpire ad Alessandro altri n u m e r i . Poiché Cagliostro n o n si sbottonava, lo d e n u n c i a r o n o alle autorità. Alessandro fu imprigionato, e con lui finì in carcere, sotto l'accusa di stregoneria, a n c h e Lorenza. Q u a n d o fur o n o rimessi in libertà, decisero di t o r n a r e sul C o n t i n e n t e . 789
Prima di lasciare L o n d r a , Alessandro s'iscrisse alla massoneria di rito scozzese. I g n o r i a m o i motivi di q u e s t ' a d e s i o n e , d o v u t a p r o b a b i l m e n t e al fascino che sul C o n t e esercitava tutto ciò che sapeva di mistero e di potenza occulta. Forse vi contribuì a n c h e il fatto che la massoneria godeva allora di g r a n d e popolarità n o n solo in I n g h i l t e r r a , d o v ' e r a nata, ma a n c h e nel Contin e n t e , dove le logge e r a n o s p u n t a t e c o m e funghi. Ci m a n c a lo spazio p e r fare la storia particolareggiata di quest'organizzazione. Limitiamoci a qualche c e n n o biografico. La p a r o l a m a s s o n e cominciò a circolare nel Medio Evo. Pare che avesse corso già nel Trecento. I p r i m i a usarla sar e b b e r o stati gl'inglesi, che c h i a m a v a n o masons i m u r a t o r i addetti alla lavorazione della freestone, u n a pietra impiegata nella costruzione di palazzi, castelli, conventi, cattedrali. lì freestone mason, che in Francia diventò franc-macon e in Italia libero muratore o, più semplicemente, massone, n o n era un manovale q u a l u n q u e , ma un operaio specializzato. Il suo compito n o n era quello di s q u a d r a r e pietre, d a r loro questa o quella forma, questa o quella dimensione. Svolgeva m a n sioni più impegnative e delicate, cui lo qualificava un l u n g o a p p r e n d i s t a t o . Quella del freestone mason era u n a vera e p r o pria carriera. Chi l'abbracciava doveva sottoporsi a un tirocinio di sette a n n i , d o p o d i c h é e n t r a v a a far p a r t e della loggia, u n a specie di associazione di categoria. La loggia p r e n d e v a n o m e dal l u o g o d o v e i m u r a t o r i si r i u n i v a n o p e r m a n g i a r e , riposare, r e d i g e r e i progetti. O g n i loggia aveva delle regole, un s o m m a r i o e r u d i m e n t a l e stat u t o , cui i m e m b r i d o v e v a n o c o n f o r m a r s i , p e n a s a n z i o n i che p r e v e d e v a n o perfino l'espulsione. C'era u n a g e r a r c h i a c o n vari g r a d i : il p i ù basso e r a quello d'apprendista, cui si aveva diritto d o p o sette a n n i di g a r z o n a t o . D o p o altri sette, si diventava compagno. Al vertice stava il maestro, corrispond e n t e al nostro architetto, incaricato della stesura del p r o getto e della sua esecuzione. Al maestro s'affiancava un chie790
rico o un funzionario laico col c o m p i t o di vigilare, p e r conto del c o m m i t t e n t e (vescovo o abate, principe o margravio), l ' a n d a m e n t o dei lavori. A p a r t e q u e s t o c o n t r o l l o , p i ù formale che tecnico, il maestro aveva carta bianca, fissava i tempi di lavorazione e i salari, e teneva la contabilità del cantiere. La sua autorità, all'interno della loggia, e r a insindacabile, ma n o n si limitava all'attività professionale, cioè alla supervisione dei lavori e all'ispezione delle m a e s t r a n z e , t e n u t e alla m a s s i m a efficienza; esercitava a n c h e u n r i g o r o s o controllo m o r a l e . I liberi muratori n o n dovevano fare soltanto b e n e il p r o p r i o lavoro; dovevano anche d a r e un esempio di b u o n i cittadini, b u o n i sudditi, fedeli al Re e alla Chiesa, onesti, leali, sobri. Ecco a l c u n e delle n o r m e che d o v e v a n o osservare, elencate nella Costituzione d ' u n a antica loggia inglese: «Sarete leali l ' u n o verso l'altro, e cioè verso o g n i maestro o c o m p a g n o dell'arte, e farete 1OIT> quello che vorreste essi facessero a voi; n e s s u n maestro a s s u m a il lavoro di un s i g n o r e o altro se n o n si sente capace di portarlo a t e r m i n e ; il maestro p a g h i o n e s t a m e n t e e lealmente il salario ai c o m p a g n i , c o m e esige il costume dell'Arte; nessun maestro o m e m b r o dell'Arte tolga ad altri il lavoro a m e n o che n o n sia incapace di p o r t a r l o a t e r m i n e ; il m u r a t o r e accolga di b u o n a n i m o i m u r a t o r i stranieri q u a n d o a r r i v a n o nel suo paese, gli dia lavoro p e r a l m e n o d u e settimane e, se n o n ci sono pietre p e r lui, lo socc o r r a con u n p o ' d i d e n a r o , p e r c h é a l m e n o possa a r r i v a r e alla loggia più vicina». L a loggia e r a q u i n d i a n c h e u n ' a s s o c i a z i o n e d i m u t u o soccorso. In c a m b i o del lavoro che r i c e v e v a n o e dell'assis t e n z a di cui g o d e v a n o , i m a s s o n i d o v e v a n o n o n solo ris p e t t a r e c e r t e r e g o l e m o r a l i , ma a n c h e c u s t o d i r e i segreti della loro arte. Ciascuna loggia aveva i suoi, di cui e r a gelosissima. Ciò e r a d o v u t o al fatto c h e n o n e s i s t e v a n o uffici b r e v e t t i ed e r a p e r t a n t o facile t r a f u g a r e e sfruttare quelli a l t r u i . Da qui la severità delle selezioni, la d u r e z z a delle sanzioni, l'assidua sorveglianza degl'iscritti, l ' a d o z i o n e di 791
t e r m i n i simbolici, di convenzionali segni di riconoscimento, di p a r o l e d ' o r d i n e . C o m e dalle medievali c o m u n i t à di m u r a t o r i della pietra si sia passati alle confraternite massoniche vere e p r o p r i e è difficile dire poiché il passaggio avvenne p e r gradi e sotto il c o p e r t o del segreto. Esso iniziò nel Seicento, q u a n d o le Logge p e r s e r o a poco a poco il carattere professionale p e r darsi un c o n t e n u t o filosofico e politico. I n u o v i a d e p t i r i m a s e r o fedeli alla simbologia e al gergo, ma n o n e r a n o p i ù né m u ratori, né capimastri, né geometri, né architetti, n o n avevano mai visto u n a livella né i m p u g n a t o u n a cazzuola. Perseg u i v a n o un ideale di perfezione m o r a l e , p r e d i c a v a n o la libertà, l'uguaglianza, la fratellanza, c o m b a t t e v a n o o g n i forma d ' i n t o l l e r a n z a e di d o g m a t i s m o . Il Book of Constitutions (Libro delle Costituzioni) del 1722-23 n e g a v a il titolo di m a s s o n e agli atei. I n q u e s t o Libro, r e d a t t o d a u n ministro della Chiesa scozzese, il d o t t o r J a m e s A n d e r s o n , t r o v a r o n o la loro p r i m a sistematica formulazione la n o m e n c l a t u r a e il r i t u a l e massonici, a d o t t a t i dalla Gran loggia riunita, la cui fondazione, nel 1717, segna l'inizio ufficiale della massoneria. A questa, c o m e abbiamo d e t t o , Cagliostro a d e r ì d u r a n t e il suo s e c o n d o soggiorno londinese. L'alone di mistero che avvolgeva l'organizzazione e il prestigio morale di cui godeva lo e n t u s i a s m a r o n o al p u n t o c h e decise di f o n d a r e u n a loggia tutta sua. La c h i a m ò egiziana, le d i e d e un m o t t o e u n o statuto e se ne p r o c l a m ò G r a n Cofto, cioè G r a n Maestro. Q u i n d i si mise a far proseliti in t u t t ' E u r o p a . Le adesion i s u p e r a r o n o o g n i aspettativa. I n Belgio, i n O l a n d a , i n G e r m a n i a il C o n t e - c o m e o r a si faceva c h i a m a r e - fu ricevuto con g r a n d i onori. In C u r l a n d i a fu p o r t a t o in trionfo e gli abitanti di Mittau, la capitale, gli offrirono a d d i r i t t u r a il titolo e il t r o n o ducale, che egli rifiutò. N o n e r a n o questi i galloni cui ambiva. Il suo sogno e r a quello di fondere il rito scozzese con quello egiziano e di d i v e n t a r e capo universale della massoneria. 792
Fu con q u e s t o m i r a g g i o che si recò a P i e t r o b u r g o , sede della loggia p i ù p o t e n t e e m e g l i o o r g a n i z z a t a d ' E u r o p a . Q u i ebbe u n a serie d i colloqui con l ' i m p e r a t r i c e C a t e r i n a , di cui e r a n o n o t i i s e n t i m e n t i filomassonici. Il C o n t e le parlò a l u n g o della sua setta, la invitò ad aderirvi, le chiese p e r s i n o d ' a s s u m e r n e l'alto p a t r o n a t o . Riuscì a g u a d a g n a r s i le simpatie della corte ma si tirò addosso i fulmini dei m e dici p e r aver guarito d u e malati che la scienza ufficiale aveva d a t o p e r spacciati. Fu p r o b a b i l m e n t e q u e s t o «miracolo» a p e r d e r l o e a consigliargli il trasferimento a Varsavia. Anche q u i si d i e d e subito a far p r o p a g a n d a al rito e g i z i a n o . T e n n e conferenze sull'occultismo, organizzò s e d u t e spiritiche, fece e s p e r i m e n t i di magia e p r e s i e d e t t e a n u m e r o s i riti d ' i n i z i a z i o n e . D o p o quasi t r e mesi lasciò la Polonia e si accasò a Strasburgo. Le accoglienze che la città gli tributò furono d e g n e d ' u n sovrano. Vi giunse a b o r d o d ' u n a sontuosa carrozza stracolma di bagagli, seguito da u n o stuolo di lacchè, m a g g i o r d o mi, segretari. Prese alloggio in u n a bellissima villa, che diventò subito m e t a d ' u n i n i n t e r r o t t o pellegrinaggio di cittadini bisognosi di c u r e o semplicemente desiderosi di v e d e r e da vicino il c e l e b r e m a g o . Cagliostro riceveva tutti, a tutti dispensava c u r e , ricette, consigli. Cominciò a circolare la voce che il C o n t e restituiva la vista ai ciechi, l'udito ai sordi, la favella ai muti, raddrizzava gli storpi, spianava i gobbi, ridava foga e giovinezza ai vecchi: n o n c'era malattia c h e resistesse alle s u e p o z i o n i , ai suoi elisir, ai suoi b a l s a m i . Strasburgo si trasformò in un i m m e n s o convalescenziario. Gli ex voto e i Te Deum n o n si c o n t a r o n o . Mai visti in u n a volta sola, ad o p e r a d ' u n solo individuo, tanti p o r t e n t i . Si dava p e r certo c h e u n a signora aveva supplicato Cagliostro di farla ringiovanire di venticinque anni; che Cagliostro le aveva m a n dato un misterioso elisir a mezzo del p r o p r i o servo; che costui, e s s e n d o la d a m a fuori casa, lo aveva c o n s e g n a t o alla domestica, u n a d o n n a di u n a t r e n t i n a d'anni, la quale, n o n s a p e n d o di cosa si trattasse ma c o n o s c e n d o i p o t e r i t a u m a 793
turgici d e l m i t t e n t e , aveva b e v u t o il filtro; c h e la p a d r o n a r i n c a s a n d o aveva trovato, al posto della fantesca, u n a bimb e t t a di c i n q u e a n n i s p a u r i t a e p i a g n u c o l o s a ; e c h e , resasi conto dell'accaduto, si era precipitata da Cagliostro a chiedergli un'altra dose d'elisir, ma il m a g o le aveva risposto che l'esperimento n o n si poteva ripetere. L'eco del p r o d i g i o fu tale che il vescovo-cardinale della città, il ricco e p o t e n t e principe Luigi di R o h a n , manifestò il desiderio di conoscere Cagliostro. «A che scopo? - chiese il m a g o q u a n d o ne fu informato. - Se Sua E m i n e n z a è malata venga con gli altri e lo g u a r i r ò ; se sta b e n e n o n ha bisogno di me c o m e io n o n ho bisogno di lui». Il vescovo trovò la risposta sublime e a n d ò a bussare alla p o r t a del m a g o . A p p e na fu al suo cospetto, A l e s s a n d r o , g u a r d a n d o l o fisso negli occhi, gli disse: «La vostra a n i m a è d e g n a della mia, e voi m e r i t a t e di conoscere i miei segreti». Il cardinale, in b r o d o di giuggiole, invitò Cagliostro a trasferirsi nel suo splendido castello. Il C o n t e n o n se lo fece r i p e t e r e e o r d i n ò subito il trasloco. La r e s i d e n z a del p r i n c i p e e r a q u a n t o di p i ù sfarzoso si potesse i m m a g i n a r e . Q u a l c u n o l'aveva a d d i r i t t u r a p a r a g o n a t a a Versailles. R o h a n vi c o n d u c e v a vita da n a b a b b o p i ù che d a p r e l a t o . L e sue feste n o n e r a n o m e n o s p l e n d i d e d i quelle di Parigi. Alla sua m e n s a si dava c o n v e g n o il fior fiore del gotha e u r o p e o . T a n t o lusso n o n meravigliava n e s s u n o p e r c h é il vescovo a p p a r t e n e v a a u n a delle p i ù g r a n d i famiglie di Francia, i m p a r e n t a t a coi Valois e i Borboni. Luigi ne e r a il p i ù illustre r a m p o l l o . Alto, asciutto, affabile, colto, g a u d e n t e , raffinato, s'era g u a d a g n a t o il s o p r a n n o m e di «bell'eminenza». L'Accademia di Francia l'aveva accolto nella schiera degli I m m o r t a l i p e r i suoi studi di fisica e di scienze naturali. F u r o n o p r o b a b i l m e n t e questi interessi ad attirarlo verso Cagliostro, c h e lo iniziò ai segreti dell'occultismo e dell'alchimia. Il vescovo d i v e n t ò il t e s t i m o n e o c u l a r e delle m i r a b o l a n t i t r a s f o r m a z i o n i o p e r a t e dal m a g o p e r m e z z o della 794
p i e t r a filosofale. Per lui - r a c c o n t a n o - Cagliostro creò dal nulla u n b r i l l a n t e del valore d i v e n t i c i n q u e milioni, c h e R o h a n n o n si sfilava n e m m e n o q u a n d o a n d a v a a letto. Il p r i n c i p e p e n d e v a dalle labbra del C o n t e , che p e n d e v a dai c o r d o n i della sua borsa. Un bel g i o r n o Cagliostro decise di lasciare Strasburgo ed e m i g r a r e a Parigi. «E il b u o n Dio che ci lascia», esclamò u n a vecchietta v e d e n d o Alessandro salire in carrozza. Migliaia di cittadini commossi lo s e g u i r o n o sin fuori le m u r a . La capitale francese accolse il m a g o , a c c o m p a g n a t o dall'inseparabile L o r e n z a e da un codazzo di servi d o p p i o di quello c h e l'aveva scortato a S t r a s b u r g o , con g r a n d i feste. Anche qui tutti volevano fare la sua conoscenza. La m a r c h e sa d'Orvilliers così descrisse il p r i m o i n c o n t r o c o n Cagliostro: «Non e r a assolutamente bello, ma giammai s'era offerta alla mia osservazione u n a fisionomia p i ù notevole; aveva s o p r a t t u t t o u n o s g u a r d o d ' u n a p r o f o n d i t à quasi s o p r a n n a turale. N o n saprei r e n d e r e l'espressione dei suoi occhi: era nello stesso t e m p o del fuoco e del gelo, attirava e respingeva, faceva p a u r a e ispirava u n a curiosità invincibile». A Parigi s'istallò nel palazzo di R o h a n , altalenante fra la sua diocesi e la capitale p e r stare il più possibile vicino all'amico, c h e seguitava a g o d e r e della sua p r o t e z i o n e e soprattutto dei suoi sussidi. N o n che l'attività di guaritore e di speziale n o n rendesse, ma c e r t a m e n t e n o n consentiva al m a g o di m a n t e n e r e lo s p l e n d i d o t r e n o di vita che sfoggiava. A Parigi si dedicò soprattutto alla massoneria, allora in g r a n voga, fece nuovi proseliti e cominciò a carezzare l'idea di fond a r e nella capitale francese la l o g g i a - m a d r e . Ma il celebre «affare della collana» m a n d ò in frantumi tutti i suoi sogni. Per rievocarlo d o b b i a m o fare un piccolo salto i n d i e t r o e r i p o r t a r c i al t e m p o in cui R o h a n e r a ambasciatore a Vienna. Sul t r o n o imperiale sedeva la severa Maria Teresa, le feste e r a n o b a n d i t e , e a n c h e i diplomatici stranieri d o v e v a n o a d e g u a r s i all'austerity. L'unica p e c o r a n e r a e r a l'ambasciatore francese, che dava balli favolosi, b a n c h e t t i d e g n i di Tri795
m a l c i o n e , feste da «Mille e u n a notte». Maria T e r e s a e r a fuori della grazia di Dio, ma n o n osava p r e n d e r e provvedim e n t i c o n t r o R o h a n , d a t o il suo altissimo r a n g o e il suo n o bile lignaggio. Q u a n d o p e r ò la figlia M a r i a A n t o n i e t t a div e n t ò r e g i n a di Francia, R o h a n n o n solo fu e s o n e r a t o dall'incarico, ma a d d i r i t t u r a diffidato d a l r i m e t t e r e p i e d e a Versailles. Disperato, il vescovo si confinò nella sua diocesi di Strasburgo. L'idea d'aver p e r d u t o il favore dei sovrani lo faceva impazzire e gli toglieva s o n n o e a p p e t i t o . A più r i p r e s e cercò di r i e n t r a r e nelle loro grazie, ma tutti i suoi tentativi u r t a r o no c o n t r o la volontà di Maria Antonietta. Un g i o r n o bussò alla sua p o r t a u n a c e r t a contessa G i o v a n n a d e L a M o t t e , moglie d ' u n giovane ufficiale di g u a r n i g i o n e , che aveva conosciuto a n n i p r i m a . C h i e d e v a al p r i n c i p e d ' a i u t a r l a a far trasferire a Parigi il marito. R o h a n disse che avrebbe fatto il possibile. C o n g e d a n d o s i , la d o n n a , p e r f e t t a m e n t e al c o r r e n te dei reiterati e vani sforzi compiuti dal vescovo p e r essere r i a m m e s s o a corte, gli confidò di c o n o s c e r e m o l t o b e n e la regina e di g o d e r n e la fiducia. L a n i m o di R o h a n si riaprì alla speranza. Promise alla de La Motte m a r i e monti in cambio d'un'intercessione. A p p e n a la contessa se ne fu a n d a t a , c o n v o c ò d ' u r g e n z a C a g l i o s t r o , gli riferì il colloquio e gli chiese il suo p a r e r e . Il m a g o rispose che a n c h e q u e s t a e r a u n a carta da giocare. Le visite della de La Motte al p r i n c i p e si fecero s e m p r e p i ù frequenti. R o h a n p r e n d e v a p e r o r o colato o g n i p a r o l a della d o n n a , credeva c o m e un b a m b i n o a tutti i suoi racconti, specialmente a quelli ambientati a Versailles. O g n i volta c h e la contessa p r o n u n c i a v a il n o m e della r e g i n a , R o h a n aveva un l e g g e r o t r a s a l i m e n t o . N o n si stancava di far d o m a n d e su M a r i a A n t o n i e t t a , sulle s u e a b i t u d i n i , sulle sue simpatie, sui suoi hobbies. La contessa r i s p o n d e v a con dovizia d i p a r t i c o l a r i , n a t u r a l m e n t e i n v e n t a t i . U n g i o r n o , i n g r a n segreto, gli a n n u n c i ò che, grazie ai suoi b u o n i uffici, la sovrana n o n solo e r a disposta a riconciliarsi con lui ma ad796
dirittura a incontrarlo nei giardini di Versailles. C o m e p r o va dei m u t a t i sentimenti della regina gli lesse un messaggio (anche questo falso) di Maria Antonietta, che fissava il luogo e l'ora d e l l ' a p p u n t a m e n t o . Al settimo cielo p e r la felicità e al colmo dell'emozione, R o h a n benedisse la contessa e le offrì u n a grossa s o m m a d i d e n a r o . Pochi g i o r n i d o p o , n e l b o schetto di V e n e r e , in u n a n o t t e senza l u n a , e b b e l u o g o il convegno. U n ' o m b r a di d o n n a s'avvicinò al vescovo. Sopraffatto dalla visione, R o h a n c a d d e in ginocchio e, t r e m a n d o come u n a foglia, baciò la veste della «regina». «Potete sperare che il passato sia dimenticato», gli sussurrò l'ombra, dileg u a n d o s i poi nelle t e n e b r e . Pochi giorni d o p o , la contessa chiese al cardinale altri d e n a r i . R o h a n n o n solo glieli diede, ma o r d i n ò al suo segretario di versare alla de La Motte tutti i soldi che voleva. Fino a q u a n d o sarebbe d u r a t o il bluff? Prima che il cardinale lo scoprisse, l'avventuriera decise di giocargli un altro tiro. A suggerirglielo furono d u e i n n o c e n t i gioiellieri, B o e h m e r e Bassenge, fornitori della c o r o n a . C o s t o r o e r a n o disperati p e r c h é n o n riuscivano a v e n d e r e u n a preziosa collana confezionata p e r Luigi XV, che voleva regalarla alla p r o pria a m a n t e , la du Barry. L'affare n o n era stato concluso p e r la m o r t e del sovrano, e B o e h m e r e Bassenge, che vi avevano investito tutti i loro capitali, n o n sapevano a chi smerciare il prezioso. La stessa Maria A n t o n i e t t a , che aveva n o t o r i a m e n t e le m a n i b u c a t e e a m a v a p a z z a m e n t e i gioielli, q u a n d o sentì il p r e z z o della collana c h e il m a r i t o a v r e b b e voluto d o n a r l e , disse che la Francia aveva bisogno più di vascelli che di g e m m e . I d u e gioiellieri, alle cui orecchie la contessa era riuscita a far g i u n g e r e l'eco della sua influenza a Corte, decisero allora di r i c o r r e r e a lei. La de La M o t t e vide la collana, la trovò bellissima e promise che avrebbe convinto la regina a c a m b i a r e i d e a e ad acquistarla, m a g a r i a r a t e . Successivam e n t e si recò dal cardinale e gli disse che Maria Antonietta faceva da t e m p o la corte alla s p l e n d i d a g e m m a , ma che in 797
quel m o m e n t o n o n aveva il d e n a r o sufficiente p e r c o m p r a r la. R o h a n si offrì di g a r a n t i r e p e r lei e il 24 g e n n a i o 1785 firmò l'impegno coi d u e gioiellieri. U n a settimana d o p o recapitò p e r s o n a l m e n t e alla contessa la collana, la cui p r i m a rata avrebbe d o v u t o essere pagata dalla regina il 1 ° agosto. In sua p r e s e n z a la de La M o t t e fìnse di c o n s e g n a r l a a un p r e s u n t o emissario della sovrana. Q u a n d o scoccò l'ora della p r i m a rata, la contessa chiese e o t t e n n e u n a dilazione, che insospettì B o e h m e r e Bassenge. I d u e gioiellieri, invece di rivolgersi a R o h a n che, p e r scong i u r a r e u n o s c a n d a l o , a v r e b b e p a g a t o d i tasca p r o p r i a , s i p r e c i p i t a r o n o dalla sovrana. Maria A n t o n i e t t a p r i m a cascò dalle n u v o l e , p o i si rese c o n t o d e l l ' i m b r o g l i o . Ne i n f o r m ò subito il m a r i t o che o r d i n ò l'immediato a r r e s t o dei coniugi de La M o t t e , d e l vescovo e di Cagliostro, r i t e n u t o l'anima n e r a di R o h a n . Il m a g o protestò invano la p r o p r i a innocenza. F u r o n o tutti rinchiusi alla Bastiglia. Il P a r l a m e n t o fu incaricato d ' i s t r u i r e il processo, che si c e l e b r ò l ' a n n o d o p o . I giudici r i c o n o b b e r o l ' i n n o c e n z a di R o h a n e di Cagliostro, che v e n n e r o assolti con formula piena. La contessa e suo marito furono c o n d a n n a t i all'ergastolo. Ma p e r un motivo o p e r l'altro, tutti i protagonisti della vicenda ne uscirono assai malconci. Il Re e la Regina p e r c h é l'opinione pubblica, ostile alla corona, n o n volle c r e d e r e che fossero estranei all'imbroglio; il cardinale p e r c h é fece la fig u r a del g o n z o c r e d u l o n e ; Cagliostro p e r c h é , c o m e m a g o , avrebbe d o v u t o a p r i r e gli occhi all'amico. Costretto a lasciare in fretta e furia la Francia, Cagliostro r i p a r ò in Inghilterra, dove n o n solo n o n ebbe le accoglienze c h e s'aspettava ma fu f e r o c e m e n t e attaccato dal d i r e t t o r e del Courier de l'Europe, T h é v e n e a u de M o r a n d e , un ignobile gazzettiere che viveva di delazioni e di ricatti. Costui, con la complicità di L o r e n z a che aveva litigato col m a r i t o , svelò a t u t t a l ' E u r o p a la v e r a i d e n t i t à e le umili origini di Cagliostro. Il C o n t e si difese m a l e , e a p p e n a p o t è r i a t t r a v e r s ò la M a n i c a . Nella p r i m a v e r a d e l 1787 a p p r o d ò a B i e n n e in 798
Svizzera, dove poco d o p o lo raggiunse, pentita e contrita, la m o g l i e , r i m a s t a a L o n d r a a s m o n t a r e la casa e a s p e d i r e i mobili. Il m a g o si t r a t t e n n e a B i e n n e alcuni mesi g u a d a gnandosi da vivere coi vecchi elisir. Alla fine di luglio, in seguito alle insistenze di L o r e n z a che voleva r i v e d e r e il p a d r e , decise di t o r n a r e a R o m a . Il g r a n d e avventuriero, che sapeva r a g g i r a r e principi e Re, e r a d i s a r m a t o di fronte a quella d o n n e t t a di p o c o cervello e s e m p r e p r o n t a a t r a d i r l o , n o n soltanto di letto. Di p a s s a g g i o a T r e n t o , d i v e n n e a m i c o del vescovo, c h e s'offrì di procurargli un salvacondotto p e r gli Stati Pontifici, s c r i v e n d o p e r s o n a l m e n t e al s e g r e t a r i o di Stato c a r d i n a l e B o n c o m p a g n i . Costui rispose che n o n ce n ' e r a bisogno p e r ché Cagliostro n o n era affatto p e r s o n a sgradita. C o n questo viatico Alessandro e la moglie si misero in viaggio p e r Roma. Il m a g o p r e s e alloggio in u n a locanda di piazza di Spag n a m e n t r e L o r e n z a s'istallò in casa del p a d r e . Per sbarcare il lunario, Cagliostro riprese a fabbricare filtri, p o m a t e e balsami. Lo storico Nevio M a t t e i n i dice c h e tentò a più riprese di g u a d a g n a r s i la fiducia dei massoni rom a n i , ma con scarsi risultati, a causa forse della diffidenza che costoro n u t r i v a n o p e r il rito egiziano. S t a n d o alle cron a c h e d e l t e m p o , il C o n t e fu a m m e s s o a u n a sola s e d u t a massonica, il 15 settembre 1789 a Villa Malta. In quell'occasione fece degli e s p e r i m e n t i magici che s b a l o r d i r o n o i p r e senti, p r e v e d e n d o con un anticipo di tre settimane le dimostrazioni di Versailles c o n t r o Luigi X V I . N o n s a p p i a m o se fu la sua presenza a Villa Malta a insospettire le a u t o r i t à pontificie o se i n t e r v e n n e r o altre circostanze. Sta di fatto che il Sant'Uffizio gli mise alle calcagna i p r o p r i segugi, i quali c o m i n c i a r o n o ad a n n o t a r e o g n i suo s p o s t a m e n t o . N o n s a p p i a m o n e p p u r e se egli si r e n d e s s e conto dei pericoli che correva. C o m e tutti i furbi t r o p p o furbi, Alessandro e r a talvolta d ' u n ' i n g e n u i t à d i s a r m a n t e . N o n s'accorse, o finse di n o n accorgersi, che persino L o r e n z a tramava contro di lui, sobillata da un m o n a c o , il quale riuscì a 799
quel m o m e n t o n o n aveva il d e n a r o sufficiente p e r comprarla. R o h a n si offrì di g a r a n t i r e p e r lei e il 24 g e n n a i o 1785 firmò l'impegno coi d u e gioiellieri. U n a settimana d o p o recapitò p e r s o n a l m e n t e alla contessa la collana, la cui p r i m a rata avrebbe d o v u t o essere pagata dalla regina il 1 ° agosto. In sua p r e s e n z a la de La M o t t e finse di c o n s e g n a r l a a un p r e s u n t o emissario della sovrana. Q u a n d o scoccò l'ora della p r i m a rata, la contessa chiese e o t t e n n e u n a dilazione, che insospettì B o e h m e r e Bassenge. I d u e gioiellieri, invece di rivolgersi a R o h a n che, p e r scong i u r a r e u n o s c a n d a l o , a v r e b b e p a g a t o di tasca p r o p r i a , si p r e c i p i t a r o n o dalla sovrana. Maria A n t o n i e t t a p r i m a cascò dalle n u v o l e , poi si rese c o n t o d e l l ' i m b r o g l i o . Ne informò subito il m a r i t o che o r d i n ò l'immediato a r r e s t o dei coniugi de La Motte, d e l vescovo e di Cagliostro, r i t e n u t o l'anima n e r a di R o h a n . Il m a g o protestò invano la p r o p r i a innocenza. F u r o n o tutti rinchiusi alla Bastiglia. Il P a r l a m e n t o fu incaricato d ' i s t r u i r e il processo, che si c e l e b r ò l ' a n n o d o p o . I giudici r i c o n o b b e r o l ' i n n o c e n z a di R o h a n e di Cagliostro, che v e n n e r o assolti con formula piena. La contessa e suo m a r i t o furono c o n d a n n a t i all'ergastolo. Ma p e r un motivo o p e r l'altro, tutti i protagonisti della vicenda ne uscirono assai malconci. Il Re e la Regina p e r c h é l'opinione pubblica, ostile alla corona, n o n volle c r e d e r e che fossero estranei all'imbroglio; il cardinale p e r c h é fece la fig u r a del g o n z o c r e d u l o n e ; Cagliostro p e r c h é , c o m e m a g o , avrebbe d o v u t o a p r i r e gli occhi all'amico. Costretto a lasciare in fretta e furia la Francia, Cagliostro r i p a r ò in Inghilterra, dove n o n solo n o n ebbe le accoglienze che s'aspettava ma fu f e r o c e m e n t e attaccato d a l d i r e t t o r e del Courier de l'Europe, T h é v e n e a u de M o r a n d e , un ignobile gazzettiere che viveva di delazioni e di ricatti. Costui, con la complicità di L o r e n z a che aveva litigato col m a r i t o , svelò a tutta l ' E u r o p a la v e r a i d e n t i t à e le umili origini di Cagliostro. Il C o n t e si difese m a l e , e a p p e n a p o t è r i a t t r a v e r s ò la Manica. Nella p r i m a v e r a del 1787 a p p r o d ò a B i e n n e in 798
Svizzera, d o v e poco d o p o lo raggiunse, pentita e contrita, la moglie, r i m a s t a a L o n d r a a s m o n t a r e la casa e a s p e d i r e i mobili. Il m a g o si t r a t t e n n e a B i e n n e alcuni mesi g u a d a gnandosi da vivere coi vecchi elisir. Alla fine di luglio, in seguito alle insistenze di L o r e n z a che voleva rivedere il p a d r e , decise di t o r n a r e a Roma. Il g r a n d e avventuriero, che sapeva r a g g i r a r e principi e Re, e r a d i s a r m a t o di fronte a quella d o n n e t t a di p o c o cervello e s e m p r e p r o n t a a t r a d i r l o , n o n soltanto di letto. Di p a s s a g g i o a T r e n t o , d i v e n n e a m i c o d e l vescovo, c h e s'offrì di procurargli un salvacondotto p e r gli Stati Pontifici, scrivendo p e r s o n a l m e n t e al s e g r e t a r i o di Stato c a r d i n a l e B o n c o m p a g n i . Costui rispose che n o n ce n ' e r a bisogno perché Cagliostro n o n era affatto p e r s o n a sgradita. C o n questo viatico A l e s s a n d r o e la moglie si m i s e r o in viaggio p e r Roma. Il m a g o p r e s e alloggio in u n a locanda di piazza di Spagna m e n t r e L o r e n z a s'istallò in casa del p a d r e . Per sbarcare il lunario, Cagliostro riprese a fabbricare filtri, p o m a t e e b a l s a m i . Lo storico Nevio M a t t e i n i dice c h e tentò a p i ù riprese di g u a d a g n a r s i la fiducia dei massoni romani, ma con scarsi risultati, a causa forse della diffidenza che costoro n u t r i v a n o p e r il rito egiziano. S t a n d o alle cron a c h e del t e m p o , il C o n t e fu a m m e s s o a u n a sola s e d u t a massonica, il 15 s e t t e m b r e 1789 a Villa Malta. In quell'occasione fece degli e s p e r i m e n t i magici che s b a l o r d i r o n o i p r e senti, p r e v e d e n d o con un anticipo di tre settimane le dimostrazioni di Versailles c o n t r o Luigi XVI. N o n s a p p i a m o se fu la sua p r e s e n z a a Villa Malta a insospettire le a u t o r i t à pontificie o se i n t e r v e n n e r o altre circostanze. Sta di fatto che il Sant'Uffizio gli mise alle calcagna i p r o p r i segugi, i quali c o m i n c i a r o n o ad a n n o t a r e o g n i suo s p o s t a m e n t o . N o n s a p p i a m o n e p p u r e s e egli s i r e n d e s s e conto dei pericoli che correva. C o m e tutti i furbi t r o p p o furbi, Alessandro e r a talvolta d ' u n ' i n g e n u i t à d i s a r m a n t e . N o n s'accorse, o finse di n o n accorgersi, che persino L o r e n z a tramava contro di lui, sobillata da un m o n a c o , il quale riuscì a 799
farle confessare le attività m a g i c h e del m a r i t o , p r o m e t t e n dole in cambio il Paradiso. Forse queste attività furono solo un p r e t e s t o p e r la c a t t u r a di Cagliostro. La causa vera a n d r e b b e ricercata nei reiterati tentativi del G r a n Cofto di fond a r e nell'Urbe u n a loggia massonica di rito egiziano, in cui la Chiesa vedeva u n a grave minaccia alla Fede e a l l ' o r d i n e costituito. Il 27 d i c e m b r e 1789 Alessandro fu t r a d o t t o nella fortezza di Castel Sant'Angelo. Il Sant'Uffizio o r d i n ò l'immediata istruzione del processo, che d u r ò diciotto mesi. L'imputato c o m p a r v e q u a r a n t a t r e volte davanti ai giudici che lo sottop o s e r o a e s t e n u a n t i i n t e r r o g a t o r i , d u r a n t e i quali Alessand r o si p r o c l a m ò o r a i n n o c e n t e , o r a colpevole, o r a di n u o v o i n n o c e n t e . In u n a feroce requisitoria il pubblico m i n i s t e r o l'accusò d'aver n e g a t o «la m a e s t à e la perfezione di Dio, la divinità di Gesù Cristo, la sua m o r t e , la g r a n d e o p e r a della r e d e n z i o n e , la verginità di Maria, l'efficacia dei sacramenti, l'adorazione dei santi, l'esistenza del p u r g a t o r i o , la dignità della gerarchia ecclesiastica». Il m a g o tentò d i s p e r a t a m e n t e di scagionarsi, ma i giudici, che lo volevano a tutti i costi colpevole, n o n p r e s t a r o n o o r e c c h i o alle sue a r r i n g h e , e il 21 m a r z o lo c o n d a n n a r o n o a m o r t e . Per intercessione del Papa, la p e n a capitale gli fu c o m m u t a t a in quella dell'ergastolo da scontare nella fortezza pontificia di San Leo, nel d u c a t o d ' U r b i n o . L'imputato ascoltò la sentenza in ginocchio, i piedi e i polsi incatenati, il capo velato di n e r o . Successivamente, in veste di p e n i t e n t e , a piedi scalzi e con un cero in m a n o , assiste al p u b b l i c o r o g o delle s u e c a r t e , dei suoi strum e n t i magici, dei suoi emblemi massonici. Nell'aprile, debit a m e n t e scortato, p a r t ì p e r San L e o . A d o r s o di m u l o raggiunse la fortezza, dove fu provvisoriamente rinchiuso nella cella del tesoro p e r passare poi in quella famigerata del pozzetto, che si p u ò ancora visitare: u n o stambugio di tre m e t r i p e r tre e mezzo, u m i d o , m a l e o d o r a n t e , infestato da topi, cimici e pidocchi, in cui ci si calava attraverso u n a botola scavata nel soffitto. U n a finestrella di t r e n t a centimetri p e r set800
tanta, p r o t e t t a da u n a massiccia inferriata, e r a l'unico spiraglio sul m o n d o esterno. N o n p o t e v a c o m u n i c a r e con nessuno e quest'isolamento lo p i o m b a v a nella più c u p a disperazione. Per a m m a z z a r e il t e m p o imbrattava le pareti di simboli magici e di autoritratti, u s a n d o le festuche del pagliericcio c o m e pennelli e l'urina mescolata a r u g g i n e c o m e colore. Q u e s t o calvario d u r ò quasi q u a t t r o a n n i e mezzo. Gli ultimi mesi furono i più terribili p e r c h é il d e t e n u t o , o r m a i c o m p l e t a m e n t e privo di senn o , u r l a v a g i o r n o e n o t t e , si copriva di m o r s i e graffi, picchiava la testa c o n t r o il m u r o , si flagellava. Il 26 agosto 1795 finalmente un attacco a p o p l e t t i c o lo liberò da t a n t e soffer e n z e . Il suo cadavere v e n n e adagiato su un'asse di legno e sepolto in t e r r a sconsacrata. La notizia della m o r t e si diffuse in un baleno p e r tutt'Eur o p a e la figura del m a g o t o r n ò alla ribalta. La l e g g e n d a se n ' i m p a d r o n ì . Apologeti e d e n i g r a t o r i se la contesero. Venerata dagli u n i , esecrata dagli altri, fu consegnata ai posteri, c h e a n c o r a si d o m a n d a n o : chi fu Cagliostro? Un profeta o un ciarlatano, un m a r t i r e o un furfante?
farle confessare le attività m a g i c h e del m a r i t o , p r o m e t t e n dole in cambio il Paradiso. Forse queste attività furono solo un p r e t e s t o p e r la c a t t u r a di Cagliostro. La causa v e r a and r e b b e ricercata nei reiterati tentativi del G r a n Cofto di fond a r e nell'Urbe u n a loggia massonica di rito egiziano, in cui la Chiesa vedeva u n a grave minaccia alla Fede e all'ordine costituito. Il 27 d i c e m b r e 1789 Alessandro fu t r a d o t t o nella fortezza di Castel Sant'Angelo. Il Sant'Uffizio o r d i n ò l'immediata istruzione del processo, che d u r ò diciotto mesi. L'imputato c o m p a r v e q u a r a n t a t r e volte davanti ai giudici che lo sottop o s e r o a e s t e n u a n t i i n t e r r o g a t o r i , d u r a n t e i quali Alessand r o si p r o c l a m ò o r a i n n o c e n t e , o r a colpevole, o r a di n u o v o i n n o c e n t e . In u n a feroce requisitoria il pubblico m i n i s t e r o l'accusò d'aver n e g a t o «la maestà e la perfezione di Dio, la divinità di Gesù Cristo, la sua m o r t e , la g r a n d e o p e r a della r e d e n z i o n e , la verginità di Maria, l'efficacia dei sacramenti, l'adorazione dei santi, l'esistenza del p u r g a t o r i o , la dignità della gerarchia ecclesiastica». Il m a g o tentò d i s p e r a t a m e n t e di scagionarsi, ma i giudici, che lo volevano a tutti i costi colpevole, n o n p r e s t a r o n o orecchio alle sue a r r i n g h e , e il 21 m a r z o lo c o n d a n n a r o n o a m o r t e . Per intercessione del Papa, la p e n a capitale gli fu c o m m u t a t a in quella dell'ergastolo da scontare nella fortezza pontificia di San Leo, nel ducato d ' U r b i n o . L'imputato ascoltò la sentenza in ginocchio, i piedi e i polsi incatenati, il capo velato di n e r o . Successivamente, in veste di p e n i t e n t e , a piedi scalzi e con un cero in man o , assistè al p u b b l i c o r o g o delle s u e c a r t e , dei suoi s t r u m e n t i magici, dei suoi emblemi massonici. Nell'aprile, debit a m e n t e scortato, p a r t ì p e r San Leo. A d o r s o di m u l o r a g giunse la fortezza, dove fu provvisoriamente rinchiuso nella cella del tesoro p e r passare poi in quella famigerata del pozzetto, che si p u ò ancora visitare: u n o stambugio di tre metri p e r tre e mezzo, u m i d o , m a l e o d o r a n t e , infestato da topi, cimici e pidocchi, in cui ci si calava attraverso u n a botola scavata nel soffitto. U n a finestrella di trenta centimetri p e r set800
tanta, protetta da u n a massiccia inferriata, era l'unico spiraglio sul m o n d o esterno. N o n poteva c o m u n i c a r e con n e s s u n o e quest'isolamento lo p i o m b a v a nella più c u p a disperazione. Per a m m a z z a r e il t e m p o imbrattava le pareti di simboli magici e di autoritratti, u s a n d o le festuche del pagliericcio c o m e pennelli e l'urina mescolata a r u g g i n e c o m e colore. Q u e s t o calvario d u r ò quasi q u a t t r o a n n i e mezzo. Gli ultimi mesi furono i più terribili p e r c h é il d e t e n u t o , o r m a i c o m p l e t a m e n t e privo di senn o , u r l a v a g i o r n o e n o t t e , si copriva di m o r s i e graffi, picchiava la testa c o n t r o il m u r o , si flagellava. Il 26 agosto 1795 finalmente un attacco a p o p l e t t i c o lo liberò da t a n t e sofferenze. Il suo cadavere v e n n e adagiato su un'asse di legno e sepolto in t e r r a sconsacrata. La notizia della m o r t e si diffuse in un b a l e n o p e r tutt'Eur o p a e la figura del m a g o t o r n ò alla ribalta. La l e g g e n d a se n ' i m p a d r o n ì . Apologeti e d e n i g r a t o r i se la contesero. Venerata dagli u n i , esecrata dagli altri, fu consegnata ai posteri, che a n c o r a si d o m a n d a n o : chi fu Cagliostro? Un profeta o un ciarlatano, un m a r t i r e o un furfante?
CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO
CASANOVA
N e l 1786 uscì un feroce pamphlet c o n t r o gli a v v e n t u r i e r i , Soliloquio d'un pensatore, firmato da un n o t o a v v e n t u r i e r o , Giacomo Casanova. Il libello p r e n d e v a di m i r a s o p r a t t u t t o C a g l i o s t r o , c h e l ' a u t o r e p r e s e n t a v a c o m e u n v o l g a r e furfante, un rozzo v e n d i t o r e di fumo, un m a g o n z o l o da quattro soldi. Casanova e Cagliostro s'erano conosciuti p e r caso molti a n n i p r i m a ad Aix-en-Provence. E r a stato un i n c o n t r o freddo e fugace. Cagliostro e r a allora all'inizio della c a r r i e r a , m e n t r e C a s a n o v a n e e r a all'apice. F u quella l'unica volta che si videro. Come mai n o n simpatizzarono? Tutt'e due m a s s o n i , t u t t ' e d u e a p p a s s i o n a t i d i scienze occulte, t u t t ' e d u e affetti d a u n a specie d i delirio peripatetico, t u t t ' e d u e italiani e, s o p r a t t u t t o , tutt'e d u e imbroglioni, forse si somigliavano t r o p p o p e r n o n p r o v a r e u n a reciproca, invincibile diffidenza. I n c o m u n e a v e v a n o a n c h e l e origini. C a s a n o v a , c o m e Balsamo, veniva da u n ' u m i l e famiglia. Era n a t o a Venezia il 2 aprile 1725 da u n ' a t t r i c e t t a , Zanetta Farussi, figlia d ' u n calzolaio. S t a n d o all'anagrafe, il p a d r e e r a un c e r t o Gaetan o , di professione attore; stando alle malelingue, era un n o bile, Michele Grimani. I genitori, n o n p o t e n d o accudirlo, l'affidarono alla n o n na m a t e r n a che a nove a n n i lo m a n d ò a s t u d i a r e a Padova c o n l'abate Gozzi, sotto la cui g u i d a G i a c o m o i m p a r ò n o n solo a leggere e scrivere, ma anche a s u o n a r e il violino. U n a notte, m e n t r e dormiva, la sorella dell'abate, Bettina, sgusciò f u r t i v a m e n t e nella sua c a m e r a e si infilò nel suo letto, sve802
gliandolo di soprassalto. Giacomo fu g r a d e v o l m e n t e s o r p r e so da quella visita, cui p u n t u a l m e n t e a l t r e s e g u i r o n o . Più tardi confesserà che in quei convegni, p e r q u a n t i sforzi facesse, n o n riuscì a p e r d e r e la p r o p r i a i n n o c e n z a . B e t t i n a n o n volle infatti mai concederglisi del t u t t o , l i m i t a n d o s i a tenerlo in u n o stato di costante eccitazione. T e r m i n a t i i corsi a P a d o v a , si c o n g e d ò d a l l ' a b a t e e da Bettina e t o r n ò a Venezia. N o n a v e n d o il becco d ' u n quattrino, decise d'abbracciare la c a r r i e r a ecclesiastica, la più com o d a , a quei tempi, p e r chi voleva sbarcare il l u n a r i o senza fatica. Nel febbraio 1740 ricevette la t o n s u r a e il titolo d'abate; u n d i c i mesi d o p o , i q u a t t r o o r d i n i m i n o r i . Invitato a t e n e r e il suo p r i m o s e r m o n e in San Samuele, si p r e s e n t ò sul pulpito ubriaco fradicio, farfugliando e strabuzzando gli occhi. Q u a l c u n o g r i d ò allo scandalo e G i a c o m o n o n trovò di meglio che svenire. Fu subito calato dal p e r g a m o e trasportato in sacrestia, di d o v e , a p p e n a r i p r e s a conoscenza, se la svignò. Un altro, al suo posto, avrebbe forse b u t t a t o la tonaca alle ortiche. Casanova invece la t e n n e a n c o r a t r e a n n i , comp o r t a n d o s i c o m e se n o n l'avesse mai indossata. N o n la trovava affatto i n c o m p a t i b i l e c o n la vita s p e n s i e r a t a e bisbocciona che o r a conduceva grazie alle sovvenzioni del senatore Malipiero, un vecchio scapolo, ricco e g a u d e n t e , che l'aveva p r e s o a benvolere. Il patrizio teneva m e n s a i m b a n d i t a nel suo s p l e n d i d o palazzo sul C a n a l g r a n d e e d a v a feste da «Mille e u n a notte», alle quali G i a c o m o n o n m a n c a v a mai, conteso dalle più belle d a m e veneziane, conquistate dal suo straordinario fascino. E r a quello c h e oggi si d i r e b b e un fusto: alto quasi d u e metri, spalle q u a d r a t e , vita sottile, fronte un p o ' sfuggente, naso a d u n c o , labbra c a r n o s e , occhi vivi e scrutatori, incarn a t o olivastro. N o n o s t a n t e la mole, si m u o v e v a con grazia, ostentava u n a g r a n sicurezza, ispirava confidenza e simpatia. E r a un c o n v e r s a t o r e brillante, a r g u t o e g a r b a t o . I suoi inchini e i suoi baciamano e r a n o perfetti, i suoi c o m p l i m e n 803
ti mai gratuiti e banali. Sapeva leggere nel c u o r e della d o n na e i n t e r p r e t a r e o g n i suo più piccolo desiderio. Per a p p a garlo n o n badava a spese e a debiti. La colmava di fiori, p r o fumi, gioielli, abiti. «Non esiste - diceva - d o n n a onesta dal c u o r e incorrotto che un u o m o n o n sia sicuro di conquistare assicurandosene la g r a t i t u d i n e . E u n o dei mezzi più certi e p i ù r a p i d i . Un u o m o c h e d i c h i a r a il s u o a m o r e a p a r o l e è u n o sciocco. L'unico m o d o di farlo è con le p r o p r i e attenzioni». Ecco il segreto delle sue conquiste. A diciassette a n n i p e r s e la p r o p r i a verginità, s e d u c e n d o c o n t e m p o r a n e a m e n t e d u e sorelle, N a n e t t e e M a r t o n . «Nella mia l u n g a c a r r i e r a di libertino - scrisse nelle Memorie, rievocando l'eccezionale i m p r e s a - d u r a n t e la quale la mia invincibile inclinazione p e r il bel sesso m ' h a insegnato a usare tutti i mezzi di seduzione, ho fatto g i r a r e la testa a qualche centinaio di d o n n e . La chiave del mio successo è d o v u t a al fatto che n o n ho mai attaccato le novizie, quelle i cui princìpi morali o pregiudizi e r a n o un ostacolo alla riuscita, se n o n insieme con u n ' a l t r a d o n n a . H o capito b e n p r e s t o che u n a ragazza si lascia difficilmente s e d u r r e p e r m a n c a n z a di coraggio, m e n t r e , q u a n d o si trova con un'amica, s'arrende con abbastanza facilità: le debolezze dell'una causano la cad u t a dell'altra». Se di n o t t e sacrificava a Venere, di g i o r n o si consacrava alle Muse. N o n c'era r a m o dello scibile che n o n l'appassionasse: dalla letteratura alla filosofia, dalla storia alla botanica, dalle scienze occulte a quelle esatte. E r a un insaziabile divoratore d i libri, u n i n s o n n e grafomane, u n o sperimentatore accanito di f o r m u l e magiche, un viaggiatore curioso e instancabile. A diciassette a n n i visitò Corfù e Costantinopoli, al seguito d ' u n certo G i a c o m o da Riva. T o r n a t o a Venezia, e n t r ò nel seminario di San Cipriano, ma vi rimase solo d u e settimane. In seguito alle pressioni della m a d r e , che lo voleva a tutti i costi p r e t e , si fece a s s u m e r e dal vescovo di M a r t i r a n o . Ma la vita ecclesiastica l ' a n n o i a v a a m o r t e . Un bel g i o r n o piantò in asso il vescovo e se n ' a n d ò a Napoli, do804
ve c o n o b b e i m p o r t a n t i p e r s o n a g g i e fece s t r a g e di c u o r i femminili. Il m a r c h e s e Galiani, fratello del celebre abate, gli d i e d e u n a lettera di p r e s e n t a z i o n e p e r il cardinale r o m a n o Acquaviva, di cui, poco d o p o , e n t r ò al servizio. Ma u n a facc e n d a di c o r n a l'obbligò a lasciare p r e c i p i t o s a m e n t e l'Urbe e a r i p a r a r e a Costantinopoli. Al principio del 1746 r i m p a t r i ò senza u n a lira in saccoccia e con u n a g r a n voglia di divertirsi. Per un certo t e m p o si g u a d a g n ò da vivere s u o n a n d o il violino al t e a t r o San Sam u e l e . U n a sera, rincasando d o p o u n concerto, vide u n tale p e r d e r e p e r strada u n a lettera. Si precipitò a raccoglierla e a restituirgliela. L'altro, che risultò poi essere l'ex inquisitore Matteo B r a g a d i n , p e r sdebitarsi, gli offrì un passaggio in g o n d o l a . D u r a n t e il tragitto, il patrizio fu colpito da un infarto e s a r e b b e c e r t a m e n t e m o r t o se C a s a n o v a , c o n g r a n p r e s e n z a d i spirito, n o n avesse o r d i n a t o u n i m m e d i a t o salasso. In segno di g r a t i t u d i n e , B r a g a d i n a d o t t ò il suo salvat o r e c o m e figlio, assicurandogli u n o s t i p e n d i o di dieci zecchini. G i a c o m o si d i e d e alla p a z z a gioia: feste, viaggi, gioco e s o p r a t t u t t o d o n n e . Fu in questi a n n i che si g u a d a g n ò la fama d ' i m p e n i t e n t e d o n g i o v a n n i e d'irresistibile play-boy. Nella sua alcova s'avvicendavano g r a n d i d a m e e semplici p o p o l a n e . Gli p i a c e v a n o t u t t e , e a t u t t e egli piaceva. Ma le s u e cotte d u r a v a n o l o spazio d ' u n m a t t i n o , anzi d ' u n a n o t t e . Unica eccezione, quella p e r u n a certa H e n r i e t t e , che d u r ò a d d i r i t t u r a alcuni mesi. Il suo a p p r o d o n o n poteva essere che Parigi, dove si tratt e n n e un a n n o , ricevuto nei salotti e a corte, conteso e coccolato dalle più belle d o n n e della Capitale. La celebre attrice Silvia Balletti gli spalancò le p o r t e del m o n d o teatrale e l e t t e r a r i o e lo p r e s e n t ò agli u o m i n i più in vista di Francia. Fece la c o n o s c e n z a di C r é b i l l o n , D ' A l e m b e r t , F o n t e n e l l e , Voisenon. F r e q u e n t ò la famosa scuola di d a n z a di Marcel, d o v e si perfezionò nel m i n u e t t o , ballo allora assai in voga. T r a d u s s e in italiano la c o m m e d i a di Cahusac Zoroastro e di805
v e n t ò un a s s i d u o f r e q u e n t a t o r e della Comédie francane. A Fontainebleau ebbe l'onore d'assistere al pasto serale del Re e della Regina e restò stupefatto s e n t e n d o la sovrana chied e r e se quello c h e stava m a n g i a n d o e r a pollo in fricassea, piatto da poco i m p o r t a t o oltralpe dall'Italia. In n e s s u n ' a l t r a città s'era t r o v a t o così b e n e , s'era t a n t o d i v e r t i t o , aveva fatto t a n t e amicizie e m i e t u t o tanti allori femminili. Al confronto Vienna, dove si trasferì la p r i m a v e ra successiva, dovette sembrargli u n a t r a p p a . La città pullulava di commissari di castità, istituiti dalla bigotta Maria Teresa p e r vigilare sulla moralità pubblica e d e n u n c i a r e i concubini. Ma n e m m e n o questo gl'impedì di fare collezione di trofei m u l i e b r i . Fra u n ' a v v e n t u r a e l'altra, vinse e p e r s e al gioco forti s o m m e di d e n a r o , conobbe il p o e t a di corte Metastasio col q u a l e e b b e un l u n g h i s s i m o colloquio e strinse amicizia con molti u o m i n i di cultura. Il 29 maggio 1753, dopo tre a n n i d'assenza, fece r i t o r n o a Venezia. Si mise a s p e n d e r e a piene mani, a d a r e feste sontuose, a reclutare n u o v e a m a n t i . C o n c u p ì p e r s i n o u n a giovane m o naca, Caterina Capretta, con la complicità d ' u n a c o m p a g n a di cella, Maria Maddalena, amica della novizia e a m a n t e dell'ambasciatore francese de Bernis, un libertino scettico e raffinato, g r a n d e impresario di «balletti verdi». I convegni a m o rosi che si svolgevano nella sua gargonnière e r a n o oggetto di c o m m e n t i maligni e di piccanti pettegolezzi. I festini cominciavano con u n a cena luculliana e culminavano in vere e p r o prie orge collettive, che il p a d r o n e di casa dirigeva con grand e maestria d a dietro u n p a r a v e n t o m u n i t o d'oblò. Qualche volta anche l'anfitrione si buttava nella mischia, e allora Giacomo ne p r e n d e v a il posto di regista e di g u a r d o n e . Nella Venezia del Settecento queste quadriglie e r a n o all'ordine del giorno e n o n scandalizzavano n e s s u n o . N o n fu q u i n d i p e r avervi p r e s o p a r t e che Casanova c a d d e nelle maglie dell'Inquisizione. Q u a l i f u r o n o allora i motivi del suo improvviso a r r e s t o ? I n u n a serie d i r a p p o r t i confidenziali r i n v e n u t i negli archivi della Serenissima, G i a c o m o viene 806
p r e s e n t a t o c o m e u n parassita, u n c o r r u t t o r e d i m i n o r e n n i , u n m i l l a n t a t o r e , u n b a r o , u n b e s t e m m i a t o r e . Nel r e g i s t r o del segretario dell'Inquisizione, in d a t a 21 agosto 1755, si parla di «gravi offese commesse da Casanova soprattutto alla nostra santa religione». Tutti questi reati l'avevano certam e n t e reso inviso all'Inquisizione, ma la vera causa del suo a r r e s t o fu la corte t r o p p o assidua fatta a l l ' a m a n t e di A n t o nio C o n d u l m e r , u n o dei tre inquisitori, che gli costò cinque anni di carcere ai Piombi. Chi metteva p i e d e in queste famigerate galere r a r a m e n te ne usciva vivo. La volta delle celle era così bassa che il d e t e n u t o n o n poteva stare d r i t t o . U n l u r i d o pagliericcio, r o sicchiato dai topi e invaso dalle cimici, era, col tradizionale bugliolo e u n a s g a n g h e r a t a seggiola, l'unica suppellettile. A p p e n a vi fu rinchiuso, Giacomo cominciò a m e d i t a r e la fuga: «Ho s e m p r e p e n s a t o - scriverà più tardi - che q u a n d o un u o m o si ficca in c a p o di riuscire in q u a l c h e p r o g e t t o e n o n s'occupa d'altro che di questo, deve aver successo malg r a d o o g n i difficoltà; q u e s t ' u o m o d i v e n t e r à g r a n visir, papa, b u t t e r à all'aria la m o n a r c h i a , p u r c h é si dia da fare p e r t e m p o , abbia il coraggio e la costanza necessari». La sua r o cambolesca evasione, p r e p a r a t a con la meticolosità d ' u n certosino, dimostrò ch'egli possedeva questa e quello. E rieccolo a Parigi. Per p r i m a cosa a n d ò a trovare il vecchio amico e c o m p a g n o di crapula de Bernis che, grazie alla protezione della P o m p a d o u r , aveva fatto u n a g r a n carriera, e r a d i v e n t a t o u n o degli u o m i n i p i ù p o t e n t i di F r a n c i a e aspettava da un m o m e n t o all'altro la n o m i n a a ministro degli esteri. De B e r n i s accolse G i a c o m o con g r a n d i feste, lo p r e s e n t ò c o m e u n e s p e r t o d i q u e s t i o n i finanziarie a l cont r o l l o r e g e n e r a l e de B o u l o g n e , che gli fece c o n o s c e r e Paris-Duverney, u n o dei fondatori della Scuola militare. Costui era alla ricerca disperata di cento milioni p e r la scuola, ma n o n osava chiederli al Re. Casanova gli confidò d'avere u n p i a n o p e r r a c i m o l a r e l a s o m m a senza r i c o r r e r e all'erario, che avrebbe d o v u t o coprire solo le spese di riscossione. 807
Il p r o g e t t o consisteva in u n a lotteria. Il g o v e r n o l ' a p p r o v ò subito, n o m i n ò Giacomo esattore e gli assegnò sei botteghini. Egli se ne t e n n e u n o e mise in vendita gli altri cinque p e r diecimila franchi. Fra le m o l t e c o n o s c e n z e fatte in q u e s t o p e r i o d o , la p i ù singolare fu quella con la m a r c h e s a d ' U r f é , u n a d o n n a ing e n u a , b i z z a r r a e ricchissima, c h e aveva il p a l l i n o delle scienze occulte. C a s a n o v a e n t r ò nelle sue grazie e nei suoi scrigni d e c i f r a n d o un m a n o s c r i t t o , di cui la m a r c h e s a cred e v a d'essere la sola a p o s s e d e r e la chiave. Il v e n e z i a n o le d i e d e a n c h e lezioni d'alchimia, le svelò segreti magici e le p r o m i s e p e r s i n o di farla d i v e n t a r e u o m o . Ecco in c h e m o d o : «Io Casanova mi sarei incaricato di cercare u n a vergine in un luogo che gli spiriti m ' a v r e b b e r o indicato, l'avrei resa p r e g n a d ' u n b a m b i n o m a s c h i o i n u n m o d o n o t o solo alla c o n f r a t e r n i t a d e i Rosacroce. I l b a m b i n o , n a t o vivo, n o n avrebbe avuto u n ' a n i m a dalla n a t u r a . I m m e d i a t a m e n t e d o po la sua nascita, sarebbe stato p r e s e n t a t o a m a d a m a d'Urfé e questa l'avrebbe nascosto p e r sette giorni nel suo letto. Alla fine della settimana, m a d a m a sarebbe m o r t a con le p r o p r i e l a b b r a appiccicate a quelle del b a m b i n o , c h e a v r e b b e così ricevuto l ' a n i m a sua. Da q u e l m o m e n t o s a r e b b e stato mio obbligo vegliare sul b a m b i n o in collaborazione con un capo segreto dell'ordine. A p p e n a mio figlio avesse r a g g i u n to l'età di tre anni, m a d a m a d'Urfé sarebbe resuscitata». Nat u r a l m e n t e l ' o p e r a z i o n e n o n riuscì, m a nelle m o r e dell'es p e r i m e n t o C a s a n o v a spillò alla m a r c h e s a p a r e c c h i e migliaia di franchi. I l s e c o n d o s o g g i o r n o p a r i g i n o d u r ò c o n varie i n t e r r u zioni cinque a n n i , d u r a n t e i quali Giacomo c o m p ì p e r conto del g o v e r n o francese varie missioni, n o n s e m p r e chiare. Nel 1763 si trasferì a L o n d r a p e r organizzarvi u n a lotteria, sul m o d e l l o di quella p a r i g i n a , ma il p r o g e t t o a n d ò in fum o . Nella capitale inglese e b b e n u m e r o s e a v v e n t u r e , n o n t u t t e a lieto fine. La più disgraziata fu quella con u n a p r o stituta, figlia e n i p o t e di p r o s t i t u t e , M a r i a n n a C h a r p i l l o n , 808
che n o n solo gli carpì un m u c c h i o di quattrini, ma lo tradì con un barbiere. Il g r a n d e seduttore si comportò in quest'occasione c o m e tutti g l ' i n n a m o r a t i c o r n u t i : p r i m a fece u n a scenata, p o i p e r d o n ò e infine, siccome la d o n n a seguitava a t r a d i r l o senza r i t e g n o , decise d'uccidersi g e t t a n d o s i n e l T a m i g i , m a a l l ' u l t i m o m o m e n t o s e n e fece d i s s u a d e r e d a u n amico. Rimasto c o m p l e t a m e n t e al v e r d e , cercò di rifarsi al tavolo da gioco. Ma la f o r t u n a gli arrise solo a metà. Vinse 520 g h i n e e a un certo b a r o n e Stenau, che lo p a g ò con un asseg n o falso e gli p r o c u r ò un m a r e di guai. Per colmo di svent u r a , si b u s c ò a n c h e u n ' i n f e z i o n e v e n e r e a d a l l ' a m a n t e del b a r o n e di cui, fra u n a p u n t a t a e l'altra, aveva g o d u t o i favori. Disperato, decise di cambiar aria e t o r n a r s e n e sul Contin e n t e . A Berlino ebbe l ' o n o r e d'essere ricevuto dal g r a n d e Federico, a Mittau i n c o n t r ò il cancelliere Kaiserling, a Piet r o b u r g o , dove passò nove mesi, fece amicizia col fior fiore dell'intellighenzia e del gotha locali, a Varsavia fu p r e s e n t a t o al sovrano Stanislao Poniatowski. R a r a m e n t e egli si fermava in un Paese o in u n a città più di qualche mese. La sua fama di b a r o e di spia l'obbligava a soggiorni brevi. I governi n o n lo v e d e v a n o di b u o n occhio; le polizie di t u t t ' E u r o p a lo sorvegliavano. Fu assalito dalla nostalgia di Venezia. Ma c o m e tornarci? In incognito? L'av r e b b e r o facilmente riconosciuto. I n v o c a n d o u n ' a m n i s t i a ? Dati i p r e c e d e n t i , gliel'avrebbero c e r t a m e n t e n e g a t a . Si ric o r d ò allora d'aver letto r e c e n t e m e n t e u n a Storia della Serenissima p i e n a d'insulti e di calunnie c o n t r o la sua città. Se ne p r o c u r ò u n a copia e la confutò in t r e v o l u m i , c h e fece s t a m p a r e a L u g a n o . L'edizione a n d ò letteralmente a ruba. I r e g g i t o r i della R e p u b b l i c a la lessero, la l o d a r o n o , ma n o n m o s s e r o un dito in favore d e l l ' a u t o r e , il q u a l e d o v e t t e paz i e n t a r e a n c o r a c i n q u e a n n i , v a g a b o n d a n d o in l u n g o e in largo p e r l'Italia. A Livorno t e n t ò invano d ' a r r u o l a r s i nella flotta russa che aveva gettato le a n c o r e in quel p o r t o , a Napoli i n c o n t r ò la vecchia a m a n t e Lucrezia e la figlia che ave809
va avuto da costei, Leonilda. II marito della giovane, un n o bilotto locale, mosso a compassione dalla sua indigenza, gli restituì i c i n q u e m i l a d u c a t i di d o t e c h e , n o v e a n n i p r i m a , egli aveva dato alla figlia. Da Napoli passò a R o m a , poi a Firenze, da dove fu espulso p e r cattiva c o n d o t t a . Riparò a Bologna e vi rimase n o v e mesi, d i v i d e n d o s i i m p a r z i a l m e n t e fra biblioteche e alcove. In questa città scrisse un pamphlet sull'influenza esercitata dagli o r g a n i sessuali sul c a r a t t e r e femminile, che gli fruttò cento zecchini. A Trieste si g u a d a g n ò da vivere scrivendo su o r d i n a z i o n e poesie encomiastiche e facendo piccoli favori al g o v e r n a t o r e asburgico e al console veneziano. Riusci a otten e r e dalle a u t o r i t à austriache che il postale Trieste-Venezia fermasse a n c h e a U d i n e e a p e r s u a d e r e certi m o n a c i a r m e ni, che avevano a b b a n d o n a t o la Serenissima, a farvi r i t o r n o . F i n a l m e n t e g i u n s e il t a n t o sospirato lasciapassare e, d o p o diciotto a n n i , p o t è r i m e t t e r p i e d e in patria. Gli amici l'accolsero con g r a n d i feste, le signore fecero a g a r a p e r concedergli le loro grazie, i vecchi p r o t e t t o r i Barb a r o e D a n d o l o gli assicurarono un piccolo sussidio mensile di dodici zecchini. Per a r r o t o n d a r l o , Giacomo si a r r u o l ò come spia al servizio d e l l ' I n q u i s i z i o n e , di cui in p a s s a t o e r a stato vittima egli stesso, e a testimonianza di questa sua attività r i m a n g o n o , conservate negli archivi veneziani, u n a cinq u a n t i n a di relazioni, cioè di delazioni. N e l 1779 c o n o b b e u n a m o d e s t a s a r t i n a , Francesca Buschini, che viveva c o n la m a d r e e un fratello. Se n'invaghì, affittò u n a casetta in B a r b a r i a delle Tole e vi si istallò c o n l'intera famigliola. Francesca e r a u n a ragazza sana, semplice, remissiva, senza grilli p e r la testa, altruista e devota. A lei siamo debitori di tutte le notizie sull'ultimo soggiorno veneziano di Casanova, racchiuse in t r e n t a d u e lettere, che Francesca scrisse all'amante d u r a n t e i nove a n n i della loro relazione. N o v e a n n i grigi, tribolati, a m a r e g g i a t i dai creditori, scanditi dall'accidiosa routine di u n a vita p i a t t a e p a n t o f o laia. 810
A spezzarla b r u s c a m e n t e fu l'uscita d ' u n a violenta satira, Ne amori né donne (un titolo c h ' e r a tutto un p r o g r a m m a ) , in cui Casanova dimostrava che il p o t e n t e Carlo G r i m a n i era, c o m e lui, figlio b a s t a r d o del patrizio Michele. Il libello scat e n ò un putiferio. L'autore, m e m o r e delle esperienze passate, fece in fretta e furia fagotto e a b b a n d o n ò Venezia. N o n l'avrebbe mai p i ù rivista. Per d u e a n n i r a m i n g ò p e r l ' E u r o p a , vivendo d i sovvenzioni d'amici e d'impieghi saltuari. A Vienna, l'ambasciatore v e n e z i a n o Sebastiano Foscarini l'assunse c o m e s e g r e t a r i o . Nel febbraio 1784, in casa del diplomatico, conobbe il conte G i u s e p p e Carlo di Waldstein, d i s c e n d e n t e del g r a n d e Wallenstein, accanito giocatore d'azzardo e ancora più accanito cultore di magia. G i u s e p p e e Giacomo simpatizzarono subito, e q u a n d o il C o n t e gli offrì il posto di bibliotecario nel suo castello b o e m o d i D u x , c o n u n o s t i p e n d i o a n n u o d i mille fiorini, Casanova n o n se lo fece r i p e t e r e . A Dux, Giacomo passò gli ultimi tredici a n n i della sua vita, isolato dal m o n d o , senza d o n n e e senza amici, l e g g e n d o e scrivendo dalla mattina alla sera, snobbato dal C o n t e , che q u a n d o aveva ospiti di r i g u a r d o lo confinava in cucina coi servi. Il p r i n c i p e di L i g n e , zio di Waldstein, ci ha lasciato u n o s p l e n d i d o ritratto d i Casanova d u r a n t e questo p e r i o d o : «Non c'era giorno in cui il veneziano n o n brontolasse o p e r il caffè o p e r il latte o p e r il p i a t t o di m a c c h e r o n i , che p r e t e n d e v a ad o g n i pasto. Il cuoco n o n gli aveva p r e p a r a t o la polenta, lo stalliere gli aveva dato un cattivo vetturino q u a n do voleva v e n i r m i a t r o v a r e , i cani a v e v a n o abbaiato nella notte, ospiti inattesi l'avevano costretto a m a n g i a r e a un tavolo separato, un c o r n o da caccia aveva offeso i suoi timpani con delle dissonanze. Il p a r r o c o l'aveva fatto a r r a b b i a r e p e r c h é voleva convertirlo. Il conte n o n gli aveva detto bong i o r n o p e r p r i m o . L a m i n e s t r a gli e r a stata servita t r o p p o calda p e r dispetto. Un servo l'aveva fatto aspettare p r i m a di portargli u n a b e v a n d a . N o n e r a stato p r e s e n t a t o a un celeb r e visitatore c h e voleva v e d e r e la lancia con la q u a l e e r a 811
stato assassinato il g r a n d e Wallenstein. Il conte aveva d a t o in prestito un libro senz'avvertirlo. Un servo n o n s'era tolto il cappello passandogli davanti. Q u a n d o parlava in tedesco n e s s u n o l'aveva capito, s'era a r r a b b i a t o e q u a l c u n o s'era messo a r i d e r e . E n t r a n d o in u n a stanza aveva fatto la riverenza che gli era stata insegnata sessanta a n n i p r i m a dal celebre m a e s t r o di d a n z a Marcel e q u a l c u n o s'era b u r l a t o di lui. Ballando il m i n u e t t o aveva fatto un passo che aveva suscitato l'ilarità g e n e r a l e . S'era messo in abito di gala con la sua p e n n a bianca, il suo vestito di seta t r a p u n t o d'oro, il suo gilè di velluto n e r o , i suoi lacci forniti di fibbie di cristallo di rocca e le sue calze, e q u a l c u n o aveva riso». L'uomo che aveva deliziato il m o n d o con la sua scintillante e inesauribile conversazione, c h ' e r a stato ricevuto da re e r e g i n e , che aveva avuto ai piedi le p i ù belle d o n n e del suo t e m p o , che aveva fatto p a r l a r e di sé tutta l'Europa, s'era trasformato in un vecchio orso, scontroso, m i s a n t r o p o e ipoc o n d r i a c o , p i e n o d ' u b b i e , d'acciacchi e di m a n i e , c h e s'adombrava per un nonnulla e per un nonnulla prendeva cappello. La sua belle epoque era d u r a t a mezzo secolo. Poi, il l e n t o , triste, inesorabile t r a m o n t o , riscaldato dai r i c o r d i e a d u g g i a t o dai rimpianti. Q u a n d o , il 4 g i u g n o 1798, calò nella tomba, il g r a n d e Casanova era già m o r t o da vent'anni. Lo c o n f e r m a n o le Memorie c h e c o m i n c i ò a scrivere, in francese, nel 1790. Esse abbracciano infatti solo diciotto anni della sua vita (dal 1756 al 1774), i p i ù avventurosi, i p i ù r u g g e n t i , i p i ù s p e n s i e r a t i . Sulla loro veridicità s o n o stati avanzati molti d u b b i . C o m e t u t t e l e a u t o b i o g r a f i e , a n c h e q u e s t a r a p p r e s e n t a p i ù il p e r s o n a g g i o che l ' a u t o r e voleva essere che quello che fu in realtà. Sincerità e finzione si m e scolano ed è difficile, specialmente p e r noi posteri, sceverare q u e s t a da quella. I dodici v o l u m i che le c o m p o n g o n o v a n n o p r e s i q u i n d i p e r quello c h e s o n o , o p i u t t o s t o p e r quello che Casanova ha voluto che fossero: «Che gioia, e che dolore, ricordare il t e m p o passato», sospirava l'autore. «Pochi libri al m o n d o sono più deliziosi. N o n esiste un al812
tro d o c u m e n t o che si possa p a r a g o n a r e al vivo e imparziale q u a d r o del diciottesimo secolo che le Memorie ci offrono», ha scritto Havelock Ellis. E Remy de G o u r m o n t : «Casanova racconta tanti di quegli episodi che gli sono sfavorevoli che b i s o g n a a c c e t t a r e a n c h e quelli c h e gli sono favorevoli». «Non ho mai letto un libro - autobiografia o r o m a n z o - capace di d a r e così c o m p l e t a m e n t e il senso della vita», ha detto il critico a m e r i c a n o E d m u n d Wilson. «Divino», definì lo stile di Casanova Alfred de Musset. E Sainte-Beuve: «La sua è u n a delle migliori prose francesi». A n c h e sul p i a n o u m a n o , n o n si presta che a giudizi polivalenti. Casanova fu un b a r o , u n a spia, un imbroglione, un falsario, m a a n c h e u n p e r f e t t o cavaliere, u n g r a n s i g n o r e , u n o straordinario giornalista, u n o scrittore di razza: il vero italiano del Settecento, apolide e cosmopolita, c o n d a n n a t o a u n a vita c o r s a r a dalla m a n c a n z a d i u n a p a t r i a , d i u n a società, di u n a fede e di u n a morale.
CAPITOLO TRENTACINQUESIMO LA FINE DI UN M O N D O
N o n o s t a n t e il crescere e il moltiplicarsi dei giornali, alla fine del secolo la circolazione delle notizie e r a a n c o r a l e n t a e m a l c e r t a a n c h e fra i vari Stati e u r o p e i . Degli a v v e n i m e n t i d'oltre Atlantico n o n arrivavano che confuse voci. Così n o n c'è da meravigliarsi che quasi nessuno, n e m m e n o delle classi dirigenti, c o m p r e n d e s s e il senso e la p o r t a t a della rivoluzione americana. II N o r d - A m e r i c a e r a a n c o r a un p a e s e lontanissimo, e a cui n e s s u n o riconosceva u n a qualifica di protagonista. Sebb e n e territorialmente sterminato, n o n aveva n e m m e n o d u e milioni di abitanti, ai quali mancava, c o m e oggi si d i r e b b e , o g n i p o t e r e decisionale p e r c h é n o n e r a n o «cittadini», m a «coloni», sottoposti alla sovranità del Re d ' I n g h i l t e r r a . Ad essa n o n a v e v a n o m a i p e n s a t o d i ribellarsi a n c h e p e r c h é avevano bisogno della flotta e dell'esercito inglesi. Dovevano infatti d i f e n d e r s i n o n s o l t a n t o d a g l ' i n d i a n i con cui la partita e r a ancora a p e r t a nell'interno delle p r a t e r i e , ma anche dai francesi solidamente impiantati nel C a n a d a , e dagli spagnoli t u t t o r a arroccati n o n soltanto nel Messico, ma anche in Florida. Ciò che rovinò l'Inghilterra furono, in un certo senso, le sue vittorie. C o m e a b b i a m o detto nella p r i m a p a r t e di q u e sto libro, la diplomazia inglese si servì, l u n g o tutto il Settecento, delle g u e r r e e u r o p e e che si susseguirono quasi senza i n t e r r u z i o n e sino alla fine di quella dei sette a n n i nel ' 6 3 , p e r r i n s a l d a r e i suoi d o m i n i d ' o l t r e m a r e , e s p e c i a l m e n t e d'America. C'era riuscita in pieno: a n c h e il C a n a d a francese e la Florida spagnola avevano d o v u t o rassegnarsi a diventa817
re colonie inglesi. Ma con l'attenuarsi di questa d o p p i a minaccia, a u m e n t a v a n e i coloni il d e s i d e r i o d ' i n d i p e n d e n z a a n c h e dalla m a d r e p a t r i a . La sua t u t e l a infatti essi e r a n o costretti a r i p a g a r l a c o n tributi che ostacolavano il loro sviluppo. N o n p o t e v a n o imp i a n t a r e fabbriche che p o t e s s e r o far c o n c o r r e n z a a quelle inglesi, dovevano riservare le loro materie p r i m e all'Inghilt e r r a e avviarvele su navi inglesi. Q u e s t o aveva già provocato p a r e c c h i attriti. Ma, finché c'era stato il p e r i c o l o di aggressioni franco-spagnole, la p a u r a e r a bastata a comporli. A p r e c i p i t a r e la r o t t u r a fu il p i ù trascurabile di tutti quelli fin allora scoppiati: l'imposizione di u n a tassa sul tè il cui gettito n o n avrebbe s u p e r a t o le 16.000 sterline l'anno: u n a cifra, anche p e r quei tempi, m e n che modesta. Ma qui insorgeva u n a questione di principio. Quasi tutti di origine inglese, i coloni avevano i m p o r t a t o dalla m a d r e patria u n a certa mentalità che li r e n d e v a allergici a tasse che n o n fossero state a p p r o v a t e dai loro r a p p r e s e n t a n t i . In I n ghilterra il P a r l a m e n t o era n a t o p r o p r i o da questa esigenza, affermatasi in u n a lotta secolare c o n t r o l'arbitrio del Re. I coloni a v e v a n o già fatto v a l e r e q u e s t o l o r o d i r i t t o n e l '65 q u a n d o gl'inglesi avevano p r e t e s o addossargli a l m e n o u n a p a r t e delle spese s o s t e n u t e nelle g u e r r e c o n t r o francesi e spagnoli, cui i coloni dovevano la p r o p r i a sicurezza. Ma n o n c'era stato n i e n t e da fare. I coloni avevano d a t o il loro sang u e a r r u o l a n d o s i , ma i soldi si e r a n o rifiutati di scucirli p e r ché «senza r a p p r e s e n t a n z a , n i e n t e tasse». Il g o v e r n o inglese n o n aveva fatto tesoro di questa lezion e . E così, p e r 16.000 sterline, provocò il disastro. All'imposizione, u n p u g n o d i coloni travestiti d a i n d i a n i r i s p o s e r o assaltando nel p o r t o di Boston un carico di tè e rovesciandolo in m a r e . Era la fine del ' 7 3 . Gl'inglesi r e a g i r o n o blocc a n d o la città e d e f e r e n d o i r e s p o n s a b i l i a un t r i b u n a l e di g u e r r a . I coloni del Massachusetts, di cui Boston e r a la capitale, l a n c i a r o n o un a p p e l l o ai confratelli delle altre dodici province in cui il territorio era allora diviso. E i loro delega818
ti s ' i n c o n t r a r o n o l'anno d o p o a Filadelfia, d o v e fu steso un patto di reciproco aiuto e assistenza. La g u e r r a avrebbe a n c o r a p o t u t o essere evitata p e r c h é il s e n t i m e n t o di fedeltà e r a tuttavia forte verso l ' I n g h i l t e r r a , se questa n o n avesse commesso il m a r c h i a n o e r r o r e di sollecitare l'aiuto degl'indiani. I coloni lo c o n s i d e r a r o n o un trad i m e n t o (qual era) e r e c i p r o c a r o n o appellandosi a Francia e S p a g n a che f u r o n o b e n liete di a c c o r r e r e con le loro flotte n o n p e r d a r e m a n forte agl'insorti, m a p e r p r e n d e r s i u n a rivincita c o n t r o l ' I n g h i l t e r r a e toglierle la s u p r e m a z i a sui mari. Per gl'inglesi fu un b r u t t o m o m e n t o . Quella ch'essi avev a n o considerato u n a piccola rivolta coloniale, un litigio in famiglia, e r a diventata g u e r r a e u r o p e a , anzi m o n d i a l e , perc h é la si c o m b a t t e v a d a p p e r t u t t o . M e n t r e gli s p a g n o l i in M e d i t e r r a n e o gli s t r a p p a v a n o M i n o r c a e i francesi li sloggiavano da parecchie isole dei Caraibi, gli olandesi li attaccavano a Ceylon e a S u m a t r a . Fu la necessità di far fronte a tutte queste minacce che i m p e d ì all'Inghilterra di d o m a r e i coloni. Costoro n o n e r a n o riusciti a m e t t e r e insieme p i ù di ventimila a r m a t i , e a r m a t i m a l e . Ma in c o m p e n s o a v e v a n o trovato un geniale c o n d o t t i e r o in Giorgio Washington che, sottoponendoli a u n a disciplina di ferro, riuscì a trasformare i «figli della Libertà», c o m e si c h i a m a v a n o q u e l l e sgang h e r a t e b a n d e di volontari, in un vero esercito. Nel '77 le forze inglesi d o v e t t e r o capitolare a Saratoga. La lotta, a n c h e se c o n t i n u ò fino al 1782, e r a o r m a i decisa. Ma il g r a n d e avvenimento a m e r i c a n o n o n fu la vittoria milit a r e . Fu la Dichiarazione d'indipendenza r e d a t t a fin dal 1776 da Jefferson che traduceva in articoli di legge u n a concezione politica c o n s i d e r a t a fin allora un sogno di utopisti. Essa diceva c h e tutti gli u o m i n i n a s c o n o u g u a l i e c o n un c e r t o p a t r i m o n i o di diritti che n i e n t e e n e s s u n o p u ò contestare: il diritto alla vita, il diritto alla libertà e il diritto alla «ricerca della felicità». Ogni u o m o p u ò scegliere il p r o p r i o destino e l'organizzazione politica ch'egli crede più adatta a favorirlo. 819
Egli cioè è s o v r a n o in q u a n t o è lui c h e col suo voto desig n e r à al p o t e r e dei «delegati», i quali in nessun caso p o t r a n no servirsene p e r coartare i suoi inalienabili diritti, c o m p r e sa la revoca della delega. N a t u r a l m e n t e egli si sottometterà alle decisioni di u n a m a g g i o r a n z a , che tuttavia sarà t e n u t a al p i ù assoluto rispetto delle m i n o r a n z e e del singolo. Fra i cittadini n o n ci s a r a n n o a l t r e differenze c h e quelle c r e a t e dal merito, e q u i n d i n o n p o t r a n n o mai diventare ereditarie né qualificare a privilegi. C o m e i diritti, i d o v e r i s a r a n n o uguali p e r tutti: n e s s u n o , q u a l u n q u e posto occupi, p o t r à ess e r n e esentato. Solo la legge, espressione della volontà collettiva, è sovrana. E p r e s s a p p o c o quello che aveva scritto Rousseau nel suo Contratto sociale. Se fosse stato lui a suggerire queste idee agli americani o gli americani a suggerirle a lui, è un p r o b l e m a complesso e che in questa sede n o n trova posto. Chi voglia a p p r o f o n d i r l o n o n ha che da leggere il magistrale studio di Tocqueville sulle origini della d e m o c r a z i a a m e r i c a n a . U n fatto c o m u n q u e è c e r t o : c h e la d e m o c r a z i a a n c h e se frutto sul p i a n o d o t t r i n a r i o di un l u n g o travaglio del p e n s i e r o eur o p e o iniziatosi con la Riforma di Calvino, furono gl'insorti a m e r i c a n i a t r a d u r l a i n u n r e g i m e politico c h e i n n a l z a v a l ' u o m o alla dignità di cittadino, lo r e n d e v a u g u a l e a tutti gli altri cittadini, p i e n a m e n t e libero e p i e n a m e n t e responsabile di f r o n t e alla società. Molto p i ù d e l l ' a i u t o della F r a n c i a e della Spagna, molto p i ù del genio strategico di Washington, fu la coscienza di q u e s t a g r a n d e c o n q u i s t a c h e c o n d u s s e i coloni alla vittoria. Ed è questa stessa coscienza che da d u e c e n t o a n n i c o n s e n t e alla d e m o c r a z i a a m e r i c a n a , m a l g r a d o tutte le sue imperfezioni, di s u p e r a r e q u a l u n q u e crisi senza r i n n e g a r s i . Gli u o m i n i che nella piccola città q u a c c h e r a di Filadelfia ne r e d a s s e r o lo S t a t u t o s ' i s p i r a r o n o alla Bibbia, d a n d o così ai suoi p r i n c ì p i di libertà e di u g u a g l i a n z a un f o n d a m e n t o religioso, che n e s s u n a c o n t i n g e n z a politica ha p i ù p o t u t o scalfire. Di tutto questo, l ' E u r o p a n o n si rese conto che molto più 820
tardi. Lì p e r lì essa n o n vide nella rivolta a m e r i c a n a che l'occasione p e r sovvertire l'equilibrio delle forze che l'Inghilterra aveva costruito a p r o p r i o vantaggio, s t r a p p a n d o l e il d o m i n i o sui m a r i . E l ' e s e m p i o di q u e s t a i n c o m p r e n s i o n e lo dette la Francia. La sua flotta r i p o r t ò brillanti successi cont r o quella inglese. Ma le sue finanze, p e s s i m a m e n t e a m m i nistrate, uscirono stremate dallo sforzo. Q u e s t o n o n e r a un d a n n o i r r e p a r a b i l e p e r u n Paese c h e , q u a n t o a risorse, seguitava ad e s s e r e il p i ù ricco d ' E u r o p a . I r r e p a r a b i l e fu il c o n t a g i o i d e o l o g i c o . I soldati francesi c h e , al c o m a n d o di Lafayette, s b a r c a r o n o i n America p e r d a r m a n o agl'insorti, n o n solo lessero lo S t a t u t o d e i coloni di Filadelfia, ma ne c o n s t a t a r o n o a n c h e la pratica funzionalità. Essi videro quali e n e r g i e s p r i g i o n a v a quella n u o v a società di u o m i n i liberi, ne a s s o r b i r o n o il fremito d e m o c r a t i c o e lo r i p o r t a r o n o in patria. N e s s u n seme poteva attecchire più facilmente in un Paese già a r a t o dalla predicazione di Rousseau e dove il vecchio r e g i m e e r a rimasto p i ù vecchio che d a p p e r t u t t o altrove e c h i u s o all'esigenze d e l m o n d o m o d e r n o . Re Luigi e i suoi cortigiani c r e d e v a n o di aver rinsaldato il prestigio della m o n a r c h i a c o l a n d o a picco q u a l c h e n a v e inglese. E invece l'avevano i r r e p a r a b i l m e n t e c o n d a n n a t a . Le p r i m e a venire al p e t t i n e furono le difficoltà economiche. E r a un m a l e e n d e m i c o di cui il ministro T u r g o t aveva benissimo indicato i motivi e i r i m e d i . Bastava liberalizzare gli scambi s m a n t e l l a n d o la p e s a n t e b a r d a t u r a d e i vincoli, m o n o p o l i e privilegi c h e li r e n d e v a n o sclerotici. Ma questa b a r d a t u r a e r a la g r e p p i a delle caste d o m i n a n t i , le cui resistenze avevano avuto la meglio sull'animo indeciso del Re e lo costrinsero a liquidare il ministro. Luigi ricorse ai miracoli di Necker, un banchiere ginevrino che passava p e r il m a g o della finanza. E il miracolo egli lo a v r e b b e c o m p i u t o , a n c h e senza r i c o r r e r e alla m a g i a , se la Corte (che nel r e g i m e assolutistico si confondeva con lo Stato e con esso faceva cassa c o m u n e ) avesse accettato di r i d u r re le sue folli spese, e le classi privilegiate di p a g a r e le tasse. 821
Ma q u e s t e classi e r a n o t a l m e n t e o t t u s e che la p r o p o s t a fu scartata e il Necker liquidato come un pericoloso sovversivo. U n o d o p o l'altro, i suoi successori subirono la m e d e s i m a s o r t e . L'ultimo, C a l o n n e , scrisse: «La Francia è un p a e s e composto di tanti Stati separati, ciascuno con u n a sua particolare amministrazione, dove ogni provincia i g n o r a ciò che accade nell'altra, d o v e i ricchi n o n p a g a n o tasse, e d o v e il privilegio impedisce qualsiasi giustizia: un paese i n s o m m a impossibile da governare». Ma nel 1788 il passivo del bilancio toccò tali vertici, che il Re richiamò il Necker e convocò p e r l'anno seguente gli Stati Generali. Gli Stati Generali e r a n o il P a r l a m e n t o della Francia. Ma, a differenza degli altri p a r l a m e n t i , esso era diviso in tre diversi o r d i n i secondo le classi che vi e r a n o r a p p r e s e n t a t e : il clero, la nobiltà e la borghesia cittadina. Siccome o g n u n o di essi si riuniva e deliberava p e r conto p r o p r i o , è facile capire c h e i p r i m i d u e , solidali nella difesa del privilegio, soverchiavano il terzo. Cioè lo a v r e b b e r o soverchiato se il Parlam e n t o avesse f u n z i o n a t o . I n r e a l t à esso n o n e r a stato p i ù c o n v o c a t o dal 1614, cioè da oltre un secolo e m e z z o . E fu p e r q u e s t o che l ' a n n u n z i o suscitò u n ' e n o r m e i m p r e s s i o n e fatta di attesa, di timore, di sospetti e di speranze. La sessione fu a p e r t a da un breve discorso del Re che ric o n o b b e c o n franchezza la gravità della crisi finanziaria, chiese che venissero a d o t t a t e delle riforme, ma r a c c o m a n d a n d o che n o n ci si lasciasse p r e n d e r e la m a n o «da un esagerato desiderio d'innovazione», e lasciò la parola a Necker, che p e r tre o r e alluvionò di cifre e statistiche i p a r l a m e n t a r i . C o s t o r o , che dal m i n i s t r o si a s p e t t a v a n o q u a l c h e p r o p o s t a p r o g r a m m a t i c a , rimasero delusi e disorientati. Ma p e r quel giorno (5 maggio) n o n successe nulla. La battaglia cominciò l ' i n d o m a n i , q u a n d o i r a p p r e s e n tanti della nobiltà e quelli del clero si r i u n i r o n o p e r c o n t o l o r o p e r p r e n d e r e le p r o p r i e decisioni. I b o r g h e s i , c o m p r e n d e n d o che se si votava c o m e p e r il passato, e cioè p e r Stati, quello loro s a r e b b e stato sopraffatto dagli altri d u e , 822
m a n d a r o n o a d i r e che il voto doveva essere d a t o in s e d u t a p l e n a r i a e a titolo i n d i v i d u a l e . I nobili r i f i u t a r o n o p e r c h é questo m e t o d o , dissero, n o n era previsto. Ma il vero motivo e r a c h e i r a p p r e s e n t a n t i del T e r z o stato a m m o n t a v a n o alla s o m m a degli altri d u e , e q u i n d i formavano m a g g i o r a n za p e r c h é quelli del clero - fra i quali ce n ' e r a n o p a r e c c h i di origine plebea - e r a n o divisi, e infatti n o n p r e s e r o posizione. Si giunse a u n a situazione di stallo che d u r ò tutto il m e se, ma che si r i p e r c o s s e nel Paese c r e a n d o v i u n a febbrile tensione. Il 10 g i u g n o il Terzo stato rinnovò la sua richiesta in t o n o ultimativo. Alcuni giorni d o p o esso fu rinforzato da alcuni r a p p r e s e n t a n t i del clero che d i s e r t a r o n o quello loro. Il suo p r e s i d e n t e dichiarò che siccome il Terzo stato r a p p r e sentava il n o v a n t a s e i p e r c e n t o della p o p o l a z i o n e aveva il diritto di costituirsi in Assemblea Nazionale facendo a m e n o degli altri d u e . N o n era ancora la rivoluzione. La m a g g i o r a n z a di quegli u o m i n i era monarchica. Per t r a r r e il Re dalla loro p a r t e essi d e c r e t a r o n o che, finché l'Assemblea rimaneva in carica, tutti i cittadini dovessero p a g a r e le tasse, ma vi si rifiutassero se essa veniva sciolta. Il Re a d u n ò i suoi ministri. N e c k e r lo supplicò di a d e r i r e alle richieste dell'Assemblea accettando il suo sistema di votazione. Ma gli altri lo convinsero che in tal m o d o sarebbe rimasto p r i g i o n i e r o dei suoi nemici. Egli fissò al 23 la convocazione degli Stati Generali p e r informarli delle sue decisioni. E a questo p u n t o e n t r ò in giuoco anche il caso. La sala d o v e la r i u n i o n e d o v e v a svolgersi, nel palazzo r e a l e di Versailles, d o v e v a essere i n g r a n d i t a e riattata. Q u a n d o i d e p u t a t i del Terzo stato vi si p r e s e n t a r o n o , trovar o n o le p o r t e chiuse e l ' i n t e r n o o c c u p a t o dagli o p e r a i . Sos p e t t a n d o c h e si trattasse di un p r e t e s t o p e r i m p e d i r g l i di e n t r a r e , si t r a s f e r i r o n o in un attiguo c a m p o di tennis, che allora si chiamava pallacorda, p r o c l a m a r o n o che d o v u n q u e la loro Assemblea si riunisse, lì era il p o p o l o francese, e giu823
r a r o n o di n o n sciogliersi p r i m a di aver dato alla Francia u n a n u o v a Costituzione. Cioè dissero in sostanza che l'unico potere legittimo e r a n o loro. A Parigi la notizia creò g r a n d e entusiasmo, e cortei di folla mossero su Versailles p e r m o n t a r e b u o n a g u a r d i a i n t o r n o all'Assemblea. Gli u m o r i della città e r a n o tali che alcuni n o bili e quasi la m e t à dei r a p p r e s e n t a n t i del clero si u n i r o n o al Terzo stato, r e n d e n d o n e schiacciante la supremazia. Il Re si p r e s e n t ò alla sessione coi suoi ministri, fra i quali n o n c'era Necker che si e r a rifiutato d'intervenire. P r o n u n ziò alcune parole di circostanza, e poi fece leggere il suo responso da un segretario. Riconobbe al parlamento piena c o m p e t e n z a in fatto di finanze e di tasse e il diritto di p r o p o r r e riforme. Ma ribadì il sistema di votazione p e r Stati e respinse la pretesa del Terzo di costituirsi in Assemblea Nazionale e di p r e n d e r n e il n o m e . «Il vero r a p p r e s e n t a n t e del p o p o l o sono io - concludeva la dichiarazione -, e c o m e tale vi o r d i n o di sciogliervi p e r riunirvi d o m a n i e p r e n d e r e sep a r a t a m e n t e le vostre decisioni.» Q u a n d o si alzò p e r uscire, quasi tutti i nobili ma solo u n a piccola aliquota del clero lo seguirono. Quelli del Terzo stato r i m a s e r o . Il G r a n Ciambellano r i n n o v ò l'ingiunzione di s g o m b r a r e la sala. Mirabeau gli rispose che solo le baionette p o t e v a n o i n d u r v e l i . Q u a n d o il Re ne fu i n f o r m a t o , b r o n tolò: «Be', se vogliono restare, restino, e che il diavolo se li porti». N o n aveva capito che quel rifiuto di obbedienza era la fine del suo p o t e r e , o a l m e n o del suo p o t e r e assoluto. A Parigi il subbuglio cresceva. Le a u t o r i t à m o b i l i t a r o n o la g e n d a r m e r i a , ma s c o p r i r o n o che in parecchi r e p a r t i c'er a n o delle «cellule» che s'erano i m p e g n a t e a o b b e d i r e solt a n t o all'Assemblea. Lo stesso g i o r n o q u a r a n t a s e t t e nobili, capeggiati dal Duca d'Orléans, cugino del Re, si u n i r o n o al Terzo stato. Il fronte della resistenza si sgretolava s e m p r e più. Il Re si a r r e s e alle p r e t e s e dell'Assemblea di votazione collegiale, ma fece c o n v e r g e r e sulla città dieci r e g g i m e n t i , c o m p o s t i in m a g g i o r a n z a di svizzeri e tedeschi p e r c h é dei 824
francesi capiva che n o n c'era più da fidarsi. L'Assemblea temette di essere dispersa con la forza, o finse di temerlo p e r suscitare la reazione del p o p o l o , e trasformò il p r o p r i o nome in quello di Costituente p e r r e n d e r e irrevocabile la p r o pria qualifica alla creazione di un n u o v o regime. N o n aveva a n c o r a r o t t o e n o n voleva r o m p e r e i p o n t i c o n la m o n a r chia. Voleva soltanto i n d u r l a ad accettare u n a forma costituzionale sul m o d e l l o di quella inglese, e M i r a b e a u lo disse e s p l i c i t a m e n t e m e t t e n d o in g u a r d i a il Re d a i suoi cattivi consiglieri. Fra costoro c'era la r e g i n a Maria Antonietta, s t r e t t a m e n te legata ai cortigiani p i ù retrivi. Capricciosa, p r e p o t e n t e , sventata, n o n e r a mai stata p o p o l a r e . O r a aveva p e r s o anc h e l a sua p à t i n a d i frivola gaiezza u n p o ' p e r c h é n o n n e aveva più l'età, un p o ' p e r c h é p r o p r i o in questa e m e r g e n z a la sorte l'aveva d u r a m e n t e colpita p o r t a n d o l e via il p r i m o genito, e r e d e a l t r o n o . B r u s c a m e n t e r i c h i a m a t a d a quella s v e n t u r a alla realtà, vi reagiva con puntigliosa a c r e d i n e . Fu a n c h e lei a s p i n g e r e il Re ad a p p e s a n t i r e la m a n o c o n g e d a n d o N e c k e r e s o s t i t u e n d o l o c o n un suo favorito. Parigi rispose p o r g e n d o un trionfale saluto al ministro licenziato. Un giovane ex-gesuita che o r a faceva l'avvocato, D e s m o u lins, in un comizio definì il licenziamento di Necker un trad i m e n t o , invitò il p o p o l o a i m p u g n a r e le a r m i e ne d i e d e l'esempio a g i t a n d o u n a pistola. U n a folla minacciosa si ammassò, fu dispersa dai soldati, ma t o r n ò ad ammassarsi l'ind o m a n i , 13 luglio, p e r assaltare d e p o s i t i di a r m i e i m p a dronirsene. Il 14 ci fu un attacco agl'Invalidi che fruttò migliaia di fucili e u n a dozzina di c a n n o n i . A un tratto u n a voce gridò: «Alla Bastiglia!» La Bastiglia e r a u n a prigione, ma o r m a i in disarmo. Anzi, da un pezzo era riservata ad ospiti di lusso e degni di riguardo, tra i quali c'era stato a ripetizione a n c h e Voltaire. Attualmente n o n contava che sette inquilini, trattati in g u a n t i gialli. Ma la sua s a g o m a t u r a di fortezza m e d i e vale, le sue m u r a massicce, i p o n t i levatoi, ne facevano il 825
simbolo dell'assolutismo. E il suo c o m a n d a n t e , De Launay, u o m o in realtà mitissimo, passava p e r un t o r t u r a t o r e . Gli assalitori m a n d a r o n o u n a delegazione a chiedergli di ritirare i c a n n o n i che, postati sulla città, vi facevano p e s a r e la loro minaccia. De L a u n a y assentì e t r a t t e n n e i delegati a colazione. Ma dal di fuori a l c u n e teste calde p e n e t r a r o n o n e l l ' i n t e r n o e abbassarono i p o n t i levatoi che c o n s e n t i r o n o agli assedianti d ' i r r o m p e r e in massa. De L a u n a y che, da soldato d ' o n o r e , intendeva ritirarsi, m a n o n a r r e n d e r s i , intimò di s g o m b r a r e , n o n fu o b b e d i t o l e o r d i n ò alle s u e sessanta g u a r d i e di a p r i r e il fuoco. Gli assalitori risposero coi loro archibugi e p o i coi c a n n o n i razziati agl'Invalidi. D o p o q u a t tr'ore di battaglia un centinaio di m o r t i lastricavano il cortile. Piuttosto c h e c o n t i n u a r e la carneficina, De L a u n a y m a n d ò la chiave dell'ingresso principale agli assalitori confidando nella loro cavalleria. Gli assalitori si p r e c i p i t a r o n o nella cittadella, t r u c i d a r o n o alcune g u a r d i e , s ' i m p a d r o n i r o no del c o m a n d a n t e e lo i s t r a d a r o n o verso il m u n i c i p i o p e r s o t t o p o r l o a un s o m m a r i o p r o c e s s o . Ma p e r s t r a d a alcuni scalmanati gli saltarono addosso, lo m a s s a c r a r o n o , lo decap i t a r o n o e sfilarono p e r le s t r a d e di Parigi con la sua testa infilata su u n a picca. I l R e e r a i m p e g n a t o i n u n a p a r t i t a d i caccia. Q u a n d o r i e n t r ò , scrisse nel suo diario: «14 luglio: nulla». Un cortig i a n o , c h e arrivava trafelato da Parigi, gli r a c c o n t ò l'accad u t o . «Ma questa - disse il Re - è u n a rivolta!» «No - rispose l'altro, - è la rivoluzione.» L'indomani si p r e s e n t ò all'Assemblea, di fronte a cui p r e s e solenne i m p e g n o di o r d i n a r e il ritiro delle t r u p p e sia da Versailles che da Parigi. Licenziò i m i n i s t r i c h i a m a t i in carica p o c h i g i o r n i p r i m a , ric h i a m ò p e r la terza volta Necker, il 17 si p r e s e n t ò in m u n i cipio dove si era costituita u n a g i u n t a di borghesi e popolani. E di fronte a tutti attaccò sul p r o p r i o cappello la coccarda blu, bianca e rossa: i colori che la Francia rivoluzionaria aveva scelto c o m e p r o p r i a b a n d i e r a al posto di quella bianca dei Borboni. Un gesto che, compiuto qualche giorno 826
p r i m a , forse gli avrebbe salvato la testa e a n c h e il t r o n o . Ormai e r a tardivo. N e a n c h e di questi avvenimenti l'opinione pubblica e u r o p e a ebbe un'esatta informazione e u n a chiara visione. E quelle che li c a p i r o n o m e n o di tutti furono le altre m o n a r c h i e assolute cui u n a secolare d e f o r m a z i o n e m e n t a l e i m p e d i v a di concepire, financo in via d'ipotesi, che un p o p o l o potesse rivendicare il diritto di decidere il p r o p r i o destino. Alle Corti di V i e n n a , di B e r l i n o , di P i e t r o b u r g o , di M a d r i d , i fatti di Parigi s e m b r a r o n o u n a manifestazione di d e m e n z a collettiva, destinata a sfociare soltanto nel caos. Ci volle del t e m p o p r i m a che l ' E u r o p a si rendesse conto di cosa succedeva. Per c o m e si era svolta, la presa della Bastiglia n o n era stato un episodio glorioso. Ma è giusto che i francesi abbiano fatto del 14 luglio la loro festa nazionale p e r c h é la partita fu g i u o c a t a e vinta p r o p r i o lì. T u t t o il vecchio r e g i m e c a d d e senza o p p o r r e più resistenza di quell'antica fortezza che lo simboleggiava. C o n semplici tratti di p e n n a la C o s t i t u e n t e ne liquidò tutti i residuati. Ai nobili c h e si e r a n o ostinati a difenderlo, n o n restò altro scampo che la fuga oltre frontiera, dove si d e t t e r o a t r a m a r e contro il loro Paese. C o m e tutti i fuoruscitismi, a n c h e questo fu fatale alla causa che intendeva servire. F u r o n o gl'intrighi di questi u o m i n i , intesi a fom e n t a r e rivolte all'interno e a c r e a r e all'estero u n o spirito di crociata c o n t r o la Francia, a i m m e r g e r e il n u o v o r e g i m e in u n a psicosi di sospetti e di p a u r e che fatalmente doveva sboccare nel t e r r o r e . Il p r i m o a farne le spese fu il Re. S e b b e n e p r i g i o n i e r o dell'Assemblea e ridotto a ratificarne i decreti, egli respinse il consiglio di suo fratello, il Conte d'Artois, che gli suggeriva un colpo di forza militare. Il C o n t e allora r a g g i u n s e gli altri fuorusciti, offrendo così b u o n i a r g o m e n t i a chi accusava il Re di d o p p i o giuoco. Resa furibonda a n c h e da u n a carestia di p a n e , la folla lo costrinse a lasciare Versailles e a trasferirsi a Parigi p e r c o n t r o l l a r n e meglio le mosse. Il pa827
lazzo reale delle Tuileries diventò la sua Bastiglia. Di lì egli vide lievitare u n a rivoluzione che o r m a i e r a sfuggita di mano alla stessa Assemblea. Quella che c o m a n d a v a era la piazza, della cui violenza era i n t e r p r e t e un g r u p p o d'intellettuali estremisti, i Giacobini. La sorte del Re e r a p r o b a b i l m e n t e segnata. Ma a precipitarla fu un piccolo episodio marginale. Nel ' 9 1 , d o p o un anno e mezzo d'isolamento, il Re e la Regina vollero p r e n d e r e la C o m u n i o n e in vista dell'imminente Pasqua. Ma rifiutarono di farsela i m p a r t i r e da u n o di quei sacerdoti che avevano accettato l'investitura p o p o l a r e facendosi eleggere dai fedeli invece che n o m i n a r e dalla G e r a r c h i a . Perciò i d u e sovrani decisero di a n d a r e a Saint Cloud, dove officiavano dei preti t u t t o r a fedeli alla Chiesa di R o m a . Ma la folla li bloccò p e r strada, obbligandoli a t o r n a r e indietro. L'affronto li decise a t e n t a r e la fuga. P r i m a di a v v e n t u r a r v i s i , il Re r e d a s s e un proclama con cui invalidava tutti i decreti c h ' e r a stato obbligato a firmare. Ma il colpo a n d ò a v u o t o . Riconosciuti p e r strada, furono riportati di forza alle Tuileries, più prigionieri di p r i m a . Il p r o c l a m a e r a la riprova della loro «intelligenza col nemico». Redatta la n u o v a Costituzione che s'ispirava ai tre g r a n d i principi di Libertà, Eguaglianza e Fraternità, l'Assemblea si e r a sciolta p e r c e d e r e il p o s t o a u n ' a l t r a eletta a suffragio p o p o l a r e , che traducesse in pratica queste nobili aspirazioni. Ma n o n ce ne fu il t e m p o . Le m o n a r c h i e assolute d'Austria e di Prussia avevano finalmente capito che quello della Francia n o n e r a un fatto di d e m e n z a collettiva, ma il p r i m o guizzo di un incendio che minacciava d'incenerire tutti i valori e istituti sui quali esse si reggevano. E si e r a n o coalizzate p e r spegnerlo con u n a spedizione punitiva, cui subito d o po si associò a n c h e l'Inghilterra. I contraccolpi in Francia furono immediati. Da quel m o m e n t o rivoluzione e p a t r i a fecero t u t t ' u n o . C h i u n q u e patteggiasse p e r ragioni ideologiche con gli esponenti del vecchio regime, o r m a i al servizio degli aggressori, e r a un tradi828
t o r e . I n o l t r e l ' e m e r g e n z a esigeva il ricorso agli u o m i n i più risoluti, c h e n a t u r a l m e n t e e r a n o a n c h e i p i ù estremisti. I g r a n d i ideali di libertà e di fraternità n o n furono rinnegati, ma v e n n e r o accantonati. Per essi n o n c'era posto in un m o m e n t o in cui gli eserciti nemici incalzavano da o g n i p a r t e . Ci v o l e v a n o il p u g n o di f e r r o , i p l o t o n i di e s e c u z i o n e , ins o m m a il t e r r o r e sia c o n t r o la minaccia e s t e r n a che c o n t r o la dissidenza i n t e r n a . E chi poteva essere più dissidente di un Re p e r la cui causa gli altri Re si e r a n o coalizzati, e di u n a Regina, di cui si sapeva che n o n aveva cessato di rivolgersi p e r aiuto al fratello L e o p o l d o , I m p e r a t o r e d'Austria, e poi al nipote che gli era succeduto? Del loro t r a d i m e n t o n o n c'era bisogno di p r o v e . Il c o m a n d a n t e d e l l ' a r m a t a prussiana in marcia su Parigi aveva lanciato un p r o c l a m a in cui si minacciava la distruzione della città se si fosse t o r t o un capello alla famiglia reale. La F r a n c i a raccolse la sfida. G u i d a t a da D a n t o n , il p i ù g r a n d e t r i b u n o della rivoluzione, e forse a n c h e il suo solo u o m o di Stato, la folla assalì le Tuileries, fece a pezzi i coraggiosi svizzeri della G u a r d i a , e trascinò i d u e sovrani p r i m a in prigione, poi in tribunale, e infine sul patibolo. L ' E u r o p a allibita n o n colse sul m o m e n t o che l'aspetto sanguinario dell'episodio, e ne inorridì. Anche le m e n t i più progressiste, quelle che si raccoglievano sotto il segno dell'Illuminismo, e che d a p p r i n c i p i o avevano simpatizzato col r e g i m e a s s e m b l e a r e di Parigi e con le sue r i f o r m e , f u r o n o sconvolte dal d o p p i o regicidio e lo d e p l o r a r o n o . Forse il solo a capire fu Goethe, q u a n d o disse che quella n o n era la fine del m o n d o , c o m e tutti p e n s a v a n o , ma soltanto di un mondo. Era vero. Il 1789 n o n c h i u d e , con undici anni d'anticipo, il secolo; ma un'era.
CRONOLOGIA
1600 - Enrico IV di Francia dichiara g u e r r a a Carlo E m a n u e l e di Savoia. 1603 - Federico Cesi fonda a R o m a l'Accademia dei Lincei. 1606 - Paolo V scomunica Venezia. - V i e n e f o n d a t a dagli inglesi la p r i m a e p r o p r i a «colonia» d'oltre Atlantico: la Virginia. 1607 - V i e n e r a p p r e s e n t a t o a M a n t o v a l ' O r f e o , c a p o l a v o r o di Monteverdi. 1608 - M a r g h e r i t a , figlia di C a r l o E m a n u e l e di Savoia, s p o s a Francesco Gonzaga, d u c a di Mantova. 1610 - Alleanza t r a Carlo E m a n u e l e di Savoia e la Francia. - Enrico IV di Francia m u o r e p u g n a l a t o dal m o n a c o Ravaillac. 1612 - L'Accademia della C r u s c a pubblica a Venezia il p r i m o vocabolario della lingua italiana. 1613 - Carlo E m a n u e l e I invade il Monferrato. 1616 - Galileo Galilei viene processato dall'Inquisizione. 1618 - Inizia la G u e r r a dei T r e n t ' a n n i . 1619 - F e r d i n a n d o II d'Asburgo viene eletto i m p e r a t o r e . 1620 - «Sacro macello» della Valtellina. 1621 - M o r t e di Paolo V. 1623 - M u o r e Paolo Sarpi. - Alleanza tra Francia, Piemonte e Venezia contro la Spagna. - Galileo pubblica // Saggiatore.
839
1624 - Il cardinale Richelieu e n t r a nel Consiglio del re di Francia. 1625 - M o r t e di Giambattista M a r i n o . 1628 - Carlo E m a n u e l e di Savoia invade il M o n f e r r a t o . 1629 - L'esercito francese batte a Susa i piemontesi. 1630 - M u o r e il duca di Savoia. - Milano è investita dalla peste. - Pubblicazione del Dialogo s o p r a i d u e massimi sistemi di Galileo. 1631 - Trattato di Cherasco: Pinerolo passa alla Francia. - Gustavo Adolfo di Svezia batte l'esercito imperiale. 1632 - M o r t e di Gustavo Adolfo di Svezia sul c a m p o di battaglia di Lùtzen. 1633 - A R o m a v e n g o n o c o n d a n n a t e le ipotesi a s t r o n o m i c h e di Galileo. 1634 - M o r t e di Wallenstein. 1636 - M o r t e di Vittorio A m e d e o I: g u e r r a civile in P i e m o n t e tra Cristina di Francia, duchessa r e g g e n t e , e i principi Maurizio e T o m m a s o di Savoia. 1639 - M u o r e T o m m a s o C a m p a n e l l a . 1642 - M o r t e di Galileo Galilei. 1643 - Luigi X I V è re di Francia. 1644 - Morte di U r b a n o V I I I , cui succede I n n o c e n z o X. 1645 - I T u r c h i c o n q u i s t a n o l'isola di Candia. 1647 - Sollevazione p o p o l a r e a Napoli, g u i d a t a da Masaniello. 1648 - Pace di Westfalia. 1650 - Morte di Cartesio. 1654 - Cristina di Svezia abdica in favore di suo cugino Carlo Gustavo. 1659 - Pace dei Pirenei: fine dell'egemonia spagnola in E u r o p a . 1665 - M o r t e di Filippo IV di Spagna.
840
1670 - Morte di F e r d i n a n d o II di Toscana. 1684 - Lega Santa fra Venezia e l ' I m p e r o c o n t r o i Turchi. 1689 - Alleanza segreta tra Vittorio A m e d e o II, l ' I m p e r o e la Spag n a c o n t r o la Francia. 1690 - Nasce in R o m a l'Accademia dell'Arcadia. - L'ammiraglio v e n e z i a n o F r a n c e s c o M o r o s i n i sconfigge la flotta turca a Mitilene. 1697 - Vittorio A m e d e o II riacquista Pinerolo. 1699 - Pace di Carlowitz: Venezia p e r d e definitivamente C i p r o e Candia. 1700 - M u o r e Carlo II di Spagna, senza eredi. 1701 - Vittorio A m e d e o II di Savoia si allea con la Francia. 1703 - Vittorio A m e d e o II r o m p e l'alleanza con la Francia. 1705 - Il P i e m o n t e è invaso dai francesi. Torino assediata. 1706 - I francesi sono sconfitti dalle t r u p p e di Vittorio A m e d e o II e di E u g e n i o di Savoia. 1711 - M u o r e l ' i m p e r a t o r e G i u s e p p e I. 1713 - Trattato di Utrecht. 1713 - P r a m m a t i c a sanzione d e l l ' i m p e r a t o r e Carlo V I . 1714 - Trattato di Rastadt. 1717 - E u g e n i o di Savoia sconfigge i Turchi. 1718 - Pace di Passarowitz tra V i e n n a e i Turchi. 1720 - Trattato dell'Aja. 1730 - Abdicazione di Vittorio A m e d e o II di Savoia. 1733 - Carlo di B o r b o n e e n t r a in Napoli. 1737 - M u o r e Gian Gastone, l'ultimo dei Medici. 1738 - Pace di Vienna. 1740 - M o r t e di Carlo VI, cui succede Maria Teresa.
841
1 7 4 6 - Sollevazione popolare a Genova contro gli austriaci. Episodio di Balilla. 1 7 4 8 - Trattato d i Aquisgrana. 1 7 4 9 - Filippo di Borbone nuovo duca di Parma, Piacenza e Guastalla. 1 7 5 8 - È eletto papa Clemente XIII. 1 7 5 9 - Carlo III di Borbone lascia Napoli. Gli succede il figlio Ferdinando IV. 1 7 6 0 - Esce a Venezia la Gazzetta veneta. 1 7 6 4 - A Milano esce II Caffè. 1 7 6 5 - Pietro Leopoldo d'Asburgo granduca di Toscana. 1 7 6 8 - I genovesi cedono la Corsica alla Francia. 1 7 7 0 - Abolizione a Milano della "Ferma generale". 1 7 7 3 - Clemente XIV sopprime l'ordine dei Gesuiti. 1 7 7 3 - Morte di Carlo Emanuele III, cui succede Vittorio Amedeo III. 1 7 8 0 - Giuseppe I I imperatore d'Austria. 1 7 8 3 - Terremoto d i Messina. 1 7 8 9 - Rivoluzione francese.